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Autore: Myra11    27/03/2018    1 recensioni
Nyx Ulric.
Amico, Generale, Marito, Padre.
Immortale.
500 anni dopo la fine della sua famiglia, Nyx Ulric ritorna ad aiutare la città che ha promesso di proteggere.
Ma non tutti sono coloro che sembrano, e non tutti devono essere protetti.
E Nyx deve ricordare che la luce più intensa genera le ombre più profonde.
[Sequel di Dancing With Your Ghost, ambientata subito dopo la fine.]
Genere: Avventura, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bahamut, Nyx Ulric, Sorpresa
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 9
 
Non ebbe nemmeno il tempo di capire cos’era appena successo, perché la Barriera si alzò davanti a loro, e l’unica cosa che vide fu Nyx.
Era in piedi, una mano tesa a reggere la protezione e un’altra ad alimentare le fiamme che tenevano lontani i soldati. «Emilia, andate!» Ordinò loro, ma lei scosse la testa.
Nyx alzò gli occhi al cielo, abbassò la barriera e l’alzò dietro di sé.
Il suono dei proiettili che vi rimbalzavano contro le risuonò nelle orecchie.
«Emilia, prendi tua madre e tua nonna e andatevene. Vi raggiungerò.»
«Nyx…»
«Basta così.» Tagliò corto lui, poi abbassò la barriera e Emilia si ritrovò ad osservare un sogno.
Nyx svanì nel nulla, lasciando indietro una nuvola di diamanti argentati, e l’istante dopo il furgone davanti alla casa esplose, e lo vide in piedi tra le fiamme.
Il suono dei proiettili le giunse ovattato, come fosse sott’acqua, ma vide chiaramente la figura materializzarsi davanti a lei, e sentì lo schizzo di sangue argentato sulle mani quando i proiettili si piantarono nel fianco di Nyx.
«Nyx!»
L’uomo sputò sangue e la osservò con la coda dell’occhio. «Mi sembrava di averti detto di andartene…»
Mormorò con un sorriso ironico, e lei vide i fulmini danzargli tra le dita.
Quando la scarica venne liberata, saltando da un soldato all’altro, e l’odore di carne bruciata riempì l’aria, qualcosa si sbloccò dentro di lei.
Si voltò e prese la madre per un polso e la tirò via, e insieme corsero verso il fianco della casa, dove sostava il furgone parcheggiato. Fece salire la madre, chiuse la portiera e tornò di corsa nella casa, salendo gli scalini due alla volta sotto le scariche dei proiettili.
«Nonna, alzati!» Ordinò mentre entrava nella camera da letto, ma ciò che successe dopo le fece gelare il sangue. La nonna era seduta sul letto, come se meditasse, e scosse la testa quando la sentì parlare.
«Io non verrò, bambina. Il mio tempo in questo mondo è finito.» Sussurrò l’anziana signora, e Emilia l’afferrò per le spalle e cercò di alzarla.
La spinse via, e Emilia fu costretta ad uscire dalla stanza quando il pavimento venne sfondato da una decina di punte di ghiaccio, obbligandola a scendere nuovamente al piano di sotto.
Intravide lo scintillio delle sparizioni di Nyx, ad un certo punto, e l’attimo dopo un cadavere con la gola squartata venne scaraventato nel salotto, strappandole un urlo.
Si costrinse a non guardare, a non notare come un uomo disarmato stesse massacrando un battaglione intero, a non pensare che Nyx probabilmente si stava facendo quasi ammazzare.
Saltò nel furgone e partì senza guardarsi indietro.
«Mamma, non guardare.» Ordinò alla donna quando notò che stava osservando ciò che succedeva.
Non aveva detto nulla della nonna, ma in quel momento comprese cosa aveva inteso la donna.
Una colonna di fuoco circondò la casa, consumando ogni cosa, e l’onda d’urto rischiò di farla sbandare.
Guidò senza una meta, guidò solo per allontanarsi da lì, guidò per ore e ore, seguendo la costa, con l’ansia di vedere le aeronavi spuntare da un momento all’altro.
«Emi.» La voce della donna al suo fianco le echeggiò nelle orecchie, ma la ignorò, continuando a guidare.
Ogni battito del cuore era come un colpo dritto alle tempie. «Emi, fermati.»
Rallentò solo quando la madre posò le mani sulle sue, e alla fine accostò sul ciglio della strada.
E in quel momento capì perché le sembrava tutto così sfocato e surreale.
Si asciugò le lacrime rabbiosamente e batté le mani sul volante con rabbia. «Sarei dovuta restare!» Urlò più a sé stessa che alla madre, frustrata. «La nonna è morta, Nyx molto probabilmente anche, sta andando tutto a quel paese e io…»
«E tu hai fatto tutto ciò che potevi. Nyx sta bene, starà bene. Ora lascia guidare me.»
La voce morbida della madre riuscì a raggiungere quella calma che pulsava sempre nel suo cuore, e l’aiutò a tornare in superficie, e lei si calmò di nuovo, e si spostò, lasciando il posto di guidatore alla madre.
Dayanara partì con sicurezza, e ciò la incuriosì. «Tu sai dove andare vero?»
Quando la donna piegò le labbra in un sorriso seppe di aver avuto ragione.
«Riposa, arriveremo tra qualche ora.»
«Dove?»
«A Galdin.»
 

 
Faceva male anche solo alzare lo sguardo, ma quando l’abbandonarono di peso sul marmo fresco, seppe di doverlo fare.
Davanti a lei, il Cristallo era quasi spaccato in due, e dalla luce argentea colava un liquido viola simile a sangue; era il riflesso di come l’avevano ridotta, il riflesso di ciò che stava per succedere.
Ma quando la luce s’intensificò, non riuscì a trattenersi, e si mise a ridere nonostante le fitte di dolore ungente in ogni fibra del corpo, rise perché nonostante avesse il cuore letteralmente a pezzi, lei vedeva cosa stava nascendo da quella devastazione.
Il calcio le arrivò sulla mascella, buttandola a terra, e nonostante quello continuò a ridere.
«Infida creatura.» Sibilò Marcus, accanto a lei. «Che hai da ridere?»
Scosse la testa, sapendo benissimo che lui non avrebbe capito.
Non poteva, in quel buio confuso che era la sua mente.
Non sentiva quel buco immenso nel petto, dove Nyx aveva bruciato come fuoco.
E non capiva il significato di quel cambio di colore nel nucleo del Cristallo.
«Non importa.» Decise lo scienziato, afferrandola per i capell e tirandola in ginocchio.
Bahamut distese l’unica ala che le restava, incrociò le dita sulle gambe e inspirò profondamente.
Sarebbe andato tutto bene, lo sapeva.
E continuò a ripeterselo quando la lama le scivolò sulla gola, facendo scorrere il suo sangue dal taglio sottile
Quello doveva concederlo a Marcus: se non voleva torturarla, sapeva essere estremamente delicato.
Raccolse il sangue in una provetta, poi si accucciò davanti a lei e gliela sollevò davanti al viso.
«Ho il tuo sangue. Ho il tuo cuore, e ho i mezzi per tenerti sotto controllo. Ti conviene fare ciò che desidero, se non vuoi che riprenda da dove ho interrotto l’altra sera.»
Usò un tono di voce basso, calmo, quasi dolce, ma lei sapeva la verità; Marcus era un uomo spezzato.
Piegò il viso di lato, e un’altra immagine si sovrappose a quella del suo carceriere.
Nyx avrebbe potuto diventare così, pensò.
Ma Nyx non era stato da solo, per quando solo si fosse sentito, e ciò l’aveva salvato.
Deglutì quando il pensiero si distese in una coltre gelata nella sua mente.
Nyx non aveva più nessuno, in quel momento.
Ma ciò che stava accadendo poteva aiutarlo, lo sapeva, se solo lei avesse resistito.
Cedere avrebbe significato condannarlo.
In quel momento l’intero Palazzo fu scosso da una scossa di terremoto così violenta da far cedere il sostegno del Cristallo, e la pietra rotolò fino a schiantarsi contro una parete, lasciando la dea boccheggiante dal dolore, ma sorridente.
Lei e Marcus alzarono lo sguardo nello stesso momento, e videro la colonna di fuoco alzarsi verso il cielo, immensa e roboante come un inferno. Ma solo lei vide ciò che la colonna di fuoco nascondeva, e fu proprio quello a farla decidere.
Appoggiandosi al Cristallo martoriato si tirò in piedi, e radunò le poche forze che le rimanevano per scavare in quel mondo che era proibito agli umani, riaprendo la porta che lei e Nyx avevano chiuso secoli prima.
Richiamò quelle ombre che erano sempre lì, in attesa, e disfece le proprie decisioni.
E lasciò aperto uno spiraglio in quella porta, uno spiraglio di cui Marcus non era a conoscenza.
Vide lo scienziato arretrare quando la luce si condensò davanti a lei, assumendo una forma ben precisa che – se ne rese con stupore – le provocò una fitta di nostalgia.
Quando lui si voltò, Marcus cadde in ginocchio, e lui si accigliò.
«Cosa…cosa ci faccio qui?» Chiese, e risentire la sua voce dopo secoli la commosse.
Era stato crudele, avido, ma anche disperato, e solo.
E ancora una volta non aveva avuto la pace che cercava.
«Abbiamo bisogno di te, Ardyn.»
 

 
Sfondò la porta con un calcio, e ciò che vide gli fece alzare gli occhi al cielo.
Il principe e il suo scudo erano accanto al bancone, chiaramente alticci; da un certo punto di vista non poteva biasimarli, dato che lui stesso era diventato amico di quel bancone, e che la colpa di quell’abitudine era solo delle Spade del Re.
Si avvicinò a loro a passi decisi, afferrò il principe per il collo della maglia e gli spinse la faccia contro il bancone. Ancora prima che Emanuele potesse muoversi, aveva già estratto la pistola, e gliela stava puntando contro.
I pochi frequentatori notturni della taverna si fermarono come congelati nel tempo, e la voce di Lucian rimbombò nel silenzio pesante. «Te lo chiederò solo una volta. Dove avete trovato Nyx?»
«Avere una notizia di cui le spade non sono a conoscenza è qualcosa di raro. Cosa ci guadagniamo?»
La domanda venne dall’uomo in piedi, e Lucian si chiese come diamine facesse ad essere così sbruffone con una pistola appoggiata alla fronte. «Ci guadagni che non ti spacco quella faccia che nemmeno tua madre potrebbe amare.»
Strinse la presa sul collo del principe quando lo sentì muoversi, e decise di averne abbastanza quando lui provò a liberarsi; gli alzò il viso e poi lo sbattè di nuovo violentemente contro il legno.
Il suono del naso che si rompeva fu come musica nelle sue orecchie.
«Allora? Non sono un tipo paziente.»
Li incitò, e li vide scambiarsi un’occhiata esitante.
«C’entra la colonna di fuoco?» Chiese il principe, le mani chiuse intorno al naso sanguinante, e Lucian si limitò ad annuire.
La scossa aveva rischiato di seppellirlo sotto i libri che stava consultando per cercare di risolvere quella situazione, e quando le fiamme avevano illuminato la notte come se fosse giorno, aveva deciso di dover agire.
«Galdin. Ha…ha una casa a Galdin.»
Lasciò andare lo sfortunato erede al trono e uscì dalla taverna senza rinfoderare la pistola.
Si aspettava che Emanuele avrebbe provato a fare qualche follia, ma non fece altro che soccorrere l’amico.
E lui si trovò nella notte confusa.
Non poteva aspettare, si disse quando vide la luce filtrare tra le finestre della sala del Cristallo.
Meno di dieci minuti dopo era fuori dalla capitale, e guidava il più velocemente possibile verso la baia, sperando di trovare Nyx lì.
Sapeva che Marcus aveva mandato una pattuglia a prenderlo, ma a giudicare dall’improvvisa apparizione di quella mostruosità infuocata l’operazione non era andata a buon fine.
Se avesse trovato lui, pensò, forse avrebbe ritrovato anche la sua bambina.
 

 
Si svegliò senza sapere come, e perché.
Si svegliò in un inferno di erba, legno e corpi bruciati.
Si svegliò sentendosi a pezzi, e si svegliò sotto la pioggia battente.
Distese la schiena, e all’improvviso si rese conto di cosa provava, ed era una sensazione che non sentiva da troppo tempo.
Quando spostò lo sguardo, però, ciò che vide fu totalmente diverso da ciò che si aspettava.
Erano immense, tra il viola e il blu, e sembravano fatte di piume metalliche.
Quelle non erano le ali di Bahamut.
Erano le sue ali.
  
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