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Autore: Marauder Juggernaut    23/04/2018    2 recensioni
Katakuri avrebbe voluto negare – almeno a se stesso – che il suo sguardo continuasse a cadere oltre la lucidissima vetrina di quel Maid&Butler Cafè.
Non sugli interni eleganti – no, non gli era mai interessato il design – e nemmeno sulle deliziose avventrici – no, non gli erano mai interessate le donne.
La verità era che quel Café, aperto da poco, aveva attirato la sua attenzione a causa di uno dei camerieri.
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[ A Zomi. L'esperienza mi ha segnato ]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Charlotte Katakuri, Ichiji Vinsmoke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è per Zomi. Lei sa.

Red Butler



Katakuri avrebbe voluto negare – almeno a se stesso – che il suo sguardo continuasse a cadere oltre la lucidissima vetrina di quel Maid&Butler Cafè.
Non sugli interni eleganti – no, non gli era mai interessato il design – e nemmeno sulle deliziose avventrici – no, non gli erano mai interessate le donne.
La verità era che quel  Café, aperto da poco, aveva attirato la sua attenzione a causa di uno dei camerieri.
Ogni mattina, mentre si recava al lavoro, il tempo che occorreva dalla fermata della metropolitana al posto di lavoro si riempiva per alcuni istanti della vista del giovane Butler dai capelli rossi che, con eleganti movenze, serviva bevande e dolci a clienti estasiate.
Katakuri si sentiva quasi sporco a guardarlo: non era molto bravo a giudicare l’età dal volto, ma a occhio e croce aveva dieci anni abbondanti in meno di lui.
E Charlotte Katakuri avrebbe anche smesso di lanciare occhiate all’interno del locale se il motivo di quella nuova abitudine non avesse continuato ad alzare la testa per incrociare il suo sguardo.
Perché Charlotte Katakuri aveva ancora integri sia onore che dignità per fermarsi davanti alla vetrina e cercarlo con gli occhi. Semplicemente passava davanti al locale, gettava uno sguardo all’interno e, sempre, vedeva quel giovane cameriere sollevare lo sguardo dal proprio lavoro per sorridergli ferino, come se avesse trascorso gli ultimi minuti ad alzare gli occhi per cercarlo nella strada e ghignare soddisfatto perché anche per quel giorno lo aveva visto.
Non migliorava di certo la situazione che quel Maid&Butler Café fosse – letteralmente – al piano terra dell’edificio accanto a quello in cui lavorava Katakuri. Certo, il suo ufficio era al terzo piano, ma lo vedeva distintamente quando, a metà mattina o nelle prime ore del pomeriggio, usciva dalla porta sul retro per fumarsi una sigaretta in compagnia di altri butler o maid. Quando si rendeva conto di quanto a lungo indugiassero le sue occhiate, semplicemente si riprendeva scuotendo la testa.
Avrebbe dovuto concentrarsi sul lavoro, invece di spiare un ragazzo.
Ma il vero problema, che quasi spingeva Katakuri a varcare la soglia del Café, era che li notava, quei giovani imprenditori  in abiti eleganti – tanto simili a Katakuri stesso – sedere ai tavoli e farsi servire dalle dolci maid come fosse una cosa normale e senza provare il minimo imbarazzo per il luogo.
Ma non era locale per Katakuri: lui, così serio e stoico, così elegante e raffinato, così…
 
«Benvenuti, signori» trillò solare la maid, prendendo dei menù dal banco vicino all’entrata e accompagnandoli a un tavolo accanto a una colonna nel locale.
Forse però, il vero problema, in fin dei conti, era un altro ancora. La complicazione era avere un fratello - nell’ordine –  minore, che lavorava con lui, che conosceva le sue preferenze in fatto di partner, che aveva ben notato la sua propensione a gettare occhiate a invitanti camerieri di un Maid&Butler Café.
«Perché mi hai portato qui, Cracker?» domandò infastidito Katakuri, fissando il fratello che si allentava i polsini della camicia e si spostava dietro le spalle la coda bassa con cui si legava i capelli al lavoro.
Il minore sorrise malizioso, gettando un’occhiata all’affascinante cameriere dai capelli rossi che stava servendo a un altro tavolo ma che aveva notato – eccome se aveva notato – la presenza di Katakuri nel locale e non solo aldilà della vetrina.
«Che domande, Katakuri» fece lui con un tono basso e roco, sporgendosi sul tavolo verso il fratello maggiore «Perché sto morendo di fame e questo posto è attaccato all’ufficio». No, Katakuri non credeva minimamente che quella fosse l’effettiva motivazione.
Una maid dai lunghi boccoli neri si fece avanti, tenendosi stretta al petto il vassoio. Un largo sorriso si fece strada sulle sue labbra tinte di rossetto. «Signori, avete bisogno di me?» domandò con un entusiasmo che fu recepito con uno sguardo scettico da Katakuri e un sorriso malizioso da Cracker.
«Certo, mia cara. Due piatti del giorno» Cracker si prese la briga di ordinare per entrambi sotto lo sguardo sconcertato di Katakuri che non ebbe tempo di ribattere, che già la maid era scomparsa con un sorriso.  
«Due “piatti del giorno”, Cracker? Hai voglia di giocare?» domandò sempre più irritato dalla piega che stava prendendo la situazione, alludendo al gioco che si sarebbe dovuto tenere tra maid o butler e clienti se si fosse scelto quella pietanza in particolare.
Il minore versò l’acqua ghiacciata nei bicchieri di entrambi, prima i sorridere malizioso.
«No, tu hai voglia di giocare» corresse Cracker, alzandosi le maniche della camicia fino al gomito e fermando una cameriera per farsi accompagnare al bagno non appena vide le loro ordinazioni uscire rapidissime dalla cucina. Gli strizzò l’occhio, complice. «Non mangiartelo in un sol boccone, mi raccomando!». No, non si stava riferendo alla fumante e speziata omelette di riso che era comparsa proprio sotto i suoi occhi, quanto più al cameriere che si era avvicinato per servire il tavolo di una coppia di ragazze accanto a loro.
La maid che aveva portato i piatti gli sorrise zuccherosa, chinandosi su di lui, spiegandogli come scegliendo il piatto del giorno, entrambi i padroncini avrebbero avuto modo di fare un gioco con una delle maid a loro scelta
Katakuri la squadrò da capo a piedi. «Non è necessario».
«Gioco io con lui, Babi». Una nuova voce tenorile e calma fece sollevare la testa sia alla maid che a Katakuri.
Con portamento elegante, si fece avanti il giovane butler dai capelli rossi che sembrava essere stato tutto il tempo ad ascoltare ogni parola della collega.
«Ichigo, non credo che sia il caso…» titubò la maid, i lunghi boccoli neri che ondeggiavano sul suo collo sinuoso.
«Babi, credo che abbiano bisogno di te in cucina…» disse semplicemente il cameriere. Gli occhi della ragazza parvero brillare mentre si dirigeva verso una porta a spinta situata non molto dietro il tavolo di Katakuri.
I due rimasero a guardarsi senza nessuna vetrina che potessero separarli.
«Ichigo?» domandò semplicemente, ben consapevole che non si chiamava in quel modo, ma almeno poteva dare un nome a quella chioma infuocata che aveva attirato la sua attenzione.
«Esattamente, signor Katakuri» e il suo pareva particolarmente bello se detto dalla sua voce e sembrava quasi riluttante ad aggiungere l’onorifico come il suo ruolo gli imponeva di recitare.
«Non sei obbligato a giocare, come non ci tengo a farlo io» rispose dopo alcuni secondi di silenzio che era calato su di loro con un velo di imbarazzo. Katakuri fissò per alcuni istanti la omelette posata di fronte a sé, su cui varie salse brillavano di colori intensi.
«Le regole del locale impongono che si partecipi a dei giochi con i clienti che scelgono il piatto del giorno» rispose incolore senza smettere di fissarlo.
«Mio fratello ha ordinato, è lui che deve giocare» ribatté ancora Katakuri, cominciando anche lui a sentire i crampi della fame e quindi iniziando a infilzare la propria omelette con la forchetta per gustarsela.
Niente male…
«Ma io non vedo tuo fratello qui» rispose logico. Katakuri si voltò verso la porta del bagno, irritato. Era certo che quel traditore stesse rimanendo in bagno più del dovuto solo perché si creasse una situazione simile. Come se l’avesse prevista; come se l’avesse voluta lui.
L’uomo si gustò un’altra forchettata di omelette, prima di guardare il cameriere, arreso. «Di che gioco si tratterebbe?».
Il giovane Butler ghignò, tremendamente divertito da quel risvolto che – forse – nemmeno lui si aspettava. Recuperò una sedia rapidamente sotto lo sguardo divertito di clienti e colleghi; a causa di ciò, una punta di imbarazzo si unì all’irritazione di Katakuri, ma riuscì ben a mascherarla dietro a facciata di serietà.
«Un gioco scelto dal Butler» spiegò Ichigo, facendosi passare dalla maid dai boccoli neri – Babi? – una scatola quadrata. Il cameriere sembrava diventare sempre più entusiasta di minuto in minuto. «Chi vince ha un premio. Chi perde, paga penitenza».
Katakuri si irrigidì a sentire quelle parole, ma non era persona da tirarsi indietro di fronte a una sfida.
Fece un profondo respiro. «Di che gioco si tratta?».
Il Butler mostrò le carte uguali a coppie, sicuro di sé. «Memory. Ma ti avverto: sono davvero bravo in questo gioco…».
 
Katakuri, con eleganza, lasciò cadere sul tavolo la coppia di carte appaiate che sanciva la propria vittoria. Un piccolo scroscio di applausi alle sue spalle lo sorprese non poco, come la pacca che ricevette sulla spalla: non si era minimamente reso conto di aver attirato un piccolo pubblico e che suo fratello era tornato ormai dal bagno e si godeva lo spettacolo della sua vittoria, il suo pranzo ormai dimenticato e gelido all’angolo del tavolo. Maid, Butler e alcuni clienti si erano fermati poco lontani dal tavolo per osservare come quel povero cameriere veniva demolito dal cliente.
L’espressione sconvolta di Ichigo era uno spettacolo da immortalare con la macchina fotografica.
Katakuri batté il cinque con suo fratello quando questi si avvicinò al suo fianco, prima di voltarsi verso il Butler con un ghigno soddisfatto. «”Chi vince ha un premio, chi perde paga penitenza” … giusto?» chiese ironico, lanciando un’occhiata maligna al fratello minore. In due quasi facevano sessant’anni, ma per certi versi non erano mai cambiati rispetto a quando erano bambini.
«Sì, proprio così» confermò amareggiato Ichigo, alzando la testa giusto in tempo per vedere i due fratelli scambiarsi un’occhiata divertita.
«Ci penserà mio fratello, allora…».
 
«Ehi, Ichiji».
Il giovane cameriere si voltò non appena la collega lo chiamò, distogliendo l’attenzione dal pezzo di carta che aveva in mano. Sollevando l’angolo delle labbra, passò a Baby l’accendino che teneva in tasca così che potesse accendersi una sigaretta. Lei lo ringraziò con un sorriso, cercando – invano – di trattenere le risate alla vista della scritta che quei due fratelli avevano lasciato con sadico divertimento sul retro del collo di Ichiji, prima ancora di ottenere il premio.
«Ichiji, dimmi la verità» disse ancora la ragazza, espirando una boccata di fumo «Hai perso apposta?».
Il cameriere rimise in tasca il bigliettino dove era appena visibile un numero di telefono scritto a penna.
Sorrise malandrino.
«Chissà…».










Angolo autrice:
questa storia è uscita tutta di botto, ma mi sono divertita a scriverla. E spero abbia divertito anche Zomi. 
La vera verità è che adesso ho fisicamente bisogno di una fan art di Cracker che si arrotola i polsini della camicia e si sposta dietro la schiena i capelli legati in una coda. Cosa i fratelli Charlotte abbiano scritto addosso a Ichiji è a libera interpretazione.
Ok, fine dalla stupidata! Spero vi sia piaciuta!
M.J.

 
   
 
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