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Autore: DameVonRosen    06/04/2018    1 recensioni
La rabbia prende il sopravvento, un sottile filo d’ira mi stringe la gola fino a farmi mancare l’aria. Mollo un calcio violento al letto, che si sposta di qualche centimetro; non indossavo le scarpe e mi sono fatta male, questo non fa che aumentare la stretta di rabbia attorno al collo, che mi porta a lanciare il telefono a terra.
(...)
Non sento nulla.
O forse no.
Forse sento anche troppo.
Sento cose che avrei preferito non sentire più, sensazioni troppo forti per la situazione in cui verso. Non dovrei più provare certe cose, a questo punto. Non dovrebbe fregarmene così tanto. Non dovrebbe importarmene così tanto.
Eppure lo fa.
Eppure mi importa.
Cristo santo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! :)
Non ho molto da dire su questa FF, mi è uscita un po' di getto in effetti, ma spero che possa incontrare i vostri gusti e magari piacervi. In ogni caso, qualsiasi commento, critica o idea è come sempre ben gradita e ben voluta! 

Buona lettura

 


Cammino avanti e indietro per la stanza, mi sistemo meccanicamente la manica del cardigan. Lo faccio distrattamente, senza nemmeno rendermene conto; lo sguardo perso, la testa altrove.

Come è stato possibile arrivare a questo punto?
Come siamo arrivati a questo?
Cosa ho sbagliato?
Cosa abbiamo sbagliato?

La rabbia prende il sopravvento, un sottile filo d’ira mi stringe la gola fino a farmi mancare l’aria. Mollo un calcio violento al letto, che si sposta di qualche centimetro; non indossavo le scarpe e mi sono fatta male, questo non fa che aumentare la stretta di rabbia attorno al collo, che mi porta a lanciare il telefono a terra.

Forse si è rotto, forse no. Forse devo comprarne uno nuovo.

L’ira mi sta uccidendo. Ho voglia di fare del male a qualcuno, ho voglia di prendere a bastonate qualcuno di indefinito.

Non sento nulla.

O forse no.

Forse sento anche troppo.

Sento cose che avrei preferito non sentire più, sensazioni troppo forti per la situazione in cui verso. Non dovrei più provare certe cose, a questo punto. Non dovrebbe fregarmene così tanto. Non dovrebbe importarmene così tanto.

Eppure lo fa.

Eppure mi importa.

Cristo santo.
 
Il filo d’ira attorno alla gola si allenta, ma questa la sento gonfiarsi, gonfiarsi fino a farmi male. È tesa e tirata e cerco in tutti i modi di combatterla perché so benissimo cosa sta per accadere. Non voglio piangere, questa situazione non lo merita e soprattutto mi gira tremendamente il cazzo all’idea di piangere.

Si piange quando si è tristi ed io non sono triste: sono infuriata, non sono triste.

Non sono infuriata, mi rendo conto, sono nervosa, stanca, frustrata, spolpata, delusa.

Delusa da me stessa, delusa da te.

Delusa dalle tante promesse che non sono state mantenute.

Delusa dal fatto che nessuno dei due è indispensabile all’altro.

Come è potuto accadere.

Due amici, due amanti, due confidenti, due spalle, due braccia, due cuori. Tanti amici in comune, tante serate, tanti sorrisi.

E ora siamo arrivati ad essere a malapena conoscenti.

Come siamo arrivati ad essere appena conoscenti?
Come siamo arrivati a farci le domande di cortesia quando ci vediamo?

Ricordo il modo in cui mi abbracciavi quando mi vedevi, era un abbraccio di abitudine, senza troppa carica emozionale; ma quando eravamo soli, quando me la prendevo per le tue battute idiote e mi stringevi, come se avessi avuto paura che me ne andassi, ecco, lì sentivo tutta la tua anima.

Sentivo la tua anima che mi stringeva il cuore fino a farlo piangere.

Ricordo le tue mani, le ricordo sul mio viso, ricordo quando le allungavi dietro la testa prima di baciarmi o per avvicinarmi a te. Le ricordo sul mio corpo, ricordo il modo assolutamente naturale con cui mi sfioravi, nessuno conosceva il mio corpo meglio di te, nessuno.

Come siamo arrivati al nulla?

Ricordo gli errori. Oh, quanti ne abbiamo fatti. Ci siamo fatti del male consapevolmente, ci allontanavamo per farci rabbia a vicenda, ci sputtanavamo. Poi c’è stata la ciliegina sulla torta: quado mi hai detto che credevi di amarmi, che avresti potuto amarmi, che sarei potuta essere la tua donna.

E poi te lo sei rimangiato via messaggio.

Non so quanto fosse vero il tuo sentimento detto e rinnegato, non so cosa provavo io e non so cosa provo ora. L’unica cosa che so è che mi fece male. Dio, quanto mi hai fatto male!
Non ce la facevo più a guardarti, a parlarti. Ero delusa. Ma non sono mai stata delusa dal fatto che non mi amassi, ma dalla leggerezza con cui l’hai detto e te lo sei rimangiato, l’insensibilità con cui non hai pensato ai miei sentimenti, a me.

È stato un errore grossolano, uno scivolone, una caduta di stile.

Ma col tempo ho capito che una persona non è solo gli errori che fa. Ho capito che se fossi stata pesata, vista e giudicata solo in base agli errori che ho fatto ora probabilmente non sarei qui.

Tu mi hai detto che non ce la facevi più a non parlarmi, a trattarci come estranei. E nemmeno io.

Ho visto il tuo dolore nell’apprendere di avermi ferito, ho visto quanto ti sei sentito male. E so che non ti sentivi male per il fatto che non ti rivolgevo la parola, ma per avermi ferito. Stavi soffocando nel senso di colpa per avermi fatta soffrire, l’ho visto.

Ti ho perdonato per quello che hai fatto.

Mi ci è voluto un po’, ma l’ho fatto, completamente.

Te l’ho anche detto ed ero sincera, non avevo e non ho rancori nei tuoi confronti, non li avrò mai. Tu non ci volevi credere, pensavi fosse una frase di cortesia, pensavi lo stessi dicendo tanto per dire. Ma quando hai visto che ero sincera mi hai fatto promettere che saremmo sempre stati amici, che non ci saremmo mai allontanati.

Allora perché è accaduto?

Le lacrime mi bagnano il viso, il nodo alla gola si fa più stretto, il filo di rabbia è tornato a stringere.

Io ci credevo, cazzo.

Credevo in noi, nelle nostre promesse, in quello che siamo stati e in quello che ci siamo detti.

Credevo in te.

Credevo in me quando ti avevo nella mia vita.

Ero una bella persona, più di ora, con meno rimpianti e più sorrisi. Amavo la persona che ero quando anche tu eri nella mia vita.

Io e te non avevamo una relazione, non siamo ex, cazzo.

Eravamo qualcosa di strano, di indefinito e probabilmente di immorale e insensato, ma era una cosa esageratamente forte, intensa, vera.

Ma una cosa la so per certo.

So per certo che eravamo amici, che ognuno di noi aveva in custodia una parte del cuore dell’altro.

Tu hai ancora il mio pezzo di cuore, ma io sento di non avere più il tuo.

Non mi interessava il sesso, idiota.
Se avessi saputo che fare sesso avrebbe comportato perdere il mio migliore amico, non mi sarei fatta sfiorare nemmeno con un dito da te. Non ti avrei fatto avvicinare al mio corpo, alle mie labbra.

Piango, singhiozzo rumorosamente, mi viene voglia di urlare, ma non ne ho la forza.

Mi manchi da morire. Ti sento così lontano che è come se fossi morto. Sento un vuoto nel mio corpo, un buco all’altezza dello stomaco, ma questo non mi fa sentire più leggera.
Mi sento sdraiata in un pozzo, senza riuscire ad alzarmi, senza vedere alcuna luce.

Sono inerme, non posso cambiare questa situazione, non posso cambiare il tuo atteggiamento.
Mi vedi come una ex e ora che ti sei fidanzato pensi che restare amico con una ex sia sconveniente.

E forse hai ragione.

Peccato che io non sia mai stata una ex, tra noi c’erano mille cosa ma no, no, non una storia d’amore. Quella proprio no.

Peccato che abbia fatto tutto tu. Non ti sei fermato neanche per un momento a pensare a quello che avrei voluto io, a come la pensavo io.

Non mi hai dato spiegazioni.

I rapporti si sono chiusi così come sono iniziati.

Quello che eravamo è finito così come è iniziato.

Il punto è che tra noi non è mai iniziato nulla, in realtà. Niente di formale, niente di scritto, niente di definito.

Non eravamo niente, ma in quel momento eravamo il nostro tutto.

Niente è mai iniziato, per cui non c’è niente che possa essere finito.
Se nulla inizia, nulla finisce.

Questo è il punto.

La nostra relazione non c’era, ma c’era.

Nel mio cuore ora qualcosa non c’è più, ma in realtà c’è ancora.

C’è sempre stato e più mi calmo, più smetto di piangere, più realizzo che quello che ho dentro ci sarà sempre.
Mi fa girare il cazzo pensare che per te non sia così, non sia mai stato così e mai lo sarà. Fa male pensare che fino ad ora ho creduto che avessimo provato le stesse cose, che dentro i nostri cuori ci fossero le stesse cose.

Mi fa male aver creduto di essere per te quello che tu sei stato per me. Mi fa male rivolgerti parole di cortesia quando ti vedo, mi fa male dovermi comportare come mi comporto col vicino di casa. Preferirei non parlarti, preferirei avere così tanta rabbia verso di te da odiarti e da non voler avere rapporti con te.

Sarebbe più facile, senza ombra di dubbio.
Ma non è così, questo mi fa arrabbiare. Mi fa arrabbiare il fatto che preferirei odiarti, piuttosto che volerti bene.

Già, ti voglio bene. Ti sento ancora parte di me come un fratello e questo non cambierà mai.
Sarò sempre lì per te, dovrai solo voltarti e chiamare. E non mi reputo una sfigata per questo, o una sottona, una che non ha capito che deve mollare, una ancora innamorata di uno che non la ricambia. No, non è affatto così.

Mi reputo una persona che ha fatto una promessa e la mantiene. Mi reputo una persona che ti vuole bene in modo incondizionato e disinteressato, una persona che ha accettato da un bel po’ il fatto che il suo affetto non sia ricambiato.

Mi reputo una persona che non è mai stata innamorata di te e non lo sarà mai, ma sono una persona che ti ama come amerebbe suo figlio, suo fratello, suo padre.
 


Come destata da un sogno, realizzo di essere stata in piedi, ferma, per un lasso di tempo indefinito. Mi accorgo di essere rigida sulle gambe e cerco di rilassare i muscoli. Prendo un respiro e chiudo gli occhi: mi fanno male, il trucco deve essere colato dentro.
30€ di mascara e se finisce negli occhi fa più male di quelli cinesi da 2€.

Vedo il telefono a terra, lo raccolgo e lo giro verso di me: è inspiegabilmente intatto, anche questa volta sono stata graziata. Doverne comprare uno nuovo, in questo momento, non avrebbe reso la situazione più agevole.
Mi siedo sul letto e appoggio i gomiti sulle ginocchia, respirando e fissando la sedia avanti a me.

Mi sento più rilassata, aver preso consapevolezza di questa situazione e averla esternalizzata forse mi ha fatto bene. Non è cambiato niente, ma sono più propensa ad accettare passivamente la cosa.

Non che abbia molte alternative, in ogni caso.

Mi sforzo di sorridere. Forse le cose non potevano finire diversamente da così. Per come siamo fatti, forse ci saremmo allontanati in ogni caso.
È possibile in effetti.

Indosso un paio di Stan Smith e mi accingo ad uscire.
Il cielo è plumbeo, sembra che stia per piovere. Me ne infischio ed esco ugualmente, portandomi dietro solo le chiavi di casa.

Tutto quello che mi resta di te sono i ricordi di quello che siamo stati, di quello che eravamo. Dovrebbe farmi sentire triste e desolata la consapevolezza di questa realtà, ma inspiegabilmente mi sento sollevata, ci impiego un po’ ma ne capisco il motivo.

Il nostro rapporto ora non c’è più, è brutto, inesistente e marcio, ma prima non lo era. Quello che siamo stati è eterno, il bene che ci volevamo allora non era finto.

Quello che siamo fa schifo, ma quello che siamo stati non cambierà mai, durerà per sempre.

Sorrido a questa idea, prendo un respiro profondo e inizio a correre, mentre la pioggia inizia a cadere dal cielo. 





 
NOTE DELL'AUTRICE
Ciao, cari lettori :)
Anzitutto vi ringrazio per aver letto questa piccola one-shot e ringrazio in anticipo chi spenderà un po' del suo tempo a recensirla e a darmi una sua opinione in merito, siete fantastici e preziosissimi per me!
Alla prossima!
M
   
 
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