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Autore: Myra11    17/04/2018    1 recensioni
Nyx Ulric.
Amico, Generale, Marito, Padre.
Immortale.
500 anni dopo la fine della sua famiglia, Nyx Ulric ritorna ad aiutare la città che ha promesso di proteggere.
Ma non tutti sono coloro che sembrano, e non tutti devono essere protetti.
E Nyx deve ricordare che la luce più intensa genera le ombre più profonde.
[Sequel di Dancing With Your Ghost, ambientata subito dopo la fine.]
Genere: Avventura, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bahamut, Nyx Ulric, Sorpresa
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 CAPITOLO 15
 
Il bruciore pungente dei proiettili nelle ali tornò quando la foga di quel momento si dissolse.
Nyx sbuffò pesantemente, estrasse le armi dal cadavere di Marcus e le rinfoderò mentre si tirava in piedi.
L’ultima, folle risata dello scienziato continuava a rimbombargli in testa.
Aveva detto che Bahamut sarebbe morta comunque.
Cosa aveva fatto?
Scosse la testa, costringendosi con uno sforzo a cacciare quel pensiero.
Era lì per lei, l’avrebbe salvata.
Ripiegò le ali sulla schiena e s’incamminò verso il palazzo.
Era ironico come i ruoli si fossero invertiti, pensò.
Più di cinquecento anni prima, lei era venuta da lui mentre esalava i suoi ultimi respiri.
Ora era il suo turno.
Caricare a testa basse nel Palazzo non sarebbe stata una buona idea, decise.
Le vecchie ferite dolevano ancora, le nuove ancora di più.
E doveva essere più in forze possibile per affrontare Ardyn.
Più si avvicinava alla grande costruzione, però, più si chiedeva perché Bahamut l’avesse riportato indietro, perché non si fosse ribellata alla sua prigionia, ma avesse mantenuto la forma umana.
Si proiettò quasi pigramente oltre i cancelli, e poi su, sempre più su, fino alla cima del Palazzo, là dove Ravus gli aveva sparato.
Dove l’aveva ucciso, aggiustando la sua vita.
Inspirò a fondo l’aria pulita che regnava lassù, e poi decise che era ora di muoversi.
S’infilò nell’ ascensore, aspettandosi di sentire allarmi, vedere soldati ed essere costretto a lottare.
Nulla.
Un profondo, inquietante silenzio che rendeva nervosa quella giornata di sole.
Mentre camminava in quei corridoi che, in qualche modo, restavano sempre uguali sotto il consumo del tempo, si sentì mancare il respiro.
C’era qualcosa, in quel palazzo, qualcosa di sbagliato.
Si disse che era Ardyn, che percepiva la sua presenza, che Bahamut stava bene, che il Cristallo era a posto.
Tuttavia, quando aprì la grande sala del trono, l’unica cosa che vide fu la grande gabbia.
E lei.
Fu come se il suo cervello si fosse disconnesso.
Sentì il suo corpo muoversi al ritmo del suo cuore martellante, sentì l’aia entrare a fatica nei polmoni stretti dall’ansia.
«Nyx…»
Lei lo vide avvicinarsi, di corsa, e nel suo sguardo passò un misto di emozioni così umane e così rapide da fargli girare la testa.
Gli cedettero le ginocchia davanti alla gabbia.
«Bahamut…Cosa…» Non riusciva a parlare, soffocato dall’odore del sangue della dea, da quella visuale che gli spaccava il cuore. Era sempre lei, arcana e familiare, e allo stesso tempo non era più lei.
Era ferita, torturata, sanguinante.
Spezzata.
«Sei venuto.» Mormorò lei, con una voce roca che non era la sua.
Vedendola così, Nyx rimpianse di aver ucciso Marcus così velocemente.
Avrebbe dovuto farlo soffrire di più, fargli pagare ogni urlo che aveva strappato alla sua dea.
Annuì, osservandola appoggiarsi alle sbarre, ma quando lui avvolse quelle mani tremanti con le proprie, successe qualcosa.
Vide la sua pelle accartocciarsi come carta accanto al fuoco, sentì il dolore divampare nelle braccia e staccò le mani di scatto. «Che diavoleria è questa?» Sibilò, osservando le sue braccia tornare normali, per quanto devastate già fossero.
Quando sollevò lo sguardo, il sorriso di Bahamut lo confuse e lo commosse.
Non era lei.
Non poteva, con quell’aria dolce e rassegnata. «La gabbia è fatta per contenere potere divino. Qualsiasi cosa divina che si avvicina a quelle sbarre, fa quella fine.»
Gli spiegò pazientemente, e attese che Nyx sollevasse lo sguardo sulle sue mani, ancora strette alle sbarre.
Illese.
«Non è possibile. Come…perché?»
Bahaut scosse la testa e allungò un braccio fuori dalla gabbia.
Le loro mani s’intrecciarono, e fu come respirare aria pulita dopo una lunga, terribile apnea.
Erano insieme.
«Il Cristallo ha fatto la sua scelta. Quando Marcus ti ha strappato il cuore e ti ha diviso da me…» Fu costretta ad interrompersi, sputando sangue, e Nyx fu terrificato di quanto debole fosse la sua stretta.
Quella non era la dea che l’aveva aiutato a rialzarsi dalle ceneri di sé stesso a Gralea.
Si asciugò il sangue dalle labbra con la mano libera.
Era rosso.
Un comunissimo rosso sangue.
Umano.
«Prendi il mio cuore. Me ne hai donato una parte, ora prendilo.» Mormorò senza nemmeno pensarci.
Era la prima cosa che gli era venuta in mente.
Bahamut non era umana, non poteva essere umana.
Era sbagliato.
Il colore del loro sangue era sbagliato.
Lui stava ancora gocciolando argento sul pavimento.
Lei sorrise, e lui vide che aveva gli occhi lucidi. «Non posso. Non hai un cuore completo, non sopravvivresti. Nyx…»
Lo interruppe prima che lui pensasse anche solo di replicare.
«Non voglio che provi. Io non sono più cos’ero.»
Nyx sentiva il sangue rimbombargli nella testa, facendogli venire le vertigini.
«Zitta.» Le ordinò. «Non dirlo, io…»
«Tu sei un dio, ora. Il Cristallo ha fatto la sua scelta, Nyx.»
«Al diavolo il Cristallo.» Commentò, amaramente, e riuscì a strapparle una risata che si trasformò in una tosse sanguinolenta. «Cosa ti ha fatto Marcus? Come posso salvarti?»
Bahamut si appoggiò alle sbarre, esausta.
Rivedere Nyx le aveva fatto capire di aver compiuto la scelta giusta, secoli fa.
E di averla compiuta, nonostante tutto, a metterlo ancora una volta contro il suo demone.
Nyx era un uragano, un vento che stravolgeva tutto.
Il fuoco che alimentava la luce.
E gli doveva una spiegazione, ma era così stanca…
«Mi ha avvelenato. Il sangue dei daemon…»
Nyx imprecò sonoramente e batté un pugno sulle sbarre, ignorando il dolore.
Aveva gli occhi lucidi, il suo cavaliere, e lei allungò anche l’altra mano per posargliela sul viso.
«Non essere triste, mio cuore…» Mormorò, e lui coprì la sua mano con la propria.
Bahamut si sforzò di sorridere, nonostante fosse consapevole di avere un aspetto terribile.
«Quando ti ho dato il mio cuore…l’ho fatto perché mi fidavo di te. Mi sono sempre fidata di te. Tu ti fidi di me, Nyx?»
«Sempre.»
Non c’era stata alcuna esitazione nella sua risposta, e la cosa le scaldò il cuore.
E rese più difficile chiedere cosa desiderava.
«Uccidimi, Nyx.»
Lui divenne di ghiaccio, freddo come una statua. «No.»
«Nyx aspetta, lascia che…»
«Ho detto di no. Non ti ucciderò, e non lascerò che il veleno ti uccida.» Si alzò, senza lasciare le sue mani. «Vado, uccido Ardyn e torno. E ti salverò.»
«Vorrei…tanto…crederti.»
La voce sforzata della dea gli fece gelare il sangue nelle vene.
No, pensò, non dea.
Bahamut era solo un’umana.
Un’umana in punto di morte.
«Ti prego…»
Fu come una coltellata al cuore, e lui lo sentì sbriciolarsi del tutto quando lei terminò la frase.
«Non farmi morire da sola, mio cuore.»
S’inginocchiò di nuovo davanti alla gabbia, sforzandosi di incanalare aria dietro quel blocco sul cuore.
La guardò, in silenzio e a lungo, e capì.
Capì che, se se ne fosse andato in quel momento, sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista.
E lei vide la sua decisione senza che lui gliela comunicasse.
Sorrise e appoggiò la fronte alle sbarre, una mano intrecciata alla sua e l’altra sul suo viso.
Incrociò il suo sguardo, e là si perse, in quegli occhi color del cielo.
Comparve nella sua mano da sola, di nuovo, e lui appoggiò la canna al suo petto.
Gli tremavano le mani.
Inspirò a fondo, cercando di controllarsi.
Non ci riuscì.
Cinque secoli di lotte, ed era la prima volta che la sua presa non era salda.
Nyx si avvicinò, aprì la bocca per parlare e poi la richiuse.
Come avrebbe potuto dirle addio?
Cosa le avrebbe fatto capire quanto aveva fatto per lui, quanto significava?
Non poteva.
Non c’era parole sufficienti, parole abbastanza significative.
Non ce n’erano state con Luna, con Crowe, e non ce ne furono con lei.
Posò la fronte alla gabbia, strinse i denti e ignorò il dolore.
Per lei.
Bahamut sorrise, e pronunciò quelle parole che anni prima avevano iniziato il loro legame.
«Sono fiera che tu sia il mio cuore.»
Premette il grilletto.
Un sussulto, questione di secondo.
Quando la mano scivolò via dal suo viso, chiuse gli occhi.
E mentre una lacrima gli scorreva sulla guancia, l’immensità di quel momento lo schiacciò.
Per la prima volta in tutta la sua lunga vita era solo.
  
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