Serie TV > Elisa di Rivombrosa
Segui la storia  |       
Autore: wolfymozart    21/03/2018    2 recensioni
La storia tra Anna e Antonio sarà messa a dura prova da scottanti questioni sociali e drammatiche vicende private che si intrecceranno in un inestricabile garbuglio nel quale ritrovare il "filo rosso del destino" non sarà affatto facile.
Per questo sequel è stato necessario forzare un po’ i tempi dell’ambientazione per motivi di ordine storico, viceversa non sarebbe stato possibile far incontrare la Storia con la storia. Lo slittamento temporale consiste in un lasso di una decina d’anni. Mi auguro che chi leggerà mi vorrà perdonare.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un sobbalzo della carrozza postale lo svegliò dal torpore: il sole era sorto da un pezzo e dal finestrino si accorse che erano ormai giunti ai sobborghi di Parigi. Una strana sensazione lo assalì: rabbia, impotenza, delusione o forse no, disperazione. Immagini di edifici, carrozze, cavalli, pedoni gli scorrevano davanti agli occhi, ma lui non vedeva nulla di tutto ciò: nella sua mente un’immagine sola, fissa, indelebile. E dolorosa. L’immagine di Anna, in lacrime, che gli confessava quell’assurdo tradimento. Assurdo, impensabile, irragionevole. Non se lo sapeva spiegare, ma del resto nemmeno lei sembrava essere in grado di dare una spiegazione razionale di quello che aveva fatto. Meno se ne capacitava e meno riusciva a perdonarla. E non perdonava nemmeno il suo amico Jerome, colui che aveva cercato in ogni modo di metterlo contro di lei, colui che la odiava per la sua alterigia aristocratica, colui che non aveva fatto altro che evidenziarne i difetti. Come aveva potuto arrivare a tanto? Portarsi a letto la donna dell’amico che lo stava ospitando, solo per un capriccio, solo per una stupida ripicca?
L’aveva davanti agli occhi la scena che si era svolta quella mattina sul piazzale davanti alla residenza.
-Mio caro amico, credo che sia giunto il momento dei saluti. – Jerome se ne stava con un piede sul predellino della carrozza, le mani sullo sportello pronto a issarsi a bordo. Un sorriso beffardo gli si era dipinto in viso al momento dei saluti con Antonio. Anna non c’era: quella mattina non era ancora uscita dalle sue stanze, aveva dato ordine alla servitù di non essere disturbata, terribile mal di testa, aveva detto.
- Arrivederci, Jerome. Fa’ buon viaggio. Forse ci rincontreremo, prima o poi. –  lo salutò Antonio, con una vigorosa stretta di mano.
- Più prima che poi, Antonio, ne son convinto. – ribatté Jerome sempre sorridente, ammiccando.
- Se intendi a Parigi, sai bene che cosa ne penso. Non verrò, come ti ho già spiegato. -
- Non ne sono tanto sicuro. La tua Anna potrebbe convincerti…In ogni caso, conosci il mio indirizzo.-
- Addio, Jerome. –
- Arrivederci, Antonio. -
Tutta quella baldanza, tutta quella convinzione gli veniva dalla certezza che Anna non avrebbe retto, che avrebbe confessato il tradimento di quella notte. Era un fine conoscitore dell’animo umano: se ne serviva spesso in tribunale per far leva sui giurati, per scandagliare la psiche dei suoi avversari, per comprendere i segreti nascosti dei suoi clienti. Abile manipolatore, aveva intuito la fragilità di Anna dietro alla sua apparente superbia, aveva compreso che la sua coscienza era sensibile al peccato, incapace di perdonarsi, di fingere noncuranza. E aveva ben capito che il suo punto debole era un solo: Antonio. Per lui avrebbe lottato con tutte le sue forze: avrebbe lottato per impedirgli di partire, per sottrarlo ai suoi ideali, per strapparlo all’influenza dell’amico. Che squallore! Quanto era stata ignobile la mossa che Jerome aveva cavato dal cilindro! Antonio non riusciva nemmeno a figurarsi l’immagine di Anna fra le braccia dell’amico, un dolore cieco glielo impediva. Ma come aveva fatto lui stesso a non accorgersi delle trame del suo vecchio amico? Come aveva potuto lasciare Anna in balìa di lui? Anna che sapeva in quei giorni fragile e turbata per le sorti di Emilia, per la paura che lui stesso partisse, per l’apprensione per le sue continue assenze a causa del lavoro?
Un altro scossone lo ridestò completamente. E fu allora che più bruciante di un ferro arroventato, più tagliente della lama di una spada, più doloroso di una morsa mise a fuoco il ricordo straziante della confessione di Anna di qualche giorno prima.
Se ne stava da due giorni chiusa nella sua stanza, accampando scuse sempre meno plausibili: mal di testa, acciacchi di vario tipo, spossatezza, desiderio di riposo e altri fastidi di cui si limitava ad accennare vagamente. La servitù che le portava i pasti veniva scacciata a male parole ogni volte che osava domandarle delle sue condizioni di salute. Non accettava nemmeno le visite del fratello o di Elisa, a quali rispondeva, con toni leggermente meno scortesi, di voler essere lasciata sola per qualche tempo. Antonio tra tutti era il più instancabile, non si rassegnava a questo strano atteggiamento e provava più volte al giorno a bussare a quella maledetta porta, con tanta foga quasi a volerla sfondare. La implorava di aprirgli, di permettergli di vederla, era un medico del resto, almeno in questa veste sarebbe potuto esserle d’aiuto. Ma non c’era nulla da fare: da dietro la porta silenzio o sommessi singhiozzi. Che le stava succedendo? Nessuno riusciva a darsi una spiegazione. Avevano pensato alla mancanza di Emilia, all’angoscia di sapere la figlia in mezzo ai tumulti di Parigi, ma le lettere avevano ripreso ad arrivare con cadenza regolare e la ragazza tranquillizzava tutti circa la sua permanenza al collegio. E allora perché? Per quale assurdo motivo rifiutava la compagnia dei familiari, le attenzioni di Antonio?
 
La sera del secondo giorno, mentre se ne stavano riuniti nel salone a congetturare su quale potesse essere il male di lei, Fabrizio scrutando le faville nel camino, Elisa dondolando nervosamente la piccola Agnese fra le braccia, Antonio fissando con sguardo cupo il buio fuori dall’ampia finestra, Anna si presentò sulla soglia, perfettamente pettinata e vestita come se si fosse dovuta recare ad una festa di gala. Non aveva l’aria d’esser malata, solo un diffuso pallore le segnava il viso, non traspariva un dolore fisico, ma un intenso travaglio interiore si intuiva dallo sguardo lucido e profondo più del solito. Fabrizio scattò in piedi; ma Antonio fu più svelto di lui e le corse incontro apprensivo.
-Anna, stai meglio? – le domandò prendendole le mani fra le sue e accarezzandola con sguardo attento.
- Sto bene, sto bene. – rispose abbassando il capo per evitare i suoi occhi.
- Anna, ma che t’è successo? – la raggiunse Fabrizio.
- Nulla, Fabrizio, nulla. – cercò di negare.
Anche Elisa si era avvicinata, tenendo in braccio Agnese. Tutti e quattro la fissavano interrogativi, ma sollevati dalla sua decisione di uscire dalle proprie stanze e interagire con il mondo esterno.
-Antonio, ho bisogno di parlarti. Da soli. – si risolse a dire dopo lunghi istanti di silenzio.
- V-va bene. – balbettò lui per tutta risposta. Non si spiegava il motivo di quel colloquio privato. Che cos’altro stava nascondendo? Che le era successo in quei giorni?
Ansioso e anzi leggermente spaventato, Antonio la seguì nella biblioteca, lasciando Fabrizio ed Elisa perplessi a confabulare su quello strano atteggiamento di Anna.
La biblioteca, inutilizzata quella sera, era scarsamente illuminata: un candelabro appoggiato al tavolo e qualche rara candela a muro erano le uniche fonti di luce. Intorno a loro un silenzio carico di tensione, rotto dopo alcuni minuti da Antonio che propose di accendere altre candele per dare alla stanza un aspetto meno tetro.
-No! Non farlo! – gli intimò Anna con uno scatto nervoso che lo spaventò. Che le prendeva? Si voltò lentamente verso di lei, gli occhi negli occhi attraverso la semioscurità. Quante domande avrebbe voluto farle, senza riuscirci, quanti interrogativi sospesi fra loro! Anna interruppe quel contatto abbassando gli occhi: non era in grado di sostenere a lungo lo sguardo di lui pieno di apprensione e di immutato affetto, ancora ignaro di tutto.
- Va bene. Scusami, volevo solo far luce…- si scusò Antonio alzando le mani in segno di resa.
- Preferisco il buio.-  Quello che stava per dirgli non meritava la luce. Preferiva che lo nascondesse il buio perché non avrebbe mai sopportato di guardarlo negli occhi in piena luce, scorgendovi la delusione, la rabbia, lo sconforto.
- Come vuoi. – La fissava a qualche passo di distanza, senza sapere se avvicinarsi a lei, abbracciala o anche soltanto prenderla per mano, oppure restare fermo in attesa che lei parlasse. Optò per la seconda: le braccia distese lungo fianchi, il viso in ascolto, lo sguardo ansioso fisso su di lei.
Anna si torceva le mani nervosamente, toccava convulsamente il crocefisso appeso al collo, voltava da una parte all’altra la testa in cerca di una via d’uscita che non riusciva a trovare. Ripeté questi gesti in maniera compulsiva per qualche minuto, senza decidersi a prendere la parola. Antonio seguitava a guardarla smarrito, confuso.  Alla fine si fece forza, strizzò gli occhi come per allontanare quel pensiero che continuava a farle male, strinse i pugni e parlò.
-Ti ho tradito, Antonio. È successo una volta sola, ma è successo. È stato solo un attimo di debolezza. Non mi perdono, non riesco a perdonarmi, e non oso chiedere il tuo perdono. Mi disprezzo per quello che ho fatto. – pronunciò con un filo di voce, tutto d’un fiato, lo sguardo fisso a terra.
 
Il vetturino con un richiamo fermò i cavalli, balzò giù da cassetta e bussò al finestrino.
-Siamo arrivati, signore. Faubourg Saint-Antoine.- lo informò, senza accorgersi dell’espressione assente di Antonio.
- Porta i miei bagagli a questo indirizzo. – rispose lui, ancora sovrappensiero, consegnando al cocchiere un biglietto.
Scese dalla carrozza. Fece quattro passi per sgranchirsi le gambe e si ritrovò immerso nella frizzante aria del mattino parigino. - Tanto meglio- si disse sollevandosi il bavero della giacca-  il fresco mi aiuterà a riordinare i pensieri.-
Non aveva una precisa idea di cosa fare, di cosa dire, di come comportarsi al cospetto di Jerome. Sapeva solo che doveva parlargli. Doveva avere anche la sua versione dei fatti, doveva capire. Vagabondò per circa un’ora per le strade della città che si stava risvegliando. Donne che spalancavano le finestre e si davano il saluto, uomini che si accingevano a riprendere il lavoro, ragazzini di strada che si aggiravano alla ricerca di qualche gentile passante che facesse loro l’elemosina o di qualche ignaro viandante che si lasciasse facilmente rapinare. In tutto questo brulichio di vita mattutina, Antonio non riusciva a pensare a quell’ultima sera che aveva trascorso a Rivombrosa, a quella surreale, assurda conversazione con Anna. 
-        Ti ho tradito -
Antonio non realizzò subito quello che gli aveva detto. Le chiese di ripetere. Glielo chiese due, tre volte. Glielo chiese con il tono neutro, calmo, di chi veramente non ha inteso quello che gli è stato detto. Era il suo modo di rifiutarsi di credere a quelle parole: gli sembrava troppo assurdo. Lei non ripeté. Le era costato già troppo pronunciarle una volta, quelle maledette parole. Alla fine Antonio si arrese all’evidenza di quello che aveva sentito. Gli ci volle un po’ per assorbire il colpo, ma soprattutto per capacitarsene. Non avrebbe mai creduto che Anna lo potesse tradire, non per supponenza, né per leggerezza, semplicemente non aveva mai preso in considerazione questa evenienza. Dopo quello che avevano passato, anni di ostilità a parte di Anna, di frasi non dette, di sensi di colpa, anni di prove dolorose che avevano alfine superato insieme, uniti, nonostante tutto, da un amore che pareva indissolubile, era inimmaginabile quello che Anna gli aveva confessato qualche istante prima. Assurdo. Impossibile. La sua prima reazione non fu di collera, nemmeno di delusione: fu di amaro stupore, lo stupore di chi scopre che una cosa impensabile è invece già divenuta realtà.
Si passò una mano sul viso, senza tradire la minima espressione di disappunto. Raccolse a sé tutte le forze, tutta la pazienza di cui era capace. Represse lo sdegno, la collera, la furia cieca e con un tono di voce fermo e controllato chiese soltanto:
-Con chi? –
Anna si sarebbe aspettata una tempesta. Insulti, parole rabbiose, velenose, improperi. Ciò non avvenne, tuttavia il tono pacifico ma freddo di quella domanda la ferì più che una violenta sfuriata. Era il tono di chi sanguina dentro. Di chi non aggredisce, non rinfaccia, non si infuria. Ma nemmeno perdona. Antonio era così: incapace di violenza, incapace di farle del male anche solo a parole, ma, se ferito, capace infliggerle la più dolorosa delle punizioni, la sua assenza. Raggelata, tra le lacrime cominciò a narrargli quello che era accaduto, senza omettere niente. La chiamata di lui per un paziente, il disagio provato alla festa, i suoi tormenti, l’arrivo di Jerome e quella proposta seducente ma in apparenza innocente, il laudano e tutto ciò che ne era derivato ovvero l’incoscienza e, da ultimo, il tradimento. Tacque soltanto un particolare, al solo scopo di evitargli un’altra sofferenza: non gli disse di averlo sentito bussare e chiamarla mentre si trovava fra le braccia di Jerome. Non lo disse per lui, non per scusare se stessa.  Dal volto, dallo sguardo, dai gesti di Antonio non traspariva alcun’emozione. Immobile, pietrificato, distrutto dentro ma fuori impassibile. Era sempre stato molto abile a mantenere la padronanza di sé, a reprimere la rabbia. Deglutì e, incurante delle lacrime di lei, domandò soltanto:
-Perché? –
Non ottenne risposta. Anna singhiozzava con il viso fra le mani, senza riuscire a smettere. Antonio la osservava con freddezza, come se l’affezione che da sempre provava per lei si fosse d’un tratto raggelata. Domandò, quindi, a bruciapelo la cosa che gli stava più a cuore:
- E’ per questo che mi hai respinto quella sera al lago, perché sei innamorata di lui? – lo domandò con voce tremante, quasi temesse la risposta.
- No! Certo che no! Io amo solo te, Antonio! Ho sempre amato solo e soltanto te! –
Anna finalmente sembrava aver ritrovato la parola. E queste erano proprio le parole che lui anelava sentirsi dire, le parole che avrebbero potuto placare la sua sofferenza, almeno in parte. Dentro di sé si sentì sollevato, gli si allargò il cuore. Ma solo per un istante. Doveva capire. Doveva chiarire il perché, la ragione per cui gli aveva fatto una cosa simile. Niente avviene per caso, a tutto deve essere trovata una spiegazione.
-E allora spiegami perché. Proprio con lui! Con lui che tanto disprezzavi! –
- Non è dipeso da me! Tornassi indietro non gli darei ascolto, non asseconderei le sue proposte. Ma ero sola, te n’eri andato un’altra volta dai tuoi pazienti, avevo bisogno di qualcosa che mi scacciasse quei pensieri…-
- E così ci sei andata a letto. E lui, lui che si è sempre detto mio amico! Ma ti rendi conto di quello che mi avete fatto? –
- Ora sì. Allora non me ne resi conto. Non ero in me. Non ti chiedo di perdonarmi, ti chiedo soltanto di capire. Di capire che non l’ho voluto, nemmeno lontanamente, che sono state le circostanze…-
- Basta. – la interruppe con un tono brusco che non gli si addiceva. – Basta.- ripeté passandosi una mano sulla fronte. – Avrei dovuto capirlo, avrei dovuto immaginarlo quando mi hai respinto, quando per giorni non mi hai rivolto la parola…ma mai avrei pensato a lui, proprio a lui! Non voglio sentire più nulla. Partirò domattina per Parigi.-
- Per Parigi? Dio mio, Antonio, che ti salta in mente? Che vuol dire questo? Che cosa hai intenzione di fare a Parigi? – gli si aggrappò alla giacca, disperata, implorandolo di non partire, perché quel viaggio non aveva alcun senso, perché poteva anzi essere rischioso, perché scappare non sarebbe servito a nulla a nessuno dei due. Ma lui restò freddo, in apparenza insensibile ai pianti di lei, che dentro gli straziavano il cuore: avrebbe voluto stringerla fra le braccia, consolarla, concederle quel perdono che lei non osava chiedere. L’avrebbe voluto fare, ma il dolore era troppo forte: sarebbe partito, era l’unica soluzione per porre fine alla loro sofferenza.
- Anna, l’hai voluto tu. Me ne vado, qui non posso restare oltre. –
- Mi vuoi punire, lo so, e ne hai tutte le ragioni. Ma prova a capirmi…-
- A capire cosa, Anna? Che te ne sei andata a letto con il mio amico? E pensare che mi sentivo in colpa quando ti lasciavo per il mio lavoro: pensavo a te ogni istante, mi affrettavo per tornare al più presto a casa e tu intanto…tu te ne stavi fra le braccia di un altro!-
- Ma te l’ho spiegato, io non ho voluto…-
- Non voglio sentire nient’altro. Per me è tutto chiaro, ormai. Hai tradito la mia fiducia. Forse Jerome aveva ragione su di te: tu non mi ami. Dici di amarmi, ma non sopporti il mio lavoro, i miei ideali, il fatto che non sia come te, che non sia ormai più nobile quanto te…-
- Eh no, Antonio, questo no! Non ammetto che mi rinfacci questo! E quello che tu hai fatto a me? Tu mi hai abbandonato. E per cosa poi? Per sposare una serva! Una stupida, insignificante serva!- gridò con voce alterata.
- Questo non avresti dovuto dirlo.- mormorò Antonio a mezza voce indietreggiando verso la porta della stanza. -  Non ti permettere nemmeno di nominarla! Questo non avresti dovuto dirlo!-
 
Nel suo vagabondare si ritrovò infine davanti al portone del palazzo all’indirizzo che gli aveva fornito Jerome salendo in carrozza. Sembrava uno stabile popolare ma dignitoso, con un ampio portone che immetteva in un cortile interno, non era certo un palazzo signorile, di quelli che si trovano nel cuore di Parigi, ma ad aprire giunse un domestico in livrea.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Elisa di Rivombrosa / Vai alla pagina dell'autore: wolfymozart