Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PeNnImaN_Mercury92    19/04/2018    1 recensioni
Anno 846. Claire Hares si unisce all'Armata Ricognitiva in compagnia della sua migliore amica Petra Ral. Un fato atroce che la attende a casa influenza la sua scelta, ma il suo animo audace, generoso e un po' istintivo la renderanno una magnifica combattente sul fronte. Claire ci racconta la sua vita dopo essersi unita al Corpo di Ricerca, le sue emozioni, le sue soddisfazioni, i suoi timori e il suo rapporto con i suoi cari amici e con un soldato in particolar maniera. Armatevi di lame e di movimento tridimensionale e seguitela nelle sue avventure!
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio, Petra Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Wings of Freedom Series '
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14. Il freddo del mio inverno
 
-L’ho trovato! - esclamai allegra, saltellando incontro al caporale.
Egli iniziò ad osservare gli oggetti nelle mie mani: quando mi aveva proposto di fare una passeggiata, nel pieno pomeriggio, per i giardini della Base, io prontamente gli avevo annunciato di dover far ritorno nella stanza dell’infermeria per indossare, come egli stesso avrebbe fatto, qualcosa di più comodo e sbarazzarmi dell’imbracatura, oltre che della futile divisa. Certamente non si aspettava che fossi tornata da lui con la chitarra nella mano sinistra e il blocco da disegno nella destra, che credevo di aver perduto durante la ritirata, custodito per tutto quel tempo dalla mia amica Petra.
-Che cosa devi farci, con tutta quella roba? - domandò sorpreso.
-Possono sempre servire - spiegai, sorridendogli. -Dove mi porta di bello, capitano?
-Nei soliti e noiosi posti che circondano questo edificio. Dove potrei mai portarti? - rispose lui sprezzante.
-Ha ragione - risi. -Alla fine questo posto è dominato dalla monotonia. Soprattutto quando mancano le uniche persone che lo rendono... un po’ meno noioso.
Mentre iniziammo a incamminarci lontano dalla Base, ripensai alla Caposquadra Hanji e ai miei allegri compagni. -Capitano, ha idea di quando gli altri torneranno? Non vedo l’ora di svelare ai miei amici di essere resuscitata.
-Non so che dirti. Dovresti chiederlo a Erwin. È rimasto nel suo ufficio a occuparsi di tutte le faccende che solo un Comandante sarebbe in grado di gestire - camminava a passo lento, osservando la vegetazione davanti a sé. Più avanzavamo, più proseguivamo verso un boschetto profumato di fragole (o almeno fu quello l’odore che mi ricordò, nonostante quasi mai avessi avuto l’occasione di saggiare quel frutto estivo, che raramente cresceva tra le mura, in cui regnava un clima prevalentemente rigido), che poche volte avevo colto l’occasione di visitare a causa dei numerosi compiti e delle esercitazioni da svolgere in ben altri luoghi.
-Allora non lo disturberò - dissi, stringendo al petto lo strumento musicale.
Ad un tratto, il caporale distolse lo sguardo dal bosco, volgendo i suoi occhi sulla mia chitarra.
-Sei molto attaccata a questo pezzo di legno, o sbaglio? - chiese lui ad un certo punto, riprendendo la discussione.
Ci pensai qualche attimo, osservando lo strumento. –Già. Lo considero un membro della mia famiglia, l’unico che ha potuto seguirmi fin qui per ricordarmi mia madre - sospirai, indecisa se parlargli del ricordo tragico che poche ore prima la mia mente aveva rievocato in sogno. -Capitano, mi dispiace di averle risposto male l’altro giorno, durante la ritirata.
-Parli della pioggia? - chiese, levando un granello di polvere depositato sulla sua giacca blu scuro. In quell’attimo constatai che doveva essere solito indossare poche volte un abbigliamento tanto elegante quanto insolito per un soldato.
-Esatto, signore - proseguii. -È buffo a dirsi, ma è un tipo di clima che ho sempre sofferto. Specialmente dal giorno in cui mia madre è morta – chiusi gli occhi, respirando profondamente. –Sotto la pioggia, in una pozza di sangue, massacrata dal pugnale di uno di quei balordi che l’hanno ammazzata.
Non aveva senso piangere davanti a lui, d’altronde ero stata io a decidere di parlargliene; perciò, strinsi sotto il braccio il blocco da disegno, trattenendomi.
-Credo che sia inutile scusarsi. Era un momento molto particolare, e, anzi, non ti nascondo che anche io avrei reagito in quel modo - aggiunse lui. -Claire, sono molto dispiaciuto per tua madre.
Abbozzai un sorriso, ricordando ancora una volta quel tragico momento della mia vita, ma al tempo stesso gioendo per essere stata una di quelle poche persone a cui il caporale maggiore Levi, in tutta la sua via, si era rivolto in maniera garbata, umana e sincera.
-Ma alla fine, tu e tuo fratello siete mai riusciti a scoprire questa banda di stronzi? – continuò lui.
-No. Il padre di Petra, dopo averci soccorso, ne parlò subito con la Gendarmeria, che poco tempo dopo, a dispetto delle nostre sollecitazioni, archiviò il caso - rivelai. -Sa, signore, per un momento, nella mia vita da cadetta, avevo pensato di arruolarmi ai gendarmi per cercare di mettere in ordine il caos che domina quell’ala dell’esercito. Dopo mi sono resa conto che io non sarei mai stata capace di cambiare niente, a causa di tutta la gente meschina che si è arruolata lì.
-Non posso che darti retta - terminò lui. -Non crederti che i gendarmi siano mai riusciti a cambiare il macello che persiste nella città sotterranea.
-Infatti non lo penso - ribattei. -Capitano, lei... insomma, da come me ne parla, lì sotto la popolazione muore di miseria. Lei come ha fatto a sopravvivere?
Levi rimase per qualche secondo in silenzio, momento in cui avevo già iniziato a incolparmi per essere stata tanto invadente. -Lì le epidemie sono costanti, i ragazzi sono denutriti, soggetti alla cattiveria degli uomini peggiori del mondo. Non crederti che sia stato semplice.
Il cuore iniziò a battermi forte per la tensione. Morivo dalla voglia di conoscere meglio la sua storia, ma ero impaurita da come egli avesse potuto reagire alla mia petulanza. -Ma alla fine come ha fatto a cavarsela?
Il capitano Levi fece qualcosa di puramente inaspettato: inizialmente non parlò, avanzando verso un piccolo albero, dopodiché sedette ai piedi del tronco, socchiuse gli occhi, per poi guardare il prato verdissimo che lo circondava. -C’è solo un modo per sopravvivere, lì sotto: sottrai i viveri agli altri. Uccidi, prima che lo faccia con te la fame. Ecco il motivo per cui centinaia di bambini nascono e muoiono alcuni anni dopo lì. Vuoi sapere perché conosco tutto ciò? Tempo fa, mi è stato insegnato questo metodo, ed è l’unico motivo per cui io adesso mi trovo ancora qui.
Mi inginocchiai accanto a lui, mentre egli, nel frattempo, non si risparmiò, raccontandomi il modo brutale con cui tantissimi giovani di quella città morivano di fame, venendo completamente ignorati dalle autorità mentre, giusto qualche metro sopra le loro teste, si svolgevano eventi mondani di ogni tipo, frequentati dall’aristocrazia più ricca delle mura. Il capitano, col suo solito fare distaccato, poco mi raccontò di sé, alla fine: omise il nome di colui o colei che gli aveva insegnato come la legge del più forte dominasse quella triste realtà, e non mi parlò tantomeno della sua vita da criminale, che, da quanto avevo constatato, doveva essere stata assolutamente malinconica e atroce.
Nonostante ciò, il suo racconto mi toccò profondamente: in poche parole, Levi era stato capace di descrivere e di farmi immaginare una prospettiva di vita di gran lunga più catastrofica di quella che io avevo vissuto. Non voglio essere fraintesa, non vi è nulla di più triste che assistere alla morte della propria madre o dei propri compagni, ma, fino a quel momento, mai e poi mai avrei supposto che esistesse una realtà, all’interno delle Mura, ancor più miserabile e disumana di quella apparsa ai miei occhi.
Il caporale continuava senza interruzioni a parlarmi di quel mondo triste; solo le lacrime che si fecero strada sul mio volto riuscirono a fargli intendere che non avevo più voglia di ascoltare quella storia vera quanto drammatica.
-Capitano, perdoni se sono sempre così sensibile – mi coprii il volto imbarazzata, gli occhi fissi sul blocco che stringevo tra le mani.
Levi mi pose una mano sulla fronte, tastandola più volte. –Sei un po’ calda – disse, impassibile come sempre. Che fosse davvero così forte da non rimanere turbato dalle sue stesse parole? Oppure teneva tutto dentro di sé, come si addiceva agli uomini più forti dell’esercito?
A quel gesto, io ero arrossita di colpo ed ero trasalita non appena la sua mano gelida mi aveva toccata.
-Credo che mi sia tornata un po’ di febbre – gli risposi, non appena ebbe ritratto la mano.
-Mi spiace di averti fatta sussultare – si sfregò più volte le mani, guardando per terra pensieroso. –Non pensavo di averle così fredde.
Quel suo strano comportamento mi lasciò senza fiato. Non avevo idea di come affrontarlo, perciò, per alleviare l’imbarazzo, iniziai a muovere le mani sulla tastiera della chitarra, incominciando l’arpeggio della canzone che lui stesso aveva apprezzato qualche sera prima.
I suoi occhi brillarono, non appena la riconobbe. Tale reazione mi emozionò più del dovuto.
-Mi piace questa canzone, - rivelò, -forse perché è la prima che abbia mai ascoltato.
Gli sorrisi un’altra volta. –Questo mi riempie di orgoglio – dissi, intenta a introdurre quel brano che non mi sarei permessa di suonare, se non per allietare il dolore che egli, senza ombra di dubbio, aveva provato.
Il capitano, attento come un falco, prestava attenzione a ciascuna parola, ciascun concetto. Lo osservai di sfuggita un paio di volte: le labbra leggermente schiuse, i suoi piccoli occhi blu fissi sulle mie dita, forse ripensava a ciò che mi aveva appena raccontato, forse i suoi pensieri erano rivolti a tutti coloro che aveva incontrato nella sua vita famigerata in quel buco di terra.
Pochi secondi dopo la fine della canzone, suonai una nuova melodia, che non accompagnai con la voce.
Da tempo né io né Lex ricordavamo le strofe, i versi di quella canzone ancora più dolce e armoniosa di quella prediletta da Levi, sicuramente anche più complicata per una dilettante come me.
Ma non mi preoccupai di fare bella figura col capitano, che, da quanto avevo capito, apprezzava in ogni caso il suono della mia chitarra. Come infatti egli non ebbe niente da dire, ripensai a uno di quei tanti pomeriggi autunnali passati nella mia vecchia casa, attorno a un tavolo, dove mio padre intratteneva la sua umile famigliola con lo stesso brano: era una melodia malinconica e significativa, che si adattava benissimo al battito delle gocce di pioggia sulla finestra. La Canzone della Pioggia, la chiamava infatti mio padre.
Ancora una volta mi chiesi il motivo per cui quella quiete fosse finita così presto. Perché un uomo che doveva volere così bene alla propria famiglia aveva deciso di dlasciare i propri cari, ignorando addirittura la morte dell’amore della sua vita?
Ho sentito il freddo del mio inverno
Non avrei mai pensato che se ne sarebbe andato.

Queste furono le uniche parole che la mia mente ricordò in quel momento, e che non trattenni dal pronunciare ad alta voce in presenza di Levi.
Ripensai a quello che avevo detto. Ebbene, l’inverno che mi portavo dentro da quel maledetto giorno di tredici anni fa era stato in parte spazzato via dall’affetto che i miei compagni provavano nei miei confronti. In quell’istante, tuttavia, compresi che accanto a me c’era una persona che, più di qualunque altro, aveva bisogno di un minimo di amore, quello che pochi, probabilmente quasi nessuno, erano stati capaci di donargli.
Ma perché, ad un tratto, reputai ancora più importante quella persona che, da sempre, si riferiva a me con modi tutt’altro che garbati e rivolgeva a chiunque un tono insolente e brusco? Eppure, era la stessa persona che, senza proferire parola, ascoltava i miei personali racconti di vita come le melodie che riproponevo sulla mia chitarra, al contempo ero convinta che anche lui mi avesse appena rivelato tante cose sulla sua vita personale che a stento potevano conoscere persone del calibro di Erwin o Hanji.
-Che cosa significa? – mi chiese lui curioso, riferendosi al frammento di testo.
Posai la chitarra sulle ginocchia, poggiando la schiena contro il tronco dell’albero. –Non saprei. Non ricordo nemmeno un’altra parola di questa canzone – chiusi gli occhi, cacciando un lungo respiro.
-Sono delle melodie incantevoli, almeno per me – constatò lui. –Eppure, il testo della prima è davvero tanto particolare ed enigmatico. Da chi le hai apprese?
-Da mio padre – risposi immediatamente. –Come le ho già detto in precedenza, anche mia madre cantava. Sembravano sempre essere al corrente di quella parole strane che compongono il testo, ma io e mio fratello non siamo mai stati in grado di decifrarle, né abbiamo capito da dove entrambi le avessero imparate – spiegai.
-Tuo padre…? - ripeté lui.
-Sì, quello che, penso io, è scappato, lasciando la propria famiglia innocente. Non credo proprio che l’abbiano portato via, secondo me è ancora vivo – confessai convinta. –Ma non ho intenzione di cercarlo. È una situazione atipica e triste, la mia. Per il momento mi basta sapere che Lex sia al sicuro.
Ad un tratto, venni presa da un dubbio. –Capitano, ma lei… non ha nemmeno un padre? Mi ha raccontato della morte di sua madre, eppure…
-Sbaglio, o tremi ogni qualvolta mi rivolgi una domanda? - osservò lui.
Sobbalzai preoccupata e avevo così tanto torturato il fermaglio sulla mia nuca da spezzarlo. Ora i miei capelli ondeggiavano con il vento. -È che... ho paura di sembrarle troppo invadente. Mi ha già detto tante cose su di lei, che io, da cadetta, non avrei mai dovuto sapere.
-Sei tu che continui a domandarmi tutte queste cose.
-Ma lei non è obbligato a parlare, o sbaglio? Data la posizione che occupo, io e lei, al momento, non dovremmo nemmeno trovarci qui adagiati letteralmente sugli allori a chiacchierare.
La sua voce si fece nuovamente severa. -Se ti vengono tutti questi dubbi, tanto vale che ce andiamo, no? E la finiamo qui.
-Caporale – non saprei spiegare in che maniera la mia mano aveva improvvisamente raggiunto la sua spalla. Arrossendo, la allontanai immediatamente, schiarendomi la voce. –Non esiti a raccontarmi. Vede, sono cose che io, in un certo senso, potrei comprendere, e tantomeno non mi reputo così stupida da andare a raccontarlo in giro.
Mi guardò interdetto qualche attimo. Nemmeno saprei dirvi il motivo per il quale, all’improvviso, mi importasse così tanto di lui. Eppure, in quel momento ero desiderosa di sperimentare quanto più possibile quel suo lato sensibile e lacerato dal dolore. Ecco perché, come io mi ero aperta a lui, mi premeva che venissi ricambiata.
–Non proverò nemmeno lontanamente a obbligarla – proseguii. –Se pensa che io non debba sapere più niente, mi va bene così, ma non esiti a cercare il mio aiuto, se desidera.
Levi non rispose, né si alzò per andarsene. Interruppi il silenzio poco dopo, quando ebbi ripreso a suonare il mio strumento. Alcuni istanti più tardi, Levi riprese a parlare: -Har… Scusami. Claire, devi sapere che io non ho nemmeno avuto il privilegio di avere un padre.
Di scatto smisi di suonare, guardandolo confusa e interessata.
-Ti chiederai se questo sia mai possibile, ma vuoi sapere cosa era mia madre? Ebbene, te lo dico subito: era una prostituta. Ma che vuoi farci? Lì sotto le donne non svolgono professioni alternative, e nemmeno questo può permettere loro di sfuggire alla morte. Sì, la mia è morta per qualche malattia, oltre che per la fame, dopo aver messo al mondo me qualche anno prima, dopo un rapporto con l’ennesimo dei suoi clienti. Questa è la ragione per cui mio padre nemmeno sa della mia esistenza, né è a conoscenza del fatto di aver messo incinta una povera donna.
Scossa e spaventata, interruppi il mio arpeggio per ascoltarlo. Possibile che quell’uomo avesse vissuto la storia più drammatica di tutta la gente che aveva abitato fino a quel giorno nelle mura?
-Caporale, ero convinta che fosse stato suo padre a prendersi cura di lei fino a che non si arruolasse - rivelai. -Mi perdoni tanto.
-Il mio arruolamento risale a due anni fa - disse, prima di raccontarmi di come il Comandante Erwin, all’epoca ancora un soldato d’élite come Hanji, gli avesse proposto di cedere la sua incredibile forza all’Armata Ricognitiva in cambio di una vita più agevole sopra quelle oscure e miserabili caverne in cui aveva vissuto per tutto quel tempo.
-Ora ti basta? - chiese, al termine del suo racconto.
Io mi trovavo in stato di choc, e, date le mie precarie condizioni di salute, sentivo che sarei potuta svenire da un momento all’altro.
-Sì, va bene - conclusi, mentre lui mi osservava cercare nelle tasche dei pantaloni un tovagliolo, o qualcosa con cui potessi asciugarmi il sudore sulla fronte. –Mi spiace… per averle fatto ricordare cose tanto spiacevoli.
Egli compì il mio stesso gesto, porgendomi uno dei suoi immancabili fazzoletti. -Prendi. C’è un laghetto, più avanti. Se ti senti poco bene, puoi provare a bagnarti il viso un po’ lì.
Mi stropicciai gli occhi, sorridendogli. -No, grazie. Va bene così. Preferisco rimanere qui all’ombra.
Egli annuì. -In tal caso, credo che farò due passi nei dintorni. Stai qui e vedi di non sentirti male, siamo intesi? - Mi ammonì, alzandosi.
-D’accordo. La aspetterò qui buona a suonare un po’.
Poco dopo, il capitano girovagava nei pressi di quell’albero, mentre io intonavo la sua tanto adorata canzone in modo che, in una maniera o nell’altra, potesse udire il mio canto non perfetto.
Povera madre di Levi, giudicai tra me. La compassione che iniziai a provare per quell’uomo risultò infinita dopo aver appreso la sua storia struggente e tormentata. Lo vidi bagnarsi le mani nel laghetto posto a una decina di metri più avanti rispetto le spalle dell’albero: il suo volto solitamente inespressivo nascondeva un dolore smisurato che io potevo finalmente capire.
 
Spazio autore: salve! sì, ho deciso di anticipare la pubblicazione di questo capitolo! Non temete, ho intenzione di darmi un po’ una mossa, per cui il prossimo arriverà questo sabato. Altri riferimenti alle mie canzoni preferite, questa volta tocca alla splendida “Rain Song” degli Zeppelin... quanto la adoro, accidenti! Come per l’ultima volta, vi lascio il link qui:

https://youtu.be/oikmmvBi_6
 
Grazie a tutti quelli che seguono la mia storia e la recensiscono. Sono lieta di potervi intrattenere un po’ con questo racconto. Buon proseguimento di settimana!
  
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