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Autore: Myra11    21/04/2018    1 recensioni
Nyx Ulric.
Amico, Generale, Marito, Padre.
Immortale.
500 anni dopo la fine della sua famiglia, Nyx Ulric ritorna ad aiutare la città che ha promesso di proteggere.
Ma non tutti sono coloro che sembrano, e non tutti devono essere protetti.
E Nyx deve ricordare che la luce più intensa genera le ombre più profonde.
[Sequel di Dancing With Your Ghost, ambientata subito dopo la fine.]
Genere: Avventura, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bahamut, Nyx Ulric, Sorpresa
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 CAPITOLO 16
 
Era come respirare frammenti di vetro che gli laceravano la gola e gli ghiacciavano i polmoni.
Perché respirava ancora?
Ogni battito cardiaco era come una martellata in pieno petto.
Avrebbe dovuto essere morto.
Sentiva il sapore dolce amaro del sangue in bocca.
Non era giusto che lui fosse vivo.
Perché era vivo?
La sensazione si fece strada tra quello spaesato dolore che l’aveva invaso.
Lo travolse come una cascata e gli schiantò il cuore quando i suoi occhi si posarono all’interno della gabbia.
Sorrideva ancora.
Si passò le mani tra i capelli, sentendo i nervi in fiamme, consapevole che stava respirando troppo velocemente, troppo a fatica.
Non gli importava.
L’eco di quel singolo proiettile gli rimbombava ancora in testa.
Come lei aveva sussultato, come i suoi occhi si erano sgranati.
E poi la sua mano era scivolata via, sempre più fredda, distante.
Irraggiungibile.
Cos’era, ora?
Era stato Nyx il non morto, Nyx l’immortale.
Chiuse gli occhi, abbandonato contro il pavimento di marmo macchiato di sangue, le ali spalancate sulla pietra.
Ogni respiro faceva male.
Era sbagliato.
Una piccola parte della sua mente rispose alla domanda che il dolore gli aveva posto.
Era Nyx il solo.
 

 
Il suono del colpo di proiettile interruppe la sua calma meditativa.
Aprì gli occhi, ferendoseli con la visione del Cristallo spaccato e malato, e si alzò ignorando quel sangue che gli aveva macchiato i vestiti.
Vedere la Pietra in quello stato l’aveva confuso ancora di più.
Secoli prima – quanti, esattamente? – mentre lo rifiutava, la fonte del potere era più brillante che mai.
E ora, chissà come, si era ridotta all’ombra di ciò che era.
Mentre la guardava sembrò scuotersi nel profondo, e una grossa crepa l’attraversò lateralmente, facendogli salire il cuore in gola.
Era successo qualcosa.
Uscì dalla sala quasi di corsa, sentendo una strana trepidazione attanagliarlo.
Marcus gli aveva detto che Nyx era arrivato, gli aveva detto dell’imboscata che aveva intenzione di fargli.
Lo stava forse uccidendo senza che lui fosse presente?
Uno sguardo duro, pesante da sopportare.
«Il tuo Re ordina il tuo esilio. Vattene, e non tornare.»
L’emicrania fu improvvisa e sconcertante, e lo costrinse ad appoggiarsi al muro per non cadere.
Cos’erano quei…ricordi?
Inspirò a fondo e si lisciò la giacca di velluto viola scuro.
Doveva darsi un contegno.
Dopo l’eco di quel proiettile, non c’era stato nessun suono.
Solo un enorme, pesante silenzio che lo stava angosciando.
Recuperato il controllo, giunse alla sala del trono e ne aprì le grandi porte.
La prima cosa che gli saltò all’occhio fu la presenza di macchie di sangue argentato sul pavimento.
La seconda, la totale assenza di chiunque nella stanza.
Eppure era sicuro che il colpo fosse partito da lì, si disse, avanzando con cautela.
Quasi lo calpestò.
Era disteso sul marmo, pallido come la luna, le grandi ali metalliche abbandonate intorno al corpo.
Respirava ancora?
Piegò la testa di lato, cercando di carpire qualche segno di vita.
Sembrava morto.
Si accigliò, e fu quasi per caso che lo sguardo gli cadde sulla gabbia.
Sulla donna con un’ala sola distesa sul pavimento, sul sorriso che ancora le ornava il viso.
E sul foro del proiettile dritto nel cuore.
«Ardyn.»
La voce che gli fece saltare un battito era gelida come la morte, e proveniva direttamente dal suo passato.
 

Aveva sentito le porte aprirsi, i passi di qualcuno avanzare.
Che importanza aveva?
Era solo, avrebbero anche potuto ucciderlo.
Certo, sembrava estremamente difficile riuscirci, ma avrebbero potuto provarci.
Poi aveva sentito quell’odore di fumo e sangue che l’aveva accompagnato per così tanto tempo.
E qualcosa si era mosso in quella polvere che restava del suo cuore.
Ecco perché era vivo.
Lei aveva voluto che vivesse.
Lei aveva riportato in vita il fantasma.
Perché?
Aveva aperto gli occhi, e lui era là, il viso rivolto alla gabbia.
«Ardyn.»
L’aveva visto sobbalzare lievemente e poi girarsi verso di lui.
Era proprio lui, pensò osservando quel viso che l’aveva tormentato secoli prima.
Eppure sembrava incompleto, insicuro, come un vaso a cui manca un pezzo.
Lo vide tendere il collo, nervosamente, senza che lui facesse nulla, e comprese.
«Non è bello sentire le voci, vero?»
Gli chiese in un mormorio, tirandosi a sedere a fatica.
Fu ancora più difficile non guardare la gabbia, e anche solo sfiorarla con lo sguardo fu come un’artigliata che gli squarciava il petto.
Ardyn, però, era un maestro nell’arte dell’inganno, e sul suo viso si dipinse un sorriso tra il beffardo e il maligno. «Non ho idea di cosa tu stia parlando, Ulric. Ma sono lieto che tu sia qui.»
Nyx scosse la testa, le ali appoggiate a terra.
Era possibile che le ferite facessero ancora più male, ora?
«Perché?»
Era la sua voce, quella?
Sembrava così…scheggiata.
Ardyn inarcò lievemente un sopracciglio quando Nyx lo guardò negli occhi.
Di che colore erano, ora, si chiese?
Se davvero era diventato un dio, che colore stava guardando Ardyn al momento?
«Mi condanni a marcire all’inferno, negandomi la mia pace, e mi chiedi perché sono lieto di rivederti dopo essere tornato?»
Non ebbe il tempo di metabolizzare la frase.
Gli sembrava di muoversi sott’acqua, al rallentatore, che i suoi sensi fossero annebbiati.
Fu con estrema calma che vide la grande ascia comparire nelle mani del nuovo re.
Avrebbe potuto evitarla, pensò.
Un colpo d’ali, un salto all’indietro, una proiezione.
Tutte azioni che avrebbe potuto compiere nel giro di pochi secondi.
Ma non fece nulla di ciò che avrebbe potuto fare.
E la grande lama gli aprì un lungo taglio sul petto.
Si sentì sorridere, e si chiese perché, e poi capì; non faceva nemmeno male.
«Andiamo Ulric. Puoi fare di meglio.»
S’incastrò tutto perfettamente all’improvviso, e fu come una secchiata d’acqua gelida.
Ardyn non ricordava.
Non ricordava di essere stato il suo spettro personale, di aver cercato di farlo impazzire, di esserci quasi riuscito.
Ardyn voleva solo ucciderlo.
Scoppiò a ridere mentre il sangue gli impregnava l’uniforme.
I kukri gli saltarono nelle mani con la velocità di un pensiero.
Se lei l’aveva riportato perché lui lo uccidesse di nuovo, non l’avrebbe delusa.
«Due a zero. Vediamo che sai fare.»
Il primo assalto gli fece perdere la presa sulla spada, costringendolo in ritirata.
Quando lo fece con una proiezione, però, Nyx ne fu sorpreso: era passato così tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno aveva usato la magia a parte lui, che aveva quasi dimenticato che fosse possibile.
Davanti al trono, Ardyn lo stava guardando con aria confusa. «Due? Di che stai parlando?»
Nyx scrollò le spalle e spalancò le ali.
Faceva male, faceva male muoversi, respirare, faceva male l’eco di quel proiettile nella testa, facevano male quei flash dietro agli occhi, la sensazione della sua mano sulla guancia.
Eppure, rafforzò la presa sull’impugnatura degli unici compagni che mai l’avrebbero lasciato.
«Chiedilo alle voci nella tua testa.»
  
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