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Autore: wolfymozart    08/04/2018    1 recensioni
La storia tra Anna e Antonio sarà messa a dura prova da scottanti questioni sociali e drammatiche vicende private che si intrecceranno in un inestricabile garbuglio nel quale ritrovare il "filo rosso del destino" non sarà affatto facile.
Per questo sequel è stato necessario forzare un po’ i tempi dell’ambientazione per motivi di ordine storico, viceversa non sarebbe stato possibile far incontrare la Storia con la storia. Lo slittamento temporale consiste in un lasso di una decina d’anni. Mi auguro che chi leggerà mi vorrà perdonare.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Chi cercate, monsieur?- domandò in francese. Antonio restò perplesso. A servizio di chi era quest’uomo? Abitavano qui famiglie dell’alta borghesia? Non sembrava certo un quartiere nobiliare, ma nemmeno degno dei borghesi più opulenti. Tuttavia cercò di dissimulare la sua perplessità e rispose, rispolverando il suo traballante francese:
- Cerco l’avvocato Jerome LeBlanc. Sono un vecchio amico italiano. Voi lo conoscete? –
- Oui, certamente. È il mio padrone. Al vostro servizio, monsieur. – si inchinò. – Il padrone è nel suo studio: è molto impegnato questa mattina, non so se potrà ricevervi. Potete attendere al piano di sopra.–
E così dicendo gli fece strada e lo accompagnò su per le scale, varcarono una porta e si trovarono in una stanza che aveva tutta l’aria di essere un’anticamera. Una stanza ben arredata, ordinata, lustra, mobilio di pregevole fattura, candelabri d’oro, chincaglierie orientali. Non si faceva mancare niente, Jerome! Antonio per la seconda volta in pochi minuti restò stupito: un domestico, arredamento di lusso, ori…Che diavolo faceva Jerome a Parigi? Come riusciva a procurarsi tutte quelle ricchezze?
Attese lunghi istanti, girandosi nervosamente il cappello fra le mani e vagando con lo sguardo per le pareti della stanza. Sentiva il disagio crescere dentro di lui più il tempo passava: incominciava a dubitare di aver fatto la scelta giusta partendo alla volta di Parigi, si chiedeva che senso avesse avuto voler incontrare Jerome, che cosa avrebbe potuto ricavare da quel confronto, quale fosse l’utilità della sua permanenza nella capitale.
-Spiacente, monsieur. L’avvocato non può ricevere. Non vuole essere disturbato, ha urgenti affari politici da sbrigare. – comunicò cordiale ma fermo il domestico, di ritorno nell’anticamera.
- Ma io devo parlargli con urgenza! Sono venuto apposta dal Piemonte. Gli avete detto che lo cerca il suo amico Antonio Ceppi?! – perse la pazienza: quella situazione assurda lo stava estenuando.
- Non mi avete fatto il vostro nome. Come avrei potuto? – si giustificò il servo. – Comunque non è possibile. Ripassate nell’apres-midi. – concluse, irremovibile.
Antonio con un gesto stizzoso e per lui inconsueto scostò bruscamente il domestico, che protestò vivacemente, per farsi largo. A passo deciso percorse il corridoio, bussò ad alcune porte prima di trovare quella giusta.
-Avanti! – rispose Jerome con tono scocciato.
Antonio restò qualche istante in attesa. Le mani gli sudavano, rivoli di sudore freddo gli scorrevano lungo la schiena, gli occhi stralunati, le labbra tremanti: stava facendo un immenso sforzo per contenersi, per trattenere la rabbia covata in quei giorni.
-Avanti!- ripeté dall’interno Jerome. – Suvvia, Edmond, si può sapere chi…- domandò innervosito aprendo la porta con il fare brusco e spazientito di chi viene interrotto mentre sta portando a termine un lavoro importante. Convinto di aprire al suo domestico, si trovò di fronte Antonio con lo sguardo torvo, le labbra serrate, il viso provato da un sentimento che Jerome non riusciva lì per lì a decifrare.
– Ah, Antonio! Eri tu allora che mi cercavi!- esclamò sorpreso, passando agevolmente all’italiano. Non aveva perso il suo sorriso sardonico, né quel lampo di scaltrezza negli occhi verdi. - Te l’avevo detto che ci saremmo rivisti pres…-
Non riuscì a terminare la frase. Un pugno. Un pugno diretto in pieno viso. Un pugno scagliato con tutta la rabbia, la violenza di cui era capace. Un pugno che gli sarebbe servito, forse, per placare il dolore, l’onta, l’amarezza per quel duplice tradimento. Non ne era mai stato capace, prima di allora in vita sua, mai si era trovato a colpire qualcuno e mai si sarebbe aspettato di picchiare un amico. Ma, per una volta, il suo ferreo autocontrollo aveva ceduto sotto la spinta della gelosia, dell’orgoglio ferito, della disperazione di chi si vede tutt’un tratto mancare il terreno sotto ai piedi.
-Ma che diamine stai facen…- tentò di obiettare Jerome, tenendosi una mano sul naso dolorante, quando un nuovo colpo gli fece perdere l’equilibrio e lo fece ribaltare all’indietro. Cadde di schiena contro la scrivania, mentre i fogli su cui stava lavorando svolazzarono per la stanza, atterrando sparsi qua e là sul pavimento. Anche il calamaio si rovesciò, l’inchiostrò gocciolò dalla scrivania sul pavimento lindo.
Antonio fissava senza fiatare i rivoli scuri che rigavano il legno e si disperdevano a terra, incredulo. Non si rendeva conto di quel che aveva appena fatto. Vide le mani di Jerome imbrattarsi di sangue. Sanguinava dal naso o dalla bocca? Non riusciva a capirlo, né aveva troppa voglia di indagare. Non si sentiva chiamato a soccorrerlo: per una volta aveva messo a tacere la sua vocazione di medico per lasciare spazio ad una rabbia tanto più umana.
Passarono alcuni istanti di freddo silenzio. Tutto sembrava sospeso in quella stanza, luminosa e chiassosa per via dell’ampie finestre che davano su di una affollata strada parigina. Nella tranquilla routine di quella mattina di lavoro, uguale a tante altre, sembrava essere passata una tempesta, capace di stravolgere tutti i piani di Jerome. Infine, appoggiandosi faticosamente con la mano destra sulla scrivania, si rialzò in piedi. Si deterse con un fazzoletto il sangue, si sprimacciò il vestito e, cosa inaspettata, scoppiò in una fragorosa risata.
-Mio caro amico, finalmente! – esclamò poi fra le risa, volgendo il suo sguardo su Antonio, il quale non capiva e seguitava a guardarlo spaesato. Non si capacitava del gesto che aveva compiuto, meno ancora della reazione dell’amico. Le sue risa, ancora una volta, lo indisponevano: ogni volta pareva mettere in ridicolo i suoi gesti, le sue parole, pareva annientarli con l’ironia, con quel sorriso obliquo e sprezzante, con quella fastidiosa risata.
-Finalmente mi dimostri che sei un uomo anche tu! – si spiegò, tornando d’un tratto serio e invitando Antonio ad accomodarsi su di una poltroncina, quella su cui usavano sedersi ansiosi i suoi clienti. Antonio rifiutò scuotendo leggermente il capo, fu l’unico movimento che riuscì a fare. Jerome raccolse i fogli sparsi, raddrizzò il calamaio e aggirò con fare disinvolto la scrivania. Si sedette comodamente sulla sedia, tenendosi un fazzoletto sul naso ancora sanguinante, senza smettere fissare negli occhi l’amico che si ostinava a rimanere in piedi.  Nessuno dei due parlò per qualche istante. Poi fu Jerome a rompere il silenzio, parlando con il tono di chi la sa lunga:
- Tutto è andato come pensavo. Sono riuscito a farti aprire gli occhi sulla tua bella marchesa e anche se ho rimediato un pugno sul naso, poco male. Ciò che mi premeva era che ti accorgessi del fatto che lei non è diversa dalle altre. Non è altro che una nobildonna annoiata che non trova di meglio da fare che andare a letto con il primo che ospita nel suo palazzo, così per capriccio, per svago. Come per svago si tiene come amante il medico del borgo... Eh, Antonio, son tutte così queste aristocratiche viziate in cerca di emozioni forti. Io le conosco bene! –
Il medico lo fissava sdegnato e insieme deluso, conficcando gli occhi tersi e amareggiati in quelli sfuggenti dell’amico, che riprese la sua filippica:  - Mentre, invece, debbo tessere le lodi della tua graziosa cognata: una vera figlia del popolo, di sani principi, incrollabili. Come ho sempre sostenuto, il popolo è incorrotto e incorruttibile e la dolce Elisa ne è l’emblema; lo stesso non posso dire della classe aristocratica, viziata e viziosa, come la tua adorata Anna. – concluse con un sorriso beffardo la sua tesi, sperimentata a danno del suo amico di gioventù. Ad Antonio bruciava il fatto che gli venisse rinfacciato un suo presunto tradimento degli ideali di un tempo, il suo lassismo; ma soprattutto gli doleva ammettere che l’amico avesse espresso né più né meno quello che lui in astratto aveva sempre pensato riguardo all’anima pura del popolo e a quella corrotta della nobiltà. Ma quanto quei principi astratti si discostavano dai sentimenti, dalle passioni profonde della vita reale! Come conciliare questa dicotomia insanabile?
Antonio, colto sul vivo, passò al contrattacco: - Sei stato tu. Sei stato tu a irretirla, tu con il tuo maledetto laudano! L’hai ingannata, l’hai drogata, le hai fatto perdere la ragione. E per cosa poi? Per colpire me? Per vendicarti del fatto che non volessi partire con te? –
- Amico mio! Povero illuso! Questo è quello che ti ha raccontato la tua Anna? Ti ha detto così? – gli chiese con quell’irritante sorriso stampato in faccia. Antonio taceva, con espressione corrucciata non distoglieva lo sguardo da quello dell’amico. – Bene, sappi che c’è voluto pochissimo a convincere la tua cara, carissima marchesa degli effetti benefici del laudano, che era perfettamente cosciente e consenziente, che addirittura è stata lei a invitarmi ad entrare nella sua stanza, io me ne sarei ben guardato dal violare la sua intimità. Sono un galantuomo, dopotutto! Ma tant’è…- e prese a guardarsi intorno con aria indifferente, come se non stesse dicendo nulla di rilevante, come se dalle sue parole, dal suo racconto non dipendesse la sofferenza profonda del suo amico. Si mise a passeggiare per la stanza con le mani dietro la schiena, girando attorno ad Antonio, sempre ritto in piedi, di pietra.
- Ah, forse non te la spiegata in questo modo la marchesa? – finse di meravigliarsi dopo un lungo silenzio.
- Sei un bugiardo! Che gusto ci provi a gettare fango su di lei? Dimmelo! – ribatté sempre più scuro in volto Antonio.
-Antonio, – lo blandì, infine, Jerome col tono di un maestro che si rivolge ad uno sprovveduto allievo. – non te la prendere, non getto fango su di lei: le donne sono tutte così. Infide. E la gran dame sono le peggiori. Tu non hai mai voluto capire questo semplice concetto. Guarda me. Mai nessuna donna è durata più di una notte con me. E sono felice, estremamente felice così! Niente struggimenti inutili, niente promesse vane, niente patemi d’animo, gelosie, ripicche. Niente di niente, solo una gran pace. Ma tu sei sempre stato un idealista, amico mio, un gran sentimentale e queste sono le conseguenze. Guarda come ti sei ridotto per una nobildonna capricciosa e dai facili costumi come tante altre…-
- Non ti permettere di parlare di Anna. – lo interruppe bruscamente.
- Ma ancora con questa Anna, ma non hai capito quello che…-
- T’ho detto di non parlare di lei. Tu non la conosci.- ribatté a denti stretti.
- Bè, forse no, ma almeno in senso biblico posso dire di averla conosciuta…ed è stata una piacevole conoscenza!- obiettò con un sorrisetto compiaciuto. Il suo umorismo non l’abbandonava mai, gli serviva per stemperare le situazioni, sminuire l’interlocutore.
Antonio questa volta riuscì a trattenersi: pur fremendo di sdegno, aveva riacquistato il suo ben noto autocontrollo. Tuttavia i suoi occhi celesti, di solito limpidi e tersi, mandavano lampi d’ira, lampi di una furia sprezzante e profonda. Jerome non ne pareva spaventato, semmai quasi divertito. Conosceva bene il suo amico, sapeva che quel pugno gli sarebbe pesato sulla coscienza e l’avrebbe fatto rimuginare per giorni, ed era, perciò, certo che non si sarebbe azzardato a ripeterlo una seconda volta. Antonio strinse con forza la spalliera della seggiola, soffiò rabbiosamente l’aria dalle narici, e infine, dopo essersi ricomposto, disse:
-Non son qui per discutere con te di Anna. Questo discorso l’ho affrontato appena entrato. Per me è già chiuso. Sono qui per parlare di quell’incarico che mi proponesti. –
Jerome si arrestò di colpo, stupefatto da quanto aveva appena udito. Si portò una mano alla tempia e chiese con aria sinceramente sorpresa:
-Ho sentito bene? Mi stai dicendo che vuoi accettare l’incarico?-
- Non lo faccio per te, sia chiaro. Ma nulla ha più senso, ormai: mi restano soltanto i miei ideali. E io voglio fare della mia vita un servizio reso al popolo. – rispose mesto, abbassando lo sguardo.
- Oh, molto bene, Antonio! Vedo che cominci a ragionare, sei tornato quello di una volta! Non perdiamo un minuto di tempo, siediti, ti spiegherò tutti i dettagli del caso. –
- Solo una cosa ti chiedo, Jerome. Non nominare mai più Rivombrosa: non ne voglio sentir parlare mai più.-
   
 
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