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Autore: KyraPottered22years    05/04/2018    3 recensioni
Lo osservò nella tenue luce del crepuscolo. In quello sguardo nero pece, quegli occhi parevano urlare qualcosa. E lei riusciva a capirlo, avrebbe potuto capirlo anche se lui avesse indossato quella maschera. Improvvisamente sentì di vivere in un sogno, in una bugia, mentre lo sguardo di lui le penetrava l'anima, marchiandola dall'interno.
Il sangue scorreva ardente nelle loro vene. Parole non dette, sussurravano nel nulla. Mani desiderose di toccare, con l'aspra consapevolezza di non poterlo fare.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Luke Skywalker, Nuovo personaggio, Rey, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Redemption



19



Erano già passati tre giorni dall’arrivo su Daan.
Fortunatamente non c’era alcuna notizia allarmante nei rapporti che Padme ordinava ogni mattina e ogni sera tramite trasmissione a ologramma. Quella permanenza era di sicuro una perdita di tempo prezioso, ma necessaria, data la richiesta del Presidente e se davvero la Resistenza voleva stringere una solida alleanza con Daan.
Caleb aveva chiesto del tempo per considerare quella proposta, aveva detto a Padme che avrebbe avuto bisogno di pensare alle condizioni. La Cancelliera aveva accettato quella sua richiesta, nel frattempo, Caleb aveva ordinato ai suoi servitori di preparare delle camere nel palazzo ai due fratelli Solo e di far accomodare i restanti membri della Resistenza in un hotel di lusso poco distante.
La tranquillità e la pace che aveva vissuto in quei giorni, forse non le aveva mai gustate appieno nella sua vita. Bagni caldi, pasti abbondanti e gustosi, ore libere per poter allenarsi e meditare.
Ben se ne stava quasi tutto il giorno chiuso nelle sue stanze e non usciva di lì nemmeno per prendere una boccata d’aria. Padme era andata a fargli visita più volte, ma lo aveva sempre trovato a meditare, quindi usciva silenziosamente dalla porta e andava via, lasciandolo solo.  Sapeva che quell’incontro con Rey lo aveva stravolto dentro, come sapeva che c’era anche qualcosa sotto che lui si ostinava a nasconderle. Ma le andava bene così, sapeva che quando sarebbe stato il momento giusto, lui gliene avrebbe parlato.
Avrebbe voluto parlare con Armitage, ma era difficile organizzare un incontro, data la rigidità dell’accessibilità al palazzo. Quindi si allenava la maggior parte del tempo.
E Caleb la osservava, quando poteva, dal balconcino delle sue stanze. Quel primo pomeriggio, però, decise di scendere e assistere da più vicino, anche perché avrebbe dovuto darle ciò che teneva bloccato fra il braccio e il fianco.
Ma non appena arrivò all’entrata del giardino, sentì delle voci, tra cui una era quella di Padme.

Si stava allenando con la spada laser, provava nuove mosse, più agili, letali.
Immaginava il suo avversario davanti, con un laser rosso, l’espressione malvagia in volto, il viso di chi, una volta, aveva voluto bene.
Girava su se stessa e con un verso agguerrito affondava la spada in quel petto immaginario, per poi estrarre il laser  e in una mossa veloce, le tagliava la gola. Proprio in quel momento lo vide davanti a sé e in un attimo si ricompose, spegnendo il laser violetto.
 «Non volevo interromperti.»
 «Stavo comunque finendo.» Gli rispose con fiato pesante, il petto e la fronte imperlati di sudore. Il cuore non smise di pompare forte, se prima il battito era accelerato per l’attività fisica, adesso lo era a causa dell’effetto che le faceva vederlo. Si avvicinò a lei a passi lenti, faticò molto per non abbassare lo sguardo sulle sue labbra o sul suo seno, messo in risalto dalla canotta stretta. 
 «Possiamo parlare, adesso?»
 «Sì, ho bisogno di parl-»
Armitage annullò così tanto le distanze da poter poggiare una mano sulla sua guancia, avvicinare il proprio viso al suo e baciarla.
Fu un bacio improvviso, ma voluto da entrambi.
Inizialmente Padme indugiò un attimo, poi partecipò attivamente quasi quanto lui, cingendogli la vita con le braccia. Le loro labbra si toccavano e si accarezzavano, in morbidi movimenti. Quando la situazione iniziò a sfuggire di mano, Padme spinse Armitage dal petto e in uno strattone lo allontanò da sé.
Si guardavano fissi negli occhi, con i respiri ancora affannati, le labbra che pulsavano, che richiedevano di più.
 «Non posso!» Ringhiò Padme, si voltò e camminò verso un albero, raccolse la sua tunica appesa ad un ramo, dando un calcio al robusto tronco. Cercò di far fuoriuscire la rabbia, di visualizzarla come un fumo evanescente che traspirava via dal suo corpo; ci riuscì, ma ottenne come risultato delle lacrime pesanti agli occhi, gocce che non avevano voglia di scendere, impietrite fra le palpebre.
Sentì Armitage avvicinarsi pian piano, ma lo bloccò con lo sguardo, voltandosi di profilo col corpo.
 «Padme, non avrei dovuto, non so che mi è preso.»
 «Vuoi parlare, sì o no?»
 «…sì.»
 «Bene, allora inizio io.» Allacciò la cintura della tunica alla vita e si avvicinò di poco a lui. «Sono una fra gli ultimi due Jedi rimasti nella galassia, mi è proibito avere qualunque tipo di relazione.»
 «Oh, non essere meschina!» Sbottò, interrompendola prima che potesse dire altro. «Ben e Rey, allora? Prima che lei ci tradisse, loro due stavano insieme e continuavano ad abbracciare la filosofia degli Jedi. La compassione e l’amore, sono il motore della vita di un Jedi, Padme. Dimmi cosa ti frena davvero, per la miseria, dimmelo!»
Doveva dirglielo, per il suo bene. «Non ti amo.» Doveva mentirgli, per il suo bene.
Il cuore di Armitage si fermò per un attimo che parve un’eternità. Sbatté le palpebre, una, due, tre volte, ma no, quello non era un incubo. Era la realtà. Lei se ne stava davvero davanti a lui, con gli occhi più seri e determinati che mai, a guardarlo dritto nell’anima.
Non voleva crederle, eppure non le era mai sembrata più sincera di così.
 «Rispetto i tuoi sentimenti, se ciò che vuoi non è me, allora mi faccio da parte.»
 «Ti ammiro tanto, Armitage. Non nego che tu sia un uomo carismatico e un ottimo soldato, ma io non sono adatta per te. La mia vita è dedicata al bene di centinaia, migliaia di persone. Sarò sempre impegnata in questo, che vinceremo o perderemo questa guerra.»
 «Magari siamo solo le persone giuste, nel momento sbagliato.» Detto ciò, con gli occhi carichi di rammarico e delusione, la guardò un’ultima volta prima di andare via.
Padme lo osservò allontanarsi sempre di più, fino a quando non scomparì fra la vegetazione e le colonne di pietra.
Ammettere i propri sentimenti, l’avrebbe distratta dai suoi tantissimi doveri. Padme sentiva di essere nata per un disegno più grande, per un qualcosa di importante: avrebbe continuato a percorrere quella strada, per dedicarsi al bene comune, per continuare ciò che sua madre aveva iniziato.
Chiudere quella storia, per quanto bella sarebbe stata, avrebbe fatto bene a tutti.
Fu proprio quando stava per andare via che vide il Presidente Aiken in piedi, appoggiato a una colonna, con una confezione in velluto bianco in mano. Aveva i capelli castani più scompigliati del normale e indossava degli abiti molto informali, non sembrava nemmeno lontanamente un uomo con una carica politica o militare, figuriamoci apparire come un Presidente.
 «Tutto bene?»
 «Certo.» Rispose, avvicinandosi a lui. «C’è qualcosa che devi dirmi?»
 «In realtà no,» ed ecco quel suo solito sorriso fare capolino sulle sue labbra. «mi sono barricato con una scusa, per non ammettere il vero motivo per cui mi trovo qui.»
 «E quale sarebbe il vero motivo?»
 «Che figura ci faccio se ti dico la verità?» Ammiccò, guardandola intensamente. Padme abbassò lo sguardo, respirando affondo. «Intanto la scusa.» Disse, non appena la vide a disagio, porgendole la confezione lussuosa. Prima di accettare il dono, lei lo guardò negli occhi incerta e con un sospetto innocente. Aprì la confezione dai gancetti dorati.
 «Oh», uscì fuori dalla sua bocca, stupita. Poggiò la scatola sul terriccio e sollevò il vestito così che potesse vederlo in tutta la sua lunghezza. «E’ bellissimo.» Un abito lungo, bianco, abbellito con dei ricami con fili d’argento. «Non posso accettarlo, non ne vedo il motivo.»
 «E invece c’è.» La corresse. «Stasera ci sarà una grande festa nel palazzo, vorrei che tu, tuo fratello e i tuoi amici partecipaste.»
 «Ci saremo di sicuro, ma voglio una risposta, Caleb. Voglio sapere cosa hai deciso, se hai considerato la mia proposta.»
 «Te la darò subito dopo la festa. Ho bisogno di svagare un po’ i sensi prima di essere completamente sicuro di ciò che ho deciso.»
Padme indugiò un po’ prima di accennare un segno di assenso.
 «Lo so che ti sto facendo aspettare, ma sono fatto così, ho bisogno di tempo.»
 «Ovvio, lo posso capire.»
 «Quando il primo sole di Daan sorgerà, vieni nelle mie stanze e parleremo di affari.» Fece per andarsene, facendo una riverenza.
 «Qual era il vero motivo, alla fine?» Gli domandò ad alta voce, bloccando il suo passo a pochi metri distante da lei. Caleb sbuffò una risatina, prima di rispondere, si voltò dietro di sé, ammaliandosi ancora una volta della sua figura slanciata e tonica.
 «Per poterti osservare meglio durante i tuoi allenamenti, ma, ahimé, sono arrivato troppo tardi.» Le sorrise con piena gioia, contagiandola un po’.
Sorrideva raramente, era sempre così seria, strapparle una semplice curva da un angolo della bocca, era una piccola vittoria.
 «Gradirei un po’ di privacy durante i miei allenamenti.» Ammise, un po’ scherzosamente.
 «Allora non avresti dovuto scegliere come palestra il giardino sotto le mie stanze.»
 «Se domani non partirò, cambierò postazione. Promesso.»
Risero entrambi, beandosi di quell’attimo di leggerezza, lontano da tutte le questioni politiche di cui erano costretti ad occuparsi ogni giorno. Restarono qualche secondo di troppo a guardarsi, ognuno dei due si smarrì negli occhi dell’altro.
 «Stavi andando nelle tue stanze?»
 «A dire la verità sì.»
 «Posso avere l’onore?» Caleb sporse il gomito e con quel gesto la invitò ad appoggiarsi al suo braccio. Padme sospirò, accettare o no? Avrebbe voluto passare un po’ di tempo da sola, per riflettere, per dimenticare… Ma guardando Caleb, un forte desiderio di stare in compagnia la assalì, scoprendosi troppo debole per stare da sola, in preda ai sensi di colpa per Armitage.
 «D’accordo.» Rispose e, raccogliendo l’abito nuovo velocemente, lo raggiunse.
Sul volto di lui contornato dai lineamenti scarni si disegnò un’espressione piena di felicità. Così iniziarono a passeggiare, in quel lieve contatto, raccontandosi fra una parola e un’altra.



 «Dobbiamo farlo per forza?»
 «Dobbiamo guadagnarci la sua simpatia, solo così può iniziare a fidarsi di noi.»
Ben si lamentò proprio come faceva da piccolo quando Leia cercava di infilarlo nella vasca da bagno contro la sua volontà.
 «Penso che a lui interessi solo la tua, di simpatia.»
Gli lanciò un’occhiataccia in risposta e, camminando verso la specchiera, indossò gli orecchini  pendenti e la collana di zaffiri.
 «Non c’è bisogno di guardarmi così. Questi giorni non hai fatto altro che passare del tempo con lui.»
 «Passare del tempo con lui? Ci hai solo intravisti oggi, quando mi ha accompagnato nelle mie stanze e già la fai diventare una tragedia.»
 «Intravisti, puah.» Ben sbuffò, infastidito dalle negazioni della sorella. Padme lo guardava con gli occhi ridotti quasi a due fessure, irritata da quei suoi strani comportamenti. «L’ho visto con i miei occhi.» Concluse Ben, indicandosi la gota destra con l’indice, riferendosi a ciò che Padme aveva capito subito.
 «Ora ti preoccupi di un bacio su una guancia?»
 «Ti guarda come si guarda un dolce.»
 «Lo so, Ben. Ti pare che non l’ho capito?»
 «Quello che mi chiedo è: perché lo assecondi così tanto? Capisco che magari lasciarti corteggiare potrebbe aiutarci. Ma sembra che tu ci stia davvero, non riesco a capire questo.»
 «Sono solo tue impressioni.» Rispose rossa in volto, sia per l’imbarazzo che per la rabbia.
 «E Armitage?»
Le mancò il respiro nel momento stesso in cui la bocca di Ben si chiuse, dopo aver pronunciato quel nome. Gli occhi di Padme erano sgranati e una piccola lacrima incontrollata solcò una palpebra.
 «Che ne sai tu di me?» Parlò piano, con un tono che esprimeva tutto quel risentimento verso se stessa. «Dei miei sentimenti?» Disse ancora.
Ben la guardò intensamente e dentro quegli occhi vide riflessi i suoi, vide un’anima sull’orlo di cadere in frantumi, proprio come la sua.
 «Mi dispiace.» Soffiò fra le labbra, abbastanza forte da farsi sentire.
Padme lo superò, dandogli una spallata, anche se lieve. Si piazzò davanti alla porta, ma prima di uscire per recarsi alla festa, già iniziata da un bel po’, disse: «Non riesco a capirti. Non riesco a capire i tuoi comportamenti, ti sei chiuso con me, non ti sfoghi più come una volta. Non sei più lo stesso. E poi sarei io quella incomprensibile.»
Ben sapeva a cosa si stava riferendo e capì da quell’espressione, da quel tono di voce e da quel modo di sbattere la porta, che lei aveva dei sospetti. Se solo avesse saputo che parlava ancora con Rey, avrebbe dato di matto, e l’avrebbe pure giustificata una reazione del genere. Ben sospirò forte, si gettò sul letto, esausto, reprimendo la negatività che voleva assalirlo; ma non fece in tempo a concentrarsi sui suoi stessi pensieri che la sua mente lo trasportò in un luogo a lui sconosciuto. Aprì gli occhi, si alzò in piedi di scatto. Solo quando la vide di fronte a sé, seduta ai piedi di un lettino, capì che la Forza li stava mettendo in contatto ancora una volta.
 «Sei preoccupato.» La sua voce gli arrivò alle orecchie come un eco lontano, eppure riuscì a penetrargli il cuore, scuotendoglielo.
 «Non ti importa.» Gli rispose con scherno. Diviso in due, da una parte desiderava interrompere quel legame (consapevole delle conseguenze fisiche), dall’altra voleva essere davvero lì con lei.
 «E’ per Padme?» Rey dovette prendere forza per riuscire a pronunciare il nome della sua ex migliore amica.
Ben si voltò verso di lei e con gli occhi carichi di rabbia repressa, le intimò: «Come fai a fingere così bene?»
 «Infatti non fingo.» Ammise lei con calma. «Dimmi che le succede.»
 «Non ti interessa davvero.» Ben scosse la testa, come se volesse convincere più se stesso che accusarla di qualcosa.
 «Io le voglio ancora del bene.»
 «Non avresti ucciso nostra madre, se le avessi voluto davvero del bene.»
Rey lo guardò, con gli occhi cerchiati dalle occhiaia, in uno sguardo pieno di delusione, carico di rimorsi e sensi di colpa. Uno sguardo intenso che raggiunse l’anima di lui.
 «Non mi sarei mai dovuta aprire con te, l’altra volta.» Le sfuggì una piccola lacrima, che le andò a finire velocemente nell’angolo della bocca. «Sapevo che non mi avresti creduta.»
L’orgoglio di Ben si fece più gracile.
Stava per aprire bocca, per dire qualcosa che nemmeno lui sapeva, quando non se la ritrovò più davanti.
C’era solo la porta chiusa, pronta da solcare per dirigersi alla festa.


Arrivò nel pieno del divertimento. La sala grande era stata allestita con più luci, più poltrone e salottini, con un’orchestra composta da vari strumenti. C’era un’atmosfera magica, le lanterne appese l’una dopo l’altra illuminavano la sala di una luce soffusa, quasi romantica.
A disagio, in mezzo a tutti quegli estranei intenti a conversare e a ridere, cercò con gli occhi qualche viso familiare.
Caleb l’aveva vista da quando era entrata, perché non aspettava altro che vederla con quello splendido vestito addosso e quasi gli mancò il respiro, come se non avesse mai visto nulla di più speciale. Sorrise con tanto di fossette quando i loro sguardi si incontrarono da lontano. La raggiuse prima che lei potesse percorrere più di un metro. Improvvisamente la musica si fermò e Padme sentì gli sguardi di tutti addosso, così anche Caleb, solo che lui li ignorò e lei no, per il semplice motivo che in mezzo a tutti quegli occhi curiosi, c’erano anche quelli di Armitage.
Quando Caleb fu abbastanza vicino a lei, si chinò in una riverenza e porgendo la mano con un eleganza smisurata le chiese: «Mi concederesti questo ballo, Cancelliera?»
Successe tutto in pochissimi secondi.
Padme si era promessa di non dare troppo nell’occhio, di fare un salto, giusto per motivi diplomatici e politici. Ma la situazione, senza nemmeno volerlo, era degenerata così tanto che controllarla sarebbe stato impossibile.  E nemmeno avrebbe potuto rifiutare, non avrebbe potuto compiere un passo così pericoloso se sperava in una solida alleanza. Non guardare Armitage le venne così difficile che si lasciò trascinare da quel desiderio.
Ma lui non era più lì.
Era andato via, perché reggere quella scena gli fece troppo male al petto.
Con gli occhi lucidi tornò a guardare davanti a sé, trovando coraggio e al contempo un rifugio in quella mano, in quegli occhi.
 «Sì, Presidente.»
Aprirono le danze e furono seguiti da altre coppie che si aggiunsero alla dolce danza. La musica era leggiadra e armoniosa. Caleb era decisamente più bravo di Padme, lei per poco inciampava su ogni passo che faceva.
 «Segui me.» Le disse lui, ridendo un po’. «Stammi più vicina.» Con una mano poggiata sulla schiena, dietro il bacino, la avvicinò a sé, così tanto che quasi erano appiccicati. Lei non osava alzare lo sguardo, quella vicinanza la metteva a disagio. Caleb lo notò e con l’altra mano, prima di ripartire a ballare, le alzò il mento con un dito.
Incontrò il suo sorriso, diverso da quelli che era riuscita a conoscere in quei giorni. Era un sorriso affascinante, dolce, irradiava calore.
 «Hai degli occhi bellissimi, Cancelliera.» Le disse all’orecchio mentre ballavano.
Il cuore di Padme batteva così forte che le pulsazioni le rimbombavano alle orecchie insieme alle vibrazioni della musica.
Quella domanda che le stava torturando la mente da tempo, le salì dalla gola alle labbra.
 «A che gioco stai giocando?» Gli domandò a denti stretti, dopo una piroetta.
 «Nessun gioco.»
 «Non ti credo.»
Volteggiarono a ritmo della musica, cullando quelle note poggiando con leggerezza ed eleganza i piedi sul pavimento in marmo pregiato.
 «Tu mi stai corteggiando, da vari giorni.» Padme si decise a non trattenersi più, di rivelargli tutti i suoi sospetti, rischiando di grosso.
Gli occhi di Caleb si fecero seri, ma di una serietà piena di intensità, non di rabbia.
 «Mi hai stregato fin dal primo momento in cui ti ho vista.»
Doveva fermarsi, o sarebbe svenuta davanti a tutti, fra le sue braccia. La testa le stava vorticando con troppa veemenza e il respiro le mancava nei polmoni.
 «Ammiro la tua forza, la tua intelligenza e la tua bellezza. Non sono mai stato attratto da una donna così tanto.» Anche il respiro di lui si stava facendo più affannato, impossibile definire chi dei due avesse il  cuore che batteva con più violenza.
Con un casquet, si concluse quella danza e le labbra dei due si fecero così vicine che mancavano solo pochi millimetri ad eliminare ogni distanza.
La sala si riempì di applausi. Ma gli unici che non riuscivano ad ringraziare l’orchestra per la bellissima musica erano Padme, Caleb e Ben.
Quest’ultimo era appena arrivato e quella scena gli aveva fatto accapponare la pelle. Avrebbe voluto seguire la sorella quando era scappata via, ma il Presidente l’aveva preceduto nell’intenzione. Così lasciò perdere, deciso a parlarle più tardi, in privato, quando la situazione si sarebbe leggermente attenuata.

Si trovavano nella terrazza degli alloggi di lui, il primo di sole di Daan era sorto da poco. Il cielo era ancora blu e quella notte veniva spazzata via dai primi raggi solari. Dopo vari minuti passati a parlare attraverso giri di parole che l’avevano solo infastidita, Padme stava per andare via, abbandonando così anche la stessa missione.  Ma lui la trattenne da un polso e guardandola intensamente negli occhi, finalmente ebbe il coraggio di dirle:
 «Sposami.»
Padme non si sentì mai come in quel momento, come se un mondo le fosse cascato addosso. Si sentì come se si fosse appena lanciata da un burrone, come cadere nel vuoto all’infinito, senza mai raggiungere la terra.
Caleb si era fatto vertiginosamente più vicino e quella distanza quasi pari a zero le fece vorticare ancor di più la testa. Eppure, non aveva mai smesso di guardarlo negli occhi.
 «E’ la mia unica condizione.»
 «Perché?» Domandò stupidamente, ancora scioccata dalla proposta, liberandosi da quella leggera stretta al polso.
 «Sai, questa festa a cui hai partecipato, seppure per breve tempo, è stata data dal mio consiglio affinché io trovassi una moglie.»
 «Chi ti dice che io sia quella giusta?» Padme riformulò meglio la domanda, più specifica di un semplice “perché?”.
 «Tu sei quella giusta perché solo tu sai bene quanto me che questa nostra vita è da dedicare tutta ai cittadini, al bene comune. Tu sei quella giusta perché hai quella forza e quella tenacia che io ho sempre cercato in una compagna. Insieme, potremmo finalmente sconfiggere il Primo Ordine e governare pacificamente Daan e tutta la Galassia.»
 «Quindi sono solo fini politici?»
 «Lo sai che non sono solo quelli.»
Padme sospirò e si portò le mani ai capelli, scompigliandoseli un po’. Restarono in silenzio per un bel po’, fino a quando lei affermò: «Ne parlerò con il mio consiglio ristretto. Tra meno di ventiquattro ore ti darò risposta.»











nda

grazie per la lettura, fatemi sapere cosa ne pensate delle svolte di questa storia e se vi sta appassionando.

un saluto e alla prossima 
  
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