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Autore: Shireith    07/04/2018    1 recensioni
«Vuoi essere la mia Ladybug?»
«La tua chi?»
«La mia Ladybug! La mia partner. Due supereroi che la notte di Halloween difendono i deboli e gli innocenti dai cattivi, portando caramelle ai bambini buoni.»
Marinette pensò che quel bambino dovesse averne davvero tanta, di fantasia, ma doveva ammettere che c’era qualcosa in lui che l’attirava. Aveva un sorriso raggiante, di un’intensità pari a quella del sole. Era comparso dal nulla, l’aveva salvata da quei bulli e adesso blaterava idee strane sui supereroi – strane, già, ma anche divertenti, motivo per cui accettò. «Va bene.»

{Adrien/Marinette, Nino/Alya, side!Chloé | Volleyball!AU}
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9



21 ottobre 2017, sabato,
  ore 18:27, Parigi
 «Oh, fantastico, ci mancava solo questa.»
  Come Adrien, anche Paul, il libero dei Gatti Neri, accolse con timore il turno al servizio del numero 1 avversario – l’alto e robusto capitano delle Aquile, che, durante le precedenti partite, gli aveva dato non poco filo da torcere. Il suo servizio era così potente e preciso da risultare micidiale persino per il libero, il ruolo di colui che viveva per la ricezione.
  «Dai che questa la prendiamo!» cercò di tener alto il morale della squadra Christian, che in quella quarta amichevole giocava come alzatore titolare al posto di Marinette. Come la ragazza, oltre a ricoprire il ruolo d’alzatore, Christian era anche capitano, perciò era abituato a incoraggiare costantemente i compagni quando ce n’era più bisogno.
  Adrien gettò un’occhiata veloce al tabellone: con le Serpi e le Aquile che conducevano il terzo set per 24 a 22, dovevano assolutamente domare il servizio avversario, o sarebbe stata la fine, per loro.
  L’arbitro fischiò e la partita poté ricominciare. Quando, pochi secondi dopo, il capitano delle Aquile eseguì una battuta al salto, fu chiaro a tutti che aveva appositamente deciso di indirizzarla verso Adrien affinché il giovane non avesse a disposizione il tempo materiale per correre in prima linea e schiacciare su una delle alzate di Christian. Inoltre, era ormai risaputo agli avversari che Adrien peccava ancora in ricezione.
  Quella, però, doveva assolutamente prenderla: non poteva permettersi il lusso di essere la causa per la quale i suoi compagni avrebbero perso una seconda amichevole.
  La palla saettò nella sua direzione con eccezionale precisione, ma lui si dichiarò pronto a riceverla: fletté meglio le ginocchia e unì gli avambracci, le spalle ben strette, accogliendo con stabilità la palla quando vi entrò in contatto. Quella venne spedita sotto rete, dove Christian si prese gioco del muro avversario optando per un attacco di seconda intenzione invece che alzare la palla a uno dei compagni.
  I Gatti Neri e le Coccinelle riuscirono così a fare punto, e gli allenatori avversari chiamarono un time-out: essendo ora 24 a 23, erano spaventati che avrebbero potuto perdere il vantaggio che avevano conquistato con tanta fatica.
  Adrien decise di approfittare di quei pochi attimi di pausa per stuzzicare Marinette. «L’hai vista anche tu quella splendida ricezione, vero?»
  «Sì» fu costretta ad ammettere. «Molto meglio di quella con la faccia, devo dire.»
  Adrien la ignorò di proposito. «Continua a prestare attenzione, perché la prossima sarà ancora meglio.»
  E invece, nonostante quel miracoloso salvataggio di poco prima, le Coccinelle e i Gatti Neri non furono in grado di rimontare, perdendo il terzo set – e dunque l’intera partita – per 25 a 23.
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 8:29, Parigi

  «Come vanno i preparativi per la competizione, papà?»
  Gabriel spostò lo sguardo dalla sua colazione al volto del figlio e inarcò un sopracciglio. «La persona a cui stavi pensando ha accettato, vedo.» L’osservazione dello stilista avrebbe sortito un effetto maggiormente ironico, se solo la sua serietà non l’avesse dissuaso dall’accompagnarla con un sorriso divertito.
  Adrien, in ogni caso, non era così stupido da non afferrare il significato di quelle parole. «Sì» confermò, lasciandosi andare a un sorriso mentre gli tornava alla memoria tutta la conversazione avuta con Marinette il giorno precedente – la mattina presso la pasticceria dei suoi genitori, la sera a seguito dell’amichevole che avevano perso. «All’inizio non era molto convinta, ma poi ha ceduto.»
  Gabriel intuì che dovesse trattarsi sempre della stessa ragazza con cui Adrien si allenava da più di un mese – lo capiva dal modo in cui il figlio ne parlava, con trasporto, con una scintilla che guizzava nel suo sguardo carico di passione. Di nuovo, lo stilista non poté non dargli credito, perché sapeva che un tipo come Adrien non si sarebbe fatto incantare da chiunque. Il desiderio di conoscere quella ragazza per constatare con i suoi occhi quale fosse il suo vero potenziale era sempre maggiore, non poteva negarlo.
  Ad ogni modo, l’uomo preferì rimandare la questione a più tardi e ritornò con la memoria alla domanda che il figlio gli aveva posto poco più di un minuto prima. «Tutto procede per il vesto giusto. Ad occuparsi della parte organizzativa è soprattutto Miranda, e dice che se continuiamo di questo passo, saremo pronti a partire settimana prossima.»
  Una cosa che Adrien non voleva ammettere di fronte al padre per timore di una sua reazione negativa era che gli piaceva la presenza di Miranda Fontaine nella sua vita. Non perché sperava che trovasse in lei una compagna di vita, ma più semplicemente un contatto umano che non fossero lui o Nathalie: al di fuori di loro due, Miranda era di fatto l’unica persona di cui Gabriel non trovasse disturbante la presenza. Sebbene il marchio della donna fosse a lui conosciuto da prima che la moglie morisse, Miranda era entrata nella vita dello stilista da poco più di un anno: Gabriel gliel’aveva lasciato fare a poco a poco, perché rispettava il suo lavoro e la sua autenticità. Era una persona vera, senza maschere né doppi fini, di come se ne vedevano poche, nel suo mondo.
  Adrien pensava che, semmai suo padre si fosse invaghito di Miranda, non sarebbe stato un male: erano passati cinque anni dalla prematura scomparsa di sua madre e sperava che suo padre, prima o poi, sarebbe riuscito a superarla. Non ne era tuttavia molto fiducioso, poiché ogni volta che l’argomento veniva fuori, Gabriel si dimostrava suscettibile come il primo giorno: nonostante le cose tra loro sembrassero andare meglio, Adrien credeva infatti che difficilmente sarebbero un giorno riusciti a parlare della madre a cuor leggero. Per quanto riguardava però tutto il resto, il ragazzo sentiva che, per la prima volta nella sua vita, suo padre stava seriamente cercando di instaurare tra loro un rapporto sano, basato sulla fiducia reciproca.
  Furono questi pensieri che gli fecero realizzare che c’era ancora una cosa da fare. «Papà, a proposito di ciò che è successo tra me e Chloé non molto tempo fa… mi dispiace di aver creato dei problemi tra te e il sindaco.» Non era del tutto vero. Aveva scelto di riappacificarsi con Chloé perché sicuro di essere stato troppo ingiusto nei confronti di quella che per anni era stata la sua unica amica, non per timore che il loro litigio potesse minare i rapporti tra suo padre e il sindaco – che non erano poi nemmeno tanto marcati, a dirla tutta. Tuttavia, potendo ora ragionare a mente lucida, aveva decretato che sarebbe stato più saggio da parte sua mettere da parte l’orgoglio e deporre per primo l’ascia di guerra.
  «Lo apprezzo» commentò Gabriel. «Quindi tu e la figlia del sindaco vi siete riappacificati?» Ricordava di averli visti scambiarsi qualche parola all'evento a Le Grand Paris, ma non gli aveva mai chiesto che cosa si fossero detti esattamente.
  «Sì.» Che si fossero riappacificati era certo, ma Adrien non sapeva come sarebbero state le cose tra loro, di lì in avanti. Non si erano sentiti dal giorno dell’evento: per non avergli inviato nemmeno un messaggio, probabilmente Chloé era ancora combattuta tra l’affetto che provava per lui, il suo orgoglio e altre emozioni di cui il ragazzo non era a conoscenza. Inoltre, adesso che Adrien aveva finalmente altri amici, che direzione avrebbe preso la loro, di amicizia? Era chiaro che Chloé avesse difficoltà a digerire Alya, Nino e in particolar modo Marinette.
  «Bene.»
  La breve affermazione del padre lo riportò alla realtà. Il primo passo era stato fatto: il percorso su cui si era addentrato sembrava procedere stabilmente lungo la giusta direzione, quindi perché non azzardarne un secondo? «Però adesso Chloé non è la mia unica amica. A scuola i compagni mi piacevano molto, soprattutto Nino e Marinette.» Non menzionò Alya perché, nonostante fosse sicuro che si trattasse di una ragazza molto in gamba, non avevano avuto molto tempo a loro disposizione per conoscersi, dato il fraintendimento del primo giorno.
  «Dove vuoi arrivare?» lo incalzò Gabriel.
  Quanto avrebbe desiderato chiedere a suo padre il permesso di ritornare a scuola o di poter uscire per fatti suoi, questo solo Adrien lo sapeva. Ma era sicuro che il genitore non avrebbe mai accettato – non ancora –, dunque avanzò la seguente richiesta: «Mi chiedevo se potessi invitarli qui, uno di questi giorni. Ti sembra una buona idea?»
  Gabriel si fermò a riflettere: a parte la sua recente fuga per andare a disputare una partita, quante altre volte Adrien aveva seriamente disubbidito o deluso la sua fiducia? Mai, che riuscisse a ricordare. «Hai il mio permesso.»
  Nonostante Adrien desiderasse con tutto se stesso ricevere un sì come risposta, gli sembrò comunque incredibile che suo padre avesse davvero accettato. «Dici sul serio?»
  «Certamente.»
  Il giovane sorrise di gioia, senza alcuna vergogna nel dimostrare tutta la sua felicità. «Grazie mille, papà.»
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 10:11, Parigi

  «Non ci posso credere che tu abbia aspettato tanto a dircelo. Seriamente, cosa ti è passato per la testa?»
  «Non lo so, Alya, mi sembrava tutto così confuso… e stupido.»
  «Più stupido di quando alle medie Nino diceva di voler fare il buttafuori perché è divertente cacciare le persone dalle feste?»
  «Non è per niente quello che ho detto io!»
  «Be’, in verità…» E poi, all’unisono, scoppiarono tutti e tre a ridere: Marinette abbracciò prima Alya, poi Nino.
  Ancora timorosa di affrontare l’importante questione circa i suoi dubbi futuri con i suoi genitori, Marinette aveva deciso, anche su consiglio di Adrien, di parlarne prima con Alya e Nino. Con loro si era sentita più sicura, perché sapeva che anche quei due, suoi coetanei, avevano ancora tutta una vita davanti, fatta di interrogativi e incertezze. I suoi genitori erano due persone comprensibili e ragionevoli, ma fino a che punto lo sarebbero stati, se si trattava del futuro della loro preziosa figlia? Sicuramente erano già pieni di aspettative: come poteva, Marinette, deluderli? Loro, le persone a cui doveva la vita.
  «Io non so neanche se dopo il liceo voglio continuare gli studi» stava confessando Nino. «Lo so che avere una laurea è molto importante, ma la musica e l’università non vanno proprio d’accordo. E se mettessi da parte la musica per laurearmi e poi trovassi un lavoro e decidessi di mollarla per sempre?»
  Mettere da parte i propri sogni per una realtà lavorativa più sicura e attuabile: Marinette credeva che questo fosse uno degli interrogativi più importanti che attanagliavano la mente di tutti i giovani del mondo. Un dubbio esistenziale che tormentava non solo lei, ma anche Adrien, Nino e forse Alya: era stata così stupida a pensare che potesse interessare solo lei.
  Alya accorciò le distanze tra lei e Nino e poggiò la testa sulla sua spalla, mentre il ragazzo le cingeva la vita con un braccio e la stringeva a sé. «Sono sicura che lo capirai quando sarà il momento» gli assicurò. Stava per aggiungere altro, ma fu interrotta da un cinguettio proveniente dal telefono di Marinette, la quale aveva appena ricevuto un messaggio da parte di Adrien. Sto per darti una notizia che ti farà sorridere, recitava. Ma Marinette sorrise già allora, per il puro piacere di aver ricevuto un suo messaggio.
  «Chi è?» chiese Nino, vedendola così felice.
  Ora, Marinette voleva bene a Nino. Lo adorava tanto quanto adorava Alya, ma Alya era pur sempre Alya… Innanzitutto era una ragazza, e solo con lei poteva affrontare determinati argomenti. Nino non era esattamente una cima nel dare consigli in amore, e se mai avesse scoperto della sua gigantesca cotta nei confronti di Adrien, be’, non era sicura fino a che punto sarebbe riuscito a mantenere il segreto. «Oh, è, ehm, una compagna di squadra… che mi ha detto una cosa sugli allenamenti di domani.»
  Alya le lanciò uno sguardo molto eloquente. «Su una scala da 1 a 10, quanto diresti che è grande questa cosa?»
  Marinette ricevette un secondo messaggio, in cui Adrien le chiedeva se a lei, Alya e Nino sarebbe piaciuto passare una giornata a casa sua, siccome il padre l’aveva autorizzato ad invitare qualche amico. «8 o 9.»
  «Si tratta di quella cosa lì?» domandò Alyà, avendo già ampiamente intuito che potesse trattarsi di Adrien.
  «Sì, è quello.»
  «Nino, ci vai a prendere qualcosa da bere al bar qui dietro?»
  «Non voglio neanche sapere» commentò il giovane, alzandosi dalla panchina del parco a cui erano seduti e obbedendo alla richiesta di Alya.
  La sua ragazza rise mentre lui si allontanava, poi riportò la sua attenzione su Marinette. «Allora, che cosa dice Adrien?»
  «A quanto pare suo padre gli permette di invitare alcuni amici a casa e vuole sapere se vogliamo andare lì oggi pomeriggio.» Alya sorrise in modo compiaciuto, l’espressione furba. «Qualsiasi cosa tu abbia in mente, ho paura a chiederlo.»
  «Diciamo solo che oggi io e Nino potremmo essere accidentalmente occupati in altre attività, lasciando soli tu e Adrien.»
  Marinette sapeva che, con i genitori e le sorelline di Alya fuori città, lei e Nino avrebbero approfittato di avere la casa libera – da due mesi a quella parte, i suoi due migliori amici erano diventati più intimi. Tuttavia sapeva anche che Alya avrebbe fatto di tutto per lasciare lei e Adrien da soli anche se lei e Nino non avessero avuto dei programmi, e per quanto una parte di lei lo desiderasse, l’altra non se la sentiva minimamente di fare un simile torto all’amico. «Adrien rimarrebbe deluso se mi presentassi solo io.»
  «Stai scherzando? Quel ragazzo ti adora.»
  «Lui non mi adora» puntualizzò Marinette, le gote arrossate. Per quanto avesse voluto che le cose stessero davvero così, sapeva che Adrien la vedeva solo come un’amica e una compagna di squadra, niente di più, niente di meno. «Nino è il suo migliore amico, e sono sicura che non veda l’ora di conoscere meglio anche te. Per una volta che il padre gli permette di invitare qualche amico a casa, non sarebbe giusto nei suoi confronti se mi presentassi da sola.»
  Alya le sorrise con affetto e l’abbracciò. «Marinette, sei la persona migliore che conosca.» Anche l’altra sorrise, ricambiando l’abbraccio. «Però c’è una soluzione piuttosto semplice: io e Nino restiamo da me per un po’ e raggiungiamo te e Adrien più tardi, così da lasciarvi soli per qualche ora.»
  Marinette sorrise una seconda volta. «È un’idea fantastica, Alya!»
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 13:28, Parigi

  Dopo pranzo, Marinette e Adrien si sentirono via telefono e Marinette gli spiegò che Nino e Alya sarebbero stati impegnati un paio d’ore, prima di poterli raggiungere. «I genitori di Alya hanno portato le sue sorelle a Disneyland, così lei e Nino hanno casa libera» finì di raccontare.
  Adrien, a dispetto della genuinità che lo contraddistingueva, derivante da una vita passata sotto una campana di vetro, rimaneva pur sempre un ragazzo di sedici anni: non gli fu difficile capire che cosa Nino e Alya avessero intenzione di fare con la casa di lei completamente a loro disposizione. «Va bene» commentò, le labbra incurvate in un sorriso divertito. «Allora ci vediamo alle quattro a casa mia?»
  «Alle quattro sia.»
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 16:03, Parigi

  La residenza degli Agreste sorgeva poco distante dalla torre Eiffel, torreggiando con la sua imponenza sulle abitazioni circostanti; si trattava di una villa di due piani dai muri color panna e i tetti grigi delimitata tutt’intorno da un alto cancello.
  Solo a vederne la solennità, Marinette si sentì come intimidita, tuttavia cercò di non darvi peso e suonò il campanello.
  «Chi è?» sentì chiedere dall’altro capo del citofono – sebbene non l’avesse mai incontrata di persona, Marinette ebbe tutte le ragioni di credere che quella fosse la voce di Nathalie, l’assistente di Gabriel Agreste.
  «Mi chiamo Marinette, sono un’amica di Adrien.»
  Non ottenne nessuna risposta, finché, appena qualche istante dopo, non vide schiudersi le porte dell’abitazione, da cui fece capolino Adrien. Il tempo di percorrere il breve tratto che li separava e il ragazzo fu subito da lei, il cancello che intanto si era aperto quasi del tutto.
  Il giovane salutò Marinette con entusiasmo: fino a non molto tempo prima, non avrebbe mai pensato che suo padre gli avrebbe concesso il permesso di invitare qualche amico a casa – né che avrebbe avuto altri amici oltre a Chloé, in verità –, dunque non poteva essere che felice, ora che aveva la possibilità di ricredersi. «Mio padre ti vuole conoscere» le disse mentre percorrevano insieme il vialetto, e Marinette assunse un’espressione allarmata. «Tranquilla, non ti devi preoccupare» volle rassicurarla. «Se sai come prenderlo, mio padre non è poi tanto male.»
  «Peccato che io non sappia minimamente come prenderlo.» Tutto ciò che aveva imparato su Gabriel Agreste lo sapeva dai mass media, ma soprattutto dai racconti di Adrien: che cosa avrebbe pensato, un uomo di quello stampo, di lei, una ragazza con l’abilità di cadere anche da ferma?
  Adrien si massaggiò la nuca. «Andrà tutto bene, vedrai.» A dispetto delle sue parole, anche lui era visibilmente nervoso: benché conoscesse Marinette da poco, la considerava un’amica più che fidata, e sperava con tutto il cuore che anche suo padre si rendesse conto di quanto fosse speciale.
  Intanto avevano ormai varcato la soglia dell’entrata. Una volta dentro, gli occhi azzurri di Marinette incontrarono un grande atrio con due porte ai lati e una scalinata centrale al di sopra della quale v’era appeso un grande quadro raffigurante Gabriel Agreste e suo figlio: l’espressione dell’uomo era, come suo solito, seria e impassibile, mentre Adrien dava la netta impressione di essere annoiato. Dal soffitto, infine, pendevano quattro lampadari che illuminavano di una luce viva il nero e il bianco dell’arredamento. Era un’abitazione sobria ed elegante, degna di uno stilista di buon gusto come Gabriel Agreste, tuttavia Marinette ebbe come l’impressione che quel luogo fosse effuso di tristezza e solitudine.
  La ragazza stava per dire qualcosa, quando vide comparire in cima alle scale la figura del padrone di casa, che subito prese a percorrere gli scalini uno ad uno finché non fu loro davanti. Solo in quel momento Marinette si accorse di essere ancora più tesa di quanto pensasse di esserlo un attimo prima: stimava l’uomo che aveva di fronte, nonché il suo operato, ma, allo stesso tempo, la sua usuale figura stoica, con lo sguardo fiero e le mani congiunte dietro la schiena, le incuteva come un timore reverenziale.
  «Papà,» esordì Adrien, che, a differenza sua, ora pareva piuttosto rilassato, «questa è la Marinette di cui ti ho parlato, ricordi?»
  «Sì, vagamente.» Gabriel aveva ben a mente chi fosse quella ragazza – come poteva ignorarne il nome, se suo figlio si dimostrava così interessato a lei? –, tuttavia, come dettava la sua indole, non era di suo gradimento mostrare particolare interesse per una persona a meno che quella non gli avesse dimostrato di meritarlo davvero.
  «È la ragazza con cui mi alleno tutti i giorni e che vuole partecipare alla competizione che tu e la signora Fontaine state organizzando» gli fece comunque presente Adrien, inconsapevole di cosa ricordasse il padre di tutto ciò che gli aveva raccontato sul conto di Marinette.
  «Spero che sia all’altezza, allora» commentò l’uomo senza malizia alcuna, facendo tuttavia irrigidire Marinette dal nervosismo quando i suoi occhi attenti e scrutatori si posarono su di lei. Probabilmente aspettava che proferisse parola, ma la ragazza non aveva la più pallida idea di cosa dire senza fare la figura della stupida.
  Di nuovo, fu l’intervento tempestivo di Adrien a salvarla da un lento e imbarazzante silenzio. «Sono sicuro di sì: Marinette è piena di sorprese.» Non era certamente paragonabile a una dichiarazione d’amore, ma il solo pensiero che Adrien avesse una tale considerazione di lei le diede le palpitazioni.
  Finalmente, Marinette fu in grado di prendere parola. Oltre a scaldarle il cuore, il commento lusinghiero di Adrien aveva sortito su di lei un effetto calmante: intimorita dallo stoicismo di Gabriel Agreste, il suo giovane amico le faceva come da scudo. «Mi impegnerò al massimo, signore.»
  Lo stilista le lanciò uno sguardo eloquente, che Marinette non riuscì a decifrare: in ogni caso, comunque, non sembrava tradire sentimenti negativi. Non poteva dirlo con certezza, ma in quel momento la ragazza credette che non piacere a Gabriel Agreste fosse molto peggio di quello. «Mi fa piacere sentirlo.»
  «Ho invitato anche altri due amici,» cambiò discorso Adrien, «ma sono impegnati e ci raggiungeranno più tardi.»
  Il genitore annuì. «Vorrà dire che quando arriveranno farò anche la loro conoscenza. Intanto mi trovi nel mio studio.» Rivolse a entrambi i ragazzi un cenno del capo in segno di saluto, dunque voltò loro le spalle e si diresse nel suo studio.
  Quando la sua figura scomparve dalla loro vista, Marinette liberò un sospiro, come se avesse riacquistato solo in quel momento la facoltà di respirare come un normale essere umano.
  «Visto? Non è andata poi così male» commentò Adrien.
  Marinette inarcò un sopracciglio. «Quale parte, quella in cui me ne resto muta come un pesce?»
  L’altro sorrise. «Ok, poteva andare meglio… ma sembra che ti trovi interessante.»
  «Lo dici solo perché ti faccio pietà.»
  «No, affatto» la contraddisse. «Mio padre è un tipo che sta molto sulle sue, ma non si fa problemi a mostrare la sua antipatia per qualcuno: è quando una persona ha davvero attirato il suo interesse che si comporta come si è comportato con te.»
  Mentre si scambiavano quelle parole, i due ragazzi raggiunsero presto l’entrata della camera da letto di Adrien. Quando le porte si schiusero e ne varcarono insieme la soglia, Marinette rimase sbalordita dalla vastità della stanza. Di fronte a loro si apriva un’ampia vetrata attraverso la quale il sole gettava pigramente i suoi raggi, e, prestando uno sguardo più attento, la giovane adocchiò un variegato mobilio che non si era soliti trovare nella camera di un adolescente: nonostante in cima al soppalco vi fosse una libreria contenente un numero spropositato di CD, a saltarle maggiormente all’attenzione fu il pianoforte posizionato al centro della stanza. Marinette vi si avvicinò con premura e, come fosse fatto di cristallo e minacciasse di rompersi al minimo tocco, fece delicatamente correre due dita lungo i tasti biancastri. «Sai anche suonare?» gli chiese, girando il capo in direzione di Adrien e scrutandolo da sotto i ciuffi neri.
  Anche il ragazzo, a quel punto, si avvicinò allo strumento, passando a sua volta le dita sui tasti bianchi e dando poi vita a una breve melodia. «Sì» rispose, a sostegno dell’atto che aveva appena compiuto.
  Senza che sentisse il bisogno di esprimere quel pensiero a parole, Marinette rimase colpita dai molteplici talenti che Adrien rivelava di possedere. La musica, poi, lei l’amava: credeva che fosse in grado di parlare a chiunque si fermasse ad ascoltarla, anche a chi non ne capiva la complessità teorica.
  Adrien prese posto a un lato dello sgabello di pelle, invitando Marinette ad affiancarsi a lui. Mentre la ragazza obbediva, le sue esperte mani cominciarono a farsi strada sull’avorio lavorato della tastiera bianca e nera: le dita si rincorrevano veloci senza mai riuscire a raggiungersi l’un l’altra, essendo tuttavia capaci di riprodurre una melodia soave, il cui ritmo procedeva vivo e incalzante.
  Marinette stette ad ascoltarlo e vederlo suonare in silenzio, cullandosi nella dolcezza di quell’armonia.
  D’un tratto, il motivo cambiò: con scioltezza, Adrien fu capace di passare da un componimento a un altro, entrambi dalla melodia morbida e ben scandita – e da quel passaggio così naturale, Marinette comprese a pieno il talento di Adrien per la musica.
  Poi il brano cominciò a perdere vivacità, mantenendosi ora su toni sì deliziosi ma più calmi: Marinette ebbe come l’impressione di essere la fortunata protagonista di quella melodia, perciò si lasciò cullare da tanta grazia senza opporre alcuna resistenza. Adrien era così preso dalla sua stessa musica che quella sembrava quasi assumere una forma concreta, palpabile.
  La conclusione di quella melodia fu come se qualcuno, con prepotenza, l’avesse catturata e gettata fuori dalla bolla invisibile che la magia di quelle note aveva creato solo e soltanto per loro due: immerso nell’esecuzione di quel pezzo, Adrien era stato capace di suscitare in lei una miriade di emozioni diverse, e ora era tutto sparito, dissoltosi troppo in fretta perché Marinette non ne rimanesse scombussolata.
  «Sei bravissimo» commentò semplicemente: contrariamente a quanto sapeva fare la musica, le parole non erano abbastanza per descrivere a pieno la sfera emotiva dell’essere umano.
  Adrien ricambiò il sorriso che l’amica le aveva rivolto. «Grazie.» Le sue dita tornarono a muoversi sui tasti bianchi del pianoforte e una nuova melodia prese vita, simile a quella spentasi poco prima. E poi, quasi dal nulla, l’istinto sembrò suggerire alla bocca di unirsi al cuore nel tentativo di dare ai suoi sentimenti la possibilità di essere ascoltati. «È un dono di famiglia» esordì, il tono di voce pacato per nulla in contrasto con le note provenienti dallo strumento a corde percosse. «Mia madre era una pianista non professionista, mio padre anche.»
  «E tuo padre suona ancora?»
  «Pochissime volte. Quasi mai, in realtà. Credo che gli faccia male perché gli ricorda tanto mia madre, ma io penso che, tra tutti i modi in cui potrei ricordarla, questo sia decisamente il migliore. La musica è piena di vita, imprevedibile, così come lo era lei.»
  Marinette amava il modo in cui Adrien parlava di sua madre – con serenità, a testimonianza del fatto che il suo cuore aveva da tempo elaborato il lutto: nonostante la donna non fosse più tra loro, ascoltando i racconti dell’amico era come se avesse la possibilità di incontrarla di persona. Più imparava a conoscerla, più si convinceva che dovesse essere una donna fantastica.
  Al tempo stesso, tuttavia, quasi come se la colpa fosse sua, Marinette avvertiva una fitta al cuore al solo pensiero che Gabriel Agreste incontrasse molte più difficoltà di Adrien nel ricordare la defunta moglie: era sicura che i due avrebbero sofferto di meno, se solo avessero condiviso il peso della perdita che avevano subìto. Questi erano pensieri, tuttavia, che non osava esprimere a parole, perché sapeva che la morte di una persona che non aveva mai conosciuto non la riguardava affatto. Solo avrebbe voluto poter fare qualcosa per Adrien, perché se c’era una cosa di cui era certa, questa era che odiava vederlo soffrire.
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 18:49, Parigi
«Sssh! Questa è la scena migliore!»
  Con fare risentito, Alya allacciò le braccia al seno, fissandolo in tralice. «Avrai visto questo film milioni di volte.»
  «Sì, ma questa è la scena migliore» ribadì.
  Poco più in là sul divano, Marinette, le braccia che abbracciavano le gambe e il mento poggiato sulle ginocchia unite, era più interessata al botta e risposta dei suoi due amici piuttosto che al film, che di per sé non le piaceva molto – lei e Alya, infatti, avevano accettato di vederlo poiché sapevano che, come anche Nino, Adrien ne andava matto.
  «Fanno sempre così?» le sussurrò all’orecchio proprio quest’ultimo.
  «Sì, di solito sì.»
  «Il film non piace neanche a te, eh?»
  «Se dico di no non inizierai a fare una lista delle ragioni per cui dovrebbe piacermi, vero?»
  «No.»
  «È una promessa?»
  «È una promessa.»
  «Non ho ancora capito come si chiama il protagonista.»
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 20:02, Parigi

  «Dannazione!»
  «Marinette, tutto a posto?» chiese Alya, mentre sia lei che Nino la guardavano preoccupati.
  «Ho dimenticato la borsa a casa di Adrien» gemette, maledicendosi mentalmente per la sua sbadataggine: non poteva accorgersene prima, così da non dover rifare tutto il tragitto?
  «Non puoi chiamarlo e chiedergli se te la riporta domani pomeriggio agli allenamenti?» propose Nino.
  «Ho tutto lì dentro, incluso il mio telefono.»
  A dispetto del sorriso che era appena affiorato sulle sue labbra, Alya scosse il capo con rassegnazione: non sarebbe mai cambiata, quella ragazza. «Ti accompagniamo noi, dai.»
  «Sul serio?»
  «Ma certo» confermò Nino. «Non possiamo mica farti rifare tutta la strada da sola a quest’ora della sera, no? E poi casa di Adrien non è molto lontana.»
  Marinette sorrise a entrambi, ringraziandoli.
  Presero dunque a ripercorrere la strada a ritroso, e, come aveva predetto Nino, il tragitto fu breve. Marinette si apprestò ad andare a recuperare le sue cose, mentre i suoi due amici l’avrebbero aspettata al di fuori dell’abitazione.
  Quando al citofono aveva dovuto dire a Nathalie che era tornata poiché aveva dimenticato lì la sua borsa, Marinette aveva pensato di aver già scontato la pena per la sua incredibile sbadataggine, ma si dovette ricredere nel momento stesso in cui, uscita dalla camera di Adrien dopo aver recuperato le sue cose, si era ritrovata faccia a faccia con Gabriel Agreste in persona. Per di più, l’uomo sembrava essere spuntato fuori dal nulla, ragion per cui Marinette, presa alla sprovvista, emise un gridolino di spavento. Si rese subito conto di ciò che era effettivamente successo e giurò che, se Gabriel Agreste non l’aveva mal giudicata prima, sicuramente l’aveva fatto adesso. «M-Mi scusi! Non l’avevo vista!» La ragione le stava gridando di fermarsi lì, tuttavia, nervosa com’era per via dello sguardo dello stilista puntato su di lei, Marinette non riuscì a trattenersi dal proseguire, contribuendo a scavare definitivamente la fossa alla sua dignità. «Non dovrei essere ancora qui, solo che nella strada verso casa mi sono resa conto di aver dimenticato la borsa in camera di suo figlio, e così io e i miei amici siamo tornati indietro perché la potessi riprendere. Stavo proprio tornando da loro, ma lei mi ha spaventato. Cioè! Non che lei sia spaventoso, signore, ma è apparso dal nulla… il che va bene, perché del resto è casa sua, no?»
  Dopo quello, Marinette sarebbe potuta morire all’istante e non avrebbe comunque opposto resistenza, perché cessare di esistere le sembrava pur sempre l’alternativa migliore.
  In ogni caso, il peggio sembrò essere passato quando, dopo essersi concesso alcuni lunghi attimi di silenzio, Gabriel prese finalmente parola. «Ero solo venuto ad assicurarmi che Adrien avesse passato un buon pomeriggio.»
  «Credo proprio di sì.» Le parole di Gabriel non erano sembrate per niente una domanda, tuttavia Marinette, con ritrovata naturalezza, volle fargli sapere che sì, suo figlio si era proprio divertito, quel pomeriggio. La giovane aveva sempre creduto che, a dispetto di ciò che poteva sembrare dal suo atteggiamento, Gabriel Agreste aveva davvero a cuore il benessere di Adrien, e finalmente lo stava dimostrando.
  «Mi fa piacere.» Marinette lo vide zittirsi un momento mentre non accennava nessun tipo di movimento, e pensò che lo stilista stesse riflettendo prima di aggiungere altro. «D’ora in avanti, tu e i tuoi amici siete liberi di far visita a mio figlio ogni volta che Adrien lo desidera.»
  Marinette avrebbe potuto illuminarsi in un sorriso che andava da un orecchio all’altro: davvero Gabriel Agreste, il genitore che aveva da sempre costretto Adrien a vivere sotto una campana di vetro, era lo stesso che ora gli stava concedendo quella libertà? Quando l’uomo l’avesse detto anche al figlio, Marinette era sicura che Adrien sarebbe esploso dalla contentezza.
  «Se questo è tutto, faccio ritorno nel mio studio.» Siccome, in un primo momento, Marinette non disse niente, Gabriel le voltò le spalle e fece per dirigersi nel suo studio privato. Tuttavia, la voce di Marinette si rivolse di nuovo a lui, frenandolo dai suoi propositi. «Signore» esordì, fermandosi un attimo nell’attesa che Gabriel tornasse a prestarle nuovamente attenzione. «Questo giovedì giocheremo l’ultima amichevole contro le Serpi e le Aquile: sarà la partita definitiva, poiché ne abbiamo vinte due a testa. Credo… credo che per Adrien significherebbe tantissimo, se lei riuscisse a venire.» Nel momento stesso in cui l’ultima sillaba fu pronunciata, Marinette aveva il presentimento che probabilmente avrebbe fatto meglio a tacere, ma non ce l’aveva fatta: voleva ad Adrien un bene dell’anima, e sapeva che, ora come ora, avere suo padre presente ad almeno una di tutte le sue partite l’avrebbe reso felicissimo. E se lui aveva paura di avanzare una tale richiesta, lei che cosa aveva da perdere? Il peggio che poteva succedere era che Gabriel Agreste la prendesse in forte antipatia: era un uomo molto severo, sicuramente, ma difficilmente credeva che sarebbe arrivato a prendere misure più drastiche per via di una semplice richiesta.
  «Sono un uomo molto impegnato» commentò lo stilista dopo un breve momento di pausa.
  «Non ne dubito, signore» rispose dunque lei, non essendo così sciocca da insistere ulteriormente.
  Gabriel le voltò nuovamente le spalle, e questa volta niente gli impedì di tornare nel suo studio, dove il suo lavoro era ancora lì ad aspettarlo.

Note dell'autrice
 Il cambio di nickname potrà essere uno shock (?), ma sono sempre io. In ritardo. Di nuovo.
  Mi dispiace per tutto il tempo che ho fatto passare, davvero, perché ci tenevo quanto voi ad aggiornare con regolarità… ma in queste ultime due settimane non ho avuto proprio tempo da passare al PC, poiché a causa di un guasto ho dovuto portarlo a riparare.
  Comunque, ora sono qui, quindi ciancio alle bande! Come avete letto da voi, continua l’analisi del personaggio di Gabriel. Pur essendo un AU, l’impressione che ho di lui rimane la stessa, ossia quella di un padre che, nonostante i suoi difetti, è sinceramente affezionato al figlio – e Gorizzilla e Captain Hardrock l’hanno confermato, yeh! Che io ricordi, prima di Captain Hardrock non si sapeva che Gabriel sapesse suonare il pianoforte, né ci è stato fatto sapere se la moglie ne è capace, ma a me piace pensare che ne siano entrambi capaci già da prima che Captain Hardrock andasse in onda.
  Ma tornando a Gabriel, la differenza tra il personaggio di questa storia e il personaggio della serie animata, essenzialmente, è una soltanto: poiché i miraculous non esistono, Gabriel sa che non è possibile riportare indietro la moglie e si è messo il cuore in pace. Certo, pensa ancora a lei e gli manca tantissimo, ma almeno non è ossessionato dall’idea di poterla riavere indietro. Non è il miglior padre dell’anno, ma pian piano si sta avvicinando ad Adrien – cosa che comunque sta accadendo anche nella serie animata. E purché resta pur sempre un padre, mi sembra normale che provi interesse nelle frequentazioni del figlio: non direbbe mai “Questa Marinette sembra molto interessante, te ne sei innamorato, figliolo?”, ma è interessato a conoscerla.
  Adrien, dal canto suo, è felice che suo padre abbia legato con una persona, Miranda, che non siano lui e Nathalie: non vuole che trovi una compagna di vita – anche se non gli darebbe fastidio, essendo passati cinque anni dal decesso della madre –, ma un’amicizia. Io credo che Gabriel sia quel tipo di uomo a cui non piacciono le persone false; non gli interessano le apparenze o le stupidaggini, ma quello che una persona può dare. Credo si sia innamorato della moglie perché – almeno per quanto mi riguarda – sembra una donna così vera, oltre che buona, gentile e generosa. Anche Marinette rientra in questa categoria, infatti, in Mr. Piccione, quando vede la sua creazione, a Gabriel non dispiace riconoscere che ha del talento. Se però una persona non è di suo gradimento, io non ce lo vedo a tentare di nasconderlo.
  E per quanto riguarda sempre Gabriel, scrivere del suo primo incontro con Marinette è stato piuttosto faticoso. Ho già ampiamente spiegato che cosa ne penso di questo personaggio, tuttavia mi riesce ancora un po’ difficile avere a che fare con lui. In questo caso, poi, ho dovuto farlo relazionare a Marinette, e questi due sono praticamente come il giorno e la notte: lui parla poco, lei anche troppo. Dunque spero che il risultato finale sia di vostro gradimento.
  La chiudo qui, ringraziando come sempre chi, nonostante i miei ritardi, è sempre qui a leggere, a lasciarmi un parere e/o ad aggiungere la storia alle proprie liste. Inoltre vi ricordo che la long è quasi giunta a conclusione, infatti mancano all’appello tre capitoli, quattro se si conta anche l’epilogo.
  A presto!
   
 
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