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Autore: Teo5Astor    21/03/2018    7 recensioni
Il momento di partire per un nuovo viaggio nel tempo si avvicina sempre di più per Mirai Trunks e Mirai Mai dopo la feroce battaglia contro Zamasu. Un nuovo mondo li attende, con tutti i dubbi e le paure che questo comporta. Il dolore causato dalla separazione dai propri cari e dall'impossibilità di fare ritorno nella propria terra d'origine ormai andata distrutta si mescola con la curiosità di scoprire come potrà essere la loro nuova vita. Nuove sfide, pericolosi nemici e il paradosso di essere gli unici sopravvissuti della propria linea temporale attendono i nostri eroi. In tutto questo, un'unica ma fondamentale certezza a cui aggrapparsi: quella di esserci l'uno per l'altra, sempre.
Nota dell'autore: ogni capitolo è narrato in prima persona seguendo il punto di vista di uno dei diversi personaggi della storia. Inoltre nel testo si nascondono alcune citazioni tratte da canzoni, in particolare di Raige.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Darbula, Mai, Mirai!Mai, Mirai!Trunks, Trunks, Zamasu
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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7 – The lost Kaiohshin
 
«Quell’incapace ha fallito…»
Riapro gli occhi mentre sto ancora digrignando i denti.
I pugni stretti così forte da conficcarmi le unghie nei palmi delle mani.
Tenere gli occhi chiusi e concentrarmi per vedere ancora quello che sta succedendo su quell’insulso pianetino dell’Universo 7 mi farebbe solo male.
Non voglio assistere ai festeggiamenti di quegli esseri indegni. Mi farebbe solo provare altra rabbia per il mio fallimento.
Un altro fallimento, già…
Come posso aver fallito di nuovo? Io, Zamasu, la Luce del mondo?
Ho viaggiato tra gli Universi e nel tempo per fallire ancora? Io, Zamasu, il Purificatore?
 
«Lo sapevo che non dovevo fidarmi di quel Darbula! È pur sempre un mortale! Un inutile peccatore!»
Alzo la voce, anche se vorrei urlare. Vorrei sbraitare la mia rabbia.
La mia sete di giustizia.
Perché il mio progetto di purificare il mondo dai mortali e dai loro peccati non riesce a concretizzarsi?
Io sono la Legge.
Un dio è assoluto. E qualunque cosa faccia una divinità è giusta.
Nessuno sembra capire l’importanza di questa Nuova Era a cui sto cercando di dare inizio, il mondo divino a cui aspiro.
Un mondo privo di inutili desideri umani. Privo di peccati.
Il mio Nirvana.
 
Sono stato un Kaioh del Nord e un assistente Kaiohshin. Ma ho capito che stavo sprecando la mia vita, la mia possibilità di lasciare un segno nella Storia sfruttando la mia posizione e il mio potere.
Il mio maestro Gowasu cercava di insegnarmi i compiti di un Kaiohshin: vegliare sui comuni mortali senza intervenire; avere fiducia in loro e nelle loro possibilità di progredire, di civilizzarsi; accettare i loro peccati, la loro violenza, le loro nefandezze; sperare che nel corso dei secoli o dei millenni avrebbero saputo capire e migliorarsi, da soli.
Una divinità come il Kaiohshin non deve intromettersi nelle vicende dei mortali anche se vede che non riescono a imboccare la retta via. È semmai compito di un Dio della Distruzione valutare se è il caso di porre fine a una civiltà, a un pianeta.
Il Kaiohshin è una divinità pacifica, deve allenare i suoi poteri per poterli usare solo in caso di seria minaccia al proprio Universo, non per perseguire una personale giustizia.
Io ho un potere incommensurabile e non dovrei usarlo?!
 
Sì, ma che senso ha?
Io non so che senso abbia…
Osservare da lontano popoli incivili che si combattono tra loro, spinti da istinti animali.
Vedere mortali che si uccidono tra loro inseguendo desideri inutili e governati da una legge bestiale in cui solo il più forte può sopravvivere.
Non serve a niente la figura del Kaiohshin, non in questi termini.
Io ho cambiato le regole. Ho provato a farlo per il bene di tutti.
Un mondo privo di desideri e di peccati non può che essere migliore.
Un mondo senza esseri mortali non può che rappresentare un’esistenza ideale.
Il mio Piano Zero Umani è una legittima conseguenza di tutto questo.
Io rappresento la Giustizia.
Io sono la Verità.
Io porto la Luce nel mondo.
 
È tutto così semplice…
Sì, ma allora perché fallisco sempre?
Perché basta un ragazzo come quel Trunks per fermarmi?
Cosa lo spinge a combattere? Motivazioni più forti, più giuste delle mie?
E perché il destino lo aiuta? Perché aiuta lui e gli esseri umani di quell’inutile pianeta Terra?
Neanche la distruzione del suo mondo l’ha fermato.
Io invece, nonostante fossi immortale, sono finito qui. Negli Inferi. Non certo un posto che si confà ad uno Spirito Eletto come me.
E il me stesso di quell’altra linea temporale che aveva assunto le sembianze di un Saiyan e che i terrestri chiamavano Black? Sparito. Non esiste neanche più la sua anima.
Il mio alleato Darbula? Sarà tornato a marcire in quel Paradiso che tanto odia, quell’inetto.
Perché tutto questo?
Perché?!
Dove sbaglio?
 
Mi alzo, devo calmarmi.
Sto tremando dalla rabbia. Dalla frustrazione.
Sono confuso, disorientato.
Mi preparo un tè.
Mi sono fatto dare tutto il necessario e le guardie non hanno avuto da ridire. Non è certo una cosa che si possa negare ad una povera anima dannata.
Prendo la tazza bollente e torno a sedermi.
Chiudo gli occhi, respiro profondamente.
L’aroma mi entra nelle narici e mi arriva al cuore, se ancora ne possiedo uno.
Ma io, ho mai avuto un cuore?
 
È tutto così simile a un tempo, su un pianeta lontano. In un altro Universo.
Un pianeta piccolo, ma bello, rigoglioso. Immerso nella natura e nella pace. Nella serenità.
Un posto che è stata la mia casa per secoli.
Dove sono cresciuto e diventato un grande guerriero.
Il pianeta dei Kaiohshin dell’Universo 10.
Mi sembra di averti qua davanti, Gowasu.
Maestro.
Non sempre ti capivo.
Ma tu, invece, mi avevi capito. Ai tuoi occhi era chiara da tempo la mia vera natura.
E nonostante questo hai lasciato che ti uccidessi a sangue freddo per impadronirmi del tuo ruolo di Kaiohshin e dei tuoi poteri.
Hai creduto fino all’ultimo che fossi diverso, che non fossi del tutto cambiato da quello che ero un tempo.
Sì, perché in un tempo talmente lontano che fatico a riportarlo alla memoria, anche io ho avuto un cuore.
E tu, Maestro, avevi visto quel cuore.
Mi avevi teso una mano.
Eri venuto sul mio pianeta nella Galassia del Nord dove esercitavo con giudizio il mio ruolo di Kaioh e mi avevi proposto di diventare tuo allievo.
Volevi fare di me un Kaiohshin, il migliore tra tutti gli Universi.
Avevi visto in me potenzialità che neanche io mi illudevo di avere.
 
Non odiavo i mortali allora, forse ero solo giovane e ingenuo…
Accettai con entusiasmo la tua proposta, cambia vita.
Diventai come un figlio per te.
E sì, lo ammetto, tu non sei stato solo un Maestro per me. Ma anche e soprattutto un padre.
Un padre buono che mi ha cresciuto e allenato indicandomi una via da seguire.
Io quella via ho deciso di insozzarla di sangue, quando ho reputato che non avrei più avuto bisogno di te.
Già da tempo non necessitavo più della presenza di un maestro dato che il mio potere era diventato inimmaginabile, a un certo punto ho ritenuto inutile anche avere una figura paterna.
Eppure, a cosa è servito tutto questo?
Ho sublimato il mio potere con l’immortalità e mi sono messo al servizio dell’altro me stesso chiamato Black per ottenere anche i poteri curativi necessari a rendere più forte il suo corpo Saiyan dopo ogni combattimento.
Siamo arrivati a fonderci, ma è bastata una volgare spada umana a dividerci.
Ho sbagliato tutto, Maestro?
Tu mi hai teso la mano fino all’ultimo, eri disposto a perdonarmi, a cercare una soluzione con le altre divinità pur di salvarmi la vita a fronte del mio fallimento e nonostante tutti quegli omicidi.
E io?
Non solo non volevo il tuo perdono, ma anzi, ti avrei ucciso di nuovo.
E non so neanche perché. Perché in ogni linea temporale ti ho ucciso oppure ho tentato di farlo?
Ora che sono qui, ora che ho fallito ancora, forse mi rendo conto che non lo meritavi.
Tu sei l’unico che ha creduto in me secoli fa e che ha continuato a sperare che ci fosse qualcosa di buono nella mia anima anche quando gli altri potevano vedere solo un assassino.
Forse adesso avrei bisogno di un padre, Gowasu.
 
Guardo il tè nella mia tazza.
Torbido, come la mia anima.
Non ricordo neanche più l’ultima volta che un tè preparato da me sia stato limpido come quelli che riuscivo a fare da giovane.
Quando ancora non immaginavo neanche lontanamente che un mortale potesse avere una forza superiore a quella di una divinità.
Quando ancora non ritenevo che gli esseri inutili andassero eliminati all’istante.
Quando non sapevo che il compito di un Kaiohshin fosse solo vegliare sui popoli del proprio Universo e garantirne semplicemente l’ordine.
Guardo la mia immagine riflessa e distorta nella bevanda.
Rivedo un me stesso più giovane.
Il me stesso che stava iniziando a cambiare, a vedere le cose diversamente.
Avevo appena viaggiato avanti nel tempo di mille anni con Gowasu per vedere se in un pianeta che ritenevo insulso come quello dei Babariani l’evoluzione avesse fatto passi avanti.
Contravvenendo agli ordini del mio mentore, uccisi uno di quegli esseri incivili. Li avrei sterminati tutti per fare pulizia, se solo avessi potuto.
Esseri disgustosi e decerebrati. Incapaci di provare un minimo di senso di giustizia e di decoro.
Creature senza valore.
Spazzatura.
 
Mi tornano alla mente le parole di Gowasu di quel giorno. Lui mi aveva già detto che bisognava lavorare solo sul mio lato interiore, perché dal punto di vista dell’allenamento fisico non aveva più nulla da insegnarmi. Il mio potere lo superava di gran lunga ormai.
Ma avevo un problema con il mio concetto di giustizia secondo lui:
«Non esistono creature senza valore, tutto ciò che la natura ha creato ha un significato. I pianeti non sono soltanto nostri in quanto divinità. Dobbiamo limitarci a vegliare sugli esseri viventi e, se sono destinati ad estinguersi, lo faranno da soli.
Il compito di un Kaiohshin è salvaguardare la pace e trovare un modo per correggere la rotta di quei pianeti che, allontanandosene, rischiano di turbare eccessivamente il proprio equilibrio.
Solo un Hakaishin ha il diritto di non essere indulgente e di usare in modo attivo i propri poteri verso quei popoli che non è possibile convincere con le parole.»
 
Ricordo il mio silenzio al termine di quel discorso inaccettabile. Ero sconvolto, non volevo rassegnarmi ad un’esistenza inutile. Tu provasti a spronarmi, ancora una volta:
«Vedi, Zamasu, è bello che tu abbia un forte senso di giustizia…tuttavia, quando diventa troppo forte, al pari di un’ossessione per la “pulizia” di chi non ci va a genio, riduce la serenità del cuore.
Al contrario, avere la magnanimità di lasciare che le cose facciano il loro corso può condurre alla pace.»
«In pratica dovrei far finta di non vedere? A cosa serve il potere che ho coltivato tanto a lungo?!» ti chiesi, disperato, ormai sull’orlo del baratro.
«Zamasu, sono consapevole che sei in possesso di un potere in grado di schiacciare il male, ma non devi lasciarti dominare dalla superbia. O arriverà il giorno in cui questa ti schiaccerà e ti farà cadere in trappola.
Il compito di un Kaiohshin è vegliare sugli altri non guidato dallo spirito combattivo ma da un cuore sereno.
La tua forza e i tuoi poteri servono solo a mantenere la serenità del cuore.»
 
Eri paziente, Gowasu. Ma io no. Ho ucciso senza pietà te e tutte le altre divinità degli Universi. Ho provato a fare lo stesso con tutte le creature mortali.
Il mio senso di giustizia mi fa da guida, non la serenità del mio cuore. Quella non esiste più da tempo.
Il mondo in cui governano gli umani è l’errore. I mortali sono destinati a ricadere nella violenza e a distruggere il pianeta che abitano. L’Universo non ha bisogno di loro, l’esistenza stessa degli umani è il Male.
Per questo io sono nel giusto!
E allora, perché ho fallito?
La mia superbia mi ha travolto?
Cos’hanno in più rispetto al mio potere incommensurabile e alla mia essenza divina quei Saiyan e quei terrestri?
Che il loro senso di giustizia sia superiore al mio?
Che il loro combattere per difendere qualcun altro e per amore dia loro una marcia in più?
È davvero un peccato questo battersi per gli altri, superare i propri limiti e mettere in gioco la propria vita in nome della salvezza?
Non è che forse possono essere considerati anche loro un esempio?
Forse non tutti gli esseri mortali sono uguali in senso negativo…forse capisco solo ora il significato delle parole del mio Maestro, quel significato che mi è sempre risultato così oscuro.
 
Sono davvero in grado di giudicare i peccati degli altri solo perché sono una divinità?
E se fossi io a sbagliarmi nonostante sia permeato dalla perfezione divina?
Non è che forse mi sono sempre e solo concentrato sulla pagliuzza negli occhi delle creature che ho sempre ritenuto inferiori senza considerare la trave che avevo nel mio, di occhio?
Non è che forse il mio sogno, quell’Universo privo di mortali e di tutti gli errori che si trascinano dietro per definizione, fosse solo un’utopia priva di senso?
Mi chiedo se non stessi solo inseguendo un paradosso, più che un obiettivo: come potevo infatti creare un Nirvana eliminando ogni desiderio mortale e quindi ogni peccato, se proprio io, il Divino Artefice di tutto questo, stavo fondando questo sogno su un desiderio enorme?
Sì, perché alla base di tutta la missione che mi sono autoimposto c’è un desiderio gigantesco, il mio desiderio. Quello di eliminare tutte le creature.
Inizia a sembrarmi tutto così surreale.
Mi gira la testa, mi sento confuso.
 
Guardo il tè, torbido da far paura, e seguo il fumo che esce dalla tazza bollente.
Osservo il cielo. Se si può definire tale la volta di questo posto orribile.
Urla in lontananza. Pianto e stridore di denti. Anime che hanno lasciato ogni speranza.
Penso a te, Maestro.
A quello che ti ho fatto.
Credo che avrei bisogno di parlarti, adesso.
Mi chiedo se tu sia ancora vivo in questa linea temporale o se tu sia già stato assassinato. Da me.
E mi chiedo se il me stesso di questo mondo sia già stato ucciso da Lord Beerus o se abbia ancora speranza. Se magari sia in realtà diverso da me. Se abbia compreso il vero significato degli insegnamenti di Gowasu.
Se il tè che prepara sia limpido e trasparente. Se il suo cuore sia sereno.
 
Maestro, non so dove tu sia.
Ma vorrei parlarti, adesso.
Sì, vorrei chiederti scusa.
Dirti che mi manchi.
E che, in fondo, mi piaceva sentire il calore di un padre.
   
 
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