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Autore: Claire66    15/04/2018    4 recensioni
*Storia Continuerà entro le prossime settimane*
Cosa sarebbe successo se Draco si fosse ribellato al suo destino e avesse deciso di unirsi al magico trio, il giorno in cui furono portati a Villa Malfoy?
E se Harry avesse una sorella gemella, la quale farà breccia nel cuore del Serpeverde, facendogli compiere un cambiamento repentino ?
Preparatevi ad abbandonare il mangiamorte vile e codardo a cui siete abituati, e cominciate a dire "Coloro che sono sopravvissuti", non "Il bambino che é sopravvissuto"
(3)
“Ma quindi significa che se uno di noi muore, muore anche l’altro?”
Chiese Marie con voce tremante e carica di tensione a Silente.
(10)
“Ma allora…” “Vuoi dire che…” Fecero Harry e Marie, all’unisono.
“Il tempo si fermerà.”
(11)
“In fondo, non sarò la prima della nostra famiglia a fuggire da Azkaban. Si tratta solo di seguire le orme di Felpato.”
Harry non riuscì a trovare la forza di restituirle il sorriso.
(12)
Grandi, bui e tormentati voragini luccicanti lo osservavano.
“Come l’hai chiamata?” Domandò Marie.
“Niké.
(16)
“Marie!” Lei si voltò, e fu l’unica ad udirlo.
“…” A qualche passo da Draco, Marie non si mosse, Harry aspettava, paziente.
"Tu sei il mio angelo.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Remus/Ninfadora, Ron/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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I Gallesi



Ron era ancora intento a scrutare il grigio cielo gallese, ripensando nervosamente al drago perlaceo che li aveva trasportati fin lì, quando l’amico occhialuto lo distrasse dalle sue preoccupazioni.
“Dobbiamo andare ad Hogwarts, non c’è tempo da perdere!”
Harry balzò in piedi dolorante dalla conca in cui era scivolato, senza fiato.
“Harry, cos’è successo?”
Hermione smise di rovistare nella borsetta di perline per avvicinarsi a lui, l’ansia nei grandi occhi color ambra.
La sua voce femminile non fece che causargli una fitta di solitudine più acuta; sapeva che Marie aveva visto esattamente quello che si era parato davanti ai suoi occhi, ed era certo che anche lei avrebbe preso la loro stessa direzione il più presto possibile.
La sua lontananza lo stava logorando: ogni istante che passava si sentiva più vulnerabile, ed ora che Voldemort era alle loro calcagna, la paura per la gemella schizzò alle stelle.
“Voi-Sapete-Chi ha scoperto che stiamo dando la caccia agli Horcrux. Sta per controllare se sono tutti ancora al loro posto”
Ron impallidì e cinse la vita di Hermione, e tutti e tre volsero lo sguardo verso la coppa di Tassorosso, che scintillò ad un debole raggio di sole sfuggito alla coltre di nubi sopra di loro, sempre più scura e minacciosa.
“Miseriaccia, non abbiamo pensato che potesse scoprirci!” Farfugliò Ron guardando Hermione in cerca di aiuto, ma lei non seppe rispondergli, questa volta.
Aveva lo sguardo perso nelle nuvole, cosa insolita per lei.
“Che facciamo adesso?” Domandò nervosamente Ron.
“Ve l’ho appena detto! Dobbiamo assolutamente andare ad Hogwarts come da piano, e cercare l’Horcrux di Corvonero prima che ci intercetti.” 
La stanchezza, la fame e la rabbia di Voldemort che risuonava ancora nelle sue vene lo rendevano irritabile, ed era teso come una corda di violino dalla preoccupazione.
“Bé, allora smaterializzamoci no?”
Fece Ron volgendosi verso Hermione, cercando di smorzare il tono snervato dell’amico.
Hermione, tuttavia, fissava a bocca aperta il cielo, incurante della mano di Ron che stringeva la sua.
“Li…li vedete anche voi, vero?”
Harry e Ron, sconcertati, alzarono il capo verso le nuvole, e stentarono a credere ai loro occhi. 
Sopra di loro, una formazione di maghi in sella alle proprie scope stava invertendo ordinatamente la rotta, dirigendosi proprio verso di loro. Ad occhio, giudicò Harry, avrebbero potuto essere una quindicina. Due squadre di Quidditch, all’incirca.
Erano tutti avvolti da vesti scure e lacere, e mentre planavano formarono un cerchio attorno ai tre, che si affrettarono ad estrarre le bacchette. Il fruscio delle scope che perdevano quota si mescolava a parole che né Ron né Harry avevano mai udito, ma ad Hermione una di quelle suonò famigliare, ed allentò la presa sulla mano di Ron.
“Sono amici” Fece appena in tempo a sussurrare, prima che una voce a loro assai nota, ma che non udivano da tempo squarciò gioviale l’aria.
“Harry, sei proprio tu! Ron! Hermione! Non posso crederci!”
L’ultimo mago ad atterrare fu il primo a scendere dalla scopa e corse loro incontro, sotto le occhiate guardinghe degli altri.
“Dean!” Ron abbassò la bacchetta, incredulo, “Ma che ci fai in sella ad una scopa nel mezzo del Galles?”
“Lunga storia, lunga, ma potrei farvi la stessa domanda!”
Batté una mano sulla spalla a Ron e ad Harry, e quest’ultimo gli rivolse un sorriso tirato. Malgrado fosse felice di rivedere l’amico e saperlo libero dalle grinfie del Ministero, l’unica cosa che riusciva a pensare era che stavano perdendo tempo prezioso.
Ciò nonostante, due figure massicce e autoritarie richiesero la loro attenzione, smontando di sella con sicurezza ed avanzando decisi verso di loro. Il viso del giovane sulla destra gli sembrava famigliare: la barba incolta ed i capelli disordinati e agitati dal vento erano decisamente nuovi, ma quello sguardo da falco e la camminata un po’ scoordinata non avrebbe mai potuto dimenticarli.
“Viktor!” Esclamò Hermione, vedendo la sua intuizione confermata.
“Krum!” Sbottò Ron, con un tono a metà fra l’ammirato e lo scocciato.
“’Giorno Hermi-one, Ron” Rivolse loro un cenno del capo, affabile per i suoi standard di giocatore introverso. L’aver solcato selvaggio i cieli del Galles per settimane lo aveva evidentemente reso più loquace, pensò Harry, con ironia inaspettata.
“Harry Potter…sono felitce di vederrti vivo.”
E così dicendo gli strinse la mano, ma il compagno al suo fianco gli diede appena il tempo di lasciarla, prima di fare un balzo felino in avanti ed afferrare a sua volta la mano di Harry, con un largo sorriso sul viso sbattuto dal tempo.
“Harry Potter, che onore! Io e la mia squadra abbiamo sempre sperato di imbatterci in voi, ed ora è successo!” Scosse vigorosamente il braccio di Harry, che ricambiò il suo sguardo entusiasta sotto la zazzera di ricci capelli biondi, cercando di mettere a fuoco il mondo attorno a lui nonostante gli occhiali gli ballassero sul naso.
Dall’accento, aperto e ruvido come il mare, comprese che era uno dei giocatori della nazionale del Galles.
“Continuate a resistere, Potter, continuate. Ma dov’è tua sorella? Ho tre cacciatori che rimarranno molto delusi di non vederla.”
“Ecco, noi stavamo proprio per partire per ricongiungerci, quando siete arrivati voi.”
Gli altri membri delle due squadre, distinguibili per i tratti somatici oltre che per la stazza imponente di molti dei giocatori bulgari, si avvicinarono a loro volta. Alcuni li guardavano incuriositi, altri si distesero a riposare sull’erba e tre dei gallesi si misero a scherzare con Ron, scoppiando in risate profonde che Ron ricambiava un po’ incredulo.
Harry fu grato di aver riposto la coppa nella giacca, prima di apprestarsi a partire.
“Credevamo che foste dei Nati Babbani in fuga, allora abbiamo invertito la rotta per soccorrervi, è questo che facciamo la maggior parte del tempo, oltre a dare una bella suonata a tutti i Ghermidori che incontriamo.” Fece Dean, al settimo cielo nel rivedere gli amici.
Krum nel frattempo si era rivolto ad Hermione, che lo stava ringraziando per la lettera, ma Harry si stava arrovellando per trovare un modo per volgere quella situazione a loro favore.
Un giocatore gallese si tolse il berretto avvicinandosi a lui ma non accennò a stringergli la mano, con sollievo di Harry, il capitano gliel’aveva stritolata già abbastanza.
Con movimenti lenti ma precisi tirò fuori una pipa riccamente intagliata e cominciò a sbuffare fumo denso e di un verde cangiante. Gli gettò un’occhiata sorniona e dopo una profonda boccata tese la pipa verso di lui.
“Ehr…Non fumo, a dire il vero.”
“Prova, è speciale. In famiglia ce la passiamo da generazioni. Non la farei fumare a nessun altro, ma se dicessi al mio vecchio che questa bellezza ha sollevato anche te, tornerebbe un giovanotto.”
Harry, a metà fra l’esasperato e l’affascinato, si arrese allo sguardo scintillante e serafico del giovane, che poteva avere al massimo qualche anno più di lui, e aspirò una boccata.
Un penetrante odore di resina, muschio e alghe salmastre inebriò i suoi sensi, e gli sembrò di udire una carena scricchiolare ed avvertire uno spruzzo d’acqua salmastra sul viso. Strizzò gli occhi, ma i contorni della realtà furono coperti da un velo smerlando che portò con sé una piacevole sensazione di leggerezza. Deliziato suo malgrado dal profumo di rugiada con cui il velo lo ammantava, prese un’altra boccata. L’odore di resina e alghe si fece pungente, e gli sembrò di distinguere una figura, assai bizzarra, fra la cortina. Il suo cuore fece un balzo nel riconoscere la chioma color fenice della sorella, e quella più chiara di Malfoy appoggiata contro di lei. La ragnatela perlacea di due grandi ali scure si stagliava dietro i loro visi stanchi, ma qaando si domandò cosa fosse, l’odore di muschio lo stordì e la visione andò in fumo.
Mise a fuoco con fatica lo sguardo penetrante di chi realizzò finalmente essere Bleddyn Dacey, il cercatore del Galles. Lo stava osservando divertito con due occhi grigi che, notò Harry, ancora ammaliato dal profumo, ricordavano quelli di un lupo.
“Me lo immaginavo che avresti visto qualcosa”
Si intascò la pipa e accomodò sulla sua scopa, con movimenti lenti ma aggraziati.
Harry spalancò la bocca, poi la rischiuse, e l’aprì di nuovo.
“Aspetta, cosa mostra il fumo?”
Bleddyn si calcò il berretto in testa, incantato per non volare via con il vento.
“Se sei fortunato, ti mostrerà la persona che occupa i tuoi pensieri. Se sei sfortunato, bé, ognuno vede una cosa diversa.” Si volse verso i due capitani con un fischio.
“Vado a fare un giro di ricognizione!” Annunciò con voce tonante.
“Non metterci un’eternità come l’altra volta Dacey!” Lo redarguì bonario il portiere gallese mentre questi si alzava in volo.
Harry non riusciva a squotersi di dosso la visione di Marie e Draco in sella a quella misteriosa creatura, in volo chissà dove, probabilmente ancora lontani da Londra. Perché non si smaterializzavano e basta, si domandò preoccupato. Uno di loro doveva essere ferito, era l’unica spiegazione plausibile.
Krum, seguito da Ron ed Hermione, interruppe il filo dei suoi pensieri.
“Harry, Hermi-one ha detto che volete passare da Hogsmeade. Questa non è buona idea, il villaggio è sorrvegliato giorrno e notte da Mangiamorte e incantesimo gnau - ” Krum dovette concentrarsi “gnau-lante. Se entrate da soli, vi prenderanno di sicuro.”
Harry era sicuro che fosse il discorso più lungo che avesse mai udito da parte del giocatore.
Da cercatore a cercatore, i due si compresero senza bisogno di altre parole.
“D’accordo, per me si può fare.”
Hermione gettò un’occhiata ansiosa alle scope, per niente felice della piega che stava prendendo il discorso. Il capitano, che Ron riconobbe come Wynn Embrey, si inserì nella conversazione, dondolandosi sulle punte dei piedi in modo assai bizzarro per la sua figura imponente.
“Splendido, avremo un cambio di scenario. Propongo di gettare lo scompiglio nel villaggio e attirare i Mangiamorte lontano da voi, così che abbiate tempo di arrivare dove vi occorre.”
Ron lo guardò ammirato, probabilmente colpito dal tono pimpante con cui parlava di un agguato selvaggiamente rischioso.
“Quei bulli tatuati si muovono sulla scopa come se fosse un palo della luce, vero Beaven?” “Direi piuttosto che sembra abbiano un palo su per il -”
Qui il più basso dei tre cacciatori, Bran Broderick, fece segno a Llew Beaven di fermarsi.
“Sarà divertente insegnar loro come si fa davvero, alle scope non frega nulla del tuo stato di sangue.”
“Aspettavamo da un pezzo una scusa per una bella regolatina di conti, ci siamo quasi stufati di girare per le nostre colline.” Il cacciatore con lo stesso berretto di Bleddyn calcato sul capo fece loro l’occhiolino. 
“Bene allora, si parte?” Bleddyn Dacey planò proprio in quel momento di fianco ai Bulgari.
Il loro portiere, Drakovich, era di origini serbe, e sfilò una bottiglia di Rakja dal mantello.
“Prima brindisi. Porta fortuna.”
“Non esagerare.” Lo richiamò severo Krum, aggrottando le sopracciglia.
Hermione si lasciò sfuggire uno squittio.
“Tu non preoccupare Hermione, noi siamo abituati.”
“Io no invece!” Dean ammiccò a Ron ed Harry “Se fossi in voi, non la proverei ora, dopo due bicchierini di quella roba mi sono quasi disarcionato.”
Harry, al contrario, avrebbe proprio voluto annegare la sua preoccupazione in una bella botta di whisky incendiario, o qualsiasi altro superalcolico, ma si impose di rimanere lucido. Presto avrebbero dovuto avere tutti i sensi all’erta.
Ma quando tutta questa storia sarà finita, nessuno mi impedirà una bella sbronza, pensò dando ascolto ai geni Malandrini che albergavano in lui e reclamavano ascolto.
Ron, Harry indovinò dal suo sguardo desideroso verso la bottiglia che stava passando di mano in mano sotto le occhiate di disapprovazione di Hermione, provava il suo stesso impulso, ma per ragioni ben diverse.
Le due squadre si smaterializzarono poco dopo, fra due colline a qualche miglio da Hogsmeade.
“Qui dovrebbe essere sicuro.” Disse Embrey, montando in sella.
“Tempo uggioso e nebbiolina: perfetto per una bella sorpresa.”
Alwyn Dacey ammiccò al fratello, che gli passò al volo la pipa.
Con grande disappunto del giovane Weasley, Krum aiutò Hermione a salire in sella alla sua Firebolt, molto meno lucida di qualche anno prima. Hermione invece sembrò leggermente sollevata nello scoprire Krum come compagno di viaggio, dato che lui non aveva toccato nemmeno un goccio di Rakja.
Ron, che sembrava stesse per trasformarsi in un’imitazione piuttosto fedele dell’espresso per Hogwarts, paonazzo e fumante, fu felice di essere invitato in sella dal battitore mancino con cui aveva stretto amicizia, Cadfan Bowen, mentre Harry fece scorrere le dita sulle rune intagliate nella scopa dell’altro battitore, Arawn Lewis, snello come i gemelli Weasley e dall’aria altrettanto sveglia.
“Un’antica formula magica, fa fare alla scopa cose incredibili, un giorno potrei fartele vedere, ma non stasera.” Con una spinta dal suolo si sollevarono in volo, all’unisono. I Bulgari diventarono improvvisamente seri e silenziosi, e nemmeno i Gallesi proferirono parola una volta in aria.
Harry ritrovò in un lampo tutta la sua forza e il suo coraggio, era nel suo elemento, a cavallo di una scopa. Le preoccupazioni rimpicciolirono come gli alberi sotto i loro piedi, e la sua mente fu libera di spaziare nel cielo all’imbrunire.
Il battitore volava sorprendentemente leggiadro, Harry quasi non avvertiva le virate.
Contorse il collo per controllare che Ron ed Hermione stessero bene. Lei era evidentemente tesa, immobile sulla Firebolt, ma con Krum al manico non c’era da temere. Ron voltava il capo a destra e sinistra, immaginando di essere parte di una famosa squadra di Quidditch, Harry dedusse dalla sua espressione temporaneamente beata.
Tuttavia, era destinata a durare poco.
Vide Bowen dare una gomitata nelle costole a Ron, e Lewis fece altrettanto con lui.
“Villaggio in vista. Preparatevi a saltare giù.”
Non di nuovo, pensò Hermione, che giornata orribile.
In effetti, le luci del villaggio si erano fatte distinguibili ed erano sempre più vicine, i tetti diroccati sempre più grandi, il reticolo di viuzze sempre più chiaro, finché sette di loro virarono bruscamente verso Ovest, perdendo velocemente quota, ed altri otto verso Est.
“Buona Fortuna!” Dean riuscì a farsi sentire sopra il vento della discesa in picchiata, proprio quando Lewis e Bowen sterzarono bruscamente, ad un metro dal suolo, e ruggirono all’unisono “Ora!”
Harry sarebbe saltato anche senza l’incitamento, ma dietro di loro, Krum quasi sfiorò terra per evitare uno spavento ad Hermione, che aveva nascosto il viso contro la sua schiena.
I tre fecero appena in tempo a poggiare i piedi a terra che un grido spaccatimpani lacerò l’aria, prolungandosi a ondate come la sirena di un antifurto.
I loro cavalieri scattarono verso l’alto in una vertiginosa inversione di rotta, diretti verso il centro di Hogsmeade.
“Presto, qui sotto!”
Harry si affrettò a gettare il mantello su di loro prima che qualcuno potesse scorgerli nella viuzza per il momento deserta.
Lampi di luce cominciarono immediatamente a tingere il cielo, e fatture e incantesimi in gaelico e bulgaro, a loro incomprensibili, si mescolarono alle grida orribilmente famigliari delle maledizioni senza perdono. Malgrado cercassero di correre il più velocemente possibile verso ciò che era rimasto di Mielandia, non riuscivano a trattenersi dal gettare occhiate ansiose verso il cielo scuro, illuminato ad intermittenza.
Per fortuna, le sagome dei giocatori erano appena distinguibili nonostante i lampi delle Maledizioni. Solcavano fulminei l’aria come saette, guizzando in tutte le direzioni, ed i Mangiamorte che tentarono di colpirli dal suolo dovettero presto cercare riparo improvvisato sotto gli usci delle case.
Una delle fatture dei gallesi colpì la finestra del primo piano della Testa di Porco, e il suo già di natura bellicoso oste non tardò ad affacciarsi alla finestra, sbraitando improperi molto fantasiosi contro le frecce che si aggiravano per il cielo notturno. Quando una maledizione dei Mangiamorte gli sfiorò l’orecchio, ritenne comunque prudente richiudere la finestra e non immischiarsi, per il momento.
Stava per affrancare il vetro quando si fermò imbambolato. Era certo di aver visto tre paia di scarpe, assieme alle relative caviglie, precipitarsi oltre la sua locanda. Dato che non aveva bevuto, vi era un’unica possibilità. Di certo non poteva essere il pentolone salterino di Beda il Bardo.
Imprecò di nuovo contro Merlino e la sua cricca, e si affrettò a chiamare il suo fedele piccolo amico e compagno di serate.

“Cosa diavolo è saltato in mente a quei Potter! Prima di crepare, lo voglio sapere, parola mia!”
Harry, Ron ed Hermione si gettarono a capocollo attraverso la piazza, schivando un Mangiamorte barcollante che imprecava verso il cielo. Zigzagarono come ubriachi per evitare la rete impazzita di incantesimi e schegge che volavano da tutte le parti, per poi fiondarsi contro la porta del negozio. Questa, traballante sui cardini, cedette gemendo sotto il loro peso ed il vetro scheggiato che rimaneva andò in frantumi, ma nessuno se ne accorse nel putiferio di urla e botti.
“Forza, corri Ron!” Hermione si era già diretta verso le scale che portavano al seminterrato, con Harry e Ron alle calcagna.
Harry si chinò a sollevare la pietra che nascondeva il passaggio, ma per quanto i muscoli delle braccia gli dolessero, non si mosse di un millimetro. Ron si unì a lui, ma non c’era verso di smuovere la lastra.
“Maledizione!”
“Che facciamo ora?”
“Shhh! È entrato qualcuno!” Hermione fece loro segno di tacere, ed Harry, alla disperata ricerca di risorse, frugò nella saccoccia di Mokessino alla ricerca dello specchio.
Le parole di Marie gli risuonavano nella mente, ed anche lui non riusciva ad abbandonare quel piccolo frammento di speranza. Quell’occhio, era l’occhio di Silente, vi assomigliava in tutto per tutto, ed erano così vicini ad Hogwarts… Un aiuto verrà sempre dato a Hogwarts, a chi lo chiede…la voce del Preside si unì a quella della sorella, e l’occhio apparve.

“Siamo a Mielandia, ti prego, dobbiamo arrivare ad Hogwarts!” Sussurrò implorante alla scheggia affilata, e prima che potesse coprire lui e i suoi due amici sotto il Mantello, un sonoro crack li fece sobbalzare tutti e tre.
“Dobby!”
“Via via arrivano!”
“Harry Potter Signore prenda la mia mano, presto.”
Harry, Ron ed Hermione presero la sua manina nodosa senza farsi pregare, proprio quando lo stivale incrostato di fango di un Mangiamorte fece scricchiolare lo scalino.


*


Il picchiettio incerto di tacchi affilati sul marmo ruppe il silenzio che aleggiava nella sala dal pavimento marmoreo. Bellatrix, livida di rabbia e con l’acconciatura scura e serpentesca di una chimera, bruciava di umiliazione. Era appena tornata a Villa Malfoy, alla ricerca furibonda della sorella che aveva osato rifilarle la bacchetta falsa, quando si scontrò con Lucius, ancora impolverato e pallido come un cencio, che non reagì nemmeno alla scarica di improperi e urla folli che la strega gli scagliò contro.
“Zitta!”
“Dov’è finita quella serpe in seno di tua moglie?” Tuonò Bellatrix, e fece per avvicinarsi a Lucius, quando qualcosa di grosso e viscido le strisciò fra le caviglie.
Ammutolì, e le venne istintivo abbassare lo sguardo. Le giallognole pupille a mandorla di Nagini incontrarono le sue; l’enorme serpente annusò l’aria con la lingua, famelico, per poi srotolare le sue spire verso il padrone.

“Da quando volti le spalle al tuo Signore, Bellatrix?”
A questa voce fredda, cruda e sibilante, Bellatrix si voltò di scatto e cadde in ginocchio implorante.
“Mio Signore, al suo servizio.” Tenne il capo basso, fissando il pavimento lucido, nel quale si scorgeva il riflesso delle pupille rosse come tizzoni.
I piedi bianchi e nudi di Voldemort entrarono nel suo campo visivo, ma non osò alzare lo sguardo.
“Ho un compito per te, Bellatrix.” Si fermò di fronte a lei, e le alzò il mento con un lungo dito cadaverico.
“Se dovessi fallire questa volta, non escludo che potresti rivelarti utile, finalmente, come cena per Nagini.”
Bellatrix non mosse un muscolo, ma fisso in un’estasi folle quei tizzoni ardenti.
“Sono pronta a bruciare all’Inferno, Mio Signore, piuttosto che deludervi ancora.”
La bocca senza labbra di Voldemort si contrasse in una smorfia feroce e mefistofelica.
“Bene, Bella. Devi recarti ad Hogwarts e riferire a Severus Piton che le difese del castello devono essere al massimo livello di allerta. In particolare, la Torre di Corvonero deve essere sorvegliata costantemente. Se i Potter cercheranno di introdursi nel castello, devono essere immediatamente fatti prigionieri, ma non uccisi. Sfogatevi sui loro compagni.”
Qui, Voldemort lasciò andare la presa e cominciò ad arrotolarsi Naghini attorno alle spalle, come un grosso scialle lucente.
“Ricordagli che sono attesi a momenti. Allo sciocco giovane Malfoy non restano che poche ora di vita, e senza dubbio tenteranno di rubare un antidoto dal suo ufficio. Che sfrutti questa occasione.” Il ghigno spietato questa volta era diretto verso Lucius, che tuttavia abbassò lo sguardo.
“Non mi azzarderei ad uscire da qui senza ordini da un tuo superiore, Lucius, o la clessidra cesserà di scorrere anche per Malfoy Senior.”
Naghini sibilò qualcosa al suo orecchio, e Voldemort schioccò la lingua impaziente.
“Non ritengo opportuno affibbiarti compiti più importanti, Bellatrix, vista la tua incapacità. Una volta trasmesso il messaggio, lascia fare a Severus, o ti costerà caro.”
Con queste parole, carezzò il serpente con la punta delle dita.
Senza aggiungere nulla, ed ignorando completamente Lucius, al quale aveva letto la mente non appena comparso a Villa Malfoy, la sua figura foriera di morte svanì così com’era comparsa.
Bellatrix si rialzò non appena Voldemort fu sparito, gettando indietro la testa con fare tracotante. Prima di smaterializzarsi davanti agli imponenti cancelli fiancheggiati da cinghiali alati, si premurò di sputare ai piedi del marito della sorella.


*


Narcissa aspettava, aspettava ed aspettava ancora, da un tempo che le pareva infinito. La solitudine del negozio cominciava a pesarle, truci e maledetti oggetti di ogni sorta erano la sua sola compagnia da ore ormai. Ansie e incertezze la trivellavano senza sosta, e malgrado la ragione la avvertisse che era una grande imprudenza dormire in una situazione così precaria, in cui chiunque avrebbe potuto decidere di forzare l’entrata, insospettito, il sonno si faceva sempre più prepotente.
Al calare della notte, cedette alla stanchezza, e si accomodò con la schiena contro l’armadio svanitore, evocando un soffice strato di piume compatte con la bacchetta, che ormai considerava pienamente sua.
La dolce soddisfazione per aver gabbato la sorella la invitò al sonno, ma non prima che decidesse di accomodarsi all’interno dell’armadio, per essere pronta ad un eventuale fuga, se necessario.
Come tutte le donne e bambine prima di lei, non chiuse la porta, perché si sa, è una cosa assai sciocca da fare.

Così, sentendosi riparata dalle pareti di legno scuro, cadde presto in un sonno leggero ed agitato, privo di sogni. Tuttavia, verso l’albeggiare, le parve di sentire delle voci, voci concitate e famigliari, e lamenti di dolore.
L’espressione dolorante del figlio le baluginò vivida nella mente, e lottò per emergere dal torpore che non voleva saperne di lasciarla tornare da dov’era venuta, ma la dura parete contro cui sbatté le venne in aiuto.
L’adrenalina l’assalì immediatamente, ed aguzzò le orecchie, perfettamente sveglia.
Nessuno parlava più, ma dei passi si avvicinavano furtivi al suo giaciglio. Il cuore di Narcissa batteva all’impazzata, ma nonostante fremesse dalla voglia di balzare fuori ed accertarsi che suo figlio fosse davvero lì, a meno di un metro da lei, oltre la porta socchiusa, non poteva abbandonare la prudenza.
Puntò la bacchetta contro la porta, pronta a schiantare un eventuale ospite indesiderato.
Dalla parte opposta, separata da dieci centimetri di legno massiccio, Marie pose, con il fiato sospeso, la mano sulla maniglia. Aveva sentito distintamente un colpo provenire dall’interno, un rumore che Draco, accasciatosi a terra dal dolore, non poteva aver notato.
Stringendo la bacchetta sfoderata nell’altra mano, strinse la presa sulla maniglia e spalancò la porta con un colpo secco. Lo sguardo che dovette fronteggiare le cavò un urlo dalla sorpresa.
“Aaah!”
“Protego!” Narcissa scattò fulminea fuori dall’armadio, per nulla sorpresa.
Marie balzò indietro sulla difensiva. Si era preparata a bestie infide pronte ad attaccare e Mangiamorte appiattati, ma non alla figura che aveva pugnalato Draco e che aveva legato ad un albero nel bel mezzo di Inverness. Certo, la figura non era altro che Bellatrix mascherata, ma l’impressione l’aveva lasciata lo stesso.
Si diede della sciocca per non aver affrontato la questione con Draco.
Per lei, la questione era scivolata in secondo piano. La sola cosa che le importava era raggiungere Harry ad Hogwarts, e prima di quello aveva dovuto occuparsi di Draco ferito. Narcissa non era realmente stata imprigionata ad Azkaban, ed in ogni caso non sarebbe stato difficile fuggire e lasciar perdere le proprie tracce dopo l’esplosione.
Però è corsa in vostro aiuto, la rimproverò una vocina, e tu te ne sei già dimenticata?
Evidentemente, Draco non se ne era scordato.
Abbassò la bacchetta, ma tenne alta la guardia.
Narcissa non aspettava altro. Si fiondò sul figlio, accasciatosi contro la parete, la mano stretta convulsamente sullo squarcio da cui usciva sangue a fiotti nonostante gli incantesimi tentati ed il bendaggio improvvisato di Marie.
“Draco…” Lo strinse a sé con tutta la forza che aveva in corpo.
“Madre…la spalla…” Un gemito di gioia e dolore sfuggì alle sue labbra tremanti, e Draco affondò il viso nella spalla della madre, inebriato, per un breve istante, dal suo profumo famigliare, che sapeva di sicurezza e protezione. Narcissa non avrebbe più allentato la presa sul figlio, no fosse stato per il dolore che spezzò la voce di Draco. Si distaccò da lui solamente per tentare di arginare l’emorragia.
Marie notò con un pizzico di invidia che stava avendo molto più successo di lei.

“Vulnera Sanentum, Vulnera Sanentum…” Narcissa ripeté quella litania senza quasi riprendere fiato, ed un sottile strato di pelle si espanse a coprire la voragine scavata dal pugnale. Per quanto si ostinasse a ripetere la formula, tuttavia, la ferita non si irmarginava più di così.
Nonostante avesse sfiorato l’infarto per lo spavento, trasportata dalla litania la gemella si allacciò al filo dei suoi pensieri e registrò subito che Narcissa li stava aspettando.
Altrimenti, perché andare proprio da Burgin & Burke e nascondersi all’interno dell’armadio svanitore? Malfoy doveva averle comunicato, in un modo a lei ignoto, dove erano diretti.

S’inginocchiò accanto a Draco, al fianco di Narcissa, che la guardò con rimprovero. Avrebbe voluto carezzargli la guancia, per offrire un minimo di sollievo a quegli zigomi contratti, ma non osò, sotto gli occhi della madre.
“Avresti dovuto dirmelo!” Sibilò all’orecchio di Draco, seppur con debole irritazione nella voce, in confronto a quella che provava pochi istanti prima. Era abituata ad essere trattata come il capo, assieme ad Harry, e l’essere stata tenuta all’oscuro la allarmava.
Tuttavia, la vista di Draco sanguinante e sofferente, ormai sciaguratamente famigliare, le impedivano di essere irata; oltretutto si aggiungeva il fatto che non aveva la coscienza pulita in merito.

Narcissa evocò lo stesso strato di piume usato per riposare, e vi accomodò Draco, che lentamente sembrava rimettersi in forze, poi si voltò imperiosa verso Marie.
“Chi l’ha ridotto così?” Ed inchiodò Marie con due schegge di ghiaccio, ma lei non aveva nessuna intenzione di farsi intimidire.
“Bellatrix!” Sbottò, scuotendosi indietro i capelli con un gesto stizzito.
Tua sorella, pensò rabbiosa, ma non lo disse.
Lo sguardo di Narcissa su di lei cambiò repentinamente a queste parole. Distolse gli occhi dai suoi per un istante, la sua presa intorno alla bacchetta si fece ferrea, ma quando rialzò lo sguardo, questo era limpido e calmo.
“Grazie, Marie Potter. Grazie per aver portato Draco salvo fin qui ed averlo aiutato a fuggire da Azkaban.” Silenzio.
“Per questo, io vi sono fedele fino alla fine di questa guerra, qualsiasi essa sarà.”
Narcissa quasi non sbatteva nemmeno le palpebre.
“Continuerò a combattere per la mia libertà e quella di mio figlio. Quando ci sarà una battaglia, lotterò perché voi possiate vincere. Fino alla morte.”
Marie, immobile, tacque per un istante, e desiderò ardentemente che anche Harry fosse lì con lei ad ascoltare quelle parole. Sarebbe stato difficile convincere gli altri, senza che venissero inchiodati da quello sguardo.
“È probabile che moriremo.” Fece una pausa, osservando Narcissa, ma la sua espressione non cambiò.
“Tuttavia, sarai felice di sapere che Draco non morirà per il Marchio, almeno credo.”
Gli occhi di Narcissa si illuminarono, e finalmente li distolse da quelli di Marie, che si trovava a disagio di fronte a quella donna ancora alquanto misteriosa e algida nei suoi confronti.
“Come avete fatto, è impossibile…” Sussurrò, con la voce traboccante di gioia, già in ginocchio ad osservare meravigliata il braccio argenteo di Draco, con il quale scambiò uno sguardo fugace ma pieno di significato.
Marie fu sorpresa di avvertirla completamente diversa da niente più che un secondo prima. Per la prima volta, la sentì come amica. Le parole precedenti erano sincere, su questo non aveva dubbio, ma era abbastanza sveglia da capire che per Narcissa il cambio di alleanza era dovuto all’amore per il figlio, e privo di sentimento nei loro confronti.
Ora invece era certa di avvertire gratitudine in quelle poche parole, e prima che potesse realizzare cosa stesse succedendo, si ritrovò stretta in un abbraccio sorprendentemente stretto e morbido, un abbraccio di donna, che le mancava da tempo.
Riuscì appena a ricambiarlo, ma Narcissa non vi fece caso.
“Grazie”
Quel singolo ringraziamento le scaldò il cuore, ben diversamente dalla dichiarazione precedente.
Draco, disteso e ben attento a non muoversi, con la sensazione agghiacciante della ferita che si apriva ancora ben viva nel ricordo, ascoltò ogni parola, ed interpretò correttamente ogni silenzio. L’abbraccio fra le due donne coincise con un sentimento inusuale e sconosciuto, di protezione, che lo invase e fece sentire di nuovo in forze.
Con molta cautela, si rimise in piedi, puntellandosi su un comodino sbatacchiante lì accanto. Narcissa e Marie ebbero cura di non puntargli gli occhi addosso mentre si rialzava, e ne fu loro grato. Una volta in piedi, si sentiva di nuovo pronto a sfidare l’avvenire.
“Allora, prendiamo l’armadio?” Disse con voce roca, nel debole tentativo di fare una battuta.
Narcissa aggrottò le sopracciglia, ma un angolo della bocca di Marie si sollevò.
Quel debole sorriso si squagliò inesorabilmente alla vista della larga e zuppa chiazza di sangue sulla maglietta strapazzata appartenuta ad Harry.
“Dobbiamo trovare un modo per rimarginare seriamente quella ferita.”
Narcissa carezzò il capo a Draco, che fu felice di notare con la coda dell’occhio che Marie aveva lo sguardo per nel vuoto, pensosa. Le era appena venuta un’idea. Era decisamente una fortuna che l’Armadio li portasse nella Stanza delle Cose Nascoste.
I tre si pigiarono nell’armadio, e, cosa molto sciocca, secondo Lucy Pevensie, chiusero la porta.
Ma d’altronde, in quell’armadio non c’erano pellicce morbide contro cui strusciarsi, Lucy.


*


“Ma Dobby, siamo ancora ad Hogsemade!” Harry si ripulì frettolosamente gli occhiali.
I lampi di luce, le urla e il rumore di tegole rotte, seppur soffocato, giungeva inconfondibile alle loro orecchie. Ron ed Hermione invece avevano già messo a fuoco l’uomo che si stagliava, assai contrariato, di fronte a loro.
Harry, gli occhiali di nuovo sul naso, si trovò faccia a faccia con l’uomo che aveva intravisto nello specchio. Prima di proferire parola, estrasse il frammento tagliente dalla tasca, nel quale ora non intravedeva nulla, ma quello stesso sguardo, così simile a quello di Silente, era ora di fronte a lui.

“Potter! Che cavolo ti è venuto in mente, si può sapere? E dove diavolo è tua sorella, non siete forse inseparabili voi?” Oscurò con un gesto stizzito la finestra, e cominciò a scendere le scale.
“Grazie, grazie per aver mandato Dobby a soccorrerci.”
In tutta risposta l’uomo dalla lunga barba argentata diede loro le spalle e cominciò a scendere le scale.
“E muovetevi imbecilli! Se volete andare ad Hogwarts, so io il modo per farvi arrivare là.”
Dobby, dall’alto dei suoi sette strati di cappellini e cuffie, fece loro un sorrisetto incoraggiante e diede ad Harry una spintarella.
“Forza Harry Potter signore, è meglio se arriva ad Hogwarts con uno dei suoi amici.”
Harry appoggiò una mano sulla spalla dell’elfo, che gli era mancato molto, ma guardò scettico verso le scale pericolanti.
“Ma tu sei mio amico Dobby!”
In tutta risposta, le orecchie dell’elfo si sollevarono e questi fece una giravolta sul posto, estasiato, creando un buffo effetto ottico, con i calzini rigorosamente spaiati alti fino al ginocchio.
“Vi volete spicciare?”
“Miseriaccia, ma che ha, un pijama party in programma quello?”
Ron si strinse nelle spalle e mentre scendevano le scale porse uno dei suoi guanti di lana più trivellati di buchi a Dobby, che scese il resto degli scalini sul corrimano.
“Harry, è Aberforth!” Sussurrò Hermione agitata.


*


Fra gli elfi delle cucine scoppiò lo scompiglio. Tutti volevano dare un’occhiata alla nuova arrivata. Molti di loro si precipitarono con mestoli e padelle luccicanti ancora stretti fra le manine.
Il capo cucina, un elfo con batuffoli di pelo particolarmente lunghi e arruffati che spuntavano dalle orecchie e uno straccio lievemente più dignitoso, si avvicinò a Gonril.
“Nessuno ci ha detto nulla di nuovi arrivi, ma sei la benvenuta.”
“Non tira buona aria come una volta, nessuno si cura più di noi”
Borbottò un’elfa dalle orecchie stranamente piccole e con una ciotola d’impasto fra le mani.
“Sono solo di passaggio, a dire il vero, signore. Cerco Dobby, l’ultima volta che l’ho visto lavorava qui.” A pagamento, pensò Gonril.
All’improvviso una figurina si fece largo tra gli elfi radunati attorno a lei.
“Cerchi Dobby? Sono io quello con cui passa il suo tempo.”
Kreacher si aggiustò pomposamente la federa. Trovava le orecchie di Gonril molto snelle e attraenti.
“È appena stato chiamato da Aberforth, fa sempre su e giù lui.”
“Ma poi torna sempre, prima di mezzanotte, di solito, a meno che il vecchio mago non faccia serata.” L’elfa dalle orecchie minute fece spallucce.
“Allora non mi resta che aspettarlo. Vi aiuto, nel frattempo.”
Con queste parole Gonril prese un mestolo e si mise a rimestare il porridge per la mattina successiva.
Dopo non molto, tuttavia, le orecchie tese e appuntite di Gonril udirono il solito crack fra il tintinnio e lo spadellare della grande cucina.
“Dobby! Gonril è tornata!”
L’elfa corse incontro al compagno imbacuccato, e lo strinse con tanta foga che diversi berretti caddero sul pavimento sempre lindo e pulito. Kreacher grugnì un saluto infastidito all’amico e rivale.
Una volta costretto ad andarsene da Grimmauld Place, Dobby era stato di gran conforto a Kreacher, e dal momento che ora erano entrambi grandi fan dei gemelli Potter, non avevano più bisogno di bisticciare. Anzi, passavano molto del tempo ai fornelli raccontandosi episodi passati con i Potter, facendo a gara a chi fosse il favorito di Harry o di Marie. Dobby la vinceva sempre con Harry, ma Kreacher si prendeva le sue vittorie raccontando delle attenzioni di Marie a Grimmauld Place, come quella volta in cui gli aveva fatto diventare lindo e profumato il suo grembiule.
“Se Gonril sapesse chi ha appena incontrato Dobby, sarebbe molto invidiosa.” Squittì l’elfo.
“Ma presto sarà qui, e Gonril potrà conoscere anche i suoi amici Hermione Granger e Ron Weasley.”
“La ragazza che ha fondato il C.R.E.P.A, Gonril deve incontrarla!”
“Ma prima si deve sconfiggere il Signore Oscuro signorina, lui gli elfi domestici li usa come carne da macello.” Kreacher le sventolò il mestolo sotto il naso, e sapeva bene di cosa parlava.
“Vendicheremo Padron Regulus!”
Le orecchie dei tre elfi erano tutte ritte e tremanti di eccitazione, e i loro grandi occhi rotondi si scambiarono occhiate cospiratorie.
“Quando saranno qui?” Domandò Gonril, impaziente di conoscere i sopravvissuti.
“A momenti, nella stanza delle Necessità.”



Angolo dell'autrice

Buongiorno a voi, carissimi lettori!
In primis, vi ringrazio enormemente per leggermi, seguirmi e recensirmi.
Ma ormai, al tredicesimo capitolo questo l'avrete sentito già altrettante volte.
Perdonatemi, non posso fare a meno di volervi un bene immenso!

Mallveollos,
Inzaghina,
black_whiteswan
Thundelara e MarieRaven: siete ormai una parte essenziale della storia, con i vostri commenti brillanti, vi mando un abbraccione!
Ma ora, basta smancerie.

Questo capitolo è, ve ne sarete resi conto, di transizione, ma spero che vi sia piaciuto lo stesso. Personalmente, mi sono invaghita perdutamente dei Gallesi…e soprattutto di Bleddyn. Per la cronaca, il suo nome deriva dal termine gallese blaidd -lupo- combinato con un suffisso diminutivo. Quindi, insomma, lupachiotto!
Informandomi sui nomi e patronimici gallesi, ho notato che anche Evans figura nei nomi gallesi. Lo sapevate?
Tornando al capitolo, sarebbe di enorme aiuto sapere cosa ne pensate! Il prossimo sarà più movimentato, e con una meravigliosa illustrazione di Thundelara. Ma nel frattempo…Buona lettura a tutti.

Un carissimo saluto
A presto

Claire


P.S se vi interessassero i nomi della squadra completa, che figurano qua e là, eccoli.
Ci tengo a precisare che i Bulgari hanno altrettanto fascino, potenzialmente, ma giostrare quattrodici nomi, è un’impresa titanica, come ben sa la nostra Thundelara

Wynn Embrey - capitano portiere

Bleddyn Dacey - cercatore e fumatore di pipa

Alwyn Dacey- cacciatore

Bran Broderick - cacciatore

Llew Beaven - cacciatore

Arawn Lewis - battitore

Cadfan Bowen - battitore


  
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