Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Bellamy    04/04/2018    2 recensioni
La battaglia tra i Cullen e i Volturi termina in maniera inaspettata: i Cullen perdono, Edward e Bella si uniscono alla Guardia di Aro e Renesmee perde la memoria. I pochi mesi di vita vissuta da Nessie vengono spazzati via.
Dopo quasi un secolo, Aro invita Renesmee a Volterra.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Breaking Dawn
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Sai, Andrew, qual è il dono di Chalsea?”.
“Rafforzare o indebolire i legami tra persone”.
Proprio così, mio caro ragazzo”.
“Prima Edward, poi tu, mio caro abile ragazzo. Triste ma inevitabile, necessario”.
 
 
 
 
 
 
Mi pietrificai, sconcertata dall’affermazione di quel vampiro che non smetteva di ronzarmi attorno.
Ero riconoscente a chiunque di non provenire da lui. La sua vicinanza mi faceva venire la pelle d’oca e suscitava in me una brutta impressione, una sensazione di scomodità.
Forse era tutto quel bianco, dai capelli all’abbigliamento, quel rosso lucente nei suoi occhi – diverso da quello spento di Aro e dei suoi fratelli – o quei tratti spigolosi che scandivano il suo viso. Sembrava fosse uscito da un dipinto di genere macabro.
La sua espressione si fece incuriosita e si voltò verso Aro, teso, seduto nel suo trono: “Dove l’hai trovata?”.
Gli lanciai una occhiataccia e, istintivamente, feci due passi indietro per mettere distanza tra a me e quell’essere. Al mio movimento involontario, tutti gli occhi della Guardia puntarono su di me, circondandomi, ma non prestai loro attenzione.
Aro sembrava sollevato quando aveva ascoltato la domanda. Si sistemò nel suo trono e rispose: “Renesmee è una nostra cara amica”.
Il vampiro rimase in silenzio come se si aspettasse che Aro continuasse a spiegare e così fece.
Aro sembrava un po’ spazientito. Fece un debole sospiro e si alzò per raggiungerci.
“Renesmee”, continuò “Non fa parte della nostra casata, purtroppo”.
Purtroppo. Purtroppo? Aro aveva delle grandi doti recitative: espressione sconsolata, il tono di voce rammaricato. Ma i suoi occhi lo tradivano, c’era qualcos’altro che Aro aveva omesso dalla sua frase.
“Allora?”, lo incalzò il vampiro.
Risposi io al posto di Aro, proprio quando stava aprendo bocca. La voce mi uscì debole.
“Il mio clan è uno dei pochi permanenti in America del Nord”. Parlai velocemente, utilizzando tutta l’aria che avevo nei polmoni. Mi sentivo incredibilmente esposta ma a questo non dovevo esserne oramai abituata?
E poi non volevo rivelare al vampiro il nome del mio clan. Anzi, il nome del clan, Olympia, non lo consideravamo minimamente.
Ci definivamo Cullen perché eravamo tutta una famiglia e Carlisle era il nostro patriarca. Dire il mio cognome era fuori discussione: non volevo esporre i miei familiari in qualche rischio evitabile. Quell’uomo non mi piaceva.
Il vampiro annuì, come se la sapesse lunga. Si rivolse di nuovo ad Aro: “Non vuoi dirmi altro?”.
Aro strinse la mani in pugno e se le avvicinò al mento “Sei tu che devi tenere informato me, Liev!”, esclamò come se fosse ovvio.
Liev non lasciò la sua posizione dritta. Bianco com’era sembrava una colonna.
“E’ troppo piccola. Sembra non abbia completato la sua maturità”, disse. Sembrava annoiato ma i suoi occhi luccicavano, interessati da questo fatto.
Non potevo dargli torto: stando a quelle poche ricerche che nonno Carlisle era riuscito a compiere, a quanto pare non avevo raggiunto la mia maturità.
Io mi ero fermata circa ai quattro anni d’età in vista dei sette anni che equivalevano al raggiungimento della maturità per un mezzo vampiro ma tutto questo era da verificare ancora.
Ed io non avevo idea del perché mi fossi fermata ma ricollegavo tutto alla grande ferita che mi aveva squarciata a metà.
“Come?”, fece Aro, sorpreso.
Liev tese la mano verso Aro che non se lo fece dire due volte e la strinse, avidamente.
Passarono qualche secondo e questi bastarono per far innervosire il resto della compagnia a causa di quel muto e privato scambio di informazioni. in effetti volevo sapere pure io cosa Liev stesse dicendo ad Aro.
Altri dieci secondi e Aro lasciò ferma in aria, come ghiacciata, la mano di Liev.
“Capisco”, disse Aro “E’ estremamente interessante”.
“E’ la prima volta che vedo un mancato sviluppo”, fece Liev, guardandomi come un medico guardava una lastra.
“Signore?”, chiamo Edward dall’alto, accanto al trono di Aro, affiancato da Bella. Il tono di voce sempre glaciale, specchio del suo volto.
Aro si voltò immediatamente verso Edward. Potevo giurare che gli occhi di Aro si illuminarono quando misero a fuoco Edward. “Sì, Edward?”
Edward non si scompose “Posso spiegare agli altri presenti ciò che le ha mostrato Liev?”.
Era ovvio che lo domandasse. Forse aveva letto il fastidio nelle menti di tutti e quindi voleva spiegare.
Avrà letto anche la mia mente e questo mi fece sentire a disagio. Come facevano gli altri a girargli attorno, sapendo che lui conosceva ogni loro minimo pensiero?
Edward era diverso da Aro. Aro aveva accesso alla mente di una persona solo tramite il tocco della mano (stesso mezzo che utilizzavo io per mostrare i miei pensieri) mentre Edward non era limitato da nessun ostacolo fisico, lui poteva ascoltare chiunque.
L’abilità di Edward era molto più telepatica di Aro.
Arrivai alla conclusione che il mio dono era totalmente inutile se utilizzato con Edward: che cosa dovevo dimostrargli se già lui sapeva?  Anche le altre persone potevano evitare di parlargli, già sapeva. Snervante.
Guardai per un millesimo di secondo Bella, accanto ad Edward. Era ritornata la Bella tormentata che avevo visto poco tempo fa: occhi inquieti e spenti, postura nervosa.
Bella era uno scudo. Mi chiesi se Edward potesse leggerle la mente, se Bella glielo lasciasse fare…
Notai che si stringevano la mano, più che altro quella di Bella sembrava ancorata a quella di suo marito, nascosta dietro la schiena di Edward. I miei occhi saettarono sui loro bellissimi volti.
Erano… giovani, giovanissimi. Sembrava sbagliato: erano belli e giovani, dei ragazzini, fuori dal contesto in cui sembravano essere costretti vivere.
 Almeno Bella, Edward sembrava perfetto per il contesto in cui era costretto a vivere.
Ebbi l’impressione che quel quadretto fosse molto essenziale in quel momento, come se fosse carico di vitale importanza. Ma le mie memorie mi ricondussero ad un giorno prima, quando Edward e Bella discussero davanti ai miei occhi. Li strabuzzai e fui riportata alla realtà. Le mie riflessioni durarono solo tre secondi. 
Aro si illuminò “Certo Edward!”.
“Gli ibridi umano-vampiri terminano di formarsi all’età di circa sette anni. Crescono molto più velocemente rispetto agli umani, compensando vari mesi in giorni. Compiuti  sette anni, la loro crescita si ferma. A quell’età hanno le sembianze simili ad adolescenti. E sono immortali, come noi”, spiegò Edward.  
Liev indicò le due ragazze alle quali davamo loro le spalle “Loro sono due dei miei figli e tutti hanno raggiunto la maturità”.
Gli occhi di tutti i presenti puntarono sulle due ragazze in piedi, una accanto all’altra come se fossero cucite assieme.
Prima che Liev le indicasse non mi ero accorta di due cuori che battevano frenetici, oltre al mio, e dello strano odore dolciastro, tipico umano, misto a quello vampiro.
Le due ragazze erano altissime, almeno dieci centimetri più alte di me,  come lo erano i loro capelli, biondi scintillanti. I loro tratti erano uguali a quelli di Liev: dritti e spigolosi.
La loro carnagione era pallida, labbra rosse, occhi verdi e leggermente ambrati. Le loro guance erano la dimostrazione che sotto la loro pelle erano presenti innumerevoli vene dove il sangue scorreva veloce.
Le due sorelle ricambiarono il mio sguardo incuriosito.
Forse anche per loro era la prima volta che vedevano un altro loro simile.
Ero sorpresa, turbata, rassicurata e ancora, di nuovo, sorpresa, turbata e rassicurata.
Sorpresa e rassicurata perché non ero l’unica nel mio genere. Non ero sola. Non ero un anomalo episodio all’interno di una storia dove il mondo umano e quello vampiro si erano intrecciati.
Turbata perché esistevano vampiri che si divertivano a sperimentare con delle povere umane, spezzando le loro vite.
“Sono stupende!”, gongolò Aro, il voltò adorante. “Posso?”, domandò a Liev, tamburellando con i polpastrelli le guance di filigrana.
“Certo”, borbottò Liev e i suoi occhi si riposarono su di me ma i miei non incontrarono quelli del vampiro.
I miei occhi erano concentrati sulle due ibrido. La loro attenzione passò da me ad Aro che chiese loro come si chiamassero – Anastasia e Tatiana – e poi domandò loro di leggere la mente. Le due ragazze, con riluttanza, accettarono.
Passò qualche minuto, Aro ascoltava ammirato e nessuno della sua combriccola, questa volta, si lamentò.
“Meraviglioso”, disse con un sospiro. Dopo si voltò verso Liev come un indaffarato agente di borsa.
“Dunque, i tuoi figli sono disposti a fare ciò che ti ho proposto?”.
“Loro fanno quello che io ordino, Aro.”
Aro gli sorrise “Naturalmente. E poi è per la nostra sicurezza”.
Cosa stava succedendo? Qual era la proposta fatta da Aro a Liev? Aro era in pericolo? I vampiri, tutti, erano in pericolo?
Oh no, pensai e la mia testa fu collegata immediatamente alla mia famiglia, malamente cacciata da me.
“Ma”, iniziò Liev, “Non è detto che gli altri accetteranno. Di questo ne dovrai parlare con loro, personalmente”.
Altri?
Aro sospirò e parlo Caius a posto del fratello “Li stiamo aspettando. Arriveranno presto.”
Aro non fece caso a Caius e fece un’altra domanda a Liev “Quanti figli hai?”.
Liev fece spallucce, un ghigno orgoglioso si formò ai lati della bocca “Circa una cinquantina”.
Spalancai la bocca.  Cosa?! Oltre a me, Tatiana e Anastasia, c’erano altri quarantasette mezzi vampiri sparsi per il mondo?!
Aro notò la mia reazione ed io cercai di ricompormi immediatamente. “Tutto bene, Renesmee?”.
“Sì”, balbettai, “Posso sapere cosa sta accadendo?”.
Aro mi fece un sorrisetto sinistro, la sua versione di tenero sorriso. “Niente di cui tu ti debba preoccupare adesso, mia carissima.”
“Meglio temporeggiare, giusto?”, domandai.
Il sorriso di Aro si raggelò e senza staccarmi gli occhi di dosso disse: “Andrew porta via Renesmee. Abbiamo finito qui”.
Andrew fu immediatamente accanto a me ma non lo aspettai, iniziai ad indietreggiare prima ancora che lui arrivasse. 
“Muoviti”, mi ordinò, a denti stretti e con una mano sul braccio, spingendomi.
In un batti baleno fummo dentro una stanza, in una frazione di secondo riuscii a scorgere Alessandra, l’umana che aspirava a diventare una immortale, che mi mandò occhiate preoccupate. Andrew mi depositò in una poltrona, davanti al camino spento, rimase in piedi, davanti a me. Notai che non eravamo nella stanza personale di Bella.
“Sei matta”, constatò, guardandomi in cagnesco.
Feci spallucce, una insolita tranquillità mi pervase,e  decisi di non rispondere.
In fondo cosa avevo da perdere? La mia famiglia? Inconsapevolmente l’avevo cacciata e la parte più melodrammatica di me aveva preso il sopravvento, facendomi credere che i Cullen non mi volevano più.
La mia vita? Ah! Se Aro voleva giocare con la mia vita, perché non partecipare? In fondo era la mia esistenza. Stiamo al gioco e vediamo che succede.
Rude, Andrew tirò una mia mano verso di sé e la strinse. Si aspettava che gli mostrassi qualcosa ma non lo feci. Non avevo nulla da dimostrargli.
“Mi spieghi cosa sta succedendo?”, gli domandai con un sussurro.
Andrew sospirò e lasciò cadere la mia mano. Si inginocchiò accanto a me e mi strinse le mani. Solo in quel momento mi resi conto che le sue erano fredde, in confronto alle mie e lontane, molto lontane.
“Ho visto per la prima volta qualcuno come me oggi, Andrew”, gli mormorai ma non mi sentivo come se stessi parlando con lui ma più con un mio alter ego, un mio riflesso sulle specchio.
“Pensavo di essere l’unica al mondo”, mormorai, “E invece ce ne sono almeno altri cinquanta come me. Non so come sentirmi a riguardo”, gli confessai.
Con un dito gli accarezzai i contorni del suo stupendo viso e il mio cuore si riempì come un palloncino si riempiva d’aria.
“Tu lo faresti mai?”, gli domandai di’impatto.
Andrew fece un sorriso tirato, gli occhi socchiusi mentre io continuavo ad accarezzarlo.
“E comunque”, iniziò, “Io sono un vampiro neonato ovvero ho altri pensieri in mente, adesso”.
Prese il mio dito che roteava intorno al suo volto e se lo portò alla bocca.
Lo morse ed io sentii un leggero fastidio, l’odore del mio stesso sangue irruppe immediatamente. Fu attento a non rompermi l’osso,  perlomeno.  
“Non vuoi dirmi nulla, vero?”, gli domandai, saltando alle conclusioni.
Andrew sospirò e allontanò la mia mano da lui. La ferità era così piccola che si stava rimarginando velocemente, diventando via via una quasi invisibile riga color alabastro.
Si mise a sedere a terra, la sua testa alla stessa altezza delle mie ginocchia.
“No, non voglio dirti nulla”, ammise alla fine.
“Perché?!” esclamai, stringendo i pugni.
Mi sedetti a terra, accanto a lui e mi curvai per guardalo meglio. “Andrew”, lo pregai.
“Aro sta architettando qualcosa e quelli come sono coinvolti”, continuai, “Merito di sapere. Non credi?”.
Andrew alzò il mento e guardò davanti a sé “Non sono io a doverti dare spiegazioni”.
Lo guardai per un attimo: sembrava… distante, come se volesse andarsene da quella stanza.
“E chi me le dovrebbe dare? Aro? Caius? Ah sì, Marcus mi spiegherà tutto”.
 “Allora non domandare”, concluse lui.
Chiusi gli occhi. La testa mi girava e decisi di lasciar perdere.
Andrew si alzò ed io con lui. E mi lasciò da sola.
Il cuore batteva fortissimo e una triste costatazione stava facendo breccia nella mia testa.
Mi sedetti di nuovo sulla poltrona e chiusi gli occhi.
 
 
 
“Renesmee?”
Qualcuno mi chiamava, una voce simile a quella di un angelo, ma io non avevo intenzione di aprire le mie palpebre che si erano fatto pesantissime.
“Renesmee, ti prego, è importante”, continuò l’angelo.
Non potevo far disperare quella voce angelica e così mi decisi ad aprire gli occhi. L’angelo aveva le sembianze di Bella.
Mi guardai attorno. Ero ancora seduta nella poltrona e il sole stava calando.
Bella era china su di me, anche lei inginocchiata, come Andrew prima.
“Bella”, feci io, “Che succede?”, le domandai.
Aveva il volto estremamente allarmato: gli occhi sbarrati così come la bocca, c’era qualcosa che la preoccupava.
Bella mi prese per mano e mi portò via dalla stanza. “Ti spiego fra poco”, mi sussurrò all’orecchio.
Il mio cervello si mise all’attenti, attivo e sveglio. I miei sensi tutti si accesero. Bella trasmetteva un’aria di pericolo e di urgenza che influenzò anche me. Lo stomaco si chiuse così come la gola, creando un nodo.
Arrivammo nella sua stanza e la chiuse attentamente dietro di sé. Nonostante la gravità che emanava, sembrava molto teatrale nei suoi gesti.
“Bella?”, la chiamai, anche la mia voce era carica di tensione, come la sua.
Mi guardò intensamente e poi fece un respiro profondo, sembrava sfinita.
“Bella, per favore, potresti spiegarmi che cosa sta succedendo?”, la pregai. Se mettersi in ginocchio e pregarla di spiegare avesse servito, l’avrei fatto immediatamente.
Bella non mi rispose e mi condusse nel divano, dove mi fece sedere.
“Hai sete?”, mi domandò quando si mise a sedere pure lei.
“No!”, le risposi con troppa forza. In realtà avevo tanta sete ma c’erano cose più importanti.
“Renesmee”, iniziò Bella, tormentandosi le mani, “Al più presto ci sarà una guerra”.
Una guerra! Contro chi? Dove? Pensai subito alla mia famiglia, dovevo in qualche modo informali, dire loro di allontanarsi, di mettersi al sicuro.
“E tu?”, le domandai, “Tu andrai in guerra?”.
Anche se Bella era un scudo, non me la immaginavo combattere nel campo di battaglia. La mia immaginazione si rifiutava.   
Bella scosse la testa. “No, non io.”
“Allora chi?”.
Bella mi guardò negli occhi che si erano fatti imploranti, urlavano scuse, tutte dirette a me.
“No!”.
No! No! No! No! No!
Aro era un pazzo? Perché non combatteva lui? Perché doveva utilizzare da scudo altri… altri innocenti?! Perché?! Era un vigliacco!
Guardai Bella, senza dire una parola. Ero sotto shock.
Ecco perché ero a Volterra.
Bella mi strinse a sé “Mi dispiace, Renesmee”.
Non mi ero accorta che stavo piangendo ma non ci feci caso. La mia testa era così vuota che non riuscivo a pensare. Mi sentivo una marionetta, pronta ad aspettare la prossima decisione del burattinaio.
Non so per quanto tempo rimanemmo in quella posizione, forse per ore.
Bella rimase in silenzio, non mi disse nulla né mi confortò e un senso di freddezza mi colpì.
 Si limitava a cullarmi mentre io guardavo il buio davanti a me. Si era fatta sera e nessuna luce era stata accesa.
Ad un tratto si alzò e trascinò anche me. La imitai come un automa mentre la mia mente esplorava scenari che a malapena riuscivo a decifrare e comprendere.
Mi portò verso una stanza dove accese, questa volta, la luce. Era una piccola camera vuota , arredata solamente da un grande e possente armadio in legno.
“Manca poco”, sussurrò fra sé e sé.
Aprì le ante dell’armadio e vi tuffò le mani dentro. Mi appoggiai allo stipite della porta, senza alcun minimo interesse su cosa Bella stesse facendo.
Bella riemerse dall’armadio e nelle sue mani teneva un maglione e una giacca a vento. Me le porse.
Fui riportata alla realtà e battei le palpebre. “Cosa?”, domandai.
“Indossali”, disse, “Passerai una lunga notte”.
Mi raggelai e il panico ebbe la meglio. Cosa? Dovevamo andare a combattere adesso? Mi stava preparando? Dandomi degli abiti nuovi?
“Perché?”, sussurrai, senza voce.
“Presto capirai”, gli occhi di Bella si fecero di nuovo supplicanti.
Con mani tremanti, presi i vestiti dalle sue mani, le diedi le spalle – non volevo farle vedere le mie cicatrici - e mi tolsi la maglia che già indossavo, facendola cadere a terra.
Velocemente indossai i nuovi capi.
Mi voltai e Bella si avventò su di me, abbracciandomi, prendendomi alla sprovvista “Renesmee”.
La sua voce era carica di profonda angoscia e altre lacrime minacciavano di straripare.
“Perché sembra che tu mi stia dicendo addio?”, le domandai, ancora ancorata al suo abbraccio.
“Perché è così”, rispose in maniera molto tranquilla.
La guardai negli occhi ed ero sicura che Bella stesse leggendo le mille domande, riflesse nei miei occhi.
Una suoneria di cellulare ruppe il silenzio. Bella estrasse il cellulare dalla tasca dei suo pantaloni e chiuse la chiamata, senza guardare chi la stesse chiamando.
“E’ ora”, disse. Mi prese la mano e mi trascinò via, fuori dalla sua camera.
Silenziose, scendemmo varie scale. Eravamo affogate nel buio e nel silenzio della notte e dell’antico palazzo. Sembrava stessimo scendendo verso il centro della terra.
Io continuavo a guardarmi intorno, impaurita che qualcuno ci stesse seguendo. Bella continuava a guardare davanti a sé e mi trascinava con forza.
Bella, poi, prese per un varco. Il varco terminava con un arco che dava ad una strada sterrata, colline buie oltre noi.
Bella mi strinse le spalle con un braccio e poi ci fermammo, qualche centimetro prima di varcare l’arco di pietre e rocce.
Si voltò verso di me. Il suo viso era addolorato, carico di dolore, ansia e tristezza. Rimasi di nuovo a bocca aperta, sorpresa dalla sua reazione. Non potemmo che abbracciarci.
Tutto era così surreale, incredibile.
Appena ci staccammo, Bella fece capolino. L’aria fresca della notte le frastagliavano i lunghi capelli bruni.
“Renesmee. Vieni”.
Guardai oltre di lei ed erano lì.
Carlisle, Esme, Alice e Jasper.
 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Bellamy