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wattpad
Il
racconto partecipa
alla XX
Challenge Raynor's Hall.
La sfida non è competitiva.
Il tema estratto è questa immagine.
Il loto del giardino del Drago
Si intuiva facilmente che
non era destinata a sostare ancora per molto in quella
realtà. Lo si capiva dal
modo in cui sollevava le vesti per arrampicarsi sul ciliegio nel
giardino del
Drago: sembrava un essere etereo. Feng Huang della famiglia Jiang [1]
saliva su quell'albero ogni terza luna e, dopo aver raggiunto
l’altezza del
muro di cinta, una mano gentile le porgeva puntuale un libro fatto di
listarelle di bambù rilegate.
Le donne nell'antica Cina
non potevano leggere. Una ragazza istruita era considerata fonte di
guai, ma
lei aveva deciso di disobbedire e aveva imparato da sola.
«Ti è piaciuta l’ultima raccolta di poesie?», le chiese il ragazzo dall'altra parte.
«Molto.»
«Sono certo che questo ti
piacerà ancora di
più. Contiene nozioni occulte
proibite. Tienilo ben nascosto».
Sulla copertina c’era
scritto “Libro dei Cinque Spiriti” [2]. Feng Huang sollevò
lo sguardo e annuì.
Aveva conosciuto quel
ragazzo, che si faceva chiamare Chun,
in una delle sue
rare uscite in città. Lavorava come catalogatore e
commentare di antichi testi
nella biblioteca di un signorotto locale, così poteva
facilmente procurarle
letture di ogni tipo.
«Grazie e fa' attenzione
mentre scendi!», esclamò la ragazza.
Per portarle i libri Chun si arrampicava sul ginkgo
cresciuto sul perimetro
esterno della proprietà dei Jiang. Era un albero alto con
una ramificazione
scomoda. Lei temeva ogni volta che scivolasse e si facesse male. Ed era
anche
per il rischio corso che i testi acquisivano agli occhi di Feng Huang
maggiore
interesse e valore.
Il giardino del Drago era il luogo
di casa preferito
della ragazza. Al centro di un laghetto c’era un piccolo
tempio al quale si
poteva accedere attraverso due ponticelli. L’area era immersa
nel verde. Numerosi
percorsi lastricati si snodavano come sinuosi serpenti di roccia tra
l’erba
rigogliosa, i fiori dai colori caldi e le canne di bambù. Il
perimetro era
fitto d’alberi: il boschetto offriva la propria ombra nelle
estati più calde e
forniva una copertura per gli incontri tra i due ragazzi.
Feng Huang della famiglia
Jiang passava molto tempo lì a leggere di nascosto i libri
che Chun le procurava.
Ogni tanto sollevava lo sguardo dalle
pagine e osservava il laghetto. La dottrina della Pietà
Filiale [3]
prevedeva il rispetto per il proprio corpo, in quanto dono ricevuto dai
genitori, eppure a lei capitava di peccare spesso con i pensieri in tal
senso.
Guardava i fiori di loto sull'acqua desiderando di essere uno di loro.
Avrebbe
volentieri abbandonato la propria forma umana per vestirsi di
clorofilla. “Come
starei bene lì, sul velo cheto dove si specchia il cielo,
accarezzata di tanto
in tanto dalle carpe”. Un desiderio, quello, tanto proibito
quanto capace di
darle sollievo.
Da un punto di vista
materiale non le mancava nulla. Suo padre era un mercante che le
assicurava
cibi sani e stoffe pregiate per gli abiti, gioielli provenienti da
terre
incantate e prodigiose erbe medicinali. Ciò che le mancava
era la libertà. Non
poteva leggere, né ricevere istruzione. Non poteva uscire
dal giardino, se non
in rare occasioni. Quando le veniva dato il permesso di andare in
città,
doveva camminare obbligatoriamente sulla parte sinistra della strada e
portare
un velo sul viso. Non avrebbe potuto scegliere chi sposare,
perché già dalla
nascita era stata promessa a un uomo molto più grande di
lei. Non poteva
scegliere come vestirsi. Non poteva agire né pensare in
contrasto con le
antiche regole morali e, ovviamente, non poteva arrampicarsi sugli
alberi e intrattenere
conversazioni segrete con individui estranei.
Aveva violato molte norme,
alcune volte per sfida, altre per esasperazione, ma era stata abile e
fortunata da
non farsi
mai scoprire.
Nel corso di una delle sue uscite
in città, si era
imbattuta in un gruppo di signori fermi a parlare proprio sul lato
sinistro del
percorso. Una rabbia indescrivibile si era fatta spazio dentro di lei.
Secondo
le buone maniere, una donna esemplare non doveva
interrompere le
conversazioni altrui. Ma lei si avvicinò al gruppo e
superò gli uomini sulla destra facendo
loro la linguaccia. Non videro il gesto perché aveva il
velo, e
non dissero nemmeno
nulla. Proseguendo per la strada Feng Huang sorrideva immaginandosi nei
panni
di una ribelle: le guardie reali volevano catturarla, ma lei riusciva
sempre a fuggire,
viveva di furti, faceva tutto ciò che voleva, amava, odiava,
urlava, sguainava
la spada e uccideva per fare giustizia. Poi
l’illusione lasciava il
posto alla libertà e l’esaltazione lasciava il
posto all’angoscia per l’aver
trasgredito l’ennesima volta.
Per quanto ancora avrebbe
sopportato quella vita? Il giardino era l’unico posto in cui
poteva
trovare un po’ di sollievo, anche grazie agli
incontri con Chun. Una
volta gli aveva proposto di fuggire con lei, ma
il ragazzo aveva declinato. Se li avessero catturati, li avrebbero
messi
entrambi a morte. Non c’era modo per Feng Huang di cambiare
in meglio
quella sua esistenza. Al raggiungimento del ventesimo anno,
l’uomo
a cui era stata
promessa l’avrebbe portata nel suo harem, e lei avrebbe perso
Chun, i suoi libri e la
pace di quel meraviglioso giardino.
Capì di averne
abbastanza
quel giorno stesso, mentre in un’azione abituale
sollevò lo sguardo dal Libro
dei Cinque Spiriti per dedicarsi alla contemplazione del laghetto che
aveva
davanti. I fiori di loto ondeggiavano al vento come strane barche in
balia del
fato. Si ricordò della storia di Li Bai, il poeta che si era
gettato nel fiume
Azzurro e si era lasciato cadere sul fondo per raggiungere la
luna.[4]
Dicevano che era un pazzo ubriaco e che era annegato mentre sognava la
sua
amata luna, ma Feng Huang non era certa fosse morto. In un paragrafo
del Libro
dei Cinque Spiriti c’era scritto che “nel fondo del
mare della vita c’era la
porta per la libertà”. Il “mare della
vita” era interpretato in vari modi ma,
in generale, qualsiasi specchio d’acqua abbastanza profondo
da potersi
immergere completamente era considerato tale.
Allora la ragazza si tolse
le scarpe e iniziò a srotolare le fasce di seta bianca che
le stringevano i
piedi. Lo fece con lentezza, come se si trattasse di un prezioso
rituale che
necessitava di gesti delicati.
«Spero che Chun non se la prenda non
trovandomi la prossima volta»,
bisbigliò Feng Huang tra sé, «del resto
avrebbe potuto accettare di fuggire con
me». Così, con determinazione, trattenne il
respirò e s’immerse nell'acqua
fredda del laghetto.
Quando toccò il fondo,
aprì
gli occhi e vide le fondamenta del piccolo tempio avvolte dalle radici
degli
alberi. C’era un arco, una specie di porta formata dagli
intrecci vegetali. Nuotò
sicura verso quella direzione, ma lo sforzo,
accentuato dalle pesanti
vesti che indossava, le fece consumare molto ossigeno.
L’istinto di
sopravvivenza le indicò come unica via di salvezza la
superficie, d’altra parte
un desiderio ben più potente la costringeva sott'acqua in
apnea. Qualcosa le si
attorcigliò attorno alle braccia e alle gambe prima che
potesse raggiungere la
passaggio per la libertà. Fu come se un retaggio di
ciò che
aveva lasciato in
superficie fosse sceso con lei per bloccarla. Iniziò ad
annaspare e a lottare
contro quella forza che la imprigionava. Ormai aveva quasi terminato
tutta la
scorta
di ossigeno quando, improvvisamente, vide davanti a sé la
figura di
una donna luminosa
e bianca come il latte. Era una presenza capace di infondere calma e
serenità.
"La Luna di Li Bai", pensò. Guadandola, si
sentì
bene e dimenticò di
essere sul fondo di un lago. Poi Feng Huang chiuse gli occhi e perse i
sensi.
Tre lune dopo, Chun si arrampicò
come al solito sul ginkgo per raggiungere
il muro della residenza della famiglia Jiang con un nuovo testo. Sul
ramo
dell’albero, dov'era solita sedersi la ragazza, vide il Libro
dei Cinque
Spiriti. Lo prese e si accorse subito di qualcosa di anomalo: il testo
era
umido, l’inchiostro colava illeggibile. Tra pagine
trovò una foglia di loto su
cui era incisa, in pochi caratteri eleganti, la seguente frase:
“Grazie a te ho
trovato la libertà”. Chun
si sentì inspiegabilmente
triste. Aspettò nascosto tra il fogliame fino a tarda sera,
sperando di
rivedere Feng Huang, ma lei non arrivò.
Note:
1- Il nome della protagonista non
è scelto a caso. Feng Huang
(fènghuáng
凤凰)
in cinese significa
“fenice”, mentre il cognome Jiang (Jiāng 江)
significa fiume azzurro (particolare che si ricollega al punto 4).
2- Riferimento allo Shen, concetto che spazia tra religione e medicina cinese tradizionale, e in cui si citano cinque diversi spiriti che risiedono all’interno dell’uomo.
3-
La Pietà Filiale (xiàoshùn
孝顺)
nel confucianesimo è un’importantissima
virtù. Il rispetto del proprio corpo,
in quanto dono dei genitori, è il suo principio cardine. (op.
cit.
“Quindici donne perverse” di Liu Xiang,
a cura di Riccardo Fracasso).
4- La leggenda del poeta Li Bai non è una mia invenzione, si tratta di un riferimento reale. Si dice che da ubriaco vide la luna riflessa sull'acqua e si gettò nel fiume Azzurro per prenderla, ma annegò nel folle tentativo.
Tutti i diritti sono riservati. © Monique Namie