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Autore: _Pulse_    16/04/2018    1 recensioni
Molly uscì di casa e il vento freddo le fece lacrimare gli occhi ancora gonfi ed arrossati.
Era stata una di quelle notti.
Sherlock si era presentato che erano le tre, ma lei era ancora sveglia sotto le coperte, col cuore che le batteva tanto forte nel petto da impedirle di abbandonarsi al sonno. Non aveva detto una parola, non ce n'era stato bisogno.
Molly l'aveva raggiunto ed alzandosi in punta di piedi l'aveva stretto tra le braccia, accarezzandogli i capelli e scoprendo che c'era qualcosa di caldo e umido tra quei ricci scuri che tanto amava. Con orrore si era guardata la mano e aveva pregato perché non si trattasse di quello che pensava che fosse, invano. Sangue fresco.
Genere: Angst, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Ciao a tutti! :)
Allora, ciò che state per leggere è una one-shot molto particolare. Innanzitutto si tratta di una song-fic e devo ringraziare le MUNA per aver realizzato la canzone da cui è partito tutto quanto, intitolata "Everything". Se volete andarla ad ascoltare - o, ancora meglio, ascoltarla mentre leggete - potete cercarla su Youtube oppure trovate il link del video ufficiale anche sulla mia pagina Facebook.
Seconda cosa, questa storia non ha un'ambientazione temporale precisa. Mi spiego: succede tutto dopo la quarta stagione, questo è certo, ma per il resto potete decidere voi se collegarla o meno ai fatti raccontati in "What's Grey in a Black & White World" (la mia ultima long Sherlolly).
Terzo, potrei essere andata leggermente in OOC. Spero di no, spero che ci sia una logica dietro ogni azione dei personaggi, ma non si sa mai e per questo ho messo l'avvertimento.
Credo che sia tutto, anzi ho detto fin troppo, ma da come avrete capito ci tengo particolarmente! :')
Vi lascio alla lettura sperando che sia di vostro gradimento nonostante la depressione cosmica in cui mi trovavo mentre scrivevo. Come sempre i commenti sono sempre graditi, di qualsiasi natura e genere!
Grazie, grazie e ancora grazie per tutto il supporto! ♥

Vostra,
_Pulse_


Nota: I personaggi non mi appartengono e questo scritto non ha scopo di lucro.


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EVERYTHING'S ABOUT YOU TO ME



Molly uscì di casa e il vento freddo le fece lacrimare gli occhi ancora gonfi ed arrossati.
Era stata una di quelle notti.

Sherlock si era presentato che erano le tre, ma lei era ancora sveglia sotto le coperte, col cuore che le batteva tanto forte nel petto da impedirle di abbandonarsi al sonno. Non aveva detto una parola, non ce n'era stato bisogno.
Molly l'aveva raggiunto ed alzandosi in punta di piedi l'aveva stretto tra le braccia, accarezzandogli i capelli e scoprendo che c'era qualcosa di caldo e umido tra quei ricci scuri che tanto amava.
Con orrore si era guardata la mano e aveva pregato perché non si trattasse di quello che pensava che fosse, invano. Sangue fresco.
Un'altra crepa era comparsa sulla sua anima e forse proprio perché non era la prima né sarebbe stata l'ultima volta era riuscita a mantenere la calma e a trascinare il detective in bagno, dove aveva esaminato il nuovo taglio da corpo contundente poco sopra l'orecchio sinistro. Non gli aveva chiesto di andare in ospedale - conosceva già la risposta - e in silenzio si era occupata di pulire e suturare la ferita.
Quindi Sherlock si era abbandonato tra le coperte ancora calde del suo letto e stringendola tra le braccia si era addormentato. Non le aveva detto una sola parola e Molly sapeva cosa significava: il caso non era stato ancora risolto.
Pur avendolo lì con sé, l'anatomopatologa era consapevole che la sua mente fosse da qualche altra parte e non era riuscita a chiudere occhio.
Prima che si imbarcasse in quella storia tutti l'avevano avvisata e spesso e volentieri scoraggiata, ma con caparbietà lei aveva continuato a rispondere che sapeva benissimo che essere la fidanzata di Sherlock Holmes sarebbe stato difficile. Solo non immaginava quanto.

I saw a beautiful girl on the street
She looked nothing like me, I think
But I wanted to call you and tell you about
the way that her hair got caught in her mouth

Il cielo di quel sabato mattina era coperto di nuvole e il freddo pungente.
Il silenzio ovattato in cui era immersa la città imbiancata le sembrava surreale e non fece altro che amplificare i terribili pensieri che l'avevano tenuta sveglia.

Ne fu distratta quando notò una ragazza col cappuccio del parka tirato sulla testa per proteggersi dalla neve che continuava a cadere e con una grande borsa a tracolla camminare verso di lei lungo il marciapiede. Lo sguardo di Molly fu catturato dal modo in cui la luce dei lampioni donava ai suoi lunghi capelli biondi una sfumatura rossastra e da come il vento freddo le fece finire una ciocca di quegli stessi capelli tra le labbra.
La ragazza la soffiò via con naturalezza ed incrociando il suo sguardo abbozzò un sorriso, quindi la superò per attraversare la strada.
Molly sentì un peso immenso caderle sulle spalle: quella ragazza era bellissima, nulla a che vedere con lei. Non era quello il punto però. Quello che l'aveva colpita così tanto del suo aspetto era la giovinezza che trapelava dal suo sguardo e dal suo sorriso, nonostante probabilmente avessero la stessa età.
Guardandosi allo specchio ogni mattina Molly si vedeva vecchia e stanca, provata da quella storia d'amore per cui aveva così tanto lottato.
Per quanto tempo ancora sarebbe riuscita a resistere? Temeva il giorno in cui l'avrebbe visto andare via e non tornare, il giorno in cui qualcun'altro l'avrebbe svegliata nel cuore della notte per dirle che Sherlock era rimasto ucciso. Ormai non faceva che pensare ad altro e si sentiva sempre più vicina ad un esaurimento nervoso.

Con le lacrime che minacciavano di rigarle nuovamente il volto si fermò nel bel mezzo del marciapiede che stava iniziando a popolarsi dei primi mattinieri.
Era inutile illudersi: la situazione non sarebbe mai migliorata. Sherlock non avrebbe mai rinunciato al suo lavoro, a quello che lui riteneva cibo per il suo cervello. E in ogni caso lei non avrebbe mai avuto la forza per chiedergli di scegliere, tantomeno di troncare con lui. No, mai. Lo amava più della sua stessa vita e non lo avrebbe lasciato, nemmeno se fosse stata l'unica soluzione per smettere di soffrire in quel modo.
Cosa sarebbe cambiato, in fondo? Se anche avessero smesso di chiamarsi "fidanzati", di condividere spesso lo stesso letto e di uscire per un appuntamento almeno una volta alla settimana, le preoccupazioni che provava ogni volta che si faceva carico di un nuovo caso non sarebbero scomparse. Avrebbe continuato ad avere gli incubi che le mostravano come avrebbe potuto perdere la vita - e sembravano essere davvero infiniti - e a svegliarsi madida di sudore.
Molly non ricordava più come fosse vivere senza quell'ansia. Ricordava però che era iniziato tutto in una notte simile a quella appena trascorsa, quando ancora riusciva ad addormentarsi senza l'utilizzo dei medicinali. La prima volta in cui il sangue di Sherlock le aveva impiastricciato le mani e lui aveva detto di aver patito di peggio. Quella notte il roseo futuro che ancora pensava di poter avere con l'amore della sua vita era andato in frantumi, i pezzi insanguinati come i frammenti di vetro che aveva estratto dalla schiena del detective.
Come aveva potuto essere tanto ingenua? Nell'euforia di essere finalmente riuscita a conquistare il suo cuore si era dimenticata del fardello che lui si portava appresso, della carriera che si era scelto nonostante sanguinasse e soffrisse, nonostante potesse morire. Sherlock Holmes era umano e lei ne aveva avuto la prova tante, troppe volte.
Il suono del proprio cellulare la riportò alla realtà. Molly tirò su col naso e lo estrasse dalla tasca del cappotto, si tolse un guanto tenendone l'indice tra i denti e sbloccò lo schermo per leggere il messaggio che aveva appena ricevuto.

Nuova pista.
Dobbiamo rimandare l'appuntamento di stasera.
Mi dispiace.
SH

Molly sospirò, tremando di freddo e di paura. Quando aveva trovato la nuova pista, visto e considerato che quando era uscita di casa per andare al lavoro era ancora addormentato?
Non glielo chiese, né gli disse dell'invidia e del rimpianto che aveva provato vedendo quella ragazza. Non era colpa sua, in fondo. Era stata lei a volerlo, consapevole - o così credeva - di ciò che avrebbe ottenuto con Sherlock Holmes come compagno. Era stata lei a ragionare col cuore e ora doveva affrontarne le conseguenze.
Alla fine rispose con un semplice: "Stai attento" e riprese a camminare sotto i fiocchi di neve per raggiungere il Bart's.

*

Sherlock aveva finto di dormire quando la sveglia sul comodino di Molly era stata spenta fin troppo rapidamente e l'anatomopatologa si era sottratta al suo abbraccio per prepararsi e andare al lavoro.
Il cielo fuori dalla finestra era ancora buio, come c'era da aspettarsi da una giornata invernale, e il detective aveva sentito il freddo assalirlo una volta rimasto solo in quel letto. Tuttavia non si era mosso e aveva ascoltato i movimenti di Molly, immaginandola mentre si cambiava, si sciacquava il viso e metteva la teiera sul fuoco.
Non poteva alzarsi ed affrontarla, non poteva sopportare la sofferenza che avrebbe visto sul suo volto, nelle occhiaie sotto i suoi occhi arrossati e nelle labbra tirate. Non poteva e non voleva ammettere che a causa sua Molly aveva perso peso e il sorriso.
Quando finalmente l'aveva sentita chiudersi la porta alle spalle si era tirato su seduto e aveva guardato la chiazza di sangue che aveva lasciato sul cuscino. Trattendo un grido l'aveva afferrato e scaraventato contro l'anta del mobile, per poi coprirsi il volto con entrambe le mani.

I saw the wing of a bird on the road
It was early, I was walking alone
And I found it lovely
And I found it sad
I don't know how you'd find it but I wanted to ask

Non aveva mai preso in considerazione l'esistenza di entità superiori od onniscenti, eppure ciò che vide per strada, mentre vagabondava per le strade innevate della sua Londra ancora addormentata, lo trovò un segno premonitore.
In realtà era stato un cane a trovarla, abbaiando, e il suo padrone l'aveva fatto tacere con uno strattone perché non svegliasse tutto il quartiere.
L'uomo gli aveva rivolto un debole cenno del capo a mo' di scuse mentre lo superava e Sherlock non aveva ricambiato in alcun modo. Aveva invece cercato con gli occhi ciò che aveva catturato l'interesse dell'animale, scoprendo che si trattava dell'ala di un passerotto.
Sherlock si domandò che fine avesse fatto il resto del corpo e come fosse morto. Di certo un essere così piccolo non poteva superare uno shock del genere, ma nel miracoloso caso in cui fosse riuscito a sopravvivere non avrebbe resistito a lungo comunque, specialmente in quella stagione. Che cos'erano gli uccelli senza le ali, dopotutto? Grazie a quelle appendici che permettevano loro di volare scappavano dai predatori e si procacciavano il cibo. Inoltre, le ali erano il simbolo per eccellenza della libertà.
Tra tutte le mattine e tra tutte le cose che poteva trovare per strada, proprio un'ala spezzata. Sherlock sentì i sensi di colpa crescere e crescere nel suo petto e strinse i pugni lungo i fianchi, le spalle del cappotto ormai umide a causa della neve.
Non aveva strappato lui quell'ala, però stava facendo qualcosa di molto simile a Molly.
Sapeva che sarebbe finita in quel modo, lo sapeva sin dall'inizio, ma era così stanco della lotta interna tra cervello e cuore che ad un certo punto aveva ceduto a quest'ultimo.
Ah, era stato così bello il suo sorriso quando le aveva detto che sì, sarebbero diventati una coppia. Una coppia non convenzionale, ma pur sempre una coppia.
Era stato così bello il bacio che si erano scambiati dopo quelle parole, così... giusto.
Erano state così belle le prime due settimane, durante le quali si erano conosciuti in modo ancora più intimo e condiviso tutte le esperienze dei normali innamorati: le cene insieme, gli appuntamenti, le chiacchiere davanti alla TV, il sesso e persino i litigi per i peli del gatto e gli esperimenti chimici in cucina.
Poi tutto aveva iniziato a peggiorare. La dura realtà aveva schiacciato l'idillio con l'arrivo di un caso piuttosto difficile.
Molly si era resa conto, giorno dopo giorno, che la sua pelle e le sue ossa erano molto più fragili di quello che pensava e Sherlock avrebbe voluto dirle che era stata una stupida a sopravvalutarlo e a sottovalutare le conseguenze del suo amore. Ma non l'aveva fatto. Perché sì, Molly era stata ingenua, ma non poteva fargliene una colpa. E ciò che sentiva in quel momento - un dolore ben più forte di qualsiasi ferita, osso spezzato o colpo di pistola - ne era la prova: era lui il colpevole che le stava strappando la serenità per il proprio egoismo.
Sherlock si chinò e prese a piene mani un mucchio di neve per coprire l'ala spezzata. Quindi si asciugò i palmi sul cappotto, prese il cellulare e le scrisse un sms per annullare l'appuntamento di quella sera.
Era ancora in tempo per lasciarla andare. Non sarebbe stato facile, ma col tempo avrebbe imparato di nuovo a volare, libera da ogni paura.
La sua risposta, un semplice: "Stai attento", gli fece comparire un sorriso sofferto sulle labbra.
Anche a costo di sacrificare se stesso, si sarebbe assicurato che lei tornasse a stare bene.

*

Non poteva sopportare il silenzio e la solitudine, non quella sera, perciò aveva chiamato una collega del Bart's e l'aveva invitata a bere una birra al pub vicino a casa sua. Aveva sperato che il vociare della gente e l'alcool l'avrebbero aiutata a togliersi dalla testa Sherlock, ma non era stato così.
Ogni cosa ormai era in grado di riportarglielo alla mente, anche la più banale. Spesso si era scusata con la sua amica per le sue continue distrazioni e non l'aveva biasimata quando le aveva proposto di terminare la serata. Molly, mortificata, aveva pagato anche per le sue ordinazioni e l'aveva accompagnata fino all'auto. Una volta averla vista svoltare l'angolo però era tornata sui suoi passi e quella volta si era seduta al bancone, da sola.
Molly controllò ancora il cellulare nella vana speranza di vedere un suo sms o di ricevere una sua chiamata con la quale la esortava a tornare a casa.
Era da quella mattina che non aveva sue notizie; non le aveva scritto nemmeno per rispondere al messaggio con cui l'aveva avvertito che sarebbe andata al Fox. Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Forse si era offeso perché quella mattina non l'aveva salutato prima di uscire. Che gli fosse successo qualcosa?

Sospirò cercando di non pensare al peggio ed attirò l'attenzione del barman perché le versasse qualcosa di più forte della birra.

And at the bar, on TV
they were talking about the casualties:
four hundred and counting
And my only question was:
How would you feel if one was me?

Alla TV stavano facendo vedere una partita di calcio e durante l'intervallo venne trasmessa un'edizione breve del notiziario, nel quale vennero elencati i principali eventi del giorno.
Persino l'ennesimo attentato nelle zone di guerra, in una realtà così diversa dalla loro, le fece pensare a Sherlock. Guardando le immagini di quelle case bombardate, degli uomini coi passamontagna e i fucili e degli innocenti che scappavano tra le macerie calpestando i cadaveri sanguinanti di quelli che fino al giorno prima erano stati i loro cari, i loro amici o semplici conoscenti, Molly riuscì a chiedersi soltanto come avrebbe reagito Sherlock se ci fosse stata anche lei tra le quattrocento e passa vittime.
Lei pensava continuamente alla possibilità che Sherlock potesse finire ucciso durante uno dei suoi casi, lottando contro nemici come Moriarty o Culverton. E lui, invece?
Quando finalmente le aveva detto di voler stare con lei aveva dettato alcune condizioni, tra cui il divieto di dire a persone estranee alla loro cerchia di amici di essere la sua fidanzata. Le aveva spiegato che ne andava della sua sicurezza e andava da sé che non avrebbero potuto farsi vedere in giro insieme troppo spesso. Molly, presa dall'entusiasmo, si era detta che le bastava averlo per sé a casa, ma aveva ben presto scoperto che non era proprio così. Sherlock infatti non era una persona in grado di separare il lavoro dalla vita privata, perciò quando era alle prese con un caso l'unico vero momento in cui sembrava starle vicino era durante le poche ore di sonno che si concedeva per poter stare in piedi e non compromettere le funzioni celebrali.
Spesso aveva provato a parlargliene e una volta aveva persino cercato di scherzarci su, esclamando che l'unico modo per avere la sua attenzione era di mettersi in una situazione tale per cui lui sarebbe stato costretto ad andarla a salvare.
Molly indicò di nuovo il bicchiere e il barista, che la conosceva abbastanza da sapere quale fosse il suo limite, le chiese gentilmente se non fosse il caso di tornare a casa. L'anatomopatologa provò ad imitare la stessa occhiata che Sherlock le aveva rivolto quella sera, capace di gelarle il sangue nelle vene. L'uomo dietro il bancone però, a differenza sua, si limitò a scuotere il capo e a versarle da bere.
Sherlock non era nemmeno uno che esprimeva i propri sentimenti con le parole e fino ad allora le era andato bene così. Era in grado di capirlo la maggior parte delle volte e sapeva per certo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenerla al sicuro. L'amava a modo suo e Molly gliene era grata, tuttavia... Solo Dio sapeva quanto aveva bisogno di sentire quelle due semplici parole in quel momento, di sentire dalle sue labbra che tutto si sarebbe sistemato e che non l'avrebbe mai lasciata andare. Solo Dio...

*

Sherlock aprì gli occhi e respirò avidamente, trasalendo.
Aveva la mente annebbiata a causa del colpo alla testa ed impiegò più del normale per ricordare come fosse finito in quello scantinato, imbavagliato e legato a quella sedia.
Alla fine era riuscito davvero a trovare una nuova pista per il "Giustiziere dei Cuori Infranti" - così l'avevano soprannominato i mass media - e aveva sentito lo stomaco stringersi in una morsa quando aveva capito che tutti gli indizi portavano al barman del Fox, il pub in cui Molly era una specie di habitué.
Il solo pensiero che la sua Molly fosse stata per così tanto tempo di fronte ad un assassino, bevendo ciò che lui le metteva nel bicchiere, gli aveva fatto quasi perdere il senno. Senza avvisare nessuno si era recato immediatamente a casa dell'uomo per affrontarlo, dove però aveva scoperto che era tornato a vivere con sua madre dopo la brutta rottura col suo fidanzato - l'evento che doveva aver scatenato la sua furia omicida. L'anziana donna, interrogata, gli aveva detto che quel giorno si era recato al lavoro in anticipo per occuparsi dell'inventario.
Ricordava di essersi introdotto nel pub dall'uscita sul retro, trovandolo buio e silenzioso, e di essere sceso in quello stesso scantinato, dov'era stato preso alla sprovvista e sopraffatto. L'uomo infatti l'aveva colpito nello stesso punto della sera precedente, riaprendo la ferita che Molly gli aveva medicato, ed era svenuto.
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso da allora, ma a giudicare dalla musica che sentiva provenire dal piano superiore era quasi certo che fosse ormai sera. Guardandosi intorno notò alla sua destra un computer acceso sul cui schermo venivano trasmesse le immagini delle telecamere di sicurezza del locale. Come aveva immaginato il pub era affollato, trattandosi di un sabato, e quell'uomo stava versando cocktail e pinte di birra a clienti ignari, tra cui anche...
Il guaito che gli sfuggì dalle labbra somigliò in tutto e per tutto a quello di un cane in fin di vita.
Molly era lì, seduta a quel bancone.
Provò a liberarsi, ma la spessa corda gli segò i polsi facendogli vedere le stelle. Eppure continuò, continuò a dimenarsi fino a quando non sentì il sangue gocciolare sul pavimento.
In preda al dolore più atroce cercò di urlare e di spostarsi con la sedia per raggiungere le scaffalature con le bottiglie degli alcolici, ma nel farlo perse l'equilibrio e cadde di lato facendosi molto male alla spalla sinistra. Fu allora che si accorse del proprio cellulare, a terra a qualche metro da lui. Nello stesso momento in cui vi posò sopra gli occhi iniziò a vibrare e Sherlock si contorse sul pavimento leggendo il nome di Molly sul display. Guardò le riprese e la vide in attesa, le dita della mano sinistra che stringevano convulsamente un fazzoletto di carta.
Provò ad avvicinarsi al telefono, strisciando sulla spalla lussata, inutilmente. Quando la vibrazione cessò il display mostrò l'icona della chiamata persa e l'ennesima coltellata, dritta nel cuore, la ricevette quando vide l'anatomopatologa lasciare il cellulare sul bancone e chiedere al barista un altro giro.
Il pluriomicida all'inizio fece della resistenza, poi l'accontentò e nell'allontanarsi da lei alzò lo sguardo per sorridere in direzione della telecamera, nella speranza che il detective stesse guardando.
Sherlock avrebbe vomitato se avesse avuto qualcosa nello stomaco.

*

«Ehi. Sveglia, bella addormentata».
Molly aprì lentamente gli occhi e sobbalzò realizzando di essersi addormentata sul bancone del pub, con ancora il bicchiere mezzo pieno in mano.
Fissò il barman che l'aveva svegliata toccandole gentilmente il braccio e ricambiò imbarazzata il suo sorriso. Quindi si guardò intorno, scoprendo che erano rimasti solo loro due nel locale silenzioso e già in parte rassettato.
«Che ore sono?», domandò ad un tratto, spaventata. E se Sherlock fosse tornato a casa e non l'avesse trovata, che cosa sarebbe successo?
«Le tre passate. Come ti senti?».
Molly, col cuore in gola, controllò freneticamente il cellulare e provò l'ennesima fitta allo stomaco: nessun nuovo messaggio, nessuna chiamata. Si passò le mani sul volto e nonostante fosse sul punto di scoppiare in lacrime abbozzò un pallido sorriso e rispose che stava bene, per poi smentirsi immediatamente quando scese dallo sgabello e le gambe non la sorressero.
Il barman - come si chiamava? - la prese al volo e la donna cedette al calore di quella stretta, forse anche per via della sbronza. Col viso nascosto contro il suo petto iniziò a singhiozzare in maniera incontrollabile. A quel punto non avrebbe potuto fermarsi nemmeno volendo.
«Shhh. Andrà tutto bene, tutto bene», sussurrò il barista, accarezzandole la schiena.
Ormai sopraffatta dall'alcool, dalla tristezza e dal suo tono carezzevole, Molly si lasciò condurre nello scantinato senza nemmeno chiedersene il motivo. Non le importava. Ma tutto cambiò quando i suoi occhi gonfi ed arrossati videro Sherlock steso sul pavimento, legato ad una sedia e con un bavaglio alla bocca. I loro sguardi si incrociarono e il terrore le restituì parte della lucidità perduta, solo non abbastanza in fretta per leggere l'avvertimento negli occhi sgranati del detective. Il calcio che ricevette alla base della schiena la fece cadere carponi davanti a Sherlock, il quale si agitò e provò ad urlare in preda all'ira.
«Ho avuto proprio una bella fortuna nella sfortuna», esordì il barman, tirando fuori dal fondo di una scatola una pistola. «Quando ho scoperto che Sherlock Holmes mi stava dando la caccia mi sono detto che era solo una questione di tempo prima che mi arrestassero, ero anche pronto a farla finita con questa stessa pistola, però questo pomeriggio, quando ti ho visto arrivare tramite le telecamere di sicurezza, senza la polizia al seguito, ho deciso di provare a lottare e a quanto pare ho fatto bene. Anche il grande detective è un dannato spezzacuori che merita una punizione».
«No!», gridò Molly, inginocchiandosi di fronte a lui a braccia aperte nel tentativo di fargli da scudo col proprio corpo.
Sherlock provò ad ammonirla, ma imbavagliato o meno sapeva che non l'avrebbe ascoltato. Non quella volta.
«Perché lo difendi, Molly? Tu stai soffrendo, è chiaro! E la colpa è solo sua! Merita di patire quello che stai patendo tu!».
«Lo sta già facendo!».
Quelle parole stupirono entrambi gli uomini, anche se per motivi diversi: l'assassino non ci credeva, mentre Sherlock non capiva come facesse a saperlo.
«L'amore... l'amore è un sentimento complicato», spiegò Molly, con tono pacato. «È capace di farti toccare il cielo con un dito e di farti desiderare la morte. Lo so bene, credimi. E quello che vuoi fare lo capisco, ma non è giusto. In una coppia si è in due e per questo bisogna dividersi le colpe, quando le cose vanno male. Addossare tutto all'altro non risolverà mai la situazione, anzi... la peggiorerà soltanto».
Il barista rinsaldò la presa sulla pistola, ma il modo in cui i suoi occhi continuavano a spostarsi e il movimento del suo pomo d'Adamo fecero intuire a Sherlock che il discorso di Molly stava avendo effetto: aveva perso sicurezza.
La donna si alzò lentamente in piedi, le mani sollevate, e aggiunse: «Getta la pistola... Ben, giusto? Ben, non deve andare a finire così».
Ben scosse lentamente il capo, la mano tremante. «Come altro dovrebbe andare? Ormai quello che è fatto è fatto, non si può tornare indietro».
«No, hai ragione, non si può. Però...».
«Basta, sta' zitta!», gridò ed avanzando di un passo la colpì al volto con la mano con cui impugnava la pistola.

Would you wish we'd made love again?
Would you want to revisit the marks on my skin?
'Cause the world could be burning
and all I'd be thinking is:
"How are you doing, baby?"

Molly cadde a terra dopo aver fatto una giravolta e Sherlock trasalì, terrorizzato, quando si ritrovò davanti al suo viso senza espressione, lo zigomo destro già arrossato per il colpo ricevuto. Le sarebbe uscito un livido tremendo nei giorni a seguire, semmai fossero riusciti ad andarsene vivi da quello scantinato.
Sì, l'avrebbero fatto. Se ne sarebbero andati entrambi e avrebbero trovato un modo per non soffrire più, insieme.
Non poteva finire in quel modo, semplicemente. C'erano ancora troppe cose che voleva dirle, troppe esperienze che voleva condividere con lei.
Se gliel'avessero chiesto appena un paio di mesi prima - a cosa o a chi avrebbe pensato in punto di morte - non avrebbe mai nemmeno immaginato che si sarebbe pentito di non averla baciata abbastanza, di non aver apprezzato maggiormente il tempo trascorso insieme in generale.
Volente o nolente, Molly era diventata una parte essenziale della sua vita, tanto fondamentale da impedirgli di agire razionalmente, lasciandosi invece guidare dal cuore e dall'egoismo. L'amava tanto da volerla nella sua vita, ma forse non abbastanza da lasciarla fuori, al sicuro.
Sherlock guardò ancora una volta il suo viso e sentì qualcosa spezzarsi dentro di lui, una specie di barriera invisibile che una volta infranta gli conferì una dose di forza extra che gli permise di alzarsi e gettarsi con tanto di sedia contro il barman, sconvolto dopo aver colpito la persona per il cui cuore infranto avrebbe dovuto portare giustizia.
Insieme finirono contro la scaffalatura di metallo e diverse bottiglie di liquore caddero dalle mensole, infrangendosi sul pavimento. Sherlock approfittò del momento di confusione per raccogliere un pezzo di vetro e tagliare la corda che gli legava i polsi alla sedia, distraendosi a sua volta.
Ben, ormai disarmato, si riprese prima del previsto e lo placcò come un giocatore di rugby, facendolo cadere sulla spalla già insaccata, poi si sedette sul suo torace ed iniziò a prenderlo a pugni sul volto. Il sangue gli macchiò le nocche mentre urlava tutto il proprio dolore per il proprio cuore spezzato.
Sherlock sentì le forze abbandonarlo poco a poco, ma cercò di tenere gli occhi aperti per guardare Molly un'ultima volta prima di quella che credeva fosse veramente la fine. Una fine davvero patetica, se ci pensava.
Il dolore scomparve quasi del tutto quando non la vide più stesa a terra. Quando aveva ripreso i sensi e dove diavolo era andata? La cercò nella stanza, ignorando i pugni che continuavano a sballottargli il cervello nel cranio, e alla fine la trovò: in piedi alle spalle del suo aggressore, con la luce dell'unica lampada appesa al soffitto che le brillava intorno alla testa come un'aureola e al contempo le ombreggiava il volto.
Il click del cane della pistola fu in grado di fermare il tempo intorno a loro.
Ben si immobilizzò col pugno ancora sollevato quando sentì il metallo della pistola toccargli la nuca e Sherlock sgranò gli occhi, o almeno ci provò, quando udì la voce di Molly come non l'aveva mai udita: metallica, insensibile, del tutto priva di qualsiasi sentimento.
«È finita, Ben. La polizia sta già arrivando».
«Uccidimi allora».
«No».
«Fallo!».
«No, non lo farò».
Il barista non accettò quella risposta e si voltò di scatto, furioso. Lottarono e nel tentativo di prenderle la pistola dalle mani partì un colpo che lo centrò dritto al cuore. L'uomo le sorrise prima di cadere a terra con una chiazza di sangue che si espandeva sul suo petto inzuppandogli la camicia, sussurrando: «Vedi? Non era difficile».
Quindi calò il silenzio, un silenzio rotto soltanto dai loro respiri concitati.
Molly cercò gli occhi di Sherlock e il detective sentì una parte di sé morire, la parte pura ed innocente che era appena morta nell'anima dell'anatomopatologa.
La donna si coprì la bocca con una mano, ma non riuscì ad impedire i conati. Gli diede le spalle e vomitò tenendosi con una mano alla scaffalatura, tra i pezzi di vetro e l'alcool fuoriuscito dalle bottiglie infrante.
Sherlock finì di sciogliersi anche l'ultimo brandello di corda dai polsi e finalmente si tolse il bavaglio dalla bocca, tornando a respirare. Quindi si alzò per raggiungerla. Le sfiorò la schiena con le dita, ma lei lo allontanò con un gesto del braccio mentre si passava l'altro sulla bocca.
«Molly... Molly, guardami».
L'anatomopatologa lo fece, con la coda dell'occhio, e scoppiò immediatamente in lacrime. A quel punto Sherlock poté avvolgerla col suo cappotto, stringerla tra le braccia e poco dopo sollevarla per uscire da quello scantinato infernale dove tutti avevano perso qualcosa di molto importante.

*

Era difficile spiegare che cosa fosse successo tra loro dopo quella notte.
Entrambi avevano sentito il bisogno di stare per conto loro, in silenzio, eppure c'era sempre stato un momento, un paio d'ore prima dell'alba, in cui Sherlock abbandonava il divano in salotto per entrare nella camera di Molly e stendersi al suo fianco. Lei si girava e, sempre in silenzio, lo abbracciava riuscendo finalmente a chiudere gli occhi.
Trascorsero così un paio di settimane, fino a quando Sherlock non decise di rompere quel silenzio per dirle, con quella faccia seria che la metteva sempre a disagio, che non riusciva più ad andare avanti in quel modo.

I'm sorry to be so serious,
I know you don't like my long face
I am only here to tell you
that I am eviscerated

«È tutta colpa mia», sussurrò, accarezzandole con una mano i capelli sparsi sul cuscino. «Tu stai soffrendo ed è tutta colpa mia, della vita che faccio e di cui non posso fare a meno. Non avrei mai dovuto...».
«Vuoi lasciarmi, Sherlock?».
Erano le prime parole che gli rivolgeva da due settimane a quella parte e fu doloroso pronunciarle, ma anche liberatorio. Anche lei non riusciva più a fingere che andasse tutto bene, ad ignorare l'enorme crepa che giorno dopo giorno li stava separando. Presto quel vuoto tra loro sarebbe stato troppo vasto, troppo profondo per poterlo riempire, e raggiungersi sarebbe stato impossibile.
«No», rispose semplicemente e Molly cercò il suo sguardo, incredula. Non c'era traccia di menzogna nei suoi occhi.
«Ormai sei diventata il punto fermo della mia esistenza. Tutto ruota intorno a te. Tu sei il porto sicuro a cui faccio ritorno ogni notte, il placido mare che mi culla dopo giorni trascorsi nella burrasca. E non credevo di avere un disperato bisogno di tutto questo, della normalità, di te, fino a quando non abbiamo iniziato a stare insieme in questo modo. Tornare indietro... mi annienterebbe. Però so anche che, se non lo farò, sarai tu ad essere annientata. Non voglio lasciarti, Molly Hooper, ma devo farlo».
L'espressione scioccata sul suo volto fece comparire un mezzo sorriso su quello del consulente investigativo.
«Deduco che quella notte tu abbia detto che io stavo soffrendo solo perché speravi che fosse quello che Ben voleva sentirsi dire, non perché l'avevi capito».
«Io... io non pensavo che tu...».
«Non pensavi che mi fossi accorto della tua tristezza? Del tuo dolore? E da chi e da cosa fosse causato?».
Sherlock scivolò sotto il piumone e la strinse più forte, affondando il viso contuso tra le morbide curve del suo seno.
Molly, con le lacrime che le pungevano gli occhi, gli accarezzò i capelli con una mano.
«Se le cose stanno così, non voglio che tu mi lasci, Sherlock».

I'm sorry to be so serious,
I know you can't stand me this way
But I took hope in half-desire
You are wildfire and I'm standing in the rain

Il detective alzò lentamente il capo per guardarla con espressione paziente. «Lo sai che non smetterò di...».
«Non voglio che tu smetta di prendere casi. Tu sei Sherlock Holmes, la gente ha bisogno di te».
«E che ne sarà di quello di cui hai bisogno tu?».
Molly sorrise, scivolando a sua volta sotto il piumone perché i loro volti fossero alla stessa altezza. Gli accarezzò uno zigomo, immergendosi in quei diamanti che erano i suoi occhi, splendenti persino nell'oscurità.
«Io ho bisogno che tu continui a tornare da me ogni notte. Ti chiedo solo questo».
Sherlock sapeva di non poterle fare una promessa del genere, ma se questo era ciò che voleva veramente, allora ci avrebbe messo il doppio dell'impegno per mantenerla.
Si era appena avvicinato per baciarla sulle labbra e suggellare quella promessa, quando Molly sussurrò: «Ci ho pensato a lungo e nemmeno io riuscirei mai a tornare indietro. Se anche prendessimo strade separate, continuerei comunque a chiedermi se stai bene e non riuscirei a dormire senza di te al mio fianco, sano e salvo. Anche io sono egoista, Sherlock. Lo sono stata dal primo momento in cui ho posato gli occhi su di te: l'uomo divorato dal fuoco, l'unico uomo capace di scaldarmi il cuore quando avevo la sensazione che la mia vita facesse acqua da tutte le parti. Ho vissuto desiderando tutto questo e non posso rinunciarvi, anche se fa male o fa paura».
Sherlock ricambiò le carezze sfiorandole il livido in via di riassorbimento sulla sua guancia destra. Quindi posò la fronte contro la sua e ad occhi chiusi sussurrò: «Allora promettimi che mi aspetterai, tutte le notti».
«Te lo prometto. Ti amo, Sherlock».
«Ti amo anche io. Ti amo, Molly Hooper».
La sua risata soffocata gli fece riaprire gli occhi, stupito. Aveva detto qualcosa di divertente? In ogni caso era felice di essere riuscito a strapparle finalmente un sorriso dopo tutti quei giorni pieni di tristezza.
«Due volte di seguito», gli spiegò alla fine, allacciandogli le braccia dietro il collo. «Sei proprio il contrario della moderazione».
«O tutto o niente», replicò, sorridendo a sua volta. «E io ho scelto tutto quello che ti riguarda. A dire la verità, sarebbe più giusto dire che adesso tutto riguarda te».
Fu Molly a baciarlo alla fine, gentile e allo stesso tempo determinata.
Sherlock preferì ancora una volta il silenzio alle parole, lasciando parlare il proprio cuore che batteva allo stesso ritmo di quello dell'anatomopatologa.
Ad ogni modo non c'era nient'altro da dire.


Everything's about you to me
       




   
 
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