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Autore: Shireith    17/04/2018    1 recensioni
«Vuoi essere la mia Ladybug?»
«La tua chi?»
«La mia Ladybug! La mia partner. Due supereroi che la notte di Halloween difendono i deboli e gli innocenti dai cattivi, portando caramelle ai bambini buoni.»
Marinette pensò che quel bambino dovesse averne davvero tanta, di fantasia, ma doveva ammettere che c’era qualcosa in lui che l’attirava. Aveva un sorriso raggiante, di un’intensità pari a quella del sole. Era comparso dal nulla, l’aveva salvata da quei bulli e adesso blaterava idee strane sui supereroi – strane, già, ma anche divertenti, motivo per cui accettò. «Va bene.»

{Adrien/Marinette, Nino/Alya, side!Chloé | Volleyball!AU}
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10



23 ottobre 2017, lunedì,
  ore 10:31, Parigi

«Secondo te che cos’ha che non va, Chloé?»
  Marinette le lanciò un’occhiata interrogativa. «Che cosa intendi?»
  «Sono giorni che è piuttosto tranquilla.» Chloé era, da sempre, una ragazza molto vivace: questo, unito alla sua infantilità, faceva sì che la giovane si approcciasse al prossimo in modo sbagliato. Negli ultimi giorni, tuttavia, Chloé sembrava vivere in un mondo tutto suo, come se qualcosa l’angustiasse a tal punto da ignorare l’ambiente e le persone che la circondavano.
  «E ti dispiace?»
  «No, ma non mi sembra da lei. Starà tramando qualcosa?.»
  «Non credo proprio, Alya.» A onor del vero, Marinette era a conoscenza del fatto che, qualunque fossero i pensieri che affliggevano Chloé nell’intimità della sua mente, la causa era Adrien – e, indirettamente, anche lei. Non aveva voluto impicciarsi ulteriormente nel loro rapporto e chiedere ad Adrien che cosa si fossero detti, né voleva violare la privacy dell’amico rivelando ciò che già sapeva, ragion per cui decise che una bugia bianca era la scelta migliore. «Piuttosto, credo che qualcosa la preoccupi, ma non sono affari nostri.» Quello, e anche che era tutto sommato un bene che Chloé fosse così distratta dai suoi pensieri da mostrarsi meno aggressiva con gli altri.
  «Sì, hai ragione tu» le concesse Alya, la quale, morta la breve conversazione, tornò a prestare completa attenzione alla lezione.

  Negli ultimi giorni di scuola, più volte Marinette aveva sentito spargersi per i corridoi la voce che l’istituto, quell’anno, aveva intenzione di organizzare una festa in occasione di Halloween. La ragazza non sapeva come accogliere la notizia, poiché lei e quella festività conservavano un rapporto di amore-odio.
  Da piccola, Marinette adorava l’idea di travestirsi con un costume che lei e sua madre avrebbero cucito assieme per andare a chiedere caramelle di porta in porta. Nel suo sesto anno di vita, tuttavia, la sera del 31 ottobre un evento spiacevole l’aveva colta di sorpresa, e sebbene quella fosse la stessa notte in cui aveva fatto la conoscenza del bambino più buffo e dolce che avesse mai incontrato, era ancora preda dell’amarezza che aveva provato nel sentirsi del tutto impotente di fronte al proprio martire. Una sgradevole sensazione che non accennava ad abbandonarla, ritornando ogni anno, intorno a quel periodo, a tormentarla nell’intimità dei suoi ricordi.
  «Marinette!» La giovane venne strappata ai suoi pensieri dalla voce allegra e spensierata della migliore amica, la quale le andava ora incontro con un sorriso che prometteva buone notizie. «Guarda qua!» disse tutta contenta Alya mentre le metteva sotto il naso il manifesto della festa di Halloween. «È la prima volta dopo anni che il nostro liceo organizza una festa per Halloween e i preparativi sono iniziati tardi, quindi adesso cercano qualcuno che possa aiutare.»
  «E…?»
  «E tu saresti perfetta: sei creativa, hai buon gusto e idee originali.»
  «Sì, ma con così poco preavviso? Ho gli allenamenti. E ben due partite» le fece presente.
  A far parte del comitato organizzativo – che, dato il poco preavviso, era piuttosto povero – vi era una conoscenza di Alya: quando, con urgenza per via della scadenza agli sgoccioli, questa le aveva chiesto aiuto, Alya aveva subito pensato alla sua migliore amica. Marinette, però, a volte tendeva a sottovalutarsi, per questo tutto ciò che le serviva era una piccola spinta nella giusta direzione. Certo Alya sapeva quanto fosse impegnata, perciò era disposta a tutto pur di darle una mano. «Lo so, per questo ti aiuterò io. Tu pensa solo a farti venire l’idea giusta, al resto ci penseremo noialtri.»
  Marinette ricordava ancora con amarezza lo spiacevole incidente di dieci anni prima, ma detestava Halloween? No. Era pur vero che, negli anni a venire, aveva perso buona parte del suo entusiasmo per “Dolcetto o scherzetto?”, tuttavia Halloween rimaneva un'occasione in cui a divertirsi potevano essere anche gli adolescenti e gli adulti. Non aveva mai partecipato a una festa in maschera la notte del 31, figurarsi se ne aveva mai organizzata una… però c’era una prima volta per tutto, giusto? «E va bene» concesse ad Alya, vedendola subito illuminarsi in un sorriso radioso.
  «Sì! Non te ne pentirai, vedrai!»

23 ottobre 2017, lunedì,
  ore 16:18, Parigi

«Sei davvero bravo a questo gioco.»
  Adrien scrollò le spalle. «Ho avuto molti anni per perfezionare la mia tecnica.» Mentre parlava avviò un’altra partita: a prova di tutto il tempo speso di fronte a quel videogioco, Adrien conosceva a memoria tutte le combinazioni d'attacco e difesa, perciò non gli fu difficile sconfiggere nuovamente Nino per quella che era forse la decima o undicesima volta. «Tu fai un po’ pena, invece. Senza offesa.»
  «Nessuna offesa, è vero» ammise Nino, seppur con il sorriso, in nome della sua sportività. «Sai chi potrebbe davvero tenerti testa?»
  «Max?» azzardò Adrien, sapendo della sua passione per i videogiochi pur avendo avuto poco tempo a sua disposizione per conoscerlo.
  «Anche, ma in realtà stavo pensando a Marinette.»
  Adrien gli lanciò un’occhiata furtiva, per poi tornare a concentrarsi sullo schermo che aveva di fronte. «Non sapevo che Marinette sapesse giocare» commentò, non avendola inquadrata come una ragazza interessata ai videogiochi.
  «Tutto il contrario. Suo padre è un grande appassionato e giocano insieme da quando è piccola.»
  A quella rivelazione, le labbra di Adrien s’incurvarono in un sorriso che assunse quasi subito una sfumatura amara: i suoi amici si perdevano spesso a parlare di normali attività che svolgevano quotidianamente con i propri genitori. Erano, per la maggior parte, esperienze che lui non aveva mai avuto la possibilità di sperimentare. Sarebbe stato bello, ad esempio, sfidare suo padre ad Ultimate Mecha Strike III, anche se la sola idea del genitore intento a giocare ai videogiochi era a dir poco esilarante. «Almeno lei sarà una degna rivale» tornò a dire dopo alcuni, brevi secondi di silenzio.
  «Non girare il coltello nella piaga» ribatté Nino, l’ultima sconfitta appena subita a provare ulteriormente la sua inferiorità rispetto ad Adrien.
  «E Alya com’è?»
  «Gioca bene anche lei, ed è l’unica a cui riesca a tener testa. Dovremmo organizzare una partita tutti e quattro insieme, qualche volta. Ma tu e Marinette non potete fare squadra.»
  Adrien rise. «Ricevuto.»
  Con la fine di quella conversazione, seguirono un paio di minuti di silenzio che Nino si concesse per pensare tra sé e sé.
  Poco tempo prima, un suo amico che aveva conosciuto Alya e Marinette aveva trovato quest’ultima molto carina. Quando Nino aveva chiesto ad Alya se lo reputasse un bravo ragazzo, lei aveva risposto con sincerità di sì. Le aveva poi rivelato dell’interesse di quel suo amico per Marinette, domandale se secondo lei dovesse farli conoscere meglio per dare loro una possibilità, e Alya, lapidaria, aveva ribattuto che era meglio per tutt’e due di no. Nino non aveva compreso il perché di quella risposta, anzi gli era parso che dietro di essa si celasse una verità più grande, perciò aveva preteso spiegazioni, assillando Alya finché questa non le aveva rivelato che Marinette era già innamorata persa di un ragazzo. Determinata a voler preservare la privacy dell’amica, Alya non aveva aggiunto altro; Nino, tuttavia, era tutto fuorché stupido, ed era riuscito a capire in fretta che si trattasse di Adrien. Una volta messa alle strette, Alya non aveva più saputo come mantenere il segreto.
  «Sì, è Adrien. Ma non tu puoi dire niente a nessuno dei due, quindi bocca cucita, Nino» si era caldamente raccomandata la sua ragazza, puntandogli l’indice in direzione del volto con fare eloquente.
  «Va bene, va bene» aveva risposto lui, gesticolando con le mani. «Quindi Adrien è all’oscuro di tutto?»
  «Sai com’è fatta Marinette…» Era stato in quel momento, riflettendo sulla precarietà della situazione dell’amica, che Alya aveva creduto di aver avuto un’illuminazione.
  «A che cosa stai pensando?» aveva domandato Nino, il quale conosceva bene quello sguardo.
  Alya gli aveva dunque esposto la sua idea: se le paure che frenavano Marinette erano principalmente dovute alla sua sicurezza di non essere ricambiata, perché non accertarsi del contrario? Alya, dopotutto, era fermamente convinta che Marinette tendesse a sottovalutarsi troppo: perché Adrien non avrebbe dovuto innamorarsi di lei, vista la persona fantastica che era?
  Nel suo piano, Nino entrava in gioco ora: senza svelare le sue carte, avrebbe dovuto capire se Adrien pensasse a Marinette come a una semplice amica o se ci fosse qualcosa di più. «Giovedì avete l’ultima amichevole, eh?»
  «Già.»
  «Nervoso?»
  «Un po’» ammise. «Ti sembrerà stupido, ma mi sento più ansioso per giovedì che per la finale di lunedì.»
  «Come mai?»
  «Ci siamo impegnati al massimo, perdere significherebbe vaneggiare tutti i nostri sforzi.»
  «E non è lo stesso per la finale?»
  «Sì, ma nelle partite di campionato combattiamo separatamente: è durante le amichevoli che siamo tutti dalla stessa parte.» Non sapeva spiegarlo bene, era qualcosa che arrivava al di là delle parole: sapeva solo che, quando erano tutti insieme, poco importava che solo sei di loro fossero in campo, poco importava che la sconfitta non li avrebbe esonerati da nessun campionato… quando erano in campo, circondati da quattro linee bianche e divisi dall’avversario da una rete, solo la vittoria importava. Condividere successi e insuccessi con tutti quei ragazzi era diverso dal condividerli solo con i Gatti Neri. «Sono sicuro che, comunque andrà a finirà la partita di giovedì, comincerò a pensare seriamente alla finale una volta che mi sarò lasciato quella alle spalle.»
  Nino annuì: un problema alla volta, aveva senso. «Adrien, vi siete allenati come se non ci fosse un domani in vista di questo momento. Potete farcela.»
  «Grazie, Nino» disse, riconoscente per la fiducia che l’amico riponeva in lui.
  In quel momento, Nino credette di avere la giusta idea per introdurre con naturalezza Marinette nella conversazione. «Nell’amichevole di giovedì potrete contare sulla veloce tua e di Marinette, no?»
  «Assolutamente sì» confermò.
  «Sai, mi sono sempre chiesto come facciate a farla: accade tutto così velocemente che non ci capisco niente.»
  «Lo so» rise Adrien, che le prime volte si era sentito spesso ripetere quella domanda da chi era testimone oculare della veloce. «È tutto merito della bravura di Marinette.»
  Scacco matto.
  «In che senso?»
  «L’alzatore è il cervello della squadra, il ruolo di chi libera la strada agli schiacciatori» iniziò a spiegare. «Quando è il momento, ovunque io corra, le alzate di Marinette arrivano da me con tempismo e precisione. È la mia totale fiducia nelle sue capacità che mi permette di concentrarmi sul tipo di schiacciata che voglio eseguire.»
  Era un buona conquista: almeno adesso Nino sapeva che Adrien aveva un’alta opinione di Marinette. «Ti mancherà allenarti insieme a lei?» continuò la sua indagine.
  «Sì» ammise, il tono di voce mesto. «Dopo giovedì, non avremo più occasione di vederci.»
  «Puoi sempre invitarla qui» avanzò come proposta.
  «Con quale scusa?»
  «Siete amici» rispose semplicemente Nino: come se ci fosse bisogno di una scusa per voler passare del tempo con le persone a cui si vuole più bene, pensò.
  Adrien era ancora insicuro. «E basta questo?»
  Nino decise di cogliere l’occasione al volo. «Non ti fai tanti problemi quando si tratta di me.»
  L’amico lo guardò con sincera confusione. «E questo cosa vorrebbe significare?»
  «Secondo me Marinette ti piace. E tanto, anche.»
  Adrien continuò a osservarlo come se Nino gli avesse appena rivelato la risposta al perché dell’esistenza umana. Si era completamente dimenticato di star disputando una partita a Ultimate Mecha Strike III, ragion per cui, in pochi secondi, Nino fu in grado di batterlo.
  «Dovrei distrarti più spesso.»
  Adrien lo ignorò bellamente. «Credi davvero che mi piaccia Marinette?»
  «Sì» tornò a ribadire l’altro con convinzione. «Lo vedo da come ne parli.» A onor del vero, Nino non si era mai reso conto di tutta l’ammirazione che Adrien provava nei confronti di Marinette; ora che sapeva dell’infatuazione dell’amica, tuttavia, aveva prestato maggiore attenzione a ciò che Adrien diceva sul suo conto, e si era accorto di tutti i piccoli dettagli che in precedenza gli erano sfuggiti.
  La sua scoperta era più che soddisfacente: Alya l’aveva mandato in missione al fine di scoprire se Adrien ricambiasse i sentimenti di Marinette, tuttavia Nino pensava che ci sarebbe voluto più tempo, non si aspettava una rivelazione del genere. Rivelazione che non poteva renderlo più felice, poiché i suoi due migliori amici erano segretamente innamorati l’una dell’altro e presto non avrebbero più dovuto soffrire le proprie pene in silenzio.
23 ottobre 2017, lunedì,
  ore 17:25, Parigi

Adrien, quel giorno, rifletté a lungo sulle parole che gli aveva detto Nino nel primo pomeriggio.
  Dopo aver passato un po’ di tempo insieme, si erano dovuti salutare prima del dovuto per via degli allenamenti di pallavolo: lì, le cose con Marinette erano state un po’ strane, sì, ma indubbiamente piacevoli. Aveva cominciato a pensare a tutte le cose che gli piacevano di lei e si era ritrovato sorprendentemente d’accordo con la conclusione a cui era arrivato Nino: si era innamorato di Marinette.
  Che cosa gli piaceva di lei? Praticamente tutto.
  Marinette era, innanzitutto, una bellissima ragazza, e questo dettaglio era subito saltato al suo occhio di ragazzo sedicenne. Lasciando stare l’aspetto fisico, Marinette aveva dalla sua parte un ambizioso numero di qualità: era una giovane davvero in gamba e con invidiabili capacità pratiche e intellettive, rimanendo tuttavia sempre con i piedi per terra; era gentile, altruista, determinata, ma anche testarda come un mulo e orgogliosa, due tratti del suo carattere che la portavano spesso a scontrarsi con persone dal temperamento di Chloé. Come tutti gli esseri umani non mancava di commettere errori, ma, a differenza di molti, sapeva ammettere le sue colpe e chiedere scusa. Infine, spesso Adrien si era ritrovato a pensare a lei come alla ragazza dal sorriso più bello che avesse mai visto, al pari solo di quello di sua madre – ed essere degni di essere paragonati a sua madre, per lui, era il complimento più grande che si potesse fare a una persona.
  «Adrien!» La voce preoccupata di un compagno di squadra fece appena in tempo a giungere alle sue orecchie che subito venne preso alla sprovvista da un pallone che non aveva visto schizzare dritto nella sua direzione. «Adrien!» gemette nuovamente Paul, correndogli subito incontro. «Tutto bene?» Questi non rispose. «Ho rotto Adrien!»
  «Tranquillo, Paul, non mi hai rotto» lo tranquillizzò, mettendosi a sedere sul pavimento di legno della palestra mentre con una mano si massaggiava il punto in cui la palla l’aveva colpito.
  Paul si passò una mano tra i capelli con fare imbarazzato. «Mi dispiace, l’ho colpita proprio male.»
  «Non ti preoccupare, non è colpa tua. Ero io a essere distratto.»
  «Dove avevi la testa, Adrien?» lo rimproverò l'allenatore. L’uomo allungò un braccio verso di lui e lo aiutò a rimettersi in piedi, poi gli setacciò la nuca in cerca del punto in cui aveva ricevuto la botta al fine di saggiarne il danno.
  «Non è niente di grave, davvero.»
  «Così sembra, ma non si può mai sapere. Va’ in infermeria e fatti dare un’occhiata» si premurò DeLacroix, che teneva alla salute fisica e mentale dei suoi ragazzi più di qualsiasi altra cosa al mondo. «Marinette, lo accompagni tu, questo sconsiderato?»
  «Certo.»
  I compagni che si erano radunati attorno ad Adrien si dispersero nuovamente, tornando ognuno ai propri allenamenti, mentre Marinette accompagnava l’amico in infermeria.
  «Ti fa male?» volle di nuovo accertarsi la ragazza.
  «Un po’, ma non è niente.»
  «Non dovresti mai distrarti quando sei in campo, nemmeno se si tratta solo di un allenamento» lo rimproverò, seppur con affetto.
  «Lo so, lo so. Mi sono distratto solo un attimo e prima che me ne potessi rendere conto la palla mi aveva già colpito. A proposito, come ha fatto Paul a riceverla così male?» domandò, stupito, date le sue eccezionali doti, che il libero della sua squadra avesse effettuato una tale ricezione .
  «Camille ha scommesso che non sarebbe mai riuscito a fare una battuta al salto decente.»
  «Adesso si spiega tutto» rise.
  Giunti in infermeria, la dottoressa controllò l’area in cui Adrien era stato colpito, e, accertatasi che non vi fossero danni seri, tamponò con del ghiaccio.
  «Posso tornare a giocare?» volle sapere il ragazzo, restio all’idea di sprecare un pomeriggio di allenamenti per colpa di una sciocchezza.
  «Per oggi è meglio di no. Riposati.» Così raccomandandosi, la dottoressa si spostò nell’ala destra dell’infermeria, lasciando i due ragazzi soli a parlare.
  «Posso rimanere qui a farti compagnia io, se vuoi.»
  «Non devi» ribatté Adrien, non volendo che l’amica si trattenesse lì con lui soltanto perché si sentiva costretta.
  «Lo faccio con piacere» confessò, non disdegnando una piccola pausa occasionale, né tantomeno la compagnia del ragazzo di cui era segretamente innamorata.
  «Allora va bene» accettò Adrien, felice che Marinette preferisse davvero rimanere a tenergli compagnia piuttosto che tornare ad allenarsi con gli altri. Tuttavia, non essendo dell’umore di rimanere in un’infermeria dall’aria poco allegra, le propose di spostarsi nell’area snack dell’edificio e Marinette accettò.
  Conversando del più e del meno, Adrien venne a sapere che, quell’anno, il liceo che aveva frequentato solo per pochi giorni avrebbe organizzato una festa di Halloween, e confessò che gli sarebbe piaciuto tanto parteciparvi poiché sarebbe stata un'esperienza del tutto nuova.
  «Nemmeno io sono mai stata a una festa di Halloween, in verità. Da piccola mio padre mi portava in giro a fare “Dolcetto o scherzetto?”, ma niente di più.»
  «Anch’io facevo “Dolcetto o scherzetto?”, da piccolo.»
  «Tuo padre te lo lasciava fare?» domandò Marinette, sperando di non risultare troppo indiscreta.
  «Lo convinceva mia madre, anche se era quasi sempre il maggiordomo che lavorava per la mia famiglia ad accompagnarci. Una volta è venuta con noi anche Chloé e ha fatto piangere alcuni ragazzini più grandi e due adulti.»
  Marinette liberò una risatina. «Perché non mi stupisce?» commentò.
  «Già» rise a sua volta l’altro. «Anche da piccola Chloé sapeva essere piuttosto pestifera.»
  «Che fine ha fatto il maggiordomo che lavorava per la tua famiglia?» cambiò argomento Marinette.
  «Sì è trasferito in Inghilterra un anno prima che mia madre morisse perché era diventato nonno.»
  Marinette non volle notarlo ad alta voce per timore di spezzare l’armonia del momento, ma, di nuovo, si ritrovò a pensare che adorava la naturalezza con cui Adrien parlava della madre in sua presenza. Per anni, i suoi unici contatti umani erano stati il padre, Nathalie e Chloé: se Marinette era sicura che il ragazzo non potesse affrontare la questione con i primi due, non sapeva se l’avesse mai fatto con la terza come lo faceva con lei. In ogni caso, comunque, lei ci teneva ad essere quella persona che era sempre lì ad ascoltarlo quando non aveva nessun altro con cui parlare.
  «Ti manca?»
  «Sì, un po’» ammise.
  «Com’era?»
  «Gentile, affettuoso, sempre allegro, un po’ come mia madre» prese a descriverlo Adrien con il sorriso sulle labbra, ritornando con la memoria a quei giorni di spensieratezza del suo passato. «Da quando se n’è andata, a volte penso che se almeno lui fosse ancora qui, l’aria che si respira a casa sarebbe meno soffocante.»
  Di nuovo, Marinette fu preda di quel senso di angoscia che si originava in lei all’altezza del petto ogni qualvolta si sentiva impotente di fronte alle sofferenze dell’amico. «Le cose con tuo padre non andavano meglio?» domandò, sperando che almeno quella consapevolezza lo aiutasse a recuperare un po’ di positività.
  «Sì, ma quando mio padre si comportava in modo troppo protettivo, Charles» questo il suo nome, apprese Marinette «cercava sempre di farlo ragionare. Quando avevo sei anni sono sparito per qualche ora, ma Charles non ha detto niente ai miei genitori perché sapeva che si sarebbero arrabbiati, soprattutto mio padre.»
  Per qualche motivo, Adrien sembrava conservare un ricordo sereno di quell’avvenimento, perciò Marinette lo incalzò a proseguire nei suoi racconti. «Perché sei scappato?»
  «Avevo voglia di sentirmi libero, per una volta. Sarei tornato poco dopo, se solo non avessi inaspettatamente incontrato una bambina con cui ho fatto amicizia.»
  Nella testa di Marinette trillò un campanello d’allarme: quella descrizione era analoga a ciò che era successo a lei dieci anni prima, possibile che…? No, non lo era: si sarebbe trattato di una coincidenza troppo grande. Giusto? «Che… che tipo di bambina?»
  «Era vestita da coccinella.»
  A quella rivelazione, Marinette sbiancò come un cencio e si sentì travolta da un uragano di emozioni e sentimenti che presero a frullare nella sua mente in maniera disordinata e rumorosa, non facendole capire più niente.
  Adrien, che in un primo momento aveva mantenuto lo sguardo basso, tornò a osservarla, accorgendosi solo allora che qualcosa in lei non andava. «Va tutto bene?» domandò con voce gentile, preoccupato. Non aveva ragione di credere che ciò che aveva appena detto avesse potuto scombussolarla in qualche modo, perciò temette che la sua amica si stesse sentendo male. «Non ti senti bene?» tornò a chiedere. «Vuoi che torniamo in infermeria?»
  In tutta onestà, Marinette non sapeva che cosa avrebbe detto o fatto se, pochi secondi dopo, non fosse giunta alle loro orecchie la voce di Camille. «Marinette, Adrien,» li chiamò, ottenendo in risposta la loro attenzione, «gli allenatori stanno per discutere la tattica per la partita di giovedì e vogliono che ci siate anche voi.»
  Marinette, troppo confusa per rimanere un altro secondo sola con Adrien, colse al volo l’occasione. «Veniamo immediatamente.»
  «Ok» rispose Camille, riavviandosi in palestra subito dopo.
  Adrien, ancora preoccupato per poco prima, volle accertarsi che Marinette stesse bene: la ragazza masticò un sì veloce, affrettandosi subito dopo a seguire Camille.
  Che cosa era appena successo, Adrien non sapeva spiegarselo: perché Marinette, tutt’un tratto, era parsa così strana, quasi assente?

23 ottobre 2017, lunedì,
  ore 20:28, Parigi

 Tornata a casa, Marinette non aveva pensieri che per una sola, unica cosa: il braccialetto che quel bambino le aveva regalato dieci anni prima. Possibile che fosse Adrien? Sì, ne aveva avuto la certezza quel pomeriggio stesso, eppure restava comunque incredibile: quanto poteva essere burlona, la sorte?
  La ragazza allungò il braccio verso la lavagna di sughero appesa in camera sua e prese il braccialetto tra le dita, continuando a divorarlo con gli occhi. Nonostante fossero passati dieci anni, lo indossava ancora tutti i giorni, lasciandolo a casa solo durante gli allenamenti e le partite per paura di perderlo. Lo conservava con tanta premura perché era l’unico scoglio a cui potesse appigliarsi per mantenere vivo in lei il ricordo di colui che gliel’aveva donato. Forse era stupido, perché, in sedici anni di vita, non aveva speso con lui che qualche ora, ma non le interessava che cosa le dicesse la razionalità: quel bambino, per lei, era speciale, bastava questo.
  Senza che nessuno dei due lo sapesse, di nuovo era entrato nella sua vita come un fulmine a ciel sereno, sebbene la seconda volta fosse stata più brusca. Tuttavia, sciolti tutti gli inganni, Marinette non aveva fatto in tempo ad aprirgli le porte del suo cuore che subito Adrien vi era entrato – senza prepotenza, con naturalezza. Di nuovo, quel bambino – Adrien – era stato capace di conquistarla in uno schiocco di dita.
  L’Adrien di dieci anni prima era un fantasma che non credeva avrebbe rivisto mai più; l’Adrien del presente, invece, una costante quotidiana che, nel momento del bisogno, era sempre lì per lei. Poteva volergli più bene? Anzi, poteva amarlo di più?
  Poi, all’improvviso, a strapparla dall’idillio che si era creata nel suo immaginario fu la ritrovata consapevolezza che tutto ciò non contava, se Adrien non la vedeva allo stesso modo di come lei vedeva lui. Si era ricordato del loro incontro di dieci anni prima, sì, tuttavia Marinette non aveva ragione di credere che anche lui, durante tutto il tempo trascorso, avesse pensato ancora a lei, di quanto l’avesse reso felice la sua sola compagnia. E, ancora più importante, dirgli che era lei la bambina di dieci anni prima non avrebbe cambiato il fatto che lui non l’amava: era solo un’amica e una compagna di squadra, né più né meno.
  Come privata di tutte le sue energie, Marinette si lasciò cadere sulla chaise-longue che era parte dell’arredamento di camera sua, senza distogliere un attimo lo sguardo dal braccialetto che stringeva tra le dita.
  Era tutto perfetto, ma a cosa serviva, se Adrien non ricambiava i suoi sentimenti?


23 ottobre 2017, lunedì,
  ore 22:25, Parigi

 Adrien ci aveva pensato a lungo, anche durante gli allenamenti, ma non capiva: che cosa era successo con Marinette, quel pomeriggio? Che cosa aveva detto di sbagliato da portarla a reagire in quel modo e a essere sfuggente con lui durante tutta la durata degli allenamenti? Per quanto si interrogasse, non riusciva a trovare una risposta valida.
  Confuso, Adrien si concesse il lusso di andare a letto presto, buttandosi alle spalle la stanchezza di quella giornata e mettendo in pausa tutti i suoi dubbi e le sue perplessità sullo strano comportamento di Marinette. Qualsiasi fosse il modo in cui avrebbe deciso di affrontare i sentimenti che provava per lei, se ne sarebbe occupato il giorno a venire.



   
 
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