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Autore: Urban BlackWolf    03/04/2018    3 recensioni
Può un falco forzare se stesso e rallentare per mettere in discussione le scelte fatte nonostante la sua natura lo costringa alla velocità, alla determinazione nel raggiungimento dell’obbiettivo di una vendetta?
E può una gru riuscire a proteggere con l’amore e la cieca fedeltà tutto ciò nel quale crede fermamente?
Possono due esseri tanto diversi fondersi in uno per tentare di abbattere le barriere che li separano pur solcando lo stesso cielo?
Ungheria 1950: Michiru, figlia della ricca e storica Buda, dove tutto è cultura e tradizione, lacerata tra il dovere ed il volere, dalla parte opposta di un Danubio che scorre lento e svogliato, Haruka figlia di Pest, che guarda al futuro correndo tra i vicoli dei distretti operai delle fabbriche che l’hanno vista crescere forte ed orgogliosa.
Una serie di eventi le porteranno ad incontrarsi, a piacersi, ad amarsi per poi perdersi e ritrovarsi nuovamente, a fronteggiarsi e forse anche a cambiare se stesse.
Genere: Romantico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le Gru della Manciuria

 

 

I personaggi di Haruka Tenoh, Michiru Kaioh, Usagi Tzukino e Minako Aino apparsi in questo capitolo appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Capitolo VIII

 

 

Un’ala spezzata

Buda – Distretto I, Sede della BME

 

 

 

Il cielo si era andato annuvolandosi già nel corso della prima mattina e verso l’ora di pranzo le prime gocce di una pioggia gelata avevano iniziato a cadere bagnando lentamente tutto il piccolo parco che accoglieva le sedi dell’università pubblica. Seduta su una delle panchine di pietra protette dal portico che mettevano in comunicazione la sede di Economia da quella di Ingegneria, Michiru si sporse in avanti posando entrambi i gomiti sulle cosce ormai intirizzite. Si era resa conto del tempo che aveva trascorso li seduta, solamente grazie all’orologio della torre che svettava sopra l’aula magna. Le dieci. Le undici. L’ora del pranzo e quelle successive. Sapeva di stare sprecando ore di studio, così come sapeva che il suo stare ferma ad oziare, prima con un testo completamente ignorato tra le mani, poi con lo sguardo apaticamente perso nel vuoto, stava dando adito alle sue compagne di corso di tirarsi gomitate e scambi d’occhiate su chissà quale rottura amorosa o bidone tiratole. Non le importava. Così come non aveva mai badato ai pettegolezzi, ora men che mai le interessava esserne l’involontario soggetto. Aveva cose ben più serie alle quali pensare.

Quello che il Generale Aino le aveva rivelato l’aveva stravolta. Non si sarebbe mai immaginata che tra i componenti della voce di Buda si potesse annidare una serpe. E uno di loro tre poi. Appoggiando il mento nell’incavo delle mani puntò lo sguardo ai cespugli bagnati davanti a lei, oltre il portico. Cercando di riflettere riguardò con gli occhi della mente gli scatti rubati ai suoi compagni che le erano stati mostrati.

Il primo riguardava Anna Indry, una dei fondatori del gruppo. Ragazza docile, quasi apatica e per questo insospettabile, anche se la foto che la ritraeva seduta al tavolo di un caffè con il figlio di un gerarca russo, non deponeva certo a suo favore.

Non si possono incolpare i figli per le azioni dei padri, si disse puntando al secondo indiziato; Lukàs Körkh.

“No, Lukàs no!” Se lo rivedeva la, in quel parco, mentre inseguiti dalla polizia la guardava terrorizzato nell’attesa di un comando sa eseguire.

Ma per quanto volesse negare l’evidenza dell’immagine in bianco e nero che lo vedeva uscire guardingo da una delle porte secondarie della casa della giustizia, era abbastanza difficile provare a non pensar male.

In ultima istanza c’era lui; Hairàm Ferhèr! Scuotendo la testa tornò ad alzare la schiena ispirando copiosamente l’aria carica dell’odore della prima neve in arrivo. “Hairàm… Come posso credere sia lui?! E’ solo merito suo se siamo arrivati ad organizzare il lancio dei volantini durante la gara di corsa. Se non si fosse offerto Adam sarebbe andato lui su quel tetto a gettarli sulla folla. No… In tutto questo ci deve essere qualcosa di sbagliato.”

Ma ancor prima che Michiru entrasse nella voce di Buda il suo leader aveva preso a frequentare senza apparente motivo una sorta di piano bar dove gli avventori erano quasi esclusivamente militari e questo, unito alla latitanza che aveva iniziato a manifestando già da un pò nei riguardi del gruppo, aveva insospettito a tal punto Minako da segnalarlo come persona fortemente sospetta.

Si fidava di tutti e tre e per tutti e tre avrebbe messo la mano destra sul fuoco. Ora dopo le rivelazioni fatte dal Generale Aino, Michiru stava comprendendo come, se pur dotata di un forte intuito ed un carattere abbastanza diffidente, la strada per una corretta comprensione dell’animo umano fosse per lei ancora lunghissima.

“Che sguardo triste e pensieroso che abbiamo oggi.”

Squadrando Usagi da capo a piedi, la ragazza più grande si domandò del perché bazzicasse sempre la BME nonostante i pagellini del primo quadrimestre stessero per chiudersi e le interrogazioni negli istituti liceali fossero in pieno fermento.

“Usa, ma tu non dovresti essere a scuola a studiare? Capisco che ti intrighino sedi interessanti come questa, ma se non passi gli esami di fine anno sarà molto difficile che un giorno tu possa entrarvi.”

Gonfiando le guance la ragazzina le si sedette accanto lasciandosi andare ad un lamento prolungato. “Michiruuuu… Non infierire! Ci pensa già Mina a questo!”

“Tesoro mio, c’è poco da inferire. E’ o non è la verità?” Disse sorridendole. Quella biondina aveva il potere di metterla a suo estremo agio o di tenderle i nervi da morire. A seconda del caso.

Notando la pettinatura estremamente curata che quel giorno aveva deciso di portare, Michiru le domandò del perché avesse scelto di togliere i due bon bon che le aveva sempre visto ai lati della testa. Sorpresa per la domanda l’altra si portò istintivamente una mano alla tempia storcendo imbarazzata la bocca.

“Bè, diciamo che…”

Ma di un po’… ti sei vista?! Ricordò le parole del bel moro totalmente vestito di scuro e ancora furente per l’affronto accese lo sguardo di fiera sicurezza.

“Diciamo che pettinata così sembro più grande.”

“A… capisco. Peccato sai? Davano allegria quei due odango.”

“Odango?” Chiese incuriosita.

“In Giappone è un particolare tipo d'acconciatura usata da molte ragazze, soprattutto liceali, che ricorda le polpette di farina di riso e tofu. Pensavo lo sapessi.”

“In realtà no. La uso perché mi piace. - Confessò massaggiandosi la testa cercando una divagazione. - E a te Michiru… manca il Giappone?”

Tornando a guardare le pozzanghere poco distanti l’altra sospirò leggermente. “Moltissimo. I colori, i sapori, le tradizioni. Il mare.”

“Il mare! Come vorrei vederlo un giorno! Dicono che a guardarlo ci si senta piccolissimi ed indifesi, soprattutto quando ruggisce agitato.”

“A me ha sempre dato solo forza e calore.” Ammise sentendosi fissata.

Con un colpo di tosse Michiru le chiese se avesse pranzato e al diniego si alzò porgendole la destra per invitarla in qualche caffè. “Sta spiovendo. Approfittiamone.” E al vederla toccarsi impulsivamente la tasca del cappotto comprese rassicurandola che sarebbe stata sua ospite.

Entusiasta Usagi saltò in piedi accettando e senza dover neanche aprire gli ombrelli, iniziarono ad incamminarsi verso il Danubio. Non poteva certo ammetterlo con la ragazzina, ma aveva una voglia matta di vedere il Ponte della Libertà, perché le ricordava lei ed ogni volta che si ritrovava a passargli accanto, sentiva riaccendersi la speranza mai sopita che un giorno l’avrebbe rivista.

Camminando lentamente fianco a fianco si ritrovarono inesorabilmente a parlare della notizia shock che il Generale Aino aveva dato ad una Kaioh ancora in piena fase confusionale.

“Non riesco ad accettare che uno di noi possa collaborare con la polizia segreta. Da quanto tempo lo sapete?”

“Di Hairàm da parecchio. Quasi un anno. Degli altri due… Un poco prima che tu entrassi nel gruppo…”

“Tuo padre mi ha confessato che avete fatto indagini anche su di me.”

“Naturalmente, ma si sono limitate a qualche appostamento nei pressi dei luoghi che frequenti maggiormente. Casa, sede, un paio di amiche. Devo ammettere Michi che prima della tua entrata nella voce di Buda la tua vita era abbastanza monotona.” Se ne uscì portandosi quasi nell’immediato una mano alla bocca.

Mortificata per la gaffe le chiese scusa iniziando a giocherellare con i capelli.

“Bè Usa... non ti manca certo la schiettezza.” Disse l’altra trattenendosi dal sorriderle perché un po’ voleva vendicarsi. Arrivava certo a capire perché lo avessero fatto, ma non le faceva piacere l’esser giudicata come una ragazza noiosa.

“Perdonami Kaioh. Faresti la felicità di ogni genitore, soprattutto del mio che mal sopporta quando sto troppo tempo fuori casa.” Così trasformandosi in una salamandra su uno specchio Usagi riuscì finalmente a strapparle il bel sorriso che stava celando.

“Diciamo che accetto questa tua sviolinata, ma per ripagarmi di un tale affronto la prossima volta sarai tu ad offrire.” Disse toccandole con un dito la punta del naso.

Arrivate all’incrocio che dava sul ponte videro un capannello di gente parlottare davanti ad uno sbarramento di transenne, una vettura dei corpo dei pompieri ed un paio di macchine della polizia urbana.

“Cosa sarà successo?!” Usagi attraversò rapidamente per chiedere.

Rimasta indietro Michiru la raggiunse dopo qualche secondo rimanendo di sasso alla notizia che una delle due stratue raffiguranti i Turul che vegliavano Pest, era improvvisamente franata al suolo abbattuta da uno dei pochi fulmini caduti durante la pioggia della mattina.

“Hanno dovuto chiudere il ponte e non sanno quando sarà nuovamente agibile.”

La voce della biondina le arrivò come un eco lontano. Michiru si fece largo tra la folla proprio in tempo per vedere l’enorme falco di bronzo dall’ala ormai spezzata mentre veniva issato sul retro del camion dei pompieri da quattro uomini.

“Kaioh che c’è?” Cercando di attirare la sua attenzione la vide rabbrividire.

Ho la brutta sensazione che le sia accaduto qualcosa pensò mentre il viso di Haruka si accavallava prepotente a quella del Turul caduto.

 

 

Sfiorarsi

Pest – Distretto VI, Casa Tenoh.

 

Socchiudendo gli occhi Johanna si accorse di aver sviluppato una specie di ipersensibilità ai primi raggi solari che stavano iniziando a filtrare dalle nuvole ancora minacciose. Li sentiva bruciare e non riusciva a tenerli aperti a dovere. Tutti avrebbero scambiato quel rossore per pianto, ma solo lei conosceva la reale causa di quel fastidio. Il fumo sprigionato dalle candele e dall’incensiere durante la funzione religiosa, la terra del Campo Santo spazzata dal vento prima del temporale e quella particolare luce ormai bassa sui tetti.

Aveva tenuto la dignità che ormai il suo nuovo ruolo di capo famiglia le imponeva non versando neanche una lacrima, fiera, dritta sul sagrato della chiesa, destra protesa all’accoglienza d'infinite condoglianze, svuotata di tutto, ma consapevole che se avesse mollato lei, Haruka le sarebbe venuta dietro. Cosa che non poteva permettere.

Mascella serrata e occhiali da sole calati sul naso, la bionda era rimasta composta e calma fino all’ultimo saluto, quando al veder calare la cassa del padre nella fossa, si era voltata di scatto sussurrandole una frase senza senso. "Apa avrà freddo. Jo fai qualcosa!”

Per Johanna quelle parole erano state peggio di una stilettata e c'era voluta tutta la forza del mondo per non crollare davanti a tutti.

“Fai qualcosa… dannazione!” Aveva ripetuto Haruka quasi urlando e anche con l’aiuto di Scada che l'aveva abbracciata stretta, era riuscita ad allontanarla prima che alle parole si fosse giunti a qualcosa di peggio.

Era per questo, per la sua Ruka, per pudore e per un lato del suo carattere che francamente neanche lei comprendeva fino in fondo, che dalla notizia della morte del padre alla fine della tumulazione, gli occhi di Johanna Tenoh erano rimasti asciutti.

Chiudendo lo sportello della macchina la ragazza si voltò verso i coniugi Erőskar lieta di averli avuti sempre accanto. Erano stati stupendi. Dalla richiesta della restituzione del corpo di Jànos all’organizzazione del funerale, si erano comportati come veri e propri membri della famiglia, come zii distrutti dal dolore che tra un singulto e l’altro avevano comunque cercato di essere forti per quelle due ragazze viste crescere davanti alle finestre della loro casa ed ora rimaste senza il loro apa. Non erano mai state lasciate sole. Scada era con loro quando la mattina presto del giorno precedente un telegramma di una freddezza sconvolgente le aveva avvertite che la polizia penitenziaria della casa della giustizia è spiacente d'informarvi che la scorsa notte il congiunto Jànos Tenoh è spirato per arresto cardiocircolatorio. Il corpo verrà restituito alla famiglia dopo apposita richiesta. E poi era seguita una giornata assurda dove alla notizia della scomparsa del Presidente della CAP, un tam tam per tutte le fabbriche di Budapest aveva via vai riempito di gente il loro soggiorno fino a tarda sera. Era stata Mirka a badare agli ospiti, per lo più sconosciuti, che come da tradizione si erano presentati per manifestare alla famiglia il loro profondo rincrescimento. Ma ora che tutta la frenesia delle ore successive ad una perdita tanto importante era finita, sarebbero arrivati i giorni difficili. C'erano già passate alla morte della madre, ma questa volta erano adulte e Jànos non sarebbe stato li con loro per consolarle. Il timore di Johanna era quello che non sarebbe stata in grado di aiutare la sorella quando quest’ultima sarebbe crollata. Haruka era gelosa e pudica delle sue fragilità e mal tollerava da se stessa cedimenti più o meno decisi.

“Ragazze perché non venite a cena da noi questa sera?” Chiese Mirka accogliendo il sorriso forzato della bionda che scuotendo la testa aprì il cancelletto di casa per dirigersi a spalle incurvate verso i gradini.

“Grazie, ma siamo stanche. Magari domani.” Intervenne la maggiore salutandoli.

“Johanna... per qualunque cosa siamo qui.”

"Lo so Scada. Senza di voi sarebbe stato impossibile. Per… la CAP?”

“Non è il momento. Pensa ad Haruka. Accuserà il colpo prima o poi. E anche tu; in gamba mi raccomando!”

Abbracciando entrambi Jo seguì i passi della sorella fino a richiudersi l’anta del portone di casa dietro la schiena.

La minore era li, ferma tra l’ingresso e la porta della camera da pranzo con ancora il cappotto nero calzato addosso. Le mani abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo alla foto di loro quattro tornata sul muro al lato delle scale. Andandole accanto iniziò semplicemente a toglierle la sciarpa ed il cappotto, allentandole la cravatta nera toccando poi il primo bottone della camicia bianca.

“Devo ammettere Ruka, che sei molto fascinosa in abiti maschili. Un paio di ragazze non la smettevano di fissarti. - Cercò di sdrammatizzare abbandonando il soprabito sul corrimano. - E nonostante avessi gli occhi di tutti puntati contro non hai ceduto. Sono molto fiera sai?”

“Si che l’ho fatto…” Intendeva durante la tumulazione, ma l’altra fece finta di niente iniziando a sbottonarle i gemelli.

“Senti perché non vai a farti un bagno caldo e poi ti riposi un po’ prima di cena? Mirka ci ha riempito la cucina di cibo. Dovremmo pur onorare la sua gentilezza, no?”

“Siamo rimaste sole…”

“Si tesoro…”

Continuando a non staccare gli occhi dallo scatto, la bionda manifestò la necessità di andare a correre.

“Scusami?”

“Devo muovermi. Mi sento soffocare.” E come rianimata scattò al piano superiore.

“Haruka non dire fesserie! Sei esausta! Dove vuoi andare!?”

Ma come al solito l’irruenza della sorella non fece che spingerla in avanti e meno di dieci minuti dopo era in strada in una corsa disperata verso il Danubio.

 

 

Con un rapido movimento della forchetta Usagi si portò l’ennesimo pezzo di torta alle labbra trangugiandola avidamente. Michiru seduta al tavolino della graziosa te room di un caffè proprio accanto al fiume, alzando le sopracciglia stupita se la guardò domandandosi quanto dolce quello scricciolo sarebbe riuscito ancora ad ingurgitare prima di esplodere come un passerotto ingordo.

“Nulla da dire Aino… Avevi proprio una gran fame.”

Si erano accomodate a quel tavolino in un orario indecente. Nonostante la chiusura momentanea del ponte della Libertà, Michiru aveva voluto ugualmente condurre Usagi lungo la strada dei bistrot del sesto distretto che in genere frequentava con i suoi amici. Troppo forte il senso di disagio che il vedere la statua caduta del Turul le aveva lasciato addosso. La ragazzina non aveva capito il perché di così tanta ostinazione nel volerla portare a consumare un semplice dolce proprio li, ma per la più grande era stata una necessità accarezzare nuovamente le prospettive scorte il giorno che per la prima volta aveva visto lei. Naturalmente non l’aveva trovata ed ora che la pioggia aveva ripreso a scendere con una certa insistenza, si sentiva responsabile per tutto il freddo che la più piccola avrebbe preso nel tragitto di ritorno verso casa.

Guardando il vetro davanti a loro martellato di gocce sospirò finendo di bere il suo te. “Sarà meglio che chiami il signor Takaoka. A quest’ora potrebbe essere ancora a casa.”

Ingoiando l’altra alzò le spalle staccando un altro spicchio di glassa. “Ti ringrazio, ma non c’è ne bisogno Kaioh. Non mi spaventano quattro gocce d’acqua.”

Un lampo e Michiru si alzò decisa. “Non se ne parla. Faccio subito.” Le disse dirigendosi verso l’entrata dove sapeva dell’esistenza di un telefono pubblico.

Fece abbastanza rapidamente. Sollevata per aver trovato l’uomo tornò da Usagi che catturata dall’ennesimo lampo, si era soffermata a guardare oltre il vetro un ragazzetto mezzo scemo fare jogging sotto la pioggia battente.

“Guarda la giù Michi. Quello domani ha la polmonite.” Disse indicandole un punto a qualche decina di metri dalla parte opposta della carreggiata.

Anche se lontana e girata di spalle la riconobbe immediatamente.

Incurvata sulle ginocchia con la canottiera ed i pantaloncini appiccicati ad un corpo tremante dal freddo e dalla spossatezza, i capelli completamente inzuppati e piccole nuvole di vapore ad uscirle da una bocca semiaperta, Haruka non udì quando precipitatasi sulla porta del locale Michiru urlò il suo nome con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Il boato di un tuono a seguito di un fulmine caduto nel fiume poco distante, ebbe il potere di sovrastare tutto. Tornando eretta la bionda riprese quel suo personalissimo delirio affondando il passo tra pozzanghere e rivoli d’acqua.

“Haruka!” Chiamò ancora, ma questa volta con voce sofferta, perché la bionda era già stata ingoiata dal primo ammanto serale.

Quando un’ora più tardi Tenoh rientrò a casa non si reggeva in piedi. Johanna se la guardò attonita starsene sgocciolante sull’uscio di casa come se provasse timore ad entrare. Le labbra livide e i muscoli squassati dal tremore. Masticando un’imprecazione la maggiore le afferrò un polso strattonandola dentro.

“Tu sei completamente fuori di testa!”

“Non urlare.” Sbiascicò cercando di arrivare al corrimano sentendosi afferrata per la vita.

“Io urlo e te le suono anche! Prendersi un malanno non cancellerà la giornata!”

“Lo so!” Allontanandola con una spinta riuscì ad arrivare in cima alle scale.

“Haruka…”

Ma l'altra la bloccò con un gesto secco. “Jo, sto bene d’accordo?! Ora vado a farmi un bagno. Stai serena.”

Stai serena, era una di quelle frasi che alle volte le uscivano fuori senza preavviso e che avevano il potere di far saltare alla sorella la vena del collo. Ma quello non era certo il momento piu' adatto per dar vita ad una discussione e guardandola entrare in bagno Jo attese impaziente mani sui fianchi e sguardo torvo il primo scroscio d’acqua per poi dirigersi in cucina vogliosa di un bicchiere di vino.

Nonostante i piatti appetitosi amorevolmente lasciati in bella vista da Mirka, nessuna delle due riuscì a mangiare. Jo rimase accoccolata nella poltrona del padre ad aspettare Haruka sprofondando lentamente nel sonno ridestandosi solo a tarda notte, mentre fuori la temperatura era scesa a tal punto da trasformare la pioggia in nevischio. Sparpagliando le ultime braci nel camino, la ragazza salì le scale sentendosi dannatamente sola e quando aprendo la porta della loro stanza la trovò vuota, guardò desolata quella del padre sapendo che l’avrebbe trovata li. Come lei, anche la bionda voleva sentirlo vicino.

Avvolta nella trapunta, il piccolo Turul di casa Tenoh si era addormentato sfinito stringendo a se il cuscino di Jànos. Sulle guance l’inequivocabile segno di un pianto disperato.

Silenziosamente e con il cuore stretto in una morsa, Jo s'infilò in quello che era stato il lato della madre e stringendo le spalle della sua Ruka tornò a cedere al sonno.

 

 

Un’idea chiamata vendetta

Pest – Distretto VI, Casa Tenoh.

 

Erano passati giorni nei quali tutto sembrava essersi fermato in un limbo innaturale. Senza Jànos era venuta a mancare quella quotidianità fatta dall’andare tutti insieme verso il posto di lavoro, mangiare a mensa, ascoltarlo canticchiare la sera dietro qualche melodia radiofonica e… parlare. La mattina dopo il funerale, risvegliandosi tra le braccia di Johanna, Haruka aveva rotto nuovamente gli argini, ma una volta terminato quel naturale sfogo l’aveva guardata affermando sulle anime dei loro genitori, che quella cosa finita li. Non avrebbe mai più versato una sola lacrima in vita sua.

In un primo momento ed in tutta onestà, la maggiore aveva pensato che fosse una frase di circostanza, lanciata come paravento alla vergogna di quell’improvvisa fragilità, ma da quel preciso istante una nuova luce era scesa nelle iridi della sorella, una luce fredda che non le aveva mai visto. Da quella sorta di stentoreo giuramento, ogni volta che la bionda si soffermava un istante come colpita da un ricordo, quella luce riemergeva rafforzandosi. Le sere a cena, quando nel preparare la tavola ancora portava a tavola per tre. Le mattine uscendo dalla loro stanza, quando fermandosi davanti alla porta del bagno, soprappensiero si ostinava a bussarci sopra. Quando prima di evadere da una casa ormai troppo vuota per fare lunghe passeggiate senza una meta, si trovava a fissare il berretto di Jànos ancora appeso al muro dell’ingresso.

Anche il loro rapporto stava risentendo di quel drastico cambio di vita e invece di unirle le stava dividendo. Due caratteri tanto indipendenti facevano fatica a fondersi nel dolore.

La CAP era stata presa dalla Kaioh, i cancelli chiusi e tutti gli operai, loro incluse, mandati a casa. Il sogno era finito ed ora dovevano rimboccarsi le maniche ed andare avanti. Così Johanna aveva iniziato a cercarsi un lavoro e con Scada avevano preso a bussare a tutte le fabbriche di Pest, ma Haruka no. Pur dotata di uno spirito d’iniziativa invidiabile, non aveva ancora accettato la cosa. La si vedeva starsene davanti alla cancellata chiusa dell’acciaieria con le mani nelle tasche, randagia, oppure in bar poco raccomandabili, provare a cancellare con l’alcol lo squarcio che aveva dentro il petto e che le impediva di tornare a volare.

“Non so proprio come aiutarla, Scada.” Aveva vomitato la maggiore ormai spinta con le spalle al muro da una bionda con una testa più dura del granito.

“Devi portare pazienza Johanna. Vedi, io credo che ancora debba elaborare il lutto e non mi riferisco solo a Jànos, ma anche alla perdita di tutto il suo mondo. Prova a pensarci; in definitiva tua sorella è cresciuta senza madre e non appena è stata sufficientemente grande da bazzicare per le acciaierie, ha preso quel mondo come il fulcro della sua esistenza. La Cooperativa era una grande famiglia e lei li aveva trovato una sua dimensione.”

“Deve riprendere a studiare!”

“Potrebbe essere una buona medicina.”

Così giunta l’ennesima sera senza averla vista per tutto il santo giorno e spinta dal ruolo di sorella maggiore che in quel momento tanto le andava stretto, Johanna l’aspettò seduta sul divano pregando di riuscire a trovare le parole giuste per spronarla. Haruka tornò tardissimo. Rinchiusa nel suo cappotto scuro entrò in casa seguita da una folata di vento gelido e fermandosi sulla porta della sala da pranzo, guardò la maggiore togliendosi il berretto. Non aveva voglia di parlare, di ascoltare o mangiare il solito boccone che l’altra la forzava ad ingoiare per tenersi in piedi.

“Dove sei stata?”

Si sentì chiedere stupendosi di un timbro tanto tranquillo. Conoscendo Johanna sapeva che prima o poi sarebbe tornata a romperle l’anima.

“In giro.” E sperò bastasse per tacitarla almeno per un po’.

“Haruka dobbiamo parlare.” No, non era bastato.

Soffiando scocciata l'altra posò il cappotto sul gancio dell’attaccapanni a muro entrando nella stanza. Andando verso il tavolo estrasse una sedia e sedendovi comodamente la guardò incrociando le braccia al petto. Il tutto con semplice noncuranza.

“Dimmi.” E questa apparente freddezza spiazzò Johanna a tal punto da disorientarla.

“Vorrei dirti tante cose, ma francamente non so da dove iniziare.”

“Lascia che ti aiuti io sorella. Dunque, vorresti dirmi di evitare di andarmene in giro tutto il giorno a non far nulla di costruttivo. Di farla finita di piangermi addosso davanti ai cancelli della CAP. Muori dalla voglia di sapere in quale bettola mi cacci tutte le sere o a chi mi accompagni seduta al bancone dei bar di mezzo distretto. Vorresti chiedermi di riprendere a mangiare di più, perché sto dimagrendo troppo e così non va. Di stare attenta quando cammino per strade poco frequentate, perché sono una donna che calza abiti maschili e a qualcuno questo non piace. Vorresti dirmi di trovarmi un lavoro, che siamo alla canna del gas e tu devi pensare a preparare gli ultimi esami. - La guardò stirando maggiormente le labbra convinta di aver colto nel segno, capendo intimamente che quelle parole erano dirette più alla sua coscienza che alla sorella. - Giusto Johanna? E’ questo che volevi dirmi? Bene, adesso che ci siamo chiarite possiamo anche andare a dormire.”

Guardandola rimettere la sedia al suo posto Jo aggrottò la fronte. Possibile che quel pezzo di ghiaccio fosse realmente la sua Ruka?

“Sai sempre tutto eh?! La meravigliosa ed indomita Haruka Tenoh sa sempre tutto, prevede tutto e risolve tutto! - Si alzò lentamente scuotendo la testa. - E’ ovvio che vorrei sapere dove vai a sbatterti tutte le stramaledette sere sentendo quanto puzzi d’alcol quando torni a casa. Com’è vero che non mi piace vederti giù e si, avrei piacere che non andassi in giro vestita così dopo che quel poliziotto si è permesso di metterti le mani addosso giudicandoti per le tue tendenze. Ho il sacrosanto terrore che tu possa venire arrestata per questo e non è giusto, perché dovresti essere libera di vivere come vuoi la tua esistenza. Ma le case di correzione sono piene di persone come te! Ho paura e non puoi farmene una colpa, perché hanno massacrato di botte nostro padre e non posso neanche pensare che potrebbe accaderti una cosa simile ed ammetto di essere come nostra madre quando ti pungolava perché da piccola eri tutt'ossa e non mangiavi mai a sufficienza, ma arrivare a dirmi che dovresti lavorare per mantenermi fino alla laurea è troppo anche per una saccente zucca vuota come te!”

Stringendo i pugni fino al tremore cercò di controllarsi. “Oggi ho trovato lavoro… presso una fabbrica di scarpe del settimo distretto. La paga non è il massimo, ma basterà… Per entrambe. Volevo solo dirtelo e chiederti di tornare a studiare. Hai una borsa di studio. Non puoi permetterti di perderla.”

Vinta e dispiaciuta le passò accanto uscendo dalla stanza. “Se hai fame la cena è nel forno. Buona notte.”

La casa tornò silenziosa. Haruka restò in piedi per lungo tempo. Nella testa un mare di pensieri e nel cuore una pesantezza senza pari. La borsa di studio. Se l’era proprio dimenticata e si che dopo averla vinta, per giorni era andata tanto fiera di quel risultato. Come sembrava tutto lontano e privo di sostanza ora. Guardando l’incandescenza delle braci del camino avvertì nel petto montare la rabbia. Avvicinandosi si sedette sul pavimento a gambe incrociate perdendosi nel lieve respiro del carbone vivo. Pulsava come il suo cuore. Ardeva come la sua collera verso colui che aveva strappato a lei e a Johanna tutto. Se quel cane di Alexander Kaioh non avesse ingannato suo padre, tutto sarebbe rimasto saldo. Jànos non sarebbe morto e loro avrebbero ancora il capo chiave della loro famiglia. Il loro apa. Robusto e saggio. Fiero e cordiale. Onesto e leale. La CAP avrebbe continuato ad esistere e vien da se che nessun operaio avrebbe perso un posto di lavoro. Lei avrebbe iniziato l’università e la sorella finito il suo ciclo di studi. Haruka Tenoh sarebbe rimasta la guascona bionda di sempre, invece di evolversi in un Turul vagabondo fuori controllo in un cielo solitario.

Vi porterò via con me se sarà necessario, ma avrò la mia vendetta. Per mio padre. Per mia sorella. Per la CAP… e per me pensò stringendo le mani poggiandovi il mento in un muto sodalizio con se stessa.

Non si coricò. Non dormì affatto. All’alba di una giornata livida lasciò un biglietto accanto alla colazione preparata per Johanna rassicurandola che avrebbe fatto ritorno la sera ed uscì di casa diretta alla periferia orientale e da li, con l’ausilio di una vecchia corriera, viaggiando per circa un’ora oltre i sobborghi cittadini, le frazioni dormitorio e le vecchie fattorie abbandonate, arrivò nei pressi di un gruppo di case, in aperta campagna.

Toccando con la suola degli scarponcini l’asfalto mezzo mangiato di quella strada sperduta, inalò ossigeno facendo un gesto al conducente che richiudendo la porta ripartì abbandonandola in quel posto deprimente. La campagna era incolta ed ormai dormiente. Tutto intorno solo il verde dell’erba alta, alberi ormai spogli, il grigiore del cielo e lontano, dopo una strada sterrata, alcune piccole strutture. Capanne più che vere e proprie abitazioni.

Lui viveva li. Lei lo sapeva. L’unico che avrebbe potuto aiutarla nell’avvio della sua missione. La vendetta alla qualessa li a breve si sarebbe votata e che andava suggellata con un rito di passaggio antico come il mondo magiaro al quale lui ancora apparteneva.

 

 

 

NOTE: Ciau. E si inizia con la seconda parte di questa ff; quella della vendetta di Haruka e del suo avvicinarsi a Michiru. Non manca molto prima che le loro vite si fondano e come si può intuire, la loro storia non sarà facile. Conosciamo tutti il carattere indomito di Tenoh ed anche in questa storia, come nell’originale, una volta scelta la sua missione cercherà di portarla a termine in tutti i modi, leciti o meno.

Chi sarà la persona preposta ad incoraggiarla e sostenerla in questo suo delirante viaggio verso Alexander Kaioh? E qualcuno riuscirà a fermarla?

Batterò molto il così detto “ferro” su questo tema, molto di più che sulla fantomatica talpa della voce di Buda, perché ritengo sia più interessante e rappresenti la chiave di volta di tutta la storia.

Spero di far bene. A prestissimo!!!

 

 

 

 

 

   
 
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