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Autore: Enchalott    30/03/2018    3 recensioni
Vegeta la fissò, socchiudendo gli occhi, quasi ammirato dalla sua testardaggine, che tuttavia aveva superato la misura concessa. Lei era incosciente tanto quanto lui, ma non aveva le sue stesse doti fisiche, gli stessi incredibili poteri nel ki. Perché, allora? Perché non era terrorizzata?
“Detesto ripetermi” le disse, spostandosi lentamente nella sua direzione. La guardò come se fosse una sfortunata preda.
Lei seguì il movimento con una certa apprensione, ma rispose con altrettanta sufficienza: “Credi che abbia paura di te?”
“No” ammise lui. Le indirizzò un sorriso freddo: “Ma ne avrai”.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Terzo giorno
 
Ore o minuti o giorni. Il bianco devastante dell’esterno stava ancora infuriando, anche se con minor impeto. Forse la tormenta aveva passato il punto cruciale. Avrebbero dovuto uscire da lì in ogni caso, raggiungere l’astronave, sperare che non fosse danneggiata e ripartire velocemente. Troppi fattori ipotetici, non andava affatto bene!
Il principe dei Saiyan stava riflettendo, con lo scopo di eliminare tutti i rischi dal suo piano. Avrebbe aperto un varco tra le nubi con l’uso del Gaalick Cannon per bloccare momentaneamente la neve e poi avrebbe ritentato il volo, trasportando anche la terrestre. Lei sarebbe stata in grado di riparare l’astronave, se ce ne fosse stato bisogno, ma il problema era il tempo a loro disposizione, oltre alle condizioni atmosferiche. Avrebbe dovuto creare una barriera di energia, per consentirle eventualmente di lavorare. La ferita all’addome continuava a pulsare, anche se la temperatura polare contribuiva a placarne le fitte: una consistente emissione di ki l’avrebbe fatta riaprire di certo. Fattore da non sottovalutare. Abbassò lo sguardo e osservò la ragazza dormire incoscientemente tra le sue braccia: erano in grave pericolo, soli, in un luogo inospitale e agonizzante. Eppure, non era mai stato così sereno in vita sua. Si forzò di non cedere al sonno o sarebbe stata la fine.
 
“Vegeta…”
“Mmh...”
Il principe si riscosse dal torpore in cui era precipitato, affaticato a causa dell’addestramento arduo, cui si era sottoposto nei giorni precedenti. Non aveva mangiato con l’abbondanza cui era ormai abituato, così aveva ceduto al dormiveglia, cullato dal caldo contatto con la terrestre. Per fortuna, era riuscito a mantenere un inconscio controllo sul ki, che non si era spento.
Qualcosa fece oscillare l’aria.
Un punto luminoso si materializzò all’interno della spelonca rocciosa. Bulma pensò di avere le traveggole o che la neve stesse penetrando all’interno del riparo. Sentì Vegeta tendersi dietro di lei e vide che anche lui lo stava fissando, già sulla difensiva.
Il bagliore virò di tono e si colorò come il tramonto, avvicinandosi lentamente, ampliandosi come un’onda circolare nell’acqua placida. Al suo interno, un’ombra indistinta veleggiava come se stesse tentando di acquisire una forma determinata.
“Vegeta…”
“Ferma!” ordinò deciso il principe “Avverto un ki immane, non è il caso di fare colpi di testa. Mantieni il sangue freddo”.
La ragazza deglutì per l’agitazione, ma non obiettò.
“Non sembra ostile” specificò lui, concentrato al massimo “Ma non mi fido comunque”.
“Benvenuti” disse una voce profonda.
La figura che si stava componendo, tuttavia, non aveva parlato: aveva vibrato direttamente nelle loro menti. Improvvisamente, prese dimensione e colore, trasformandosi in una creatura antropomorfa. Due acuti occhi di un nocciola chiarissimo si volsero su di loro. L’essere si raddrizzò sulle gambe posteriori, raggiungendo un aspetto quasi umano: aveva un manto fulvo e spesso, due grandi orecchie appuntite cariche di anelli, un muso allungato e ferino. Le braccia erano robuste e avvolte da fasce di seta violacea, le mani grandi e artigliate; una di esse stringeva un lungo bastone nero, sormontato da una specie di clessidra luminescente, da cui scendeva una sabbia sottile. Portava una veste fluttuante dello stesso color pervinca, chiusa da una fascia dorata e ricoperta di strani simboli, da cui spuntavano tre code folte con la punta sottile e bianca. Le caviglie erano cinte da cerchi di metallo dorato. Avanzò tintinnando.
“Io sono Kitsu. Io governo questo luogo sacro” emanò.
Vegeta si alzò in piedi senza esitare: “Io sono Vegeta, principe di tutti i Saiyan” rispose con fierezza e senza inchinarsi formalmente “Sei forse una divinità, Kitsu del pianeta Isuyo?”
Bulma si raddrizzò a sua volta, sperando con tutte le forze che lo strano essere non si fosse risentito per il contegno arrogante del principe. Avrebbe voluto tirargli una manata sulla testa per il tono che aveva usato! Fece un educato cenno di saluto.
“Lo sono e non lo sono” riverberò lui atarassico “Isuyo ed io siamo una cosa sola”.
“Perdonaci, Kitsu-sama” interloquì la ragazza rispettosamente “Se siamo venuti qui e ti abbiamo arrecato disturbo. Non era nostra intenzione. Il nostro mezzo di trasporto ha un problema e siamo rimasti bloccati dalla bufera di neve”.
Vegeta la guardò corrucciato, irritandosi per l’ossequio, che considerava eccessivo.
“Lo so” inviò lui alla loro mente “Qui non accade nulla che non sia richiesto. Ma il tempo, in cui ciò si realizza ed è concesso, è limitato”.
La ragazza rimase interdetta: “Che cosa intendi? Puoi forse aiutarci?”
“Lo sto già facendo, fanciulla della Terra” gioì la divinità.
“Allora cosa sarebbe questa nevicata fuori controllo?” sbottò il principe.
Lei lo fulminò con lo sguardo, ottenendo in cambio un’occhiataccia parimenti infuocata.
“E’ ciò che il tuo cuore ha chiesto, principe dei Saiyan”.
“Cosa?” squittì Bulma, guardandolo ad occhi spalancati.
“Io non ho chiesto proprio niente!” ribatté lui sdegnato “Stai mentendo!”
Kitsu rintoccò a terra con la punta del bastone e la bufera cessò di colpo. Li scrutò con quegli occhi adamantini e sorrise, mostrando i canini acuminati.
“Io non posso mentire, giovane guerriero. Siete stati voi a giungere qui con l’anima colma di desideri e dubbi, forse inconsapevoli; Isuyo li ha percepiti e vi ha concesso il suo, il mio aiuto. Ciò che accade, non sempre obbedisce alle nostre aspettative. Le vie per trovare ciò che si cerca non sono quelle che ci figuriamo”.
Vegeta spalancò gli occhi e ripensò ai due giorni antecedenti, iniziando a comprendere che cosa stesse dicendo il signore di quel luogo. Strinse i pugni, fremendo.
“Continuo a non seguirti…” ammise Bulma un po’ amareggiata.
La sabbia della clessidra sull’asta lignea continuava a scorrere lentamente e a splendere nell’oscurità. Il brillare dell’aura aranciata della creatura infondeva calma e fiducia.
“Quando sei scesa su questo pianeta” risuonò l’essere potente “Non desideravi forse qualcosa da mangiare per te e per il tuo compagno, che vi permettesse di sopravvivere e che aiutasse lui a ritemprarsi dalla ferita? Non hai pensato alla quiete come necessità?”
“Beh… sì…” ammise lei sorpresa.
“Isuyo ti ha donato la sua foresta e i suoi frutti ristoratori”.
Il principe la fissò con una malinconia infinita e colpevole nello sguardo, all’udire che lei lo aveva anteposto a tutto. Ancora una volta.
“E tu, guerriero, non sei forse giunto qui con il dolore nell’anima?”
Vegeta arretrò di un passo, sperando inutilmente che la divinità non continuasse.
“Non ti sei forse chiesto cosa avresti provato, se avessi scelto di sparire per sempre dalla vita di questa donna? Cosa avrebbe provato lei, nel non doverti mai più vedere? E, cosa, invece, sarebbe successo, se tu avessi deciso di restare?”
“C-come?” balbettò Bulma, con le lacrime che salivano rapidamente agli occhi.
Il principe distolse lo sguardo.
“Il gelo immane che hai sperimentato, che avete vissuto, è stato la risposta al tuo dubbio. Non l’unico, come sai. Isuyo non pecca di mancanza. Non hai desiderato disperatamente un riparo per lei, di salvarla con le tue sole forze per mostrarle che…”
“Basta!!” tuonò Vegeta furente “Se sai leggere tanto bene nella mente, di certo hai visto che voglio solo andarmene da qui!”
La creatura si fece da parte e indicò l’uscita, ormai sgombra dalla neve: “Non è mia intenzione trattenervi. Sono venuto per avvertirvi che il tempo a vostra disposizione è quasi concluso. Quando la sabbia di questo sundoke sarà esaurita, il pianeta collasserà e si rigenererà per accogliere a suo tempo nuovi visitatori. Perciò, affrettatevi”.
Il principe non se lo fece ripetere due volte e si diresse verso l’apertura. Poi si arrestò e rivolse ancora una domanda: “Perché non riesco a volare come al solito? È opera tua?”
“Perché, guerriero Saiyan” ondulò la creatura “Le difficoltà, le paure e i dubbi non si possono impunemente sorvolare”.
Lui uscì senza girarsi. Bulma lo seguì. Si fermò vicino alla divinità e si inchinò.
“Grazie, Kitsu-sama”.
“Neppure le tue lacrime passeranno in silenzio, fanciulla” mormorò questi, mentre lei si allontanava “La sabbia non è ancora consumata per un’ultima ragione. Fatti coraggio”.
 
La ragazza lo rincorse e lo raggiunse, afferrandolo per un gomito.
“Aspettami, Vegeta! Si può sapere che cos’è questa storia? Vuoi partire? Perché?”
Il principe si liberò con uno strattone, gli occhi neri carichi di rabbia, di orgoglio e di dolore puntati al cielo livido.
“Non sono affari tuoi!”
“Vegeta…” lo chiamò lei, la voce ridotta a un flebile fiato “Vuoi davvero andartene?”
Lui non rispose. Aveva già preso la sua decisione. Ancora prima che Kitsu si manifestasse.
Si fissarono, in mezzo ai cumuli di neve sollevata dal vento, sullo scenario cianotico che reggeva i due satelliti opalescenti, nella desolazione di un pianeta morente, che non aveva ancora finito di farsi garante risolutivo delle loro domande.
La terra sotto i loro piedi tremò con un boato agghiacciante. Una crepa profonda si aprì nella montagna, facendo franare le rocce e spaccando la superficie imbiancata. Le lune erano immense e sembravano dover precipitare da un momento all’altro. Un fulmine squarciò il firmamento e si abbatté a pochi passi da loro.
Vegeta espanse il ki: “Chiudi quella bocca, se vuoi tornare a casa!”
La prese per un braccio e la trascinò verso l’astronave, tentando di levarsi in volo con scarsi risultati. Le folgori continuavano a crollare dall’alto, schiantandosi fragorosamente al suolo, sollevando spruzzi di terra e pietre ad ogni impatto.
“Che altro c’è!? Non hai ancora finito, maledetto!?” imprecò lui.
“Non è il pianeta!” gridò la ragazza, tentando di sovrastare il caos “Siamo noi! Devi liberare la mente da tutti i desideri!”.
“Sto solo pensando a come salvare la pelle!” replicò lui furente “Non spiega questa tempesta di fulmini! O non è vero che questo dannato posto ci vuole aiutare!”.
L’aura di Vegeta raggiunse il picco. La ferita iniziò a bruciare, ma non sentì ancora il sangue sgorgare attraverso la fasciatura. Schivò i lampi implacabili con l’agilità di un ballerino, conducendo con sé la terrestre, trascinandola letteralmente attraverso il pandemonio circostante, verso la salvezza.
Bulma cercava di stare al passo, preoccupandosi di non rallentarlo, con il cuore in gola; ma l’unico fulmine che l’aveva già colpita a morte era la consapevolezza che lui stesse meditando di andarsene.
La capsula sferica comparve all’orizzonte, mente un’altra crepa devastava lo strato di crosta fredda, mostrando sul fondo della fenditura abissale flutti di magma incandescente, le scariche elettriche che zigzagavano, sibilando come frecce intorno a loro.
“E’ la terza volta che guardo lo stesso finale!” ruggì il principe, girandosi verso la tempesta di folgori “Comincia a stancarmi!”
Accelerò, a mezza via tra il volo e la corsa disperata, saltando attraverso le rocce che si rivoltavano come serpi in un nido.
“Vegeta!” gridò Bulma indicando l’astronave, ormai vicina.
Il principe respinse con un fascio energetico un fulmine e si girò, trasecolando: la spaccatura aveva raggiunto i sostegni del veicolo spaziale e ne aveva inghiottito uno, facendolo inclinare pericolosamente. In bilico sulla fossa ribollente, la capsula rischiava di precipitare nella lava e, sicuramente, in quella posizione non sarebbe riuscita mai a decollare.
“Vai!” le gridò “Accendi i motori al massimo, falla uscire da lì!”
“Non avrai intenzione di restare qui!”
“Se non si raddrizza, ci restiamo tutti e due!! Sbrigati!”
Le diede il tempo di arrampicarsi sulla scaletta penzolante e di rifugiarsi all’interno. Dissolse la barriera e si preparò a respingere le saette sfrigolanti, che minacciavano di colpirlo con sempre più frequenza. Una scarica particolarmente intensa lo sbatté a terra, stordendolo e investendolo con un’ondata di terra e schegge di pietra. Il principe si rialzò immediatamente, con le orecchie che fischiavano, scrollandosi, ed elevò ulteriormente il ki; la ferita riprese a sanguinare; l’astronave era sempre nella stessa posizione precaria.
“Muoviti, donna!” urlò.
Il veicolo, con i motori al massimo, rombava per liberarsi dalla prigionia micidiale, ma non si spostava di un centimetro. Bulma manovrava i comandi con la forza della disperazione: quelli del decollo, le leve per l’atterraggio, dava al computer l’ordine di far rientrare i supporti, ma non c’era niente da fare. Bloccò tutti i sistemi sulla funzione di ascesa verticale e si affacciò all’esterno, reggendosi come meglio poteva.
In mezzo alla tempesta elettrica, Vegeta schivava e respingeva i fulmini, muovendosi come un acrobata, rivestito della sfavillante energia azzurra che le aveva salvato la vita la notte precedente. Non poteva permettere che restasse lì in mezzo.
“Vegeta! Devi rientrare! L’astronave è bloccata, dobbiamo aspettare che la crepa si allarghi e decollare in verticale! Vieni immediatamente! Bisogna chiudere il portellone!”
“Che cosa!? Ma sei pazza? Se una di queste saette colpisce la capsula, saltiamo per aria! Riprova, vattene da lì!”
Gridavano l’uno all’altra, in mezzo al frastuono assordante, in balia della distruzione.
“Vegeta!!”
La terra tremò e si dimenò come una creatura marina, esalando vapori incandescenti. Una delle lune impattò con la superficie, spezzandosi a metà, scuotendo il pianeta nella sua interezza. L’astronave si inclinò quasi oltre il baricentro e Bulma scivolò fuori, urlando, aggrappandosi al portellone spalancato, con le gambe penzolanti sull’abisso infuocato.
“Maledizione!!” imprecò il principe, raccogliendo tutte le energie residue, concentrandole nella mente e nel corpo, cercando di non farsi abbattere al suolo.
Il suo ki esplose con una potenza immane, bloccando i lampi mortali, tenendolo in equilibrio perfetto con la potenza della devastazione. Non poteva fare nulla per lei. Se fosse volato in suo soccorso, le saette avrebbero distrutto la loro unica possibilità di salvezza. Se fosse rimasto fermo, lei sarebbe caduta nel baratro.
Rabbia. Profonda e desolante. La totale impotenza lo rendeva furibondo. L’aura si allargò a dismisura, facendolo vibrare in tutte le fibre più intime.
Dolore. Intenso e incessante. La ferita si lacerò e un getto caldo di sangue gli scese copioso lungo il fianco; l’anima venne dilaniata a sua volta dal pensiero di lei e una luce intensa si fece strada nel suo io. L’energia azzurra si schiarì, diventando abbagliante.
Tristezza. Devastante e radicata. Se l’avesse persa per sempre, se lo avesse permesso, se…mai!!
Non per me. Per lei.
“Bulma!!”
Qualcosa di possente fuoriuscì dal suo corpo, insieme con il grido che eruppe dalle sue labbra. Il ki si sollevò come uno tsunami ed assunse il colore dell’oro fuso. Sentì i capelli che si raddrizzavano, li sentì ondeggiare nella furia, ma non li vide diventare biondi e splendenti. Gli occhi, verdi come il mare, erano su di lei, lei sola, pregando che riuscisse a resistere.  
Final flash. Lo pensò soltanto e diventò un’onda portentosa.
Successe in un attimo. Vegeta respinse le folgori con la stessa determinazione con cui si abbattevano e guadagnò un granello infinitesimale di tempo. Volò con fatica incommensurabile verso la capsula, lo squarcio nel fianco che sprizzava come una sorgente, ed afferrò la ragazza per un braccio, scaraventandola all’interno del veicolo.
“Vai!!!” ordinò.
Appoggiò le mani sulla superficie tondeggiante e fece leva con uno sforzo sovrumano, che lo esaurì definitivamente. La capsula si raddrizzò e si mosse, libera da costrizioni. Il principe si fiondò all’entrata, tirandosi dietro il portellone e chiudendolo con uno schianto. Stramazzò sul pavimento, stremato, in un lago di sangue, col respiro spezzato, mentre Bulma faceva decollare l’astronave in verticale, alla massima velocità.
Il veicolo rispose, barcollando e scricchiolando, portandoli finalmente fuori da quell’inferno, mentre la crosta del corpo celeste si crepava come un guscio d’uovo, eiettandosi all’esterno in una deflagrazione immane. Prima che tutto annegasse nella luce, che la distruzione ultima fosse troppo distante per essere seguita da occhi umani, la ragazza fu certa di cogliere, al di sotto della scorza rocciosa, una superficie di puro cristallo color arancio.
 
“Vegeta!” gridava lei, riparandosi dalla luce dorata riflessa sul suo viso, tamponandogli a tratti il sangue che usciva a fiotti, tenendolo fermo a terra, mentre lui si contorceva dal dolore, la vista annebbiata dallo sforzo e dalla mancanza d’ossigeno.
“Vegeta, siamo al sicuro! Fai rientrare il ki, non riesco ad avvicinarmi!”
Il principe si rese conto di essere ancora in emissione incontrollata e richiamò l’energia spirituale, riprendendo un po’ di fiato e un po’ di consapevolezza. La luce si estinse.
Gli occhi turchesi di Bulma erano pieni di lacrime, mentre premeva convulsamente sulla sua ferita e gli versava dell’acqua fredda sul volto, per farlo riavere.
“Io… io non…” tossì lui, piegato dalla spossatezza e dalla grave emorragia.
Le afferrò la mano, scosso dalle convulsioni, mentre percepiva la vita scivolare via. Lei la strinse e si abbassò su di lui, accarezzandogli il viso cereo e tirato.
“Tu sei…” mormorò sfiorandolo con un bacio “…un super Saiyan!”
   
 
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