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Autore: Frulli_    23/04/2018    2 recensioni
Inghilterra, 1911. L'Europa sta attraversando un periodo di serenità e ricchezza, la "Belle Epoque". E se Parigi è il fulcro della moda e del divertimento, Londra certo non è da meno! Lo sanno bene i membri della famiglia Norton e dei suoi servitori, che per la Stagione londinese vengono catapultati in un mondo di divertimenti e finzione, dove tutti sono un pò "sottosopra", e rischiano di perdere di vista le cose vere e reali della vita, come i sentimenti e l'amicizia...
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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11. No Fear


 
Little Hall, 1 Luglio 1911

Anche con gli occhi chiusi riusciva a percepire la luce del sole che, violento, penetrava dalle finestre della camera. Poteva vedere perfettamente la polvere vorticare lungo i raggi del sole, depositandosi sul tappeto persiano ai piedi del letto. Il foglio e la penna sulla scrivania erano ancora là, ne era sicura: ce li aveva lasciati lei la sera prima, insieme alla lampada spenta ad ora tarda. Sentiva l'odore del soprabito e del cappello da passeggio, puzzavano di fumo e di scarico della macchina: un odore insopportabile per lei, che al massimo gli abiti le odoravano di umidità e fiori.
Si decise finalmente ad aprire gli occhi, appena in tempo per sentire la pendola in corridoio battere le sette del mattino. Scivolò fuori da letto, infilandosi vestaglia e pantofole, e poggiò la mano sulla maniglia della porta. Come ricordandosi di qualcosa si fermò, girandosi verso la scrivania e quel foglio vuoto. Deglutì, incerta se uscire o meno. Sapeva perfettamente che là fuori c'era più di un problema da affrontare. E non sapeva se ne aveva le forze.
Prima di tutto, c'era Lady Maud. Il medico aveva raccomandato assoluto riposo prima di partire, ma dopo venti giorni dal suo malanno ancora non era in grado di sopportare tutto quel viaggio fino a casa. Lei si dimostrava forte e felice, ma Ethel lo sapeva benissimo che stava male: la sua salute era peggiorata, e le visite ravvicinate del notaio erano un segno inevitabile che Lady Maud non avrebbe superato quell'anno.
Una morsa invisibile le si strinse intorno alla gola e allo stomaco, facendola sudare freddo. Aveva sofferto per la morte di Lord Norton, ma la morte di Lady Maud sarebbe stata terribile da affrontare, per tanti motivi. Uno dei tanti era che, senza di lei, Daisy era senza freni ed avrebbe portato tutti alla rovina.
Cercò di non pensarci, ma nel farlo la mente si spostò su tutti gli altri problemi. Zia Adelaide, che aveva preso la malattia di Lady Maud come la sua personale vendetta. Era “risorta” dal suo periodo placido mettendo tutta la casa sotto un regime di vita spartana, essenziale, priva di divertimenti.
Daisy, che reagiva malamente alla quasi morte della madre e alla dittatura della zia, tornando la mattina dalle sue uscite, che sperperava il denaro come fossero spiccioli, che girava con uomini diversi ogni sera.
Cassie, che dopo il risveglio della zia aveva abbandonato totalmente lei e George, chiudendosi in camera nelle preghiere ed evitando contatti con praticamente tutta la famiglia.
Ed infine c'era il problema maggiore, e cioè Alfred. Candice aveva scoperto del bacio tra di loro ed era andata su tutte le furie: aveva fatto una scenata da melodramma greco davanti Zia Adel e Lady Maud, aumentando l'astio della prima e la pena della seconda nei suoi confronti. Alfred, dal canto suo, si era limitato a sparire dalla faccia della Terra. Non avevano sue notizie da giorni, non veniva più nemmeno a trovare sua madre. Ed era quella la cosa che la faceva più arrabbiare, ed il motivo principale per cui la sera prima avrebbe voluto scrivergli, senza tuttavia aver trovato le parole giuste.
Aprì finalmente la porta, buttandosi in quel marasma di problemi. Consapevole che li avrebbe dovuti affrontare, uno ad uno, senza paura.
La prima cosa che notò, una volta nel corridoio, fu il caos che regnava in quella casa, un caos allegro e felice. Si accigliò, confusa: non era possibile, da quando comandava zia Adel lì dentro doveva regnare l'assoluto silenzio, anche tra la servitù.
«Buongiorno...» annunciò perplessa, incrociando una sorridente Charlotte.
«Miss Herbert, buongiorno! Stavo giusto venendo da voi»
«Cosa...cosa succede qui dentro?» chiese confusa, osservandosi intorno.
«Oh certo, voi vi siete appena alzata e non potete saperlo. Vostro fratello, Mr Herbert, ha deciso di organizzare un pic-nic!»
Ethel si accigliò ancora di più, confusa più di prima.
«Aspetta, non capisco...e zia Adel non ha detto nulla?»
«Lady Howard ancora non lo sa, ancora non torna dalla Chiesa. Ma Mr Herbert ha precisato che con l'opinione di Lady Howard ci si pulisce il...beh insomma, avete capito»
Ethel rise, sconvolta. Che davvero fosse in atto una rivoluzione, dentro quella casa?
«Molto bene. Vorrà dire che prenderò il mio abito da pic-nic» annunciò Ethel, divertita «Miss Howard?»
Il viso di Charlotte si oscurò, triste. «In camera sua, come sempre Miss»
«Vieni con me. Dobbiamo trovarle qualcosa da mettersi»
Bussarono alla porta di Cassie, qualche stanza più in là della sua, ed Ethel aprì nonostante il “no” deciso di Cassie.
«Buongiorno, cara»
«Miss Ethel, vi avevo detto di non entrare...» brontolò Cassie, seduta sulla scrivania, al buio e scompigliata.
«Oh davvero? Non avevo sentito» annunciò Ethel, diretta verso le finestre. Spalancò le tende e poi le ante, facendo entrare aria fresca e luce solare. Cassie assottigliò gli occhi, come un animale notturno che si risvegliava dal suo letargo.
«Andiamo a fare un pic-nic, oggi. Dovete aiutarmi a trovare qualcosa da mettermi, e poi faremo lo stesso per voi»
«Non siate ridicola, Miss Ethel, dove volete che vada. Zia Adel...»
«Al diavolo zia Adel, Cassie» precisò secca Ethel, girandosi verso di lei «è un ordine di George»
«Cosa...? E' stato George a organizzare il pic-nic...?» chiese Cassie, drizzando le orecchie.
«Mh-mh, proprio così. E se zia Adel prova a dirci qualcosa dovrà vedersela con me. Sono stufa di tutti questi problemi»
«Oh no, Ethel, ti prego non andarle contro. Tu non sai di cosa è capace...»
«Oh si, lo so bene Cassie, credimi. Le conosco le persone come lei: si fanno scudo con un titolo e i soldi, e pensano di poter governare il mondo. Ma ascoltami bene: io non sono la serva di zia Adel, e men che meno lo sei tu. Siamo giovani, è estate, fuori è pieno di gente e non me ne starò a pregare e pentirmi di peccati che non ho commesso, solo perchè li ha commessi lei! Chiaro?»
Cassie deglutì, come colpita in pieno da quella cascata di parole. Poi annuì e si alzò.
«Ma io non ho nulla per uscire»
«Qualcosa lo troviamo. A lavoro» annunciò sorridente Ethel.


«Siete pronte, signorine?» esclamò George dal fondo del corridoio. Doveva ammetterlo: non sapeva nemmeno lui che cosa diavolo gli era preso, ma non ci aveva dormito la notte ed era arrivato all'idea finale che quella non era vita. Per lui, per Ethel, per Cassie e soprattutto per zia Maud. Non era vita quella, e se alla morte di zia Maud avrebbero perso tutto almeno non avrebbero perso la libertà e la dignità. Voleva ringraziare zia Maud per quel che aveva fatto per loro: e alla sua morte se la sarebbero cavati da soli, in un modo o nell'altro.
«Eccoci!» esclamò Ethel, uscendo dalla sua stanza insieme a Cassie. Sua sorella indossava un adorabile abito bianco, in organza e cotone, con una semplice fascia rossa in vita ed un grosso capello colorato in testa. Cassie invece indossava un semplice abito di cotone azzurro, secondo la moda, che le rendeva le forme più lineari, delicate e -sì, doveva ammetterlo- sensuali. Provò un'ondata di gelosia per chiunque avesse osato guardarla, fosse anche il lattaio, e cercò di metterla a tacere.
«Cominciate a scendere, vado a prendere zia Maud»
«Cosa...?» chiesero entrambe, confuse.
George sorrise appena. «Cosa credevate, che non avrei invitato la zia per un pic-nic estivo? Su, scendete in giardino»
Le due ragazze cominciarono a scendere, ridacchiando tra loro, quindi George entrò in camera di zia Maud dopo aver bussato.
«Zia, sei pronta?»
«Sì, George, eccomi» annunciò la donna. Nel giro di venti giorni era invecchiata parecchio, come se la malattia l'avesse divorata tutta in un colpo solo. Ma era meno pallida delle altre volte, e cercava di camminare da sola sul suo bastone. Indossava poco più che una tunica sotto un soprabito color crema. George le poggiò uno scialle sopra le spalle, quindi le baciò la guancia e le sorrise, aiutandola ad uscire.
«Quando ci vedrà zia Adel...» mormorò la donna, timorosa.
«...le prenderà un colpo, mi hai scoperto zia: è quello il mio scopo»
Lady Maud rise appena, divertita. «Georgie, sei proprio un cattivo ragazzo»
«Ma sono i cattivi ragazzi che conquistano di più, non lo sapevi zia?»
«Oh lo so si, non sai tuo zio quanto mi ha fatto penare da giovane!»
George sorrise divertito, e scendendo lentamente le scale condusse la donna fuori, al caldo e al sole. La servitù, per l'occasione, aveva sistemato il tavolo sotto al gazebo di pietra con tutto l'occorrente per il pic-nic, più ovviamente sedie e coperte sul prato ben tagliato. Fuori, l'attendevano Ethel e Cassie, e tutta la servitù al completo.
«Biscotti al limone e torta di fragole, milady, solo per voi» annunciò Conti, chinando il capo.
«Oh i miei dolci preferiti, grazie caro» commentò Lady Maud, sorridente. Si guardò intorno, come a cercare qualcuno. «Daisy...?» chiese alla fine, in un fil di voce.
Vide l'incertezza nel visi degli altri, e George la strinse poco di più. «Sta arrivando, zia, vedrai che fra poco arriva...Perchè intanto non ci sediamo e prendiamo il thè?»
«Meglio, si» brontolò Lady Maud. La sua non era tristezza, era rabbia: Daisy era fuori controllo, e la colpa era solo sua. Sua e di Alfred, che non erano stati capaci di educarla come si conveniva. Era viziata, con le mani bucate, era frivola, superficiale. Le ricordava così tanto zio Adam...
«Cassie, è un piacere rivederti»
«Anche per me, zia Maud. Come ti senti?»
«Oh, come una vecchia ciabatta, ma nulla di nuovo no?» precisò la donna facendole un occhiolino e sedendosi «Ethel, tesoro, come stai...?»
«Sto bene zia, grazie» chiese Ethel, abbracciandola. Deglutì, ricacciando indietro le lacrime. Le sorrise e la baciò, godendosi quegli attimi felici con quella che reputava come l'unica madre che avesse mai potuto desiderare.
«Ti alleni tutti i giorni al pianoforte, si? Ti sento, dalla mia camera, sono felice che hai ripreso a suonare quotidianamente. Quando torneremo a Rose Castle, voglio organizzare una bella festa e mi dovrai suonare il tuo intero repertorio, mh?»
«Vuoi fare una festa che duri un mese, zia?» chiese ironico George, facendo ridere tutti.
«Miss Rossi, non statevene lì impalata! Sedetevi, forza» annunciò Lady Maud, osservando la governante, l'unica ancora in piedi.
«Ma milady, io non so se è...»
«Niente paura, Miss Rossi, ancora non divento una megera come zia Adel, potete sedervi senza timore»
Miss Rossi sorrise appena, lasciandosi sfuggire un'aria divertita, quindi si sedette insieme a tutti gli altri: cameriere, cuochi, duchesse, baroni...un'accozzaglia perfetta.
Trascorsero un'ora a ridere e chiacchierare, mangiando e bevendo insieme. Ethel osservò attentamente zia Maud: sembrava rinata, come se non fosse mai successo nulla.
Sorrise mentre la donna raccontava aneddoti imbarazzanti del piccolo George, rivolgendosi soprattutto a Cassie: ormai tutti avevano capito l'intesa che c'era tra i due, tranne forse i diretti interessati.
Scoppiarono tutti a ridere alla fine dell'aneddoto tranne il povero George, rosso in viso per l'imbarazzo. Fu in quel momento che Ethel, trovandosi di fronte a lui, lo vide lentamente irrigidirsi. Guardava oltre la sua testa, verso la strada alle sue spalle. Si volsero tutti, notando la carrozza di zia Adel girare l'angolo e dirigersi verso l'ingresso di Little Hall.
«Lasciate parlare me, non dite nulla. Qualunque cosa dica o faccia, restate qui» annunciò serio George.
Ethel si girò verso la carrozza, ormai ferma, ed il valletto scendere ed aiutare la vecchia megera a scendere dalla vettura. Il cancello si aprì, mostrando così l'anziana e ricurva figura, accigliata e scura in volto. Si diresse spedita verso l'ingresso, poggiandosi al bastone, ma lentamente rallentò il passo, come accorgendosi di qualcosa di anomalo. Li aveva visti.
Si fermò a metà vialetto, sollevando gli occhi verso il gazebo e verso di loro. Li fissò a lungo, e sembrava quasi che stesse per unirsi a loro, quando alla fine scoppiò a ridere, portandosi la testa indietro.
«Sapete, stavo aspettando il giorno in cui sarebbe successo! Servi e nobili allo stesso tavolo, come in una tribù di incivili!» esclamò, ridendo divertita. «Prima che mi infuri, tornate in casa e preparatemi un maledetto thè»
La servitù fece per muoversi ma George li fulminò. Faceva sul serio.
«Beh? Nessuno vuole aiutarmi?» chiese ironica zia Adel, divertita.
«Puoi unirti a noi, se vuoi, ma adesso stiamo festeggiando. Servitù inclusa» annunciò Lady Maud.
«E cosa festeggiate, di preciso?»
«La vita. Quella vera»
«La vita, certo...la malattia ti ha dato alla testa, Victoria. Il mio thè!» gridò alla fine, facendo agitare tutti.
In tutta risposta, George si alzò dal tavolo lentamente e le si avvicinò.
«Non sei più la benvenuta qui, Lady Howard» annunciò, serio. Tutti si immobilizzarono, fermi.
Zia Adel lo fissò dal basso, senza paura. Confusa. «Come hai detto, scusa?»
«Ho detto che non sei più la benvenuta»
«Come osi rivolgerti a me in questa maniera...»
«Non sei mia zia, me lo hai sottolineato per circa una vita. Non devo prendere ordini da te, tanto meno che non sei la padrona, qui...»
«Ah no? E chi sarebbe?»
«Lady Maud»
«Ah! Quella vecchia malata non ha nulla su cui padroneggiare»
«Questa casa è sua, le è stata donata da Lord Norton come regalo di matrimonio. E' sua, legalmente e sentimentalmente. Quindi, a nome suo e di tutta la famiglia, ti ripeto che non sei la benvenuta» precisò George, fissandola.
«Come osi...»
«Ah, e per inciso: vostro marito vi ha raccontato un sacco di bugie, perchè tutto quello che è di proprietà di Lord Norton è stato donato a Lady Maud come doni di nozze, Rose Castle compreso. Se quindi sperate che alla sua morte voi possiate avere qualche percentuale...vi sbagliate di grosso»
«Questo è troppo, basta! Me ne vado da questo posto orribile, da questa famiglia dedita al peccato! Cassie, muoviti, torniamo a casa!» gridò, furiosa, facendo per rientrare a casa.
«No» annunciò secca Cassie, alzandosi in piedi.
Ethel sgranò gli occhi: era decisamente la giornata delle rivoluzioni!
«Come...?» mormorò zia Adel, tremando di rabbia.
«Ho detto...no. Non torno. Mi piace stare qui, tornerò a casa alla fine della stagione» annunciò Cassie, impettita.
Zia Adel si avvicinò come una furia, sollevando minacciosamente il bastone. «Ti ha dato di volta il cervello, ingrata che non sei altro?!? Tu sei sotto la mia custodia, sono io che comando! Io decido cosa devi fare!»
«Fino a prova contraria, sono maggiorenne, zia. Ed ho già scritto a mio padre, sa dove mi trovo, si fida dei Norton e mi farà tornare a fine stagione, come pattuito prima di partire. Con o senza di te»
Ethel ebbe la sensazione che zia Adel stesse per svenire, ma al contrario girò i tacchi e rientrò in camera, seguita dal suo valletto, gridando “ve ne pentirete! ve la farò pagare!”
«Hai fegato da vendere, Cassie» esclamò Ethel, sorridendo alla ragazza.
«Ho imparato da qualcuno...» mormorò l'altra, osservando George «ero stufa delle sue angherie. Sono sicura che papà mi capirà, non la sopporta nemmeno lui» precisò ironica, facendo ridere gli altri mentre sentivano zia Adel fare casino il più possibile, dentro casa, mentre il valletto faceva le sue valigie in fretta e furia.
“Ve ne pentirete!” continuava a gridare zia Adelaide quando ripercorse il vialetto, senza più l'aiuto del bastone, con un diavolo in corpo. Si fermò sulla soglia del giardino, fulminandoli tutti mentre il valletto caricava i bagagli sulla carrozza.
«Avete oltrepassato ogni limite» annunciò, come se fosse una maledizione.
Nessuno riuscì a gioire apertamente per quella veloce partenza. Come se tutti avessero percepito il peso di quelle parole.
Lady Maud sorrise mesta tra sé. «Lo farà, ma il piano è riuscito George, bravo ragazzo...»
«Cosa? Eravate d'accordo?» chiese Ethel sorpresa, osservando i due.
«Non mi sarei mai permesso senza il suo consenso»
«Diciamo che c'erano alcune cose da sistemare. Questa era una delle tante: zia Adel mi girava intorno da troppo tempo, e così ho chiesto un favore al notaio. E ha sistemato per sempre questa storia delle proprietà. Ora quando m...» Lady Maud si bloccò quando sentì rumore di clacson e una vettura all'ultima moda frenare davanti la casa.
Cadde di nuovo il silenzio, che si gelò quando Daisy aprì il cancello di casa. Era visibilmente brilla, completamente scompigliata e scomposta, e salutava un giovane seduto alla vettura che l'aveva riportata fino a lì. Quando Daisy incrociò i loro visi scoppiò a ridere, visibilmente fuori di sé.
«Non dovevate...essere da qualche altre parte?» chiese ridendo.
«Siamo dove dovremmo essere, Daisy. Tu piuttosto, dove sei stata» rispose Lady Maud, fissandola.
«In giro...»
«In giro, certo. Quanto hai bevuto?»
«Quel che era necessario. Vado a farmi un bagno» brontolò Daisy, attraversando il vialetto. Lanciò un'occhiata ad Ethel, seduta al fianco della madre, prima di tirare dritto.
Lady Maud sospirò, massaggiandosi una tempia.
«State bene, zia?» chiese Ethel, a bassa voce.
«Si si, certo. Miss Rossi?»
«Sì, milady»
«Sono dell'idea che prima torniamo a casa e meglio sarà per tutti. Questa città ci ha messo tutti sottosopra. Gli eccessi stanno rovinando la serenità di questa famiglia. Fate i preparativi per la partenza, voglio tornare a Rose Castle il prima possibile»
«Zia, te la senti?» chiese incerto George.
«Voglio morire a casa mia, George, ti assicuro che non lo farò in questa città» mormorò la donna vicino al suo orecchio mentre l'aiutava a tirarsi su.
George annuì, deglutendo a vuoto, quindi lentamente la riaccompagnò nella sua stanza.
Qualche ora dopo, Ethel rientrò nella sua stanza. Era sconvolta: erano giorni che non incrociava Daisy ma averla vista in quello stato l'aveva sconvolta. Era completamente...fuori di sé. Quel che stava facendo non era vita mondana, non era corteggiare, non era divertirsi. Era una vita sregolata, era vendersi, era distruggersi.
Lady Maud aveva ragione: Londra li stava trasformando. Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e non essere mai venuti lì, non aver mai accettato l'invito di Alfred. Se fossero rimasti a Rose Castle, zia Adel non li avrebbe fatto visita, zia Maud non si sarebbe sentita male, e lei e Alfred...deglutì a vuoto. Era quello il vero problema, alla fine. Lei e Alfred. Era sempre stato quello il problema.
La verità era che quello era l'unico problema: l'astio di Daisy, la rabbia di zia Adel, la diffidenza di Candice...erano tutti derivati da quella maledetta promessa di matrimonio. Daisy era gelosa che suo fratello e la sua intera famiglia amassero una “straniera” e non lei stessa, zia Adel era furiosa che l'unico erede maschio Norton si sposasse una giovane senza soldi e senza titoli, e Candice...come biasimarla?
Si sedette alla scrivania, decisa a risolvere anche quel problema. Senza paura, prese a scrivere il suo fiume di parole.



Era felice che sarebbero andati presto via da Londra. Tutto sommato, preferiva Rose Castle: lì era tutto calmo, tutto sereno, e la vita era pacifica. Forse noiosa, ma priva di problemi. Se fossero rimasti lì, magari non si sarebbe mai potuta innamorare di Mark.
Deglutì, mentre sistemava gli abiti di Miss Herbert: era quello il problema, alla fine. Che si era innamorata del ragazzo sbagliato, come succedeva sempre. Ed ora era costretta a viverci sotto lo stesso tetto. I rapporti tra loro due non erano migliorati, ma nemmeno peggiorati. Si limitavano a parlare il minimo indispensabile circa il lavoro e le necessità dei Norton, potevano anche sedere insieme agli altri, e fingere insomma che non era successo nulla.
Ma qualcosa era successo, e quel qualcosa bruciava ancora nel cuore di Charlotte. Gli irlandesi non dimenticano nulla, lo diceva sempre suo nonno.
«Sei contenta di tornare a Rose Castle, Charlotte?»
«Sì Miss, molto, devo ammetterlo. Qui è troppo caotico»
«Sono d'accordo. Io...ho scritto ad Alfred» annunciò la giovane, girandosi verso di lei. Charlotte la fissò, in attesa di sapere altro. Dopo la serata shakespeariana e quella scenata che aveva fatto Miss Williams, Miss Herbert le aveva spiegato tutto per filo e per segno. In poco tempo, era diventata la storia preferita dalle domestiche che seguivano le novità con appassionato interesse.
«Gli avete detto che stiamo ripartendo?»
Ethel annuì. «E che sua sorella è fuori controllo, se ha quindi la decenza di venire a casa e parlarle perchè sta diventando ingestibile. In poche parole, gli ho detto questo. Ho fatto male? Ho fatto intendere che per quanto mi riguarda può anche non passare a salutarmi, Rose Castle è talmente grande che potremmo semplicemente non incontrarci»
«Gli avete anche detto che Mr Mallard viene a trovarvi quasi tutti i giorni?»
«Suppongo lo sappia, Candice non farà che elogiarlo. Come se servisse qualche metodo per levargli dalla testa la mia immagine»
«Credo che l'intento di Miss Williams sia proprio quello, Miss. Ma dubito ci riuscirà»
Ethel sorrise appena. «Io invece credo di sì. Alfred si sta rivelando quel che è: e cioè uno stronzo» precisò, facendo sobbalzare appena Charlotte «Pardon, ma è così. Sua madre è in fin di vita e lui che fa? Nemmeno viene a trovarla, nulla»
«Ci deve pur essere un motivo, non può essere così insensibile, non credete?»
«Lo spero davvero, anche se non lo giustifica. Comunque sia...» smise di parlare, di colpo, quando suonarono al campanello. Guardò l'orologio da taschino e sospirò: si era completamente dimenticata della visita quotidiana di Mr Mallard.
«Puoi continuare tu da sola, Charlotte?»
«Certo, Miss, fate pure» annunciò la cameriera, chinando appena il capo.
Ethel uscì dalla svelta dalla stanza, scendendo poi svelta le scale che davano sull'ingresso.
«Mr Mallard! In perfetto orario»
«Miss Ethel, è una gioia rivedervi. Siete incantevole»
«Sono esattamente come due giorni fa, signore» commentò ironica Ethel, lasciandosi baciare la mano.
«Oh vogliate perdonare la mia assenza per ieri, impegni inderogabili. Ma attendevo con ansia il nostro incontro. Come state?»
«Bene. Prego, venite in salotto, il thè è stato appena servito. Ho ottime notizie sapete? Zia Adelaide è andata via»
«Oh quella serpe in seno. Quale angelo divino l'ha spinta fuori di casa?» chiese ironico il ragazzo, facendola ridere.
«Mio fratello, aveva deciso che era stufo delle sue angherie. Miss Howard è rimasta tuttavia con noi»
«Quella cara ragazza, me ne compiaccio. Anche io ho ottime notizie sapete? Ho due biglietti per il teatro, fra due settimane, e volevo chiedervi se...»
«Oh, Mr Mallard mi spiace ma noi a breve torneremo a Rose Castle! Questione di giorni, ecco...mia zia vuole tornare, non riesce più a stare qui in città»
«Oh...» commentò l'altro, senza aggiungere altro per alcuni secondi «bene, beh, immagino potrò andarci con qualche amico. Di solito ci andavo con Miss Williams ma credo che ormai non possa più...»
«Come mai?» chiese Ethel, drizzando le orecchie e la curiosità.
«Non lo sapete? Pensavo Lord Norton ve l'avesse comunicato: si sposano fra meno di due mesi»
Una secchiata di acqua gelida si riversò improvvisamente su Ethel, facendole sgranare appena gli occhi. Deglutì a fatica, la gola arsa. Prese la sua tazza di thè, cercando di fermare il tremore che aveva alle mani.
«Pensavo di sarebbero sposati l'anno prossimo, prima del viaggio sul Titanic...»
«Lo pensavamo tutti! Ci hanno colti davvero di sorpresa. Ma credo che Candice non voglia attendere molto. Si sposeranno qui a Londra, e se la conosco bene nei prossimi due mesi sarà completamente assorbita dai preparativi. Dite che potremmo andare insieme al loro matrimonio?»
«C-certo, si...certamente...» mormorò Ethel, ascoltando a malapena le parole del giovane. Due mesi, appena due mesi. Era per quello che Alfred era sparito, Candice l'aveva minacciato ed accorciatoi tempi di attesa per il matrimonio. Voleva vincere ed aveva vinto. Tanto valeva arrendersi. Sorrise verso Mr Mallard, cercando di mostrarsi calma e serena.
«Spero che possiate venire a trovarci a Rose Castle, Mr Mallard, e rimanere qualche giorno da noi. E' una dimora splendida, sono sicura vi piacerà»
Mr Mallard spalancò gli occhi per la sorpresa e la gioia di quell'invito inaspettato. «Posso dirvi senza paura che accetto volentieri, Miss Ethel? Sarebbe un onore per me. E poi magari potremmo discutere di quel nostro...viaggio in America, si?»
Ethel sapeva a cosa si riferiva realmente. Ormai il “viaggio” era diventata la parola corrispondente per “fidanzamento”. Aveva potuto rallentare, fino a quel momento, con la scusa del conoscersi meglio. Ma ormai era quasi un mese che il ragazzo veniva a trovarli ogni giorno. Venti giorni, ad essere precisi, e già non sapeva più cosa raccontargli. Ma era un bravo ragazzo, era molto benestante e pareva non importargli molto della sua povertà economica e onorifica. Era l'uomo giusto per la sua situazione, avrebbe sistemato lei e George una volta morta zia Maud. Avrebbero vissuto una vita serena e placida. Forse non si sarebbero mai innamorati, ma si sarebbero voluti bene.
«Si, certo Mr Mallard, parleremo anche di quello. Ora vogliate scusarmi, i preparativi per la partenza mi attendono...»
«Oh si, certo certo. A presto allora, Miss Ethel»
«A presto, Mr Mallard»



Quando riuscì a scendere in cucina e finalmente cenare era ormai sera. Crollò sgraziata sulla panca del tavolo e divorò in due secondi lo stufato freddo lasciato lì dalle cuoche, per chiunque dovesse ancora cenare. Non c'era nessuno in cucina, ormai erano tutti rintanati nelle loro camere, troppo stanchi per mangiare. Ma lei era sempre pronta a mangiare: da piccola aveva patito troppola fame per potersi permettere di saltare dei pasti.
«Era mia cognata» la voce di Mark la fece saltare per aria.
«Che cosa?» chiese, confusa. Si girò, ritrovandosi davanti, con una bottiglia di vino, due bicchiere, ed una ciotola di crema inglese. Deglutì, sbuffando una risata. «Devo provarla di nuovo?»
«Giusto per sicurezza...» commentò ironico lui, prima di sedersi al suo fianco. Lo lasciò fare, e mentre versava il vino lo ascoltò.
«Era mia cognata, quella ragazza ad Hyde Park. Si chiama Lucia, siamo cresciuti insieme, vicini di casa praticamente. Io lei e mio fratello Giovanni eravamo inseparabili, poi loro si sono innamorati e lei è rimasta incinta che aveva solo quindici anni. Ma mio fratello, anziché prendersi le sue responsabilità, ha lasciato lei e il bambino ed è tornato in Italia. Così mi occupo io di Lucia e di Franco, mio nipote» sorrise Mark, nominando il piccolo «pago per mio fratello, e butto quasi tutto il mio stipendio per non far mancare loro nulla. Lucia lavora qui e lì, ma avendo un figlio nessuno vuole assumerla per sempre. Quando aprirò il mio negozio, lavorerà da me. Ma ci vuole tempo...»
«Perchè non me l'hai detto subito...?» chiese perplessa Charlotte.
Mark scrollò le spalle. «Ho avuto paura. Che non mi credessi, che...non so, che ti deludessi. Ed alla fine è successo comunque»
«Non sarebbe successo che me lo avessi detto subito. Pensavo fosse la tua vera ragazza...» ammise Charlotte. Si sentiva un'idiota.
«Beh, io veramente una ragazza ce l'avevo. Era irlandese, sai. Bella da far morire»
Charlotte arrossì, fingendo di non capire. «E poi che è successo?»
«E' successo che ho rovinato tutto, come sempre. Non sono stato sincero, non mi fido molto delle persone»
«Fai bene, anche se non in questo caso. Pensi di poter rimediare?»
«Ah lo spero, lo spero proprio. Vorrei invitarla a uscire, prima che vada via. Pensi che possa accettare?»
Charlotte sorrise divertita, fissando il sorrisetto di Mark. «Quanto sei stupido, Conti» commentò, prima di abbracciarlo.
«Lo so, Murphy, lo so...» ammise il ragazzo, serio, stringendola forte a sé, come se tramite quell'abbraccio potessero suggellare finalmente la loro pace.
  
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