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Autore: Enchalott    04/04/2018    4 recensioni
Vegeta la fissò, socchiudendo gli occhi, quasi ammirato dalla sua testardaggine, che tuttavia aveva superato la misura concessa. Lei era incosciente tanto quanto lui, ma non aveva le sue stesse doti fisiche, gli stessi incredibili poteri nel ki. Perché, allora? Perché non era terrorizzata?
“Detesto ripetermi” le disse, spostandosi lentamente nella sua direzione. La guardò come se fosse una sfortunata preda.
Lei seguì il movimento con una certa apprensione, ma rispose con altrettanta sufficienza: “Credi che abbia paura di te?”
“No” ammise lui. Le indirizzò un sorriso freddo: “Ma ne avrai”.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Terza notte

Vegeta pensò che se fosse morto con le labbra di una donna sulle sue, probabilmente, intere generazioni di Saiyan si sarebbero rivoltate nella tomba, disconoscendolo. Sicuramente, era stato peggio crepare con la risata crudele di Frieza nelle orecchie, tra le lacrime di rabbia, mentre pregava Kakarott di vendicare il suo sangue. Sollevò debolmente le dita e la sfiorò, perché quel bacio lo voleva… e che tutto il resto andasse all’inferno prima di lui!
Era davvero diventato un guerriero leggendario o aveva sognato? Qualcosa in lui si era mosso, aveva avvertito la trasformazione, forse aveva realmente raggiunto lo stato di super Saiyan. Tutto era confuso e indistinto.
La voce di Bulma gli giungeva a tratti, come un’eco lontana. Riuscì a metterla a fuoco e a connettere le sue parole.
“Dobbiamo fermare il sangue! Vegeta, mi senti?”
“Ti sento…” rispose a fatica.
“Ho solo un cauterizzatore a bordo” stava dicendo, mentre frugava febbrilmente nella cassetta del pronto soccorso “Ma non ci sono né anestetici né sedativi!”
“Fallo…” rantolò lui esausto “Sono abituato ai metodi drastici”.
Lei lo guardò con preoccupazione crescente, preparando ciò che le sarebbe servito.
“Farà davvero male… Io non sono un medico e…”
“Non inizierai ad avere paura proprio ora, donna?”
Lei fece un cenno di diniego, ma l’espressione angosciata non mutò. Prese il liquore, che aveva trovato in dispensa, e lo rovesciò sullo squarcio per disinfettarlo. Vegeta si contrasse per lo spasmo, mordendosi le labbra a sangue.
“Bevi questo” disse avvicinandogli la bottiglia alle labbra.
“Ha un odore disgustoso, ne faccio volentieri a meno!”
“Lo so che non bevi alcolici, ma non ho altro per lenire il dolore!”
Il principe rifiutò e chiuse gli occhi, concentrandosi per resistere a quelli che sarebbero stati minuti interminabili.
Bulma accese lo strumento e lo calò sulla ferita aperta con tutta la delicatezza che poté usare. Lui si inarcò per l’atroce sofferenza, sollevandosi da terra con un gemito soffocato. La ragazza si arrestò, spingendolo giù.
“Cerca di stare fermo, ti prego, lo so che è una tortura…”
Fredde gocce di sudore gli scendevano dalla fronte per l’affaticamento e per la debolezza, era bianco in volto e gli occhi erano velati a causa dell’emorragia. Ma era sveglio e resisteva. Fece scendere lo strumento per la seconda volta e lui si dimenò nuovamente, scosso da brividi incontrollati e lancinanti. Il suo respiro si fece sempre più accelerato, nello sforzo di contrastare il dolore insopportabile senza emettere alcun suono. Bulma inghiottì un sorso di alcolico per darsi lo stesso suo coraggio e si sentì bruciare le budella.
“Cerca di non ubriacarti…” ansimò lui con un filo di voce.
La ragazza riprese a cauterizzare, tentando di non farsi distrarre dai suoi lamenti soffocati, di non pensare alla vita pulsante che aveva tra le mani, all’eventualità che lui…
Vegeta lottava, ma era sfinito e, nonostante la tempra, non riusciva più a riguadagnare e a mantenere la calma interiore per le fitte troppo prolungate. Il dolore lo rendeva vigile, anziché abbatterlo, e lo devastava senza tregua.
“Ehi, donna… passami quella porcheria…” chiese, senza più resistenza da opporre.
Ingollò il liquido verdino e lo sputò, tossendo; riprovò, tentando di vincere il voltastomaco che gli creava, imprecando ad ogni goccia schifosa che gli scendeva nell’esofago.
Lei lo guardò combattere con la sofferenza e si aggrappò alla sua tenacia per non cedere allo sconforto. Avrebbe voluto aiutarlo. Avrebbe preferito dare la vita per lui.
“Pensa a qualcosa di bello…” gli suggerì con la voce che tremava, sentendosi terribilmente stupida e inutile. Strinse con forza il cauterizzatore.
Il principe la fissò interdetto, ma dovette chiudere gli occhi, perché tutto aveva preso a girare e la sensazione di nausea si stava facendo violenta. Percepì nuovamente il calore pungente sulla ferita e gli mancò il fiato, mentre stringeva i pugni madidi nell’inutile prova di non muoversi. Qualcosa di bello… era una parola. Certamente non avrebbe potuto scomodare i ricordi legati al suo pianeta natale, che erano un puzzle di sconfitte, umiliazioni e privazioni… argh! Darei qualsiasi cosa per un senzu o per una teca di rigenerazione! Anche l’essere stato ridotto al rango di servitore da quel bastardo di Frieza non poteva essere di sicuro una rimembranza piacevole, così come le offese subite negli anni da parte di esseri inferiori come Dodoria e Zarbon oppure… ouch! Per le stelle, sta diventando insostenibile anche per me… Oppure il suo scarso successo su Namecc, con Kakarott che gli era passato davanti e aveva sconfitto Frieza al posto suo… ah! Maledizione! Non pensavo che sarebbe stato così arduo, anche se la terrestre mi aveva avvisato…
Vide, tra le reminiscenze sfocate dal dolore, l’albero contro cui si era appoggiato, in disparte, quando il drago Polunga lo aveva trasferito sulla Terra in mezzo ai nemici. Che c’entra ora l’albero, perché Lei.  Agh!! Ti prego, fai in fretta… Rivide la ragazza dai capelli azzurri e dagli occhi del colore delle onde oceaniche, che si girava verso di lui e gli parlava amichevolmente, come se lui non fosse stato un mostro, dicendogli… Aah! Basta, non ce la faccio più! Dicendogli di seguirla. Già, lui non avrebbe saputo dove andare e poi il suo sorriso era così… Ouch! Per l’universo! Sì, ci stava arrivando, forse avrebbe potuto pensare a quella cocciuta, insopportabile, irriverente, inebriante terrestre, che gli stava bruciando la carne per non farlo morire… L’unica bellezza nella sua vita era lei. Lo era la sua bocca, il suo corpo che avrebbe stretto, che avrebbe… se solose… aaah!
Vegeta si contorse e gridò con tutto il fiato che gli era rimasto. Perse i sensi.
 
Bulma vide quasi con sollievo che lui era venuto meno e terminò di chiudere la ferita, arrestando il fiotto di sangue definitivamente. Applicò una benda con le mani che ancora tremavano, poi tagliò lunghe strisce di stoffa dal vestito bianco che portava il giorno della partenza e fece girare le fasce intorno alla sua vita, fermandole. Gli abbassò la maglietta, che era ridotta a un cencio e gli infilò un asciugamano piegato sotto la testa, perché non fosse a contatto con il pavimento di gelido metallo. Respirava. Con fatica, ma il suo petto muscoloso si alzava e si abbassava con sufficiente regolarità. L’ambiente si andava gradualmente riscaldando, ma non era ancora vivibile. Asciugò da terra le chiazze di sangue, con un brivido, sperando che ne avesse in corpo ancora abbastanza per sopravvivere. Ma certo, era così! Era un Saiyan! Quante volte quegli alieni testardi erano stati dati per spacciati e poi… Si asciugò la lacrima che le scendeva lungo la guancia e strappò la coperta dal letto, portandola da lui. Non voleva spostarlo, non ne era in grado e il solo pensiero che la lacerazione si riaprisse… Gli deterse il sudore dalle tempie, sperando che non gli venisse la febbre, dato il disinfettante improvvisato che aveva adoperato per sterilizzare. Prima di chiudere la bottiglia, si calmò con un altro sorso.
“Ti ubriacherai con quella robaccia…” sussurrò lui impercettibilmente.
“Vegeta…”
Il principe socchiuse gli occhi, ancora annebbiati, ma terribilmente intensi sul volto esangue, sfiorandosi con cautela la medicazione. Ben fatto. Sollevò una mano e strinse fiaccamente quella che sentiva accarezzargli la fronte.
“Oh, per le galassie, sei freddo come il ghiaccio!”
La ragazza si guardò intorno, ma i mezzi per fargli riguadagnare la temperatura ideale erano terminati e il maledetto impianto di riscaldamento era di una lentezza esasperante. Scaldò dell’acqua e riuscì a sciogliere dentro la tazza alcuni dei frutti violacei che aveva raccolto su Isuyo: il sapore non era sgradevole, ricordava vagamente quello delle susine mature.
“Tieni” disse avvicinando con cautela il recipiente alle labbra di lui “Devi bere, ti reidraterà e ti scalderà un po’. Siamo messi male anche con l’aria calda!”
Vegeta riuscì con fatica a sorseggiare il liquido bollente, ma si accasciò subito, sfiancato. Tutto continuava a girare vorticosamente intorno a lui e si sentiva la mente intorpidita e confusa. Faticava a tenere gli occhi aperti, ma rifiutava di cedere come un debole al dolore.
“Al diavolo!” esclamò Bulma con le mani sui fianchi “A mali estremi…!”
Si sedette sul pavimento accanto a lui e spostò la coperta, accostandoglisi. Lui si voltò, senza alcun moto di ribellione, sfinito.
“So che non ti andrà a genio, ma non ho altre soluzioni! Perciò dormirò con te anche stanotte, solo dovrò starti molto vicino: un’induzione, per non farti rischiare l’ipotermia”.
Si sdraiò accanto a lui, su un fianco, abbracciandolo, nel tentativo di passargli più calore corporeo possibile. Vegeta percepì in sé un’ondata rovente dal basso verso l’alto, che gli salì alla testa, passandogli per il cuore, che accelerò le pulsazioni.
“Non mi darà così tanto fastidio, donna…”.
La ragazza riuscì a intercettare il proprio moto di sorpresa, provocato dalla risposta stranamente conciliante, in mezzo a tutte le emozioni causate dal contatto col corpo di lui.
“Bulma” specificò “Quando sei diventato super Saiyan, hai gridato il mio nome…”
“Non rammento nulla del genere”
“Che ti sei trasformato te lo ricordi?”
“Sì… vagamente…”
“Comodo selezionare le memorie con la scusa dell’essere mezzi morti!”
Nonostante la sofferenza e le condizioni precarie, il principe produsse un sorriso. Il capogiro lo disturbava e non riusciva quasi a muoversi, ma ugualmente sollevò il braccio e la cinse a sua volta. Non era il ki a generare tutto il caldo che lo stava invadendo.
“Tu…” mormorò “Non hai avuto paura?”
“No.” realizzò lei.
“Perché?”
Bulma se lo domandò a sua volta, dal momento che erano sfuggiti alla morte per un soffio e che non erano ancora al sicuro, chiusi in quell’astronave programmata per fare quello che le pareva, come se il computer fosse un optional di scarsa rilevanza.
“Perché c’eri tu.” rispose con sincerità.
Vegeta si irrigidì impercettibilmente e il concetto di cuore calmo in mezzo alla furia gli fu terribilmente palese, ancor più che nell’istante in cui aveva percepito la trasformazione. Aprì gli occhi ancora lucidi e fece salire la mano sul suo viso, sfiorandolo.
“Induzione, eh…?” sogghignò.
“Sì, è quando si trasmette...”
“Lo so cos’è.”
E non era quella. Ouyo, avrebbe detto in lingua saiyan. Legame. Le parole che avrebbe voluto usare erano distanti, perse in qualche angolo della sua mente annebbiata, così non le trovò, ma riuscì ugualmente ad articolare il suono in quell’idioma che non era il suo.
“Tu sei così… bella… e io ti…”
Bulma trasalì. Non poteva essere lui a parlare. Pensò che stesse delirando e gli toccò la fronte, per accertarsi che non fosse febbricitante. Lo fermò, le dita sulle sue labbra.
“Non dire nulla. È l’alcol che si esprime al posto tuo. Non sei abituato, ti fa sragionare…”
“No…” continuò lui, la voce impastata e incerta.
“Vegeta, non…”
Non avrebbe ascoltato nulla di dettato dal momento critico o dall’irrazionalità farneticante di chi aveva appena guardato la morte in faccia. Non era dignitoso per nessuno di loro. Lui serrò la stretta. Per le stelle, non pareva poi tanto spossato!
“Non sono così ubriaco o moribondo da non poterti dire che ti ringrazio”.
L’abbraccio si allentò e il principe si abbandonò contro di lei, vinto dalla stanchezza. Come tutti i Saiyan, alla morte che lo fissava, aveva risposto con uno sguardo ancora più terrificante. La ragazza lo osservò dormire tranquillamente contro il suo petto e chiuse gli occhi. Poco più di un giorno e poi sarebbero tornati sulla Terra. Per la prima volta, pensare a casa, la rendeva infelice, perché lui forse se ne sarebbe andato per sempre.
 
   
 
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