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Autore: honeysuckle    15/04/2018    1 recensioni
«Allora, te lo spiego in breve. La Cava è come un'arena da combattimento. In questo posto, come puoi vedere, ci vengono davvero tante persone. Ogni giorno. Alcuni sono interessati solamente a fumare, bere, ascoltare qualche stronzo che legge le sue poesie e a procurarsi qualche copia gratuita di un lavoro decente. Ma il vero pericolo della Cava sono gli altri scrittori [...] Nella Cava non ci sono regole. Non è una libreria abusiva né un teatro. La Cava è un trampolino di lancio, un ambiente letterario che può essere sia molto piacevole che molto spiacevole. Qua nessuno ti da soldi per niente, se vuoi qualcosa devi mettere tutto di tasca tua. La cosa bella della Cava è proprio questa: coloro che sono più motivati a spendere soldi per mettere in circolazione copie dei loro lavori sono i più bravi e vengono sempre apprezzati. Gli sfigati che non sono capaci di scrivere due parole di fila non durano niente qui [...]»
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ore 22:43

 

Lane si guardò le mani. Sudavano, sudavano copiosamente. Tutto il palmo era bagnato, e le punte delle dita erano diventate fastidiosamente scivolose, tanto che dovette abbandonare la presa sulla penna, incapace di tenerla salda. La posò bruscamente sul quaderno, innervosito, e sfregò le mani nei jeans per asciugarle.

Sbuffò, sfregandosi piano le palpebre. Gli occhi bruciavano da morire anche sotto i suoi stessi polpastrelli, li sentiva tirare e prudere, stanchi e secchi, esattamente l’opposto delle sue mani.

Il suo stesso corpo stava iniziando a tradirlo.

 La concentrazione l'aveva spudoratamente abbandonato quella mattina e, benché si sforzasse di controllare l'emozione, ormai aveva preso coscienza del proprio fallimento. Da quando Jay gli aveva promesso di portarlo alla Cava non riusciva a pensare ad altro. Cominciò a giocherellare con la penna, senza staccare gli occhi dal foglio bianco che aveva davanti. Sentì lo stomaco ripiegarsi su se stesso tanto da fargli male e il cuore cominciare a battere veloce nel petto.

Mancava così poco.

Ed era tremendo.

Era tremendo non riuscire a pensare ad altro, e più ci pensava più sentiva l'ansia farsi strada nel suo cervello e martellargli nelle tempie. Era terrorizzato dalla sua stessa impazienza: non era mai stato alla Cava, né aveva mai avuto contatti con scrittori che la frequentavano. Tuttavia le storie giravano e inevitabilmente alcuni lavori uscivano da quell’oscuro raduno: a scuola era facile trovare diverse cose degli autori più popolari, ne circolavano costantemente copie sgualcite e lise che gli studenti si passavano in classe, in mensa e nel cortile; lui stesso aveva contribuito a questa condivisione, distribuendo il materiale che Jay gli aveva procurato durante le sue brevi e svogliate visite, dopo averlo letto meticolosamente da cima a fondo. Diventare un autore della Cava non era complicato: non era necessario possedere particolari requisiti, né conoscere qualcuno di interno al circolo. Questo lo sapeva, perché era una cosa che sapevano tutti. Così come sapeva che in ogni caso nessuno osava avvicinarsi alla Cava prima di averci pensato bene, perché l'aria che si respirava lì dentro era intrisa di pura e agghiacciante competitività.

Nessun nuovo scrittore era benvisto, aveva detto Jay.

«Ma tu sei così bravo, ne varrà la pena» aveva aggiunto poi, come se questo avesse potuto anche solo lontanamente ridurre la soggezione che Lane sentiva nei confronti di quel posto.

Improvvisamente suonò il campanello. Lane sussultò lievemente e si asciugò un’altra volta le mani sulle cosce, senza pensarci. Era arrivato il momento di alzarsi e uscire dalla bolla di malsano nervosismo in cui si era recluso tutto il giorno. Afferrò velocemente una maglietta bianca dall'armadio e la infilò, senza badare minimamente a ciò che faceva, si passò una mano tra i capelli per dar loro una parvenza di decenza, scostò per un secondo la porta dalla parete e prese la giacca. Scese rapidamente le scale, infilandola maldestramente, con i gomiti che sbattevano contro il corrimano. Lanciò un’occhiata allo specchio appeso alla parete di fronte, si sistemò brevemente il colletto e infine aprì la porta.

La prima cosa che Jay fece quando lo vide fu squadrarlo con disappunto. Lane gli restituì lo sguardo, soffermandosi sui suoi capelli incredibilmente spettinati e sulla sua maglietta, troppo larga per quel busto scheletrico.

Poi gettò la sigaretta e gli chiese dove avesse lasciato il quaderno e, senza aspettare che rispondesse, gli chiese i soldi per la benzina.

Lane non disse una parola. Si cacciò un paio di monete fuori dalla tasca e gliele mise in mano. Poi si diresse in silenzio verso il motorino parcheggiato poco distante, si sedette e si mise il casco.

Jay non era un grande frequentatore della Cava. Ci andava perché la sorella era amica di uno che stava sempre là a fare reading, e lui doveva accompagnarla ogni volta che voleva, perché gli pagava la benzina. Allison prendeva le copie gratuite dei lavori degli scrittori dalla Cava, le dava a Jay e lui senza nemmeno guardarle le passava a Lane.

«Non sembri molto uno scrittore vestito così»

Disse, infilandosi il casco a sua volta. Lane gli lanciò un'occhiata spazientita e alzò le spalle. Non voleva perdere tempo, né dare a Jay l’opportunità di fargli passare la voglia di andare.

«C'è Allison stasera? »

«Per fortuna no»

Lane si passò una mano tra i capelli e borbottò qualcosa.

«Che hai detto?» chiese Jay, vagamente irritato.

«Ho detto che senza Allison non ha senso andare»

«Okay, quindi non andiamo?»

Calò il silenzio. Jay accese il fanale del motorino e Lane si aggrappò alla sua giacca. Le sue mani scivolavano sul tessuto leggero.

«Hai le mani sudate» sbuffò Jay, prima di allacciarsi il casco e fare inversione nella via buia.

 

*

 

Arrivarono nel punto in cui iniziava il corridoio della Cava. Era un posto fuori mano, squallido e tetro, all'ingresso del bosco. Ad accoglierli all'entrata c'era un tappeto di siringhe vuote e opalescenti, che rilucevano debolmente alla luce della luna. Un terribile odore di fogna e spazzatura, mischiato a quello umido del muschio e del fango e delle foglie marce, contribuiva a rendere la situazione estremamente scoraggiante.

Jay calpestò le siringhe senza nemmeno guardarle e gli fece cenno di seguirlo. Lane lo osservò mentre spariva nel buco oscuro, incespicando sulle foglie secche, con una mano bianca contro la fredda pietra nera. Vide improvvisamente una fioca luce scintillare nella sua direzione e sentì una voce alquanto seccata bisbigliare un «ti sbrighi?». Sussultò brevemente e si accinse a seguire l'amico. Posò anche lui la mano sulla pietra: era umida e fredda.

«Se avessi saputo che non te ne fregava niente non ti avrei nemmeno chiesto di venire» disse Jay, tenendo alto il telefono per cercare di illuminare più strada possibile.

«Si che me ne frega» rispose sottovoce Lane. Respirava a malapena per il senso di claustrofobia che gli procurava il tunnel, terribilmente stretto, accentuato dal fastidio di non avere nessun punto di appiglio durante la discesa.

Poi all'improvviso iniziarono i gradini. E con essi alcuni dei primi graffiti. Lane osservò la parete, sorpreso. Il primo disegno che vide fu quello di un enorme gufo: era stato realizzato con una vernice bianca che luccicava debolmente nel buio del corridoio, così come tutti gli altri.

«È per questo che si chiama la Cava del Gufo?» chiese Lane quasi senza pensare, assorto nella contemplazione del gigantesco animale. Jay alzò le spalle.

«So solo che la parete di sinistra è per i disegni, mentre questa» disse, battendo piano il palmo sulla parete destra «è quella delle firme».

Lane lo fissò, incerto. Jay gli voltò le spalle e continuò ad avanzare.

Man mano che procedevano giù per i gradini cominciarono ad apparire anche delle scritte, come aveva detto il ragazzo. I nomi di coloro che avevano frequentato assiduamente la Cava per anni, che avevano ottenuto la loro porzione di gloria all'interno di quella losca bolla sotterranea e anche fuori, che avevano speso tutti i loro soldi e il loro tempo per investirli in qualcosa che avevano riconosciuto come il proprio futuro.

La vocazione più grande, pensò distrattamente, continuando a scendere lentamente i gradini senza smettere di guardare la parete delle firme, fremente di eccitazione. Vide alcuni nomi che conosceva e sentì uno strano, travolgente formicolio lungo le braccia. Sorrise lievemente, senza accorgersene.

«Lane!»

Si riscosse al suono della voce di Jay che lo chiamava, a venti metri da lui. Quasi si mise a correre. Man mano che si faceva più vicino sentiva delle voci concitate, delle risate, farsi sempre più chiare.

Qualche secondo dopo si trovò davanti ad un rettangolo luminoso, all'interno del quale spiccava la sua sagoma, con la schiena appoggiata alla parete.

Jay sorrise debolmente e gli tese la mano. Automaticamente portò la mano ai jeans per asciugarla prima di dargliela, e si sorprese nel trovarla secca come la sua gola. Deglutì nervosamente.

Nel momento in cui prese la mano di Jay per arrampicarsi fuori da quel buco infernale il suo cuore cominciò a battere all'impazzata.

È reale, esiste davvero e io ci sono dentro.

 

 

La prima cosa che notò è che c'era davvero molta gente.

Jay si stava trattenendo più del previsto vicino all'entrata per scambiare due parole con persone che lui non aveva mai visto in vita sua. Rideva apertamente, stringendo tra le dita una sigaretta. Poi, dopo averla agitata per un po’ a mezz’aria, se la ficcò tra le labbra e la accese con un solo fluido movimento, facendo scivolare un attimo dopo l'accendino in tasca. Si passò piano una mano tra i capelli, tirando una profonda boccata, e fece scivolare via il fumo grigio dalle labbra rosse che spiccavano in modo quasi innaturale sulla sua pelle pallida.

Vide che stava comprando qualcosa, gli stavano passando della roba e lui ringraziava con un gran sorriso, il meraviglioso gran sorriso sociale che gli invidiava da una vita.

Poi si girò e se ne andò verso Lane, che si rese conto di averlo fissato imbambolato tutto il tempo. Vide la sua sfavillante, bianchissima, migliore maschera morire molto rapidamente sulle sue labbra.

«Hai usato i miei soldi della benzina per comprarti la droga» disse Lane, infastidito, sfregandosi le mani che stavano ricominciando a bagnarsi. Jay gli sorrise, per davvero stavolta, e gli sfiorò lievemente una guancia.

«Non ho cenato oggi» disse, nel tono forzatamente ironico e leggero che Lane detestava.

Nell'udire quell'informazione il ragazzo roteò gli occhi e si scostò, troppo irritato e imbarazzato dalle circostanze per lasciarsi andare a simili gesti.

Jay per tutta risposta fece lampeggiare un sorriso vittorioso nella sua direzione, e senza lasciargli il tempo di replicare gli fece cenno di seguirlo.

Tutto questo è reale.

 

Si gettarono in mezzo al popolo della Cava.

 

 

*

 

La Cava era una vera e propria arena di pietra nera.

 

Non esisteva soffitto: il cielo era l'unica cosa che sovrastasse le sue altissime pareti, e non riusciva a distinguere il bordo della conca, che sembrava fondersi alla perfezione con il buio della notte. Alcuni alberi erano riusciti a mettere radici nel terreno irregolare e chiazzato di verde, troppo selvatico e trascurato per sembrare un vero prato, e lì si ergevano, nella loro imperturbabile esistenza, a metà tra lo spettacolare e tetro trionfo della natura e – Lane non sapeva più dove volgere lo sguardo perché c’era davvero troppo da guardare – la strabiliante manifestazione di umanità che sfavillava, letteralmente, davanti ai suoi ingenui occhi di spettatore.

Non esistevano spazi liberi: dovunque si voltasse, Lane vedeva luce e caos.

C'erano stand in legno dall’aria precaria, tappeti sporchi e consumati di tutti i colori, panche, tavoli, tende, bancarelle affollate e rumorose. In ogni angolo c'erano persone che parlavano, ridevano, discutevano, camminavano, correvano, litigavano, urlavano, compravano droga e altri interessanti gingilli e facevano casino. Niente aveva un senso, niente aveva un ordine o un criterio.

Centinaia di vecchie lanterne ad olio, di quelle che era convinto non esistessero più, erano sparse ovunque, con le loro fiamme calde e tremolanti, e gettavano ombre dorate e luminose su qualsiasi cosa, facendo luccicare le foglie degli alberi e i capelli dei ragazzi in maniera quasi romantica. Alcune erano state appese ai rami degli alberi, altre appoggiate alle superfici dei banconi, in mezzo ai fascicoli e ai fogli stampati di fresco, altre ancora erano stette nel pugno di giovani volenterosi, che sgusciavano come lucciole in mezzo alla folla, tenendole alte come per proteggerle.

Lane era in estasi. Si accorse di stare sorridendo apertamente solo quando Jay gli diede un colpetto sulla spalla, invitandolo ad avanzare nella calca.

«Tutto questo è folle» mormorò tra sé, sovrapponendo per un attimo la praticità alla meraviglia «prenderà fuoco qualcosa»

Inaspettatamente, Jay scrollò le spalle.

«Non ci sono prese di corrente qui» disse, alzando le sopracciglia «non possono fare altrimenti»

Lane gli lanciò un’occhiata di rimprovero.

«Questo lo so» disse, riportando lo sguardo sulla moltitudine brulicante, distinguendo appena i volti gli uni dagli altri e aggiunse «spero che almeno abbiano qualche estintore»

Jay scosse la testa, sorridendo appena.

«Smettila di pensare a queste stronzate e goditi l’atmosfera» gli disse, alzando appena la voce per sovrastare il chiasso «è il motivo per cui quelle fottute lanterne sono qui»

Lane lo seguì con lo sguardo mentre si accingeva ad avanzare ancora di più nel fiume frenetico di persone, consapevole di doverlo seguire.

«Jay!»

Si voltarono entrambi. Vide il volto di Jay accigliarsi improvvisamente.

Allison avanzava verso di loro, più sorridente che mai. I riflessi delle fiamme danzavano animatamente sui suoi ondeggianti capelli rossi, abbaglianti come fuoco contro il tessuto bianco del suo vestito – scelta strana, pensò Lane, che mai l’aveva vista abbigliata in quel modo – e i suoi occhi vagavano da un ragazzo all’altro, brillando sotto quella luce calda e gialla. Sembrava la personificazione della gioia.

«Ciao» disse Jay, atono. Nonostante le lanterne illuminassero anche il suo volto cereo, i suoi occhi rimasero scuri e freddi.

«Ciao Allison» disse Lane a voce bassa, lasciando che lei lo stringesse in un breve abbraccio.

«Jay mi ha detto che ti avrebbe portato ma non avevo idea che sareste venuti oggi» esclamò, evidentemente deliziata dalla presenza del ragazzo.

«Io invece non avevo idea che oggi ci saresti stata tu» ribatté Jay.

Allison lanciò un’occhiataccia al suo gemello, poi rivolse a Lane uno dei suoi sorrisi delicati e lo afferrò frettolosamente per il polso, cominciando a farsi largo tra le persone.

Non provò nemmeno a divincolarsi. Lanciò un’occhiata terrorizzata all’amico, lasciandosi trascinare attraverso le zolle di terra asciutta ed erbosa e i tappeti rovinati.

«Guarda che non ti posso riportare a casa stanotte» urlò Jay, che era rimasto qualche passo indietro rispetto a loro.

«Non fa niente» gridò la sorella di rimando, e poi aggiunse, abbassando il tono e rallentando il passo «almeno ti sei deciso a portarlo qui»

«In realtà era lui che non voleva venirci» rispose il ragazzo, palesemente sulla difensiva, raggiungendoli in pochi passi.

Lane era troppo impegnato a sentirsi a disagio per prestare attenzione alla discussione fra i due fratelli. Voleva andare ovunque e da nessuna parte. Una parte di lui era incredibilmente eccitata anche solo all'idea di avere i piedi poggiati sul suolo della Cava, l’altra invece stava letteralmente impazzendo per la presenza di così tanta gente, che lo urtava e lo spintonava e lo guardava come se fosse totalmente fuori posto lì, tra loro, anime elevate e atipiche. Gli tornarono in mente le parole che Jay gli aveva rivolto fuori da casa sua.

«Io sono di là con alcuni amici di scuola, se volete venire a fare due chiacchiere prima che cominci il reading»

Allison indicò un punto assolutamente indefinibile dell'arena e si allontanò in quella direzione, lasciandoli di nuovo soli.

«Mi spieghi perché non hai portato il tuo quaderno?» borbottò Jay, accendendosi un'altra sigaretta, dando a malapena segno di accorgersi della frenesia intorno a sé.

«Perché non mi andava»

«Sei un cretino»

Il ragazzo scrollò le spalle, liquidando l’insulto con apparente leggerezza.

«Non porterò mai niente qui, e tu lo sai»

Vide il suo volto accigliarsi impercettibilmente, per poi ritornare immediatamente al suo stato originario di noia e apparente apatia.

«Vedremo» borbottò solamente, affondando le mani nelle tasche. Lane non rispose.

Va bene così.

 

*

 

 

Lane era seduto per terra su un logoro tappeto marrone insieme ad Allison e ad altre quattro persone che non aveva mai visto in tutta la sua vita, proprio nel mezzo della Cava, mentre davvero un sacco di gambe camminavano noncuranti intorno a loro. Jay li aveva mollato per andare a farsi una canna da qualche parte in santa pace.

Supponeva che anche questi sconosciuti fossero più o meno della stessa età dei gemelli. Non avrebbe mai immaginato che l'amico di Allison che leggeva pubblicamente le sue poesie sul corpo femminile potesse avere ventitré anni.

«Lo so, per te è strano» disse il ragazzo, il primo scrittore della Cava che Lane avesse avuto il piacere – si fa per dire - di conoscere di persona «da come se ne parla in giro, la Cava sembra un posto per ragazzini, o comunque per persone che vanno ancora a scuola. Ma c'è qualcosa in questo ambiente che ti trattiene, mi capisci? Una volta che ci sei dentro, è per sempre»

Questo qua è completamente andato, pensò Lane, annuendo alle sue parole per far vedere che aveva capito. Nessuna delle storie che aveva sentito sulla Cava si poteva considerare positiva. Tutti dicevano che aveva il suo fascino e che avere successo là significava avere successo anche fuori, nella vita vera, come scrittori veri, ma ottenere un posto di rilievo, reale, concreto e intoccabile lì dentro richiedeva uno sforzo immane.

Fortunati eletti, pensò di nuovo, cercando di ignorare il suo stomaco che si contorceva dolorosamente.

«Io so di persone che non hanno concluso niente qua dentro» disse Allison, bevendo un sorso dal suo bicchiere di birra, facendo scattare le sopracciglia in alto in modo eloquente «se Lane deve unirsi al giro tanto vale che sappia tutto»

Il suo amico si girò a guardarlo con interesse.

«Non avevo idea che scrivessi anche tu» disse, e Lane vide il suo sguardo mutare, farsi glaciale e allo stesso tempo più vivace.

«Si, a volte» rispose semplicemente. Non si stava affatto divertendo. Fece scorrere rapidamente lo sguardo sulla massa in movimento intorno a sé, sperando di individuare la figura familiare di Jay in qualche angolo remoto.

«Poesia o prosa?»

«Prosa»

«Ah» sospirò in tono annoiato «allora non è il mio campo, mi dispiace»

Poi si voltò verso Allison, guardandola con gli occhi carichi di consapevolezza, nei quali brillava una minuscola luce di volgarissimo biasimo.

«Comunque, gli inetti non ce la fanno mai» dichiarò, rispondendo evidentemente alla sua affermazione di poco prima.

Lane rimase muto come una tomba. Si sentiva terribilmente a disagio, aveva bisogno di allontanarsi da quel gruppetto male assortito e di andare a fare un giro rilassato tra gli stand, cercare qualcosa che davvero lo colpisse e portarselo a casa. D'altronde era lì principalmente per questo motivo. Ma non poteva scivolare via con una scusa e sputare in quel modo sull’aiuto di Allison, assolutamente no.

Aveva bisogno che Jay tornasse subito. Asciugò i palmi sul tappeto senza farsi vedere.

«Quanti anni hai, Lane?»

Gli chiese sempre lo stesso ragazzo, che nel frattempo aveva mandato giù qualcosa con la birra di Allison.

«Diciassette» rispose automaticamente.

Il tizio senza nome alzò le sopracciglia, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa Lane sentì la voce di Jay chiamarlo in lontananza.

Grazie a dio, pensò confusamente, sentendo il sollievo espandersi caldo e rassicurante nel suo petto.

Si alzò rapidamente, mormorò un «grazie a tutti per il vostro tempo» e, lanciando ad Allison un timido sguardo carico di sincera riconoscenza, corse via.

Non appena raggiunse Jay si accorse che non era solo. Stava parlando con una ragazza.

«Lane» disse, passando un braccio intorno alle sue spalle «lei è Sam, frequentavamo Chimica insieme. Sam è una che conosce bene questo posto, non come quel coglione là» indicò con la testa l'amico di sua sorella, con un’espressione di totale disgusto dipinta sul volto.

Sam ridacchiò e Lane sorrise piano.

Notò che era davvero graziosa. Lei gli porse la mano e lui la prese, approfittando di quell’attimo per osservare rapidamente il suo viso.

I suoi occhi grandi e scuri lo fissarono con gentile curiosità. Aveva le ciglia pulite e straordinariamente lunghe, e ne era assolutamente consapevole, ci avrebbe scommesso, visto il modo in cui le sbatteva quando si accorgeva che Jay la stava guardando.

La sua pelle era di un colore straordinario. Catturava la luce e riluceva, dorata e ipnotica, come se fosse fatta di chissà quale materiale prezioso, e il suo sorriso vi spiccava, inverosimilmente candido, perennemente stiracchiato sulle labbra carnose.

Lanciò un’occhiata di sottecchi a Jay. Sembrava completamente assorbito dalla sua ennesima sigaretta.

La ragazza si ravviò un ricciolo scuro dietro l’orecchio e cominciò a parlare come se venti secondi di conoscenza fossero stati sufficienti a metterla a proprio agio.

«Allora, te lo spiego in breve. La Cava è come un'arena da combattimento. In questo posto, come puoi vedere, ci vengono davvero tante persone. Ogni giorno. Alcuni sono interessati solamente a fumare, bere, ascoltare qualche stronzo che legge le sue poesie e a procurarsi qualche copia gratuita di un lavoro decente. Ma il vero pericolo della Cava sono gli altri scrittori. Mi è parso di capire che tu scrivi racconti, no? Ecco, se sei interessato a ritagliarti il tuo posto qui devi iniziare a capire già da adesso che non hai nessun nascondiglio e nessuna protezione. Nella Cava non ci sono regole. Non è una libreria abusiva né un teatro. La Cava è un trampolino di lancio, un ambiente letterario che può essere sia molto piacevole che molto spiacevole. Qua nessuno ti da soldi per niente, se vuoi qualcosa devi mettere tutto di tasca tua. La cosa bella della Cava è proprio questa: coloro che sono più motivati a spendere soldi per mettere in circolazione copie dei loro lavori sono i più bravi e vengono sempre apprezzati. Gli sfigati che non sono capaci di scrivere due parole di fila non durano niente qui, per questo ti consiglio di pensarci bene prima di lanciarti in una cosa simile. Poi devi sapere che gli stand sono per gli scrittori che lavorano in gruppo, quindi non metterti mai contro di loro, sono praticamente un branco di bestie selvagge. I tappeti sono i posti peggiori perché rischi sempre di essere calpestato e non riesci nemmeno a sentire la tua stessa voce. I posti migliori in assoluto sono i gazebo»

 

Indicò una fila di gazebo colorati, allineati sul lato dell'arena opposto al loro.

«Io di solito sto in quello viola»

Lane, che era rimasto ad ascoltare affascinato le parole della ragazza, annuì automaticamente e le chiese d'impulso:

«Tu scrivi?»

Jay spostò lo sguardo da lui a lei. Lei rise e si grattò la nuca, spostando i capelli sulla spalla.

«Ti pare che starei qui a dare consigli alla concorrenza se fossi stata una scrittrice con un gazebo?»

«Scusami, ho parlato senza pensare» borbottò Lane, mentre Jay soffiava fra i denti una breve risata canzonatoria.

«Non ti preoccupare. La scrittrice nel gazebo viola è una mia amica. A volte mi invita a fumare con lei. Se hai già letto qualcosa che proviene da qui allora forse ti è capitato per le mani qualcosa di suo. Si chiama Zoey, ma probabilmente la conosci come...»

«Hyena»

«Esatto»

Lane non riusciva a muovere un muscolo. Se ne stava lì, con gli occhi spalancati, a fissare Sam, mentre lei gli sorrideva con aria comprensiva e Jay lo guardava storto.

Era sicuro di sembrare un idiota. La portata della notizia l’aveva sopraffatto, il cuore aveva iniziato a sbatacchiargli nel petto come un uccello in gabbia e non riusciva – santo Dio, proprio non ci riusciva - a contenere la sua incredulità. Quella sensazione vibrante di entusiasmo, di emozione allo stato puro stava rapidamente prendendo il controllo del suo cervello, rendendolo consapevole del fatto che ciò che non aveva nemmeno osato sperare fino a un minuto prima stava per accadere davanti ai suoi occhi, proprio a lui.

«Tu mi stai dicendo» disse infine, passandosi una mano tra i capelli, senza sforzarsi di trattenere la sua goffa, estatica ammirazione «che conosci la scrittrice migliore di tutta la Cava?»

«Si, diciamo di si» rispose la ragazza, sorridendo lievemente alla vista della sua reazione.

Guardò Jay. A malapena si accorse di stare trattenendo il respiro.

«Vuoi conoscerla? Ti ci porto subito se vuoi» aggiunse, cercando di riconquistare l’attenzione di Jay con le sue maestose ciglia.

Vide l’amico roteare gli occhi, ma sapeva benissimo che anche lui era curioso di vedere la Hyena di cui parlavano tutti a scuola.

«È bella come nelle foto?» chiese Jay, scettico.

Sam scrollò le spalle, ma annuì.

«Come se il suo aspetto cambiasse qualcosa» borbottò Lane, mentre una mano invisibile gli stringeva convulsamente lo stomaco. Si sentiva un grandissimo idiota per aver reagito in quel modo incontrollato davanti ad una sua amica. Sentiva di stare sguazzando in una pozza di appiccicosa e ingenua curiosità, affondandovi inesorabilmente, ma non poteva fermarlo, non poteva fermarsi.

«Andiamo a conoscere l’élite di questo posto, allora» disse Jay, lanciando una breve occhiata eloquente a Lane «speriamo che non ci mangino»

Dalla bocca di Sam uscì un grazioso sbuffo divertito.

«Non sono affatto come ve li immaginate» disse, e un ultimo bianchissimo sorriso lampeggiò nella direzione di Jay. Poi la ragazza si voltò e cominciò a camminare in direzione dei gazebo.

La seguirono con lo sguardo per qualche istante.

«Ti sei accorto che stava cercando di sedurti tutto il tempo, vero? » borbottò Lane, cercando di non farsi sentire dalla diretta interessata.

Jay alzò le spalle.

«Andiamo, o rischiamo di perderci» disse semplicemente, afferrandogli il polso e tirandoselo dietro, prima di tuffarsi di nuovo in quella rumorosa mandria di anime.

 

Note autrice

Mi scuso per eventuali errori di battitura, è il primo progetto serio in cui mi cimento ed è molto importante per me, quindi ogni tipo di recensione (soprattutto critiche costruttive) è ben accetta anzi, vi prego, criticate tutto ciò che potete. Ci tengo a fare un buon lavoro e a migliorare come autrice, se qualsiasi dettaglio della storia risulta confuso o scritto male – sotto qualsiasi punto di vista – segnalatelo senza problemi. In ogni caso, spero che questo capitolo vi piaccia e che vi invogli a seguire la storia.

A presto, F.

   
 
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