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Autore: Signorina Granger    29/03/2018    9 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
[Prequel di “Magisterium”]
Hogwarts, 1933: prima di Harry Potter, dei Malandrini, di Tom Riddle, quando Albus Silente non era ancora Preside e il nome di Grindelwad spopolava in Europa, disseminando terrore.
Quando Charlotte Selwyn, Regan Carsen e William Cavendish invece che insegnanti erano solo tre studenti come tanti altri, alle prese con studio, amicizie e non, obblighi e soprattutto demoni da affrontare.
[Per leggere e/o partecipare non è necessario aver letto “Magisterium”]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Magisterium '
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Capitolo 20: Vacanze pasquali 
 
Martedì 15 Aprile 


“Non immagini quanto mi rende felice il fatto che tu e mio fratello stiate insieme! Per una volta io e mia madre ci siamo trovate d’accordo su qualcosa, ha fatto i salti di gioia quando l’ha saputo.”

Charlotte sorrise allegramente mentre, in sella ad un cavallo grigio pomellato, procedeva al passo accanto ad Aurora nella tenuta della famiglia di quest’ultima. 
La maggiore annuì, sorridendo a sua volta mentre accarezzava distrattamente il collo di Wellington che quasi brillava sotto il sole:

“Mi fa piacere saperlo. Anche mia madre è molto contenta.”
“Lo so, prima mi ha detto che si stava iniziando a chiedere se ti saresti arresa o avresti fatto un passo avanti… in realtà è stato merito mio, ovviamente.”
“Ovviamente. E smettila di spettegolare su di me con mia madre!”

Charlotte ridacchiò, guardando l’amica con affetto prima di parlare nuovamente:

“Sean mi ha assicurato che stasera sarebbe venuto, a cena… contenta?”
“Certo. Speravo ci raggiungesse già nel pomeriggio, ma pare che fosse occupato.”
“Ha chiesto a mio padre di portarlo a fare un giro all’Accademia. Sarei voluta andare anche io, ma mia madre si è messa a ridere e ha detto che “quello non è un posto per signorine”! È ingiusto.”

“Guarda il lato positivo Charlie, puoi godere della mia compagnia!”
Aurora sfoggiò un gran sorriso con tutta l’intenzione di rallegrare l’amica, che però si limitò ad annuire e a borbottare qualcosa di poco comprensibile, facendole aggrottare la fronte:

“Se la mia compagnia non è di tuo gradimento puoi anche tornare a casa!”
“Scherzi, qui posso cavalcare con i pantaloni e nessuno mi dice nulla, non mi perderei mai un’occasione simile.”

“Fammi capire, pianti le tende da me solo per sfuggire a tua madre?”
“No, anche perché ti voglio bene, che domande mi fai?”


*


Quando Andrew e Clare Ashworth vennero “convocati” dalla figlia maggiore in sala da pranzo presero posto uno accanto all’altra intorno al tavolo scambiandosi un’occhiata incerta, entrambi dubbiosi:

“Cosa pensi che ci voglia dire?”
“Non ne ho idea, a me non ha accennato nulla… strano, non si comporta mai in questo modo.”

Clare scosse il capo, le braccia conserte e la fronte aggrottata, sinceramente curiosa – e quasi preoccupata –. Quando Iphigenia li raggiunse la ragazza sorrise e prese posto di fronte ai genitori, schiarendosi la voce prima di parlare mentre entrambi la osservavano con attenzione:


“Allora… avrei una richiesta da farvi.”
“È successo qualcosa di grave, Iphe?”
“No mamma, rilassati…. Voglio solo chiedervi il permesso di andare in Scozia, martedì, dopo le feste.”
“Vuoi andare a trovare qualcuno?”

Iphigenia annuì alla domanda del padre, un sorriso speranzoso stampato sul volto e gioendo interiormente quando Andrew annuì, dandole rapidamente il suo consenso con un cenno della mano:
“Va bene, non preoccuparti.”
“Grazie!”

Clare invece sorrideva e guardava la figlia con l’aria di chi la sa lunga, parlando a metà tra il divertito e l’intenerito:

“Vuoi andare a trovare Andrew, vero? Fai bene, quel ragazzo è così carino…”
“Mamma!”

Iphigenia sbuffò debolmente e rivolse un’occhiata torva in direzione della madre, suggerendole caldamente di non fare commenti mentre invece il padre sgranava gli occhi, allarmato: 
“Intendi quindi andare a trovare quel ragazzo?“ 
“Caro quale altra persona potrebbe mai andare a trovare in Scozia la nostra piccola?“ Clare sorrise, apparentemente divertita dalla situazione, ma il marito non la imitò e si rivolse invece alla figlia maggiore quasi con aria truce, la mascella contratta e parlando con un tono molto più duro:

“Bene… Puoi andare tesoro, ma verrà con te tua sorella.“ 
“COSA?! Papà, non puoi…”
“Certo che posso. Electra? Martedì accompagnerai tua sorella in Scozia.”

Electra, che era appena entrata nella stanza, sfoggiò un sorrisetto e si rivolse immediatamente alla sorella maggiore, che sospirò interiormente e si chiese se la situazione sarebbe potuta peggiorare. Capì che la risposta era affermativa nel momento esatto in cui Electra aprì la bocca:

“Vai a trovare il tuo fidanzato?”
“Ele! Ti ho già detto che non è il mio fidanzato.”

Iphigenia la fulminò con lo sguardo prima di rivolgersi al padre e sfoggiare il sorriso più angelico che le riuscì, prima che l’uomo parlasse di nuovo, sempre meno contento:

“COME SAREBBE A DIRE CHE È IL TUO FIDANZATO?!”
“M-ma papà, Ele scherza, non è così! Mamma, aiutami!”

Sua madre spedì le foglie fuori dalla stanza con la promessa di farlo ragionare, ma Andrew non sembrò cambiare idea e rimase fermo sulla sua posizione, ovvero di appioppare Electra alla figlia maggiore.
E quella era l’idea, finché martedì mattina Electra non si svegliò con la febbre alta…


“Iphe, non mi terrò questa borsa piena d’ acqua bollente nel letto per tutta la notte!”
“Ma così ti salirà la temperatura! Ti prego Ele… ti aiuterò con i compiti di Aritmanzia fino alla fine dell’anno!”

Vedere sua sorella implorare era molto raro ed Electra capì di doverle fare quel favore… anche se prima si fece pregare un po’, ma alla fine acconsentì e il mattino dopo si svegliò inscenandosi il più sofferente possibile.

“Papà, posso andare da sola? Per favore, non posso disdire all’ultimo!”
In realtà Andrew non sapeva della sua visita, ma Iphe si concesse quella piccola bugia pur di convincere il padre, che alla fine annuì e sospirò, cedendole il permesso:
“… va bene. Ma alle otto ti voglio a casa, capito?”

Iphigenia sorrise e annuì, abbracciando il padre e stampandogli un bacio su una guancia prima di correre a prendere il suo mantello per Materializzarsi a South Queensferry. 



Iphigenia era seduta davanti ad un piccolo tavolo quadrato, la gamba destra accavallata sulla sinistra che dondolava con leggera impazienza mentre, tenendo il mento appoggiato sulle nocche di una mano, la ragazza si guardava intorno, in attesa.
E non tanto del suo pranzo, in realtà, quanto di un certo cantiere dai capelli rossi che ancora non era riuscita ad intravedere.



“Andrew, porta fuori questi, per favore.”  Sua madre gli mise tra le mani due piatti incandescenti pieni di pesce e il ragazzo li prese al volo con una prontezza di riflessi data da anni di rugby, Quidditch ma anche di lavoro in cucina. 
Il Tassorosso annuì e si affrettò ad uscire dalla cucina, aprendo l’anta con una spallata, per portare i piatti a destinazione e non fece caso, preso dalla fretta, allo sguardo di una familiare ragazza dai capelli biondi seduta ad una decina di metri di distanza, che sorrise istintivamente quando lo vide uscire dalla cucina. 

Fece per chiamarlo e attirare la sua attenzione, ma all’ultimo decise di non farlo per lasciarlo lavorare in pace, prendendosi qualche attimo per studiare il caldo sorriso che rivolse ai clienti che stava servendo e sopratutto quelle adorabili fossette, la camicia bianca immacolata e stirata – sicuramente per merito di mamma Iona – con le maniche arrotolate sotto i gomiti, il grembiule nero allacciato in vita. 
Iphigenia indugiò quasi senza volerlo con lo sguardo dapprima sulle sue spalle larghe e poi sui bicipiti messi in evidenza dallo sforzo per tenere i piatti in equilibrio e dalle maniche arrotolate della camicia. 
All’improvviso le parve di sentire la risata della sorella minore e scosse il capo, dicendosi di lasciar perdere le sue braccia – era tutta colpa delle maniche arrotolate, non avrebbe potuto lasciarle al loro posto? – e schiarendosi la voce quando il ragazzo fece per tornare in cucina:

“Cameriere?! Dove sono le mie Scotch pies?! Vuole che rimanga qui a fare la muffa mentre aspetto?!”

Iphigenia parlò con il tono più scocciato che le riuscì e quando, un attimo dopo, Andrew si voltò nella sua direzione dovette sforzarsi non poco per evitare di ridere di fronte alla sua espressione:

“Iphe! Cosa ci fai qui?”
“Che domande, sono venuta a trovarti… ma sono molto delusa, il servizio è pessimo!”

Andrew le si avvicinò con un sorriso sulle labbra per salutarla, ma di fronte alle parole della ragazza sgranò gli occhi, quasi sinceramente dispiaciuto:

“Mi dispiace, aspetti da molto?”
“Macché, cinque minuti, stavo scherzando…”


“Sono felice di vederti. Vado a dire a mia madre di darsi una mossa, non è carino farti aspettare dopo essere venuta fin qui.”
Iphigenia fece per dire all’amico di non preoccuparsi, ma il ragazzo si era già voltato per tornare in cucina e informare la madre della presenza della ragazza, scatenando un largo sorriso da parte di Iona, che si mise all’opera e poco dopo sfornò tre tortine molto più grandi del normale con tanto di dose abbondante di contorno:

“Ecco, portalo ad Iphigenia, spero che le piacciano.”
“Mamma, com’è che quando le prepari per me non le fai così grandi?!”
“Perché tu non hai certo bisogno di crescere ancora, signorino! Su, non farla aspettare ancora.”

Andrew venne quasi spinto fuori dalla cucina dalla madre, che lo ammonì di sistemarsi il grembiule, per poi dirigersi con un sorriso verso Iphigenia, poggiandole il piatto davanti con delicatezza:

“Ecco, signorina. Spero saranno di suo gradimento.”
Iphigenia annuì, sospirando con aria grave mentre si sistemava il tovagliolo sulle ginocchia e parlando con il tono più snob che le riuscì: 
“Grazie, cameriere. Ti darei la mancia, ma mi hai fatto aspettare troppo e hai perso il treno.”

“Esagerata!”

“Andrew? Fai compagnia ad Iphigenia, poverina, non vorrai farla magiare da sola! Ciao, cara.”
“Salve Signora Magui- Iona.”

Iphigenia sorrise alla donna, affrettandosi a correggersi mentre Andrew si rivolgeva alla madre, la fronte aggrottata!

“Sicura?”
“Certo, dopotutto ti stiamo già sfruttando a sufficienza… siediti e riposati un po’.”
“Ok, grazie mamma.”

Andrew sorrise e si sfilò il grembiule prima di sedersi accanto ad Iphe, che sorrise a sua volta mentre Iona, dopo aver fatto per allontanarsi, si voltava nuovamente verso i due:

“Volete che vi porti una candela?”
“Mamma!”
“Beh, non si sa mai…”


*


Gabriel era seduto di fronte a lei e Katherine poteva leggergli sul volto la sua stessa voglia disperata di alzarsi e sparire: la sua famiglia le era mancata, assolutamente, ma quel pranzo stava durando davvero molto.
E cominciava a non sopportare più i commenti supponenti di sua sorella Annabelle. 

Gabriel le rivolse un cenno e Katherine non esitò a coglierlo, annuendo appena percettibilmente prima di alzarsi, lasciare educatamente il tovagliolo sul tavolo e congedarsi per andare in bagno. 

Ovviamente non andò in bagno ma raggiunse frettolosamente la biblioteca, lasciandosi scivolare su una sedia con un sospiro e aspettando pazientemente che Gabriel la raggiungesse, cosa che avvenne dopo solo un paio di minuti. 

“Ho davvero bisogno di una pausa dalle loro chiacchiere… stanno stordendo anche te?”
“Certo. Sono a casa da due giorni e già non sopporto più mia sorella, credo sia un record. A volte ti invidio per essere nato figlio unico…”

Gabriel la raggiunse, sedendo accanto a lei mentre la Grifondoro sospirava, gli occhi chiari fissi sulla grande finestra dai vetri colorati che proiettava luce sul parquet. 

“Non dire così, vuoi molto bene a Maxi e a Nate. E poi, io ho comunque avuto la mia sorellina, in un modo o nell’altro.”
Il ragazzo sorrise, allungando una mano per sfiorarle quella dell’amica che lo imitò, rilassandosi leggermente e guardandolo con affetto:

“Vale anche per me.”
“Lo so.”
“Allora… a proposito di famiglie complicate, come sta Elena? Credo sia una fortuna che abbia te, adesso.”

“Non voleva tornare a casa, ma l’ho convinta a farlo per stare vicina a sua madre. Probabilmente suo padre starà cercando di mettersi in contatto con lei… fatico a capirlo, in effetti. Credo che tenga molto a lei, anche se forse l’ha capito solo quando l’ha vista voltargli le spalle.”

“Tipico, ti accorgi che ti manca qualcosa solo quando lo perdi… spero per Elena che ottengano il divorzio in fretta e che possa lasciarsi suo padre alle spalle, per quanto possibile.”
“Tu invece, Kat? Come stai?”

La ragazza si strinse nelle spalle, giocherellando distrattamente con una ciocca di capelli scuri prima di rispondere:

“Bene. Insomma, mi passerà, come a te è passata con Giselle… ora hai Elena e sei felice, magari anche io tra un anno l’avrò completamente dimenticato.”
“Sicura? Non sarò Beatrix, ma puoi parlare di Sean anche con me.”
“È strano parlarne con te, Gabri, siete molto amici.”

Katherine scosse il capo e sospirò, continuando ed evitare di guardare l’amico negli occhi e muovendosi sulla sedia quasi  come se fosse a disagio mentre Gabriel le sorrideva con fare rassicurante:
“Giuro che non gli ho mai detto nulla, e mai lo farò, anche se credo che se ne sia reso conto da solo… non disperarti Kat, sei molto giovane, intelligente, divertente, molto carina e persino di buona famiglia. Avrai la fila davanti alla porta, ne sono sicuro.”

“Ah, ma davvero?”

Katherine sorrise per la prima volta da quando erano entrati in Biblioteca e alzò finale te lo sguardo per incrociare quello del ragazzo, che annuì e non accennò a sorridere, come se fosse perfettamente serio:
“Certo. E io mi unirò a Maxi in veste di fratello maggiore geloso.”
“Naturalmente… ma seriamente, grazie di essere qui, Gabri.”


*


“Chi è il tesorino della zia? Ma sei cresciuto tantissimo dall’ultima volta in cui ti ho visto, di questo passo quando mi sarò diplomata non ti riconoscerò più!”

Evangeline sorrise con affetto al nipotino prima di dargli un bacio su una guancia paffuta, guadagnandosi un sorriso dal bambino di quattro mesi e mezzo, che allungò una manina per toccarle i capelli biondi.

“Non è giusto che mi debba perdere i suoi primi mesi di vita, per quando tornerò a casa la prossima volta avrà già quasi sette mesi!”
“Tranquilla, di sicuro Caroline avrà altri marmocchi che potrai riempire di attenzioni.”

Benjamin era seduto di fronte a Robert, impegnati a giocare a scacchi me tre la sorella gironzolava per la grande sala da pranzo con il nipotino in braccio, continuando a sorridergli, ripetergli quanto fosse carino e a pizzicargli leggermente le guance paffute. 

“Bene, almeno si renderà utile in qualche modo!”


“Dici che è normale?! Sta abbracciando quel bambino più di quanto non abbia abbracciato me in sedici anni di vita!”
“Ti sbagli, quando eri piccolo ti sequestrava sostenendo che tu fossi il suo “bambolotto”. Lo faceva anche con Greg.”
“Davvero?!”

Robert sgranò gli occhi, sinceramente colpito mentre si voltava nuovamente verso la sorella maggiore, rivolgendole un’occhiata scettica di fronte a tutto quell’affetto mentre il suo alfiere veniva mangiato dalla Regina del maggiore.

“Andiamo a giocare in salotto, Ray? Sì?”
“Merlino, non ce la faccio a sentirla parlare con quel tono zuccheroso… secondo te perché quando parlano con i bambini usano tutti un tono da idioti?!”
“Non saprei, credo si pensi che così i bambini rimangano tranquilli… Billie, saluta la tua Regina.”

Benjamin sfoggiò un sorriso soddisfatto mentre Robert invece sbuffava e la sorella lasciava la stanza continuando a le fusa al nipotino, dando modo al fratellino di sporgersi leggermente sul tavolo verso il maggiore:

“Ok, ora che siamo soli… Evie ti ha parlato di Jack Keegan?”
“No. Chi è?”
“Il suo fidanzato!”
“Cosa?! Perché io non ne sapevo niente?! Tu e Greg avreste dovuto dirmelo prima!”

L’ex Grifondoro rivolse un’occhiata piuttosto torva al fratello minore, che sfoggiò un sorriso colpevole mentre la voce attenta di Evangeline giungeva alle loro orecchie attraverso la porta aperta:

“Di cosa state parlando?! Vi sento confabulare.”
“Niente, niente Evie!”


*


Quando Iphigenia si Materializzò nel salotto di casa sua, quella sera, trovò sua sorella minore seduta sul divano e già pronta a ricoprirla di domande: Electra stava scrivendo una lettera, ma quando vide la sorella sorrise e smise immediatamente, guardandola con curiosità.

“Allora?! Raccontami!”
“Shhh! E ricordati che tu sei molto malata, devi continuare con la farsa… quindi se entra papà stenditi e fai la faccia sofferente.”
“Sì, sì, va bene, tanto ho la mamma come complice… ma ora papà non c’è, quindi racconta.”

Electra sorrise e diede qualche colpetto alla porzione di divano vuota accanto a sè, facendo cenno alla sorella maggiore di avvicinarsi e raggiungerla. Iphigenia sapeva che l’avrebbe tormentata fino all’alba se necessario, così roteò gli occhi e obbedì, sedendo accanto a lei prima di sorridere:

“Beh… grazie per il favore, è andata bene. Era felice di vedermi.”
“Certo che era felice, ti adora, pensavi forse che ti cacciasse a pedate? Te l’ha per caso dimostrato con un bel bacio? Sarebbe anche ora, io e Jade stiamo progettando di rifilarvi il Veritaserum.”

“Sei per caso diventata l’assistente di Jade?!”
“Diciamo di sì. Allora?! Non farti pregare, Iphe!”
Electra sbuffò, assestando una leggera gomitata alla sorella maggiore che invece sfoggiò un sorrisetto, parlando con tono vago:

“Beh… non lo dico spesso perché succede di rado, ma questa volta potresti aver ragione.”
“In che senso? Aspetta, vuoi dire che vi siete baciat- MERLINO, CHE MAL DI FESTA! Iphe, passami le medicine.”

Electra s’interruppe bruscamente quando sentì i passi del padre alle loro spalle, portandosi una mano sulle fronte con aria grave mentre la sorella obbediva, rivolgendole un’occhiata scettica prima di voltarsi verso il padre e sorridere:

“Ciao papà!”
“Ciao tesoro… come stai, Ele?”
“Sono stata meglio, grazie. Mi farete una giustifica per i compiti?”
“Scordatelo.”

Il padre si diresse verso il suo studio per lavorare e la figlia minore sbuffò, borbottando che fingersi malate non le stava servendo a nulla mentre Iphigenia l’ammoniva: 

“Sei troppo teatrale Ele, calca meno la mano!”
“Scusami tanto Iphe, la prossima volta in cui vorrai andare in Scozia per fare gli occhi dolci a Mr Muscoli chiama un’attrice professionista.”


*


Giovedì 17 Aprile 



“Di cosa volete parlarmi?”

Gabriel spostò lo sguardo da un genitore all’altro, la fronte aggrottata e le braccia conserte mentre era seduto di fronte a loro, per nulla rilassato: ogni volta in cui gli chiedevano di parlare, la conversazione finiva nel sfociare in un’accesa discussione.

Suo padre rivolse una fugace occhiata di sbieco a sua madre prima di parlare, schiarendosi la voce, mentre accanto a lui la moglie si limitava ad osservare il figlio con le mani appoggiate sul tavolo:

“Di Elena.”

Gabriel inarcò un sopracciglio, irrigidendosi leggermente e intuendo che quella conversazione non gli sarebbe stata affatto gradita ancora prima che il padre iniziasse:

“Allora?”
“Gabriel, sai cosa è successo, recentemente, tra i suoi genitori?”

“Ovviamente.”
“E sei sicuro di quello che stai facendo?”

“Mi stai dicendo che sarebbe meglio lasciar perdere Elena?”
“Pensiamo solo che non sia un buon momento per la sua famiglia… e per la loro immagine.”

“Certo. Dovevo immaginarlo… avete paura di vedere il nostro nome associato al loro perché sua madre vuole divorziare? Non vi facevo così retrogradi.”
Il Serpeverde contorse la mascella, gli occhi chiari carichi d’irritazione mentre sua madre sospirava, guardandolo come a volerlo pregare di capire, di mettersi nei loro panni… ma Gabriel non c8 era mai riuscito.

“Sono, siamo felici che tu sia felice, Gabriel. È solo un… momento sbagliato.”
“Appunto per questo non le volterò le spalle adesso! Non credete che la sua vita sia già andata abbastanza a rotoli, di recente? Sarebbe il colpo di grazia. Non è colpa sua se suo padre si è comportato in modo da meritare quel trattamento da parte di sua madre, mettetevi nei suoi panni.”

“Gabriel…”
Sua madre sospirò, scuotendo il capo, ma il ragazzo si alzò e non le diede il tempo di parlare, interrompendola con aria risoluta:
“No mamma. Scusate, vi ho sempre ascoltato, o almeno ci ho provato… volevi che scegliessi una ragazza Purosangue, e l’ho fatto. Adesso non cambierò idea solo per la vostra superficialità.”

Poi Gabriel si allontanò dal tavolo, congedandosi e lasciando la stanza prima di iniziare a litigare seriamente. 


“Non credo che cederà.”
“Neanche io. Non ci resta che sperare che gli passi in fretta.”


*


“Tesoro, sei SICURO che non possa passare? Completamente certo?”
“Sì, mamma.”

Hector annuì, parlando con il tono più piatto e deciso che gli riuscì alla domanda di sua madre, che sospirò quasi con delusione mentre sparecchiava la tavola:

“Va bene… ma ce la farai conoscere dopo il Diploma, vero?”
“Ma certo.”

Hector annuì, non riuscendo a non addolcirsi di fornite al tono speranzoso della madre, che sorrise con gioia alle sue parole, improvvisamente un poi più rallegrata.

“Bene! C’è qualcosa che non le piace mangiare?”
“Mamma, non devi pensare al menu adesso!”
“Beh, non è mai troppo presto! Non hai una sua foto, vero? Sono così curiosa!”

“No mamma, non ce l’ho.”

Bugiardo 


“Peccato…”
“Mamma, l’hai già vista di sfuggita alcune volte alla stazione!”

“Beh, ma voglio vederla meglio!”


Hector alzò gli occhi al cielo di fronte all’obiezione della madre, trattenendosi dal farle notare che non fosse affatto lei il problema: la verità era che il ragazzo aveva il terrore di presentare Adela alla sua famiglia. La sua tremendamente caotica, confusionaria e priva di tatto famiglia. 
No, Adela era così gentile, a modo ed educata… conoscendo la sua famiglia si sarebbe chiesta Se fosse il caso di essere associata a simili buzzurri quali i suoi fratelli, zii e cugini, probabilmente.

Si sentiva raggelare al solo pensiero, avrebbe dovuto istruirli su come comportarsi come minimo per una settimana, intimando loro di non fare commenti sul suo aspetto, neanche se di apprezzamento, di non abbracciarla e di non farle domande invadenti, di non prenderlo in giro davanti a lei e di non raccontare storie imbarazzanti. Sarebbe stato un incubo, e Hector aveva il forte timore di vedere l’ignara ragazza cambiare idea sul suo conto e voltargli le spalle.

Quando parlava della sua famiglia lei era solita ridere, sorridere e rimproverarlo per la sua criticità e vena melodrammatica, ma Hector le assicurava sempre che non esagerava nel parlare della sua famiglia, mai. 
Esagerata… ecco l’aggettivo perfetto per descrivere i Grayfall.


“È PRONTA LA CENA MAMMA?! QUANTO CI VUOLE?!”
Ecco, appunto. Suo fratello maggiore Demetrius irruppe nella stanza con la sua solita grazia e parlò a voce alta per farsi sentire dalla madre – e Hector dovette trattenersi dal ricordare al fratello che la donna non era sorda, il che era un miracolo vista la gran quantità di urls che sentiva ogni giorno da più di vent’anni.

“Tra cinque minuti a tavola!”

MiraJane parlò mentre suo padre entrava a sua volta nella stanza, avvicinandosi al figlio maggiore e sbuffando mente gli assestava una sonora sberla sul copino:

“NON PARLARE COSÌ A TUA MADRE, CAFONE!...  MIRAJANE, È PRONTA LA CENA?!”
“Papà, adesso hai urlato anche tu!”
“Ma io urlo con più garbo.”

Certo

Hector roteò gli occhi, imponendosi di non fare commenti mentre la madre parlava di nuovo dalla cucina, rivolgendosi direttamente al marito:

“Tra cinque minuti e l’ho appena detto a tuo figlio, vecchio sordo che non sei altro.”
“Non è colpa mia, ma di questi due sciagurati che urlano dalla mattina alla sera, mi hanno fatto perdere l’udito… CICERUS, NON FARTI ATTENDERE COME UNA RAGAZZINA E VIENI SUBITO QUI!”

Hector sospirò, sfiorandosi le tempie con le dita e chiedendosi quanti mal di testa avrebbe dovuto smaltire una volta tornato ad Hogwarts, ritrovandosi a compatire la madre per l’ennesima volta in vita sua: si chiedeva sinceramente cosa la trattenesse dal fuggire, e già da tempo. 


*


Regan continuava a tormentarsi il colletto della camicia che sua madre lo aveva costretto ad indossare – ignorando con ferma determinazione le sue lamentele mentre gli pettinava 8 capelli a forza dopo averlo immobilizzato –, fermo sotto al portico e davanti alla porta chiusa. Si stava chiedendo se non sarebbe stato il caso di girare sui tacchi e andarsene quando la porta si aprì, infrangendo sul nascere i suoi piani di fuga. 
Sulla soglia della casa comparve la figura sorridente di Stephanie, visibilmente più rilassata di lui, che lo guardò con affetto e gli fece cenno di entrare: 
“Reg! Cosa ci fai qui fuori, vieni dentro!”
“Ecco, io… stavo…”

Si stava preparando psicologicamente, ma il ragazzo preferì non farglielo sapere e lascio che la Grifondoro sorridesse e lo trascinasse con sè all’interno della casa prendendolo delicatamente per un braccio. 

“Non vedevo l’ora che arrivassi… vieni.”
Lui invece aveva atteso quel momento con tanta più ansia dei G.U.F.O., ma preferì non farglielo sapere mentre la ragazza, prendendolo per mano, lo conduceva verso il salotto.

“Nervoso?”
“Un po’.”
“Non devi, mia madre ti adorerà! E poi già conosci mio fratello… mia sorella invece non c’è, te la presenterò un’altra volta. Come siamo belli… ti sei tirato a lucido per la mia famiglia?”

Stephanie si fermò e gli sorrise, sistemandogli il colletto ormai leggermente stropicciato della camicia mentre il ragazzo annuiva. Fece per farle un complimento a sua volta, trovandola davvero graziosa con i capelli biondi raccolti sulla nuca, il vestito blu addosso e l’immancabile sorriso ad illuminarle il volto, ma l’entrata in scena del fratellino della ragazza glielo impedì:

“Ciao Reg! Sbrigatevi piccioncini, sto morendo di fame!”
“Gwain, non essere sgarbato, Regan è un ospite. Vieni.”

Stephanie gli sorrise e, facendogli cenno di seguirla, lo condusse verso la soglia del salotto mentre il giovane Grifondoro, passando accanto al “cognato”, gli rivolse un’occhiata quasi compassionevole.

“Mamma, papà? Vi presento Regan.”

Nell’arco di un attimo il Serpeverde si ritrovò con gli occhi dei genitori della ragazza puntati addosso, che sembravano aver parlato – probabilmente di LUI, immaginò – fino ad un attimo prima, la Signora Noone seduta sul divano e il marito accanto e sporto leggermente verso di lei che occupava una poltrona. 

Dopo una frazione di secondo passata a studiarlo la medimaga piegò le labbra in un sorriso, alzandosi per avvicinarsi a figlia e ospite:

“Salve Regan… è bello conoscerti, finalmente.”

Una vocina nella sua testa gli suggerì caldamente di sfoggiare tutto il suo lato adorabile e il ragazzo si affrettò a sorridere di rimando, assicurando alla futura suocera che conoscerla era un piacere e che la casa era splendida, il tutto mentre Stephanie stringeva ancora delicatamente il suo braccio coperto dalla giacca 
Vide la sua espressione addolcirsi ulteriormente e provò un leggero moto di soddisfazione, rilassandosi leggermente: come gli aveva insegnato sua madre, i complimenti non erano mai troppi in certe situazioni… e lui era sempre stato un maestro, fin da bambino, a farsi benvolere dalla gente.

Certo, bisognava sperare che la regola valesse anche per i genitori di Stephanie… l’avrebbero adorato, ma questo Regan ancora non poteva saperlo.


“Garret? Non farti pregare, vieni a salutare Regan.”

Megan si voltò e rivolse un cenno perentorio al marito, che roteò gli occhi mentre si alzava, sbuffando leggermente, per poi avvicinarsi al ragazzo e porgergli la mano, osservandolo con attenzione:

“Piacere di conoscerla, Signor Noone. Stephanie mi ha parlato moltissimo di lei.”

E di come fosse sempre stata la sua “principessa”.
Ahia. 

“Anche lei ci ha parlato molto di te…”

Dal modo in cui lo guardò, Regan seppe che stava per arrivare la prima di una lunga serie di domande, così si preparò ad accoglierla nel miglior modo possibile, senza battere ciglio o scomporsi minimamente:

“… Dimmi, ti ha detto del suo voler entrare all’Accademia per diventare Auror?”
“Certamente.”
“E cosa pensi a riguardo?”

“Che Stephanie deve seguire la sua strada, ha perfettamente le potenzialità per riuscirci. È molto determinata.”
“Lo so.”

L’Auror annuì, sorridendo e rivolgendo un’occhiata quasi adorante alla figlia mentre la moglie suggeriva caldamente di andare a prendere posto a tavola per evitare che si facesse troppo tardi per cenare e Stephanie arrossiva leggermente, sorridendo con orgoglio.

Anche Regan sorrise, con una punta di soddisfazione che nessuno nella stanza colse: aveva l’impressione di aver appena guadagnato qualche punto. Sua madre aveva ragione, dopotutto, sull’efficacia dei complimenti. 



*


“… Il Re, umiliato, eseguì gli ordini. Infine, quando tutti se ne furono andati, un coniglio con una bacchetta in bocca uscì da sotto il ceppo, e se ne andò saltellando. Nessuno cacciò più i maghi e le streghe da quel regno e Baba continuò serena con la propria vita.”

Henry MacMillan, seduto sul letto della figlia e appoggiato alla testiera, si voltò verso la bambina dopo aver terminato la storia, sorridendo leggermente quando la vide strofinarsi gli occhi:

“Finita. È ora di andare a dormire?”
“No. Un’altra.”  La bambina, già sotto le coperte e rannicchiata accanto a lui, scosse il capo e parlò con un mormorio assonnato prima di sbadigliare, facendo sorridere il padre che chiuse il libro per accarezzarle la testa e poi darle un bacio tra i capelli.

“Domani, Elly, non vedi come sei stanca?”
“Ma voglio stare con te!”
“Posso restare qui finché non ti addormenti, se vuoi.”

La bambina annuì e lo abbracciò, appoggiando la testa sul suo petto mentre il padre lasciava il libro sul comodino e spegneva tutte le candele con un pigro colpo di bacchetta, accarezzandole delicatamente i capelli subito dopo finché Elena non si addormentò, smettendo di sentire il tocco delle sue dita.



“Sono felice che tu abbia accettato di parlare.”
“Solo perché mi hai incastrata piombando qui a sorpresa.”

Elena sbuffò, rivolgendo un’occhiata torva al padre prima di tornare a concentrarsi sulla tazza di thè che teneva in mano, leggermente a disagio. Era andata a trovare la nonna paterna e sembrava che suo padre avesse avuto la stessa idea, visto che se l’era trovato davanti… aveva provato a girare sui tacchi e andarsene, ma alla fine aveva ceduto. 
Ed ora, eccoli lì.


“Ascolta, Elly… capisco che tu sia arrabbiata con me e che stia prendendo le parti di tua madre, ma spero che tu un giorno possa perdonarmi. Sei mia figlia, non voglio perderti.”
“Non preoccuparti, hai già sostituito mamma e a breve potrai sostituire anche me.”

“Non essere sciocca, non potrei mai sostituirti. Tua madre si è sempre colpevolizzata di non essere riuscita ad avere altri figli dopo di te, ma non è stato QUESTO. Ho sofferto anche io dopo gli aborti ma non le ho mai fatto pesare niente, non era così importante avere altri figli.”

“Beh, evidentemente io e lei non ti siamo bastate lo stesso.”
“Tu sei un altro discorso, Elly, sei mia figlia e non voglio che fu mi escluda completamente dalla tua vita.”

Elena sbuffò alle parole del padre, continuando ad evitare di guardarlo e borbottando qualcosa su come Gabriel non si fosse sbagliato sul fatto che il padre si sentisse in colpa nei suoi confronti.
Henry invece aggrottò la fronte cogliendo qualche parola della figlia, guardandola con curiosità:

“Chi è Gabriel?”
“Nessuno che debba interessarti. Davvero, non ti capisco. Non capisco che cosa vuoi da me… prima sparisci per settimane e poi mi assilli perché non mi vuoi perdere? Ti senti solo in colpa, papà, e forse anche in trappola. Vorresti tornare indietro come hai sempre fatto, ma questa volta non puoi farlo.”
“Io non sono sparito dalla TUA vita, Elena, tu hai deciso di tagliarmi fuori non leggendo le mie lettere o rifiutandoti di vedermi, sai che m’importa di te.”

“Come sta Victoria?”
“Bene.”
“Il bastardo quando dovrebbe nascere? Sei sicuro che sia tuo, a proposito?”


“Lo vedi? Non sei felice. Io SO che non sei felice, perché le tue storie non sono mai durate, ti sei sempre pentito e sei tornato dalla mamma. A Natale mi hai detto di non amarla più, ma è l’unica da cui sei sempre tornato, alla fine… questa volta invece non puoi farlo, sei legato a quella, ormai. Guarda il lato positivo, perdi una famiglia ma ne guadagni un’altra nuova di zecca. Sono sicura che non la ami… c’è qualcuno che hai mai amato davvero?”

“Elena. Sei davvero sicura di volermi fuori dalla tua vita? Se avrai bisogno di me ci sarò, ma posso sparire dalla tua vista, se proprio lo desideri.”

Elena esitò, non sapendo cosa rispondere. Se l’era chiesto molte volte, sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, ma forse non era ancora pronta a dare quella risposta.

“Io… Se ti rivorrò nella mia vita verrò a cercarti. Altrimenti, ti prego di starmi lontano… vorrei davvero lasciarmi tutto questo alle spalle, per quanto possibile.”

Elena strinse la presa sulla tazza che teneva in mano, sentendolo sospirare e immaginandolo annuire mentre si alzava lentamente dal divano, avvicinandolesi per superarla e uscire dal salotto.
Pensava che se ne sarebbe andato senza dire nulla – dopotutto era un maestro in quello – ma suo padre esitò quando l’ebbe raggiunta, sfiorandole la testa con una carezza: 

“D’accordo, come vuoi. Ma certo che c’è qualcuno che ho amato davvero, Elly.”

La ragazza s’irrigidì, mordendosi il labbro e imponendosi di non dire niente e di non alzare la testa per incrociare il suo sguardo, certa che in quel caso sarebbe stato tutto molto più difficile. Lasciò che se ne andasse senza aggiungere altro, sospirando quando sentì la porta chiudersi. 

Sua nonna, che li aveva lasciati soli, la raggiunse sentendo che il figlio se n’era andato, sospirando quando trovò la nipote rannicchiata su una poltrona con gli occhi lucidi e avvicinandolesi per abbracciarla:

“Se n’è andato? Oh, tesoro… vieni qui, sfogati pure. Ma tu guarda cosa mi tocca vedere, io non ho cresciuto un simile imbecille! Gli ho detto di non farsi più vedere, sai? Non la voglio neanche guardare, quella donna!”


*


Quando vide il gufo planare sul davanzale e picchiettare sul vetro della finestra per attirare la sua attenzione Jade era seduta sul suo letto e impegnata a chiacchierare con la cugina, sprofondata nella sua poltrona. 

“Scusa un attimo.”
Jade si alzò, riconoscendo il gufo e dimenticandosi momentaneamente di avere il gatto Ball sulle ginocchia, che scivolò sul pavimento miagolando in segno di protesta prima di guardare la padrona con stizza e trotterellare verso Mandy, saltandole sulle ginocchia mentre Jade apriva la finestra per far entrare il rapace:

“Scusa Ball… vediamo cosa mi racconta Iphe.”
“Lei e Andrew hanno fatto qualche passo avanti?”
“Mi faranno venire un esaurimento entro il diploma, Mandy…”

Jade sospirò e scosse il capo con aria rassegnata mentre chiudeva la finestra, tornando poi a sedersi sul letto mentre apriva la busta con curiosità. 
Lesse rapidamente le righe che l’amica le aveva scritto con evidente fretta a causa dell’inclinazione della calligrafia, sgranando gli occhi sempre con maggior stupore mentre andava avanti con la lettura.

“Jade? Tutto bene? Hai una faccia…”
“MERLINO! Non ci credo! Finalmente… aspetta qui, vado a prendere un rotolo di pergamena, le devo assolutamente rispondere subito!”

Jade sfoggiò un largo sorriso prima di balzare giù dal letto e correre fuori dalla camera, lasciando la cugina sola con Ball sulle ginocchia e un sopracciglio inarcato:

“Santo Godric, temo che abbia già avuto l’esaurimento… cosa le sarà preso secondo te?!”



*


“È proprio necessario affrontare nuovamente l’argomento? Ho già chiarito come la penso e non intendo cambiare idea, non sono un soprammobile da tirare fuori da una credenza per essere messo in mostra dopo 17 anni.”

Beatrix, seduta in soggiorno su una poltrona, di fronte alla madre, guardò la donna sospirare con le braccia conserte e un’espressione quasi tesa che di rado le si poteva scorgere sul volto:

“Tesoro, so come la pensi, ma tuo padre vuole solamente…”
“Già, perché non viene ad affrontare l’argomento di persona? È forse occupato con i festeggiamenti per il lieto evento?”

Sua madre sembrò voler ignorare il suo tono eloquente – e anche la debole risata che Markus non tentò nemmeno di nascondere, da un angolo della stanza – e si rivolse alla figlia con tono quasi implorante:

“Beatrix, è importante. Per favore, prendi una decisione pensata e non per far ripicca a tuo padre.”
“Non si tratta di ripicca, mamma! Io voglio allontanarmi da quella famiglia, sono stanca di essere sempre e solo la bastarda dei Burke, non voglio chiamarmi come lui!”
“Se ti riconoscesse non saresti più solo questo.”
“Oh, ti prego, noi saremo sempre e solo i bastardi di Marcellus Burke, anche Mark. Vuoi forse dirmi che pensi che sia una scelta dettata da affetto o una qualche forma di pentimento? No mamma, sono maggiorenne e tra un anno sarò sul punto di diplomarmi, probabilmente vuole solo vendere sua figlia al miglior offerente e infondo lo sai anche tu. Come fai a sopportare tutto questo?”

Beatrix guardò la madre con gli occhi chiari sgranati, carichi di stupore: più il tempo passava, meno la capiva. Lei già mal sopportava la sua situazione ma quella di sua madre era peggiore… com’era intrattenere una relazione da così tanto tempo con un uomo sposato, che ora stava persino per avere l’ennesimo figlio con sua moglie? 
Voleva bene a sua madre, le era grata per averli praticamente cresciuti da sola… ma non poteva fare a meno di non condividere molte sue scelte. 

“Non tutti possono permettersi una vita perfetta, Beatrix. E sai che voglio solo il meglio per voi.”
“Beh, abbiamo opinioni diverse. Ti voglio bene mamma, ma se forse tu accetti passivamente la tua etichetta, io sono stanca della mia e vorrei liberarmene… voglio essere solo Beatrix Morgan, nient’altro. Posso sapere, invece, cosa pensi di questo sesto figlio?”

“Non ne voglio parlare con te, stiamo affrontando un’altra conversazione.”
“Ma come ci riesci? Come lo sopporti? Tu e mio padre non siete legalmente vincolati, avete quattro figli e una relazione alle spalle che dura da vent’anni, ma tu potresti prendere a lasciarlo da un giorno all’altro, volendo… hai scelto di avere una relazione con un uomo sposato appartenente ad una famiglia in vista, hai avuto quattro figli con lui e hai continuato a vivere nella sua stessa comunità, in una casa di SUA proprietà. Ci hai esposti al giudizio e agli occhi di chiunque e sono stanca, mamma, di essere ritenuta da tutti un errore, quindi non cambierò idea, prima mi libero dell’ombra di mio padre è meglio sarà… buonanotte.”

La Tassorosso si alzò e raggiunse la soglia della stanza, cogliendo distrattamente un sorriso soddisfatto sul volto del fratello prima che la madre la chiamasse nuovamente, pregandola di pensarci e di non prendere una decisione affrettata, ma Beatrix sentenziò di aver già deciso prima di allontanarsi, senza fermarsi o voltarsi nuovamente indietro.

 “Scusa mamma, Beatrix è molto buona e accondiscendente, ma prima o poi sapevate che avrebbe fatto valere la propria opinione… e mentirei se dicessi che non ne sono felice. Io stesso voglio liberarmi di questo cognome, non la biasimo se non vuole smettere di chiamarsi Morgan. Solo, posso essere presente quando lo dirai a papà? Sarà piacevole vedere, per una volta, la sua faccia nel rendersi conto che qualcosa non andrà come aveva pianificato. A chi voleva vendere mia sorella?”

“Non ha importanza, suppongo. E sappi che non fa piacere nemmeno a me, vorrei solo assicurarvi la miglior condizione possibile.”
‘Lo sappiamo, mamma, ma restando qui, vicino a nostro padre, ci hai esposti a dicerie, insulti, maldicenze, giudizi… non è stato facile per te, ma nemmeno per noi. E se a differenza nostra tu hai potuto scegliere, al tempo, ora è il turno di Beatrix.”


*


Elisabeth rideva mentre, sul tavolo davanti a cui era seduta per fare i compiti, il suo libro di matematica faceva le piroette e ballava il tip-tap dopo essere stato incantato da Axel.

“D’accordo signorina, forse adesso dovresti usare il libro per fare i compiti…”
“Di certo i tuoi sono più divertenti! Fammi vedere qualcos’altro!”

La bambina di nove anni sorrise, gli occhi azzurri luccicanti mentre il fratello annuiva, sfoderando di nuovo la bacchetta:

“Va bene… cosa vuoi vedere?”
“Fai qualcosa su di me!”

Axel aggrottò la fronte, indeciso sul da farsi: di certo trasformarla in qualcosa non era una buona idea, sua madre l’avrebbe ucciso… così sorrise e agitò leggermente la bacchetta e un attimo dopo Elisabeth, con un urletto di sorpresa, si ritrovò a testa in giù, galleggiando a mezz’aria. 
Dopo un attimo di stupore la bambina scoppiò a ridere, decretando che essere un mago doveva essere fantastico prima che il fratello la rimettesse con I piedi per terra, dando comunque il tempo ad Edward di entrare in cucina e assistere alla scena.

“Papà non vuole che fai quelle cose su di lei, Axel.”
“Allora è una fortuna che ora non sia qui. E poi sta benissimo, non le farei mai niente che potrebbe recarle danni.”
“Dai Ed, è divertente! Prova anche tu, Axel sa fare un sacco di cose.”

Elisabeth sorrise, guardando il fratello maggiore con affetto: da quando aveva compiuto 17 anni, l’anno prima, quando tornava a casa per le vacanze adoro guardarlo fare “quelle cose strane con il legnetto”.

“No, grazie, non mi interessa.”
Edward rivolse un’occhiata torva al fratello maggiore prima di uscire dalla cucina, lasciandoli di nuovo soli mentre la bambina scuoteva il capo con decisione:

“Lui e papà non capiscono niente, io darei qualunque cosa per essere come te!”
“Sei speciale anche tu, Lis.”

Axel sorrise con affetto alla sorellina, che si strinse nelle spalle, incupendosi leggermente:

“Mi prometti che non farai lo stesso lavoro di papà?”
“Certo. È abbastanza raro che persone come me intraprendano carriere del genere, sai? A parte il padre di un mio amico, faceva il militare come nostro padre. Ma era un mago come me.”
“E perché lo ha fatto?”
“Beh, alcuni maghi non sono molto gentili con le persone come me. Io sono un mago, ma la mia famiglia non lo è… e nemmeno quella del padre del mio amico lo era. Così ha deciso di cambiare vita.”
“E ora?”

Era morto durante la prima Guerra Mondiale, in realtà, ma Axel ritenne che non fosse il caso di farlo sapere alla sorellina, già abbastanza preoccupata per il lavoro del padre che Edward sembrava voler emulare… così si costrinse a sorridere, stringendosi nelle spalle:

“Beh, ora sta bene.”
“Quindi c’è qualcuno che ti tratta male, Axel?!”

Elisabeth aggrottò la fronte e Axel scosse il capo, cercando di non ridere immaginando la sorellina insultare i Purosangue che maltrattavano il suo adorato fratellone:

“No, no, tranquilla, so cavarmela… e poi Elena mi difende.”
“Meno male! A proposito, si è messa insieme a quel ragazzo?!”

La bambina sorrise con aria complice e si sporse leggermente verso di lui, parlando con curiosità mentre il fratello aggrottata la fronte, rispondendo con fare dubbioso: 

“Dovrei smetterla di raccontarti le cose, signorina, ne sai un po’ troppe…”






……………………………………………………………..
Angolo Autrice: 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non ci siano errori, ma sono tornata un’ora fa dopo alcuni giorni passati in giro per il Paese e l’ho riletto a “grandi linee”. 
A presto! 
Signorina Granger 

   
 
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