Storie originali > Thriller
Segui la storia  |       
Autore: mido_ri    08/04/2018    0 recensioni
Due ragazzi completamente diversi entrano in contatto in un apparente contesto scolastico.
Alessio: il solito ragazzo disordinato e "piantagrane" che reputa la sua vita una noia, così come la scuola e qualsiasi tipo di legame con le altre persone.
Riccardo: un ragazzo, meglio definito "ragazzino", che sembra fin troppo piccolo per poter frequentare il secondo anno di liceo; al contrario del suo fisico, la sua mente è grande.
Così come ci si aspetterebbe da un ragazzo del genere, Riccardo nasconde a tutti, perfino alla sua famiglia, la vera vita che conduce ogni giorno, difficile e sconvolgente.
Un inaspettato incontro spingerà Alessio a porsi sempre più domande su quello strano ragazzo.
Come si svolgerà la storia dei due incompatibili compagni di banco?
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sab, 25 novembre, sera

Ancora non riuscivo a crederci. 
Il colpevole in quel momento era rinchiuso fra la sbarre di un lurido alloggio provvisorio, in attesa di essere processato. L'agente Alfieri era stato molto chiaro sul possibile esito del processo: il colpevole non aveva alcun modo di essere assolto, tutte le accuse erano contro di lui. 
Eppure non riuscivo a essere pienamente felice, soddisfatto. E avevo anche ragione: non capivo il nesso, il motivo, il perché.
Perché aveva ucciso i miei genitori? Perché aveva tormentato me? 
Le risposte sarebbero arrivate presto, anche se avevo già in mente una causa che mi spaventava non poco.

Quella sera Matteo mi aveva letteralmente trascinato fuori di casa con la forza, invitandomi a festeggiare e mostrare un sorriso una volta tanto. Ovviamente non poteva avere accesso alle informazioni che possedevamo io e Riccardo, ma sapeva che il colpevole era stato intercettato e sapeva anche che non stavo affatto bene. La mia non era felicità, ma semplice e puro stupore o incredulità. 
Anche Riccardo era distrutto, di gran lunga più di me: d'altronde si trattava del compagno di sua madre, che aveva prima odiato, poi perdonato, poi perduto e poi riscoperto vivo e colpevole di tutte le sue più grandi sofferenze. Dubitavo si sarebbe più riferito a quell'uomo con l'appellativo di "padre". 
Strinsi i pugni e deglutii; ancora non avevo digerito il tutto, mi ci sarebbe voluto sicuramente moltissimo tempo, forse un per sempre non sarebbe bastato.

- Hey, ti va un panino? -

Smise di camminare e dondolò sul posto, attendendo una mia risposta che sapeva essere spenta e vuota.

- Come vuoi -

In realtà avevo a malapena sentito la sua domanda e non avevo neppure fame. Insomma, chi diavolo avrebbe fame dopo una cosa del genere? Dopo aver corso all'impazzata per quasi tre mesi, avevo soltanto voglia di gettarmi sul letto e piangere tutte le lacrime che non avevo ancora versato, tutto ciò che mi era rimasto. 
In quel momento la mia mente era totalmente concentrata su Riccardo e mi chiedevo di continuo cosa stesse facendo, come si sentisse, se avesse bisogno di qualcuno. 

"Ovvio che ne ha bisogno, brutto idiota. Te l'ha detto l'altra volta, no?"

Ma non me la sentivo di andare a casa sua per verificare quanto fosse a terra il suo umore, quando poi non avevo neanche provato a chinarmi e raccogliere tutti i pezzi del mio animo infranto che avevo perduto strada facendo. 

- Allora, vuoi entrare o no? -

Annuii e seguii il ragazzo, che ormai aveva perso ogni speranza di strapparmi un sorriso e scuoteva la testa rassegnato. Lessi il menu da cima a fondo almeno tre volte, senza mai realmente capire cosa ci fosse scritto; eppure avrei dovuto saperlo a memoria, visto che ero andato in quel pub un centinaio di volte. 

La solita cameriera con la faccia smunta ci intimò di ordinare con il suo tono grave, che detestavo da sempre. M'importava così poco di lei, che avrei voluto urlarle in faccia tutto il mio dolore, tanto non avrebbe capito e, così come lei era insignificante per me, allo stesso modo le mie parole non l'avrebbero scalfita minimamente.

Ma mi limitai a scacciare il senso di nausea con un singhiozzo e sputai fuori il nome di un panino di cui non conoscevo neanche gli ingredienti. Dopo una buona mezz'ora il cibo mi fu posto davanti e cominciai a mangiare, desiderando a ogni morso che mi andasse qualcosa di traverso o di trovare un capello nel panino, così avrei avuto una buona scusa per lasciare finalmente quel posto. E in un certo senso il mio desiderio si avverò, ma con conseguenze ben più drastiche, perché cominciai a tossire talmente forte che non riuscii a stare seduto e dovetti piegarmi in avanti. Scorsi tutti i presenti voltarsi e guardarmi incuriositi, poi spaventati. Matteo urlava il mio nome; alzai il capo e lo vidi inginocchiarsi a terra accanto a me, mentre digitava freneticamente dei numeri sul suo cellulare. 

E poi ci vidi sempre meno, come se qualcuno stesse lentamente stendendo un velo sul mio viso; il mio corpo diveniva via via più leggero e il suolo venne a mancarmi sotto i piedi. Mi sembrava di precipitare in un tunnel profondo... molto profondo... così silenzioso e distante da tutto...

"Sono... sono morto?" 

- Sei un cretino! Oddio! UN CRETINO! -

Dalle mie labbra incollate fuoriuscì un verso simile a un lamento; la testa vorticava leggermente e sentivo tutto il peso del mio corpo, di cui non riuscivo a far muovere neanche una fibra. Mi sentivo legato
Ci riprovai: mossi una mano, ma subito mi sentii trafiggere il polso da mille aghi.

- Non muoverti... -

Una voce calma, che infondeva sicurezza, ripeté quelle parole più volte, finché non mi rassegnai alla mia inspiegabile condizione.

- Sta bene? Dio mio, pensavo fosse morto! -

- Mamma... non esagerare come al tuo solito... -

Finalmente aprii gli occhi, ma tutto ciò che riuscii a mettere a fuoco fu un soffitto bianco; voltai il capo e al mio fianco c'erano Matteo, Franco e Rosanna, che mi guardavano impietositi come si fa con gli animali privi di vita sul ciglio della strada.

"E che diamine! Non sono mica morto! Sono solo in un cavolo di ospedale e non so neanche io come ci sono finito..."

Ma Matteo giunse a prestarmi soccorso, ovviamente nel suo modo sempre poco adeguato alle situazioni.

- Sei un idiota! Se ordini una cosa da mangiare si dà il caso che tu sappia già cosa diavolo c'è dentro! -

- I-io non capisco... -

Con un grande sforzo riuscii a mettermi seduto sul materasso duro e il mio sguardo cadde inevitabilmente su due piccole siringhe che trapassavano la pelle del mio polso destro.

- Te lo dico io cos'è successo! -

Il ragazzo era a dir poco furioso, ormai sua madre aveva rinunciato a farlo smettere di sbraitare.

- Nel tuo panino c'erano i cetriolini. I CETRIOLINI! -

Sottolineò quella parola come se fosse il nome di una malattia mortale.

- Come fai a mangiare un panino con i cetriolini senza accorgerti che ci sono i fottuti CETRIOLINI?-

- S-smettila di dire "cetriolini"... -

- Per quanto mi riguarda in questo momento potrei benissimo ficcarteli in... -

- Matteo! Adesso stai superando il limite! Aspetta in corridoio... e se non riesci a calmarti, prendi un tè caldo -

Il ragazzo lasciò la stanza spoglia non dopo aver scimmiottato la madre.

- Caro... come ti senti? -

La donna mi accarezzò la testa con fare materno, non potei non risponderle.

- Un po' stanco... non vi preoccupate... -

Mi voltai anche verso Franco, che fino a quel momento non aveva proferito parola.

- Be', a quanto pare sei allergico ai cetriolini. Non lo sapevi? -

- S-sì... ma non mi ero accorto che... -

- Stai tranquillo. Avresti potuto reagire in modo peggiore... ci manca solo questo -

L'uomo si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore. Anche lui era stanco, e non poco.

- Amore... perché non mi lasci un attimo da solo con Alessio? Penso che dovresti aiutare nostro figlio a darsi una calmata lì fuori -

- S-sì... certo -

La donna lo guardò interdetta, ma preferì seguire il consiglio del marito e si dileguò in pochi istanti. 
Quando fummo soli, Franco aspettò qualche attimo prima di rilasciare un lungo sospiro e poi cominciare a parlare.

- Stamattina ho parlato con l'agente Alfieri, intendo di persona... -

Si fermò e sospirò di nuovo.

- Prima di me ha parlato con la nonna di Riccardo e credo che dovresti sapere che venerdì ci sarà il processo, ma tu ovviamente non parteciperai. Ora più che mai devi solo pensare a riprenderti... -

- Non penso che mi riprenderò -

Sputai fuori quelle parole prima ancora di poterne prendere coscienza. Ma era la verità, e ormai avevo appreso che era inutile tenerla celata.

- Ma c'è dell'altro. Molto altro in realtà... l'agente mi ha spiegato un po' le motivazioni... le cause che hanno spinto quell'uomo a fare quelle cose... -

Sorrisi. Neanche lui riteneva che il suo nome fosse degno di essere pronunciato, soprattutto dinanzi a me. 
Feci un piccolo cenno con il capo per invitarlo a continuare.

- Be'... penso ci sia arrivato anche tu. Era ossessionato da suo figlio a tal punto da voler uccidere chiunque si avvicinasse troppo a lui -

Abbassò lo sguardo, sembrava avere a malapena la forza di pensare a quelle cose, figuriamoci dirle.

- So cosa stai per chiedermi... perché non ha ucciso me? A dire la verità nessuno lo ha ben capito, quell'uomo ha detto poco e niente su questi fatti o semplicemente Alfieri ha preferito non scendere troppo nei dettagli... Comunque, l'ipotesi più probabile è che volesse farti soffrire in modo peggiore, facendo del male alle persone a te care, perché tu ti sei avvicinato più di tutti gli altri. Sarebbe stato troppo semplice farti uscire subito di scena. Oh... che brutta cosa da dire... perdonami -

Scossi la testa, come a dire "non importa, va' avanti". La verità era che in quel momento riuscivo a comunicare soltanto tramite degli insignificanti gesti e temevo che nessuno da lì a un paio di giorni sarebbe stato capace di cavare qualche parola dalla mia bocca. 
Lui annuì e per l'ennesima volta notai quanto gli pesasse affrontare quel discorso. Ero certo che desiderasse non essere lì a parlarmene e lo capivo. L'ultima cosa che volevo era contagiare altre persone più di quanto non avessi già fatto fino ad allora. 
La realtà dei fatti era dura da accettare, lo sapevo bene, ma pensavo questo già da tempo: sarebbe stato meglio se fossi morto prima; se quella mattina al bar, colui che per me rappresentava soltanto un ragazzaccio minaccioso, mi avesse piantato nella gola il coltellino che si portava dietro. E avrei lasciato tutto a un frivolo "chi vivrà vedrà".

- Bene... penso che basti così -

- N-non avevi detto che... -

Fui costretto a bloccarmi: la mia voce si trasformò in un rantolo ed era come se qualcuno mi stesse sfregando della carta vetrata sulla lingua e nella gola. 
Ma, testardo com'ero, preferii terminare la frase anche se tutto l'interno della mia bocca bruciava da morire.

- C'erano tante cose da dire... ? -

- Oh... sì, si. Hai ragione. Ma si tratta di piccoli dettagli sulle scelte del colpevole e non vorrei farti impressionare ancor di più. Soprattutto ora -

Aveva ragione. Non ne avevo bisogno e non avrei voluto saperlo neanche fra un migliaio di anni. 
Franco fece come per girare sui tacchi e lasciare finalmente la stanza, ma poi si fermò a metà strada e si voltò di nuovo.

- Sai, ho visto Riccardo lì. Penso proprio che dovresti aprire quella busta -

Stavo per chiedergli a quale busta si riferisse, ma poi ricordai di quel regalo che mi aveva dato Matteo per scusarsi. A quanto pare era una cosa importante: magari uno dei tanti pranzi di Rosanna che avevo rifiutato.

- Ah... cerca di riposare quanto più possibile adesso, domattina torneremo a casa -

- Non... non possiamo andarcene ora? -

- È tardi. Sono quasi le undici. Meglio se passi la notte qui, okay? -

Mi passò una mano fra i capelli e per un istante mi parve una copia al maschile di Rosanna; compresi che mi aveva preso a cuore tanto quanto sua moglie.

Dom, 26 novembre, mattina

La prima cosa che feci quando misi piede nella mia stanza, fu togliermi di dosso i vestiti che avevo tenuto per tutta la notte. La seconda fu afferrare il cellulare e controllare i messaggi.

Marco
Marco 
Marco

Che mi chiedeva venti volte se fossi davvero allergico ai cetrioli, ovviamente con battute squallide in omaggio.

Sì, ma soltanto a quelli sott'olio 😊 inviato alle 10:47

Mi dispiacque non vedere alcuna notifica da parte di Riccardo, ma non volevo insistere: aveva bisogno dei suoi spazi. 
Stavo per affondare la faccia nel cuscino e andare in apnea, per poi morire per mancanza di fiato. Ma non  era il caso. 
Alzai lo sguardo e lo puntai sulla quella piccola busta bianca malamente gettata sulla scrivania giorni prima. Mi decisi ad alzarmi e me la rigirai fra le mani, finché non compresi che l'unico modo per aprirla era strappare lo scotch e rovinare la carta. Feci spallucce e separai le due parti con uno scatto, quasi disintegrando la busta.

"Tanto è un regalo di Matteo. Che poi... che diamine c'entra Riccardo? Giuro che se quel cretino ha provato a mettergli in testa qualche stupida idea... "

Un piccolo biglietto di carta cadde a terra, mi chinai per raccoglierlo.

Aspettami
           - Ro

"A-aspettami... cosa... cosa diavolo vuol dire...?"

Le mani iniziarono a tremarmi e rischiai di sputare il cuore a terra per quanto palpitava forte. 
Mi lanciai letteralmente fuori dalla stanza e mi fiondai sull'uscio. 
Corsi
Corsi 
Corsi a perdifiato anche se non avevo forze e ossigeno nei polmoni. Anche se non capivo neanche perché stessi correndo. 
Corsi finché non giunsi davanti a quella villetta così bianca, così silenziosa, così vuota. 
Le persiane erano serrate come il cancelletto di ferro che permetteva l'accesso al vialetto. 
Somigliava a una di quelle solite case estive, vuote per quasi un anno intero. Sembrava che non ci avesse abitato mai nessuno, ma soltanto soggiornato per qualche giorno. 
Come se nessuno avesse lasciato niente di suo.

Scavalcai il cancelletto rischiando di strafacciarmi sul cemento per la troppa foga. Cominciai a bussare e a suonare il campanello contemporaneamente, ma sapevo già dall'inizio che nessuno sarebbe venuto ad aprirmi. Perché effettivamente non c'era nessuno.

"Me l'hanno portato via... me l'hanno portato via... no..."

Mi misi entrambe le mani davanti agli occhi e mi accasciai a terra, scosso da tremiti e singhiozzi. Dannatamente solo in un luogo fuori dal tempo, che io stesso riconoscevo a stento.

Me l'avevano portato via. Via da un passato macchiato di sangue e rimbombante di urla di sofferenza.

Dove io ero intrappolato. 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: mido_ri