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Autore: HikariRin    26/04/2018    1 recensioni
The Realm Between è una storia che indaga le motivazioni per le quali Isa e Lea si sono separati; copre l'arco narrativo della saga da Birth by Sleep al finale di Dream Drop Distance. Il legame tra i due protagonisti, tra i ricordi e il presente, è come un reame di mezzo: qualcosa che non è più possibile trovare nella stessa forma in cui è scomparso, cui farà da sfondo una delicata riflessione sui sentimenti e sull'esistenza.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Isa, Lea, Roxas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH Birth by Sleep, KH 358/2 Days
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- Questa storia fa parte della serie 'The Realm Between'
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The Realm Between ~ 11

Disillusione

 

All’interno del Castello dell’Oblio, conobbi in modo ravvicinato il progetto di Vexen.

Aveva creato una Replica davvero potente, una copia del migliore amico di Sora. Per quanto il suo scopo fosse esattamente quello di duplicare le qualità del suo originale, non sopportava di essere identico a lui. Avrebbe voluto essere una persona diversa, avere dei ricordi propri, e si attaccò molto a quelli che Naminé costruì per lui. Talvolta mi chiedevo in cosa fossimo diversi. La Replica avrebbe voluto un suo cuore, un Nessuno cerca di essere completo. Forse l'unica differenza stava nel fatto che noi avevamo i nostri ricordi, e in fondo era su quelli che fondavamo l’intera nostra esistenza. Roxas non aveva ricordi del suo passato, ma aveva un cuore. Ecco, diverse volte mi sono posto il quesito di come le persone con un cuore vedessero noi membri dell’Organizzazione. Nel Castello avevamo un ospite, una persona che odiava i Nessuno.

Roxas era sveglio, faceva domande, si interrogava sulla sua esistenza precedente, e dovevo trascorrere le nostre serate a tentare di rispondergli senza dire troppo. Non sapeva chi era e chi sarebbe diventato, ed il mio scopo era impedire che tornasse al suo luogo di origine. Luxord aveva ragione. La vita è molto meno dura quando si è inconsapevoli di ciò che si ha intorno. Noialtri sapevamo preventivamente cosa saremmo diventati, solo ci saremmo divertiti a trovare le differenze. Eravamo le cavie di un esperimento tremendo.

Un tempo, quando io e Isa eravamo ragazzi, il nostro mondo prosperava. C’era un uomo, che chiamavano ‘Il Saggio’. Aveva un castello che incuteva regalità e timore negli osservatori. Al suo interno, quell’uomo conservava gli appunti delle sue ricerche. Ricerche infelici, oscure. I suoi collaboratori lo tradirono e il mondo iniziò ad essere ambivalente. Venne ricoperto di oscurità, cambiò il suo nome e divenne più cupo.

Io ed Isa salivamo spesso sulla torre del castello, ma ci accorgemmo che vi erano troppi segreti al suo interno. La cosa ci incuriosì e tentammo di avvicinarci alle stanze più interne. Avevamo studiato attentamente il percorso delle guardie, ma in una giornata come tante qualcosa andò storto. Dilan ed Elaeus ci caricarono sulle spalle, ci trasportarono nei sotterranei e ci gettarono ai piedi di Even e Ienzo.

“Abbiamo trovato questi due ragazzi al piano superiore.”

“Confabulavano degli Heartless.”

Even si avvicinò a noi incrociando le braccia al petto; i suoi occhi non mostravano alcuna espressione, solo un manifesto interesse nei nostri confronti. Eravamo impauriti e spaesati. Ienzo ci guardava come se avesse saputo che ciò che ci sarebbe accaduto non sarebbe stato qualcosa che avremmo voluto ricordare.

“Curiosi, eh? Cosa sapete?”

Ci guardammo l’un l’altro, senza dire una parola; sospirai ansiosamente.
Avevo timore di ciò che Isa avrebbe potuto dire, o di ciò che sarebbe successo.
O di entrambe le cose.

“Noto una certa reticenza nel vostro sguardo. Forse dovremmo farli parlare in altro modo.”

Even si rivolse alle due guardie tornando accanto a loro, mentre Ienzo ci fissava ancor più insistentemente.
I suoi occhi non lasciavano trasparire alcunché, proprio come quelli del suo mentore.

“Sono giunti fin qui, sanno troppo. Come potremmo spegnere questa loro sete di conoscenza?”

Elaeus suggerì una soluzione, con lo sguardo inflessibile di chi conosceva bene ciò che ci sarebbe accaduto.

“Direi nel modo più elementare.”


Rivolsi gli occhi al pavimento di quel castello così rinomato, e pensai che mi sarebbe bastato continuare a poter ammirare il sole e la luna dalla sommità di quella torre. Isa, però, aveva davvero voluto sapere.

La sicurezza che mostrava mentre un estraneo decideva della nostra sorte uccise il mio animo, e mi fece dubitare della persona che avevo sempre conosciuto. Continuava a guardarsi intorno come se ogni cosa fosse in qualche modo appetibile, mentre Even tornava indietro e si sporgeva verso di noi.

Dilan ed Elaeus attendevano immobili.

“Vi presterete alla nostra causa, in nome della scienza.”

 

Per il mondo, noi due eravamo ufficialmente scomparsi; o forse avevamo concluso la nostra esistenza.
Isa terminò di allacciare la cerniera della tunica nera di cui Even ci aveva fatto dono, e si voltò indietro mentre ancora tenevo fra le mani la mia, incerto su cosa avrei dovuto fare.

“Se vuoi scappare, puoi farlo. Non ti tratterrò.”

“Stai scherzando? Non potrei mai lasciarti da solo.”

Si avvicinò a me, incrociando il mio sguardo allo stesso modo di quell’energumeno poco prima. Strinsi la tunica e la portai al petto. Per un momento trovai da pensare che quello non era il mio migliore amico.

“Io non ho paura.”

Stolse lo sguardo, e si diresse verso la porta di quella stanza lugubre e angusta. Tutto intorno a noi era buio e scuro, fin dal principio avrei voluto andarmene portandolo con me. Lo vidi incuriosito, ma ugualmente passivo.

“Fai quello che vuoi.”

Mi lasciò solo e rimasi nel vuoto, a riflettere su cos’avrei dovuto fare. Certo che avevo paura. Ero convinto che non avremmo più visto la luce del sole. Ma nel mio io più profondo, desideravo rivederla. Non che in quel momento avessimo altra scelta, avremmo dovuto prestarci all’esperimento. Solo, ringraziai che esistesse un mondo di mezzo come Crepuscopoli, quando mi strapparono il cuore. Non avrei più potuto sentire il calore ma pensare che fosse bello, e nel mentre mangiare un gelato. Per questo intendevo fare in modo che Roxas non si perdesse come noi. Avrei voluto che tutti i suoi gelati fossero indimenticabili, e che lui potesse ancora sentirli. Solo, se la mia volontà si era mantenuta forte avendo il desiderio di poter tornare sulla torre, ragionai sul fatto che anche Isa doveva averne avuto uno, qualcosa che doveva ancora concludere.

 

“Hai fatto qualcosa di male nei confronti dell’Organizzazione?”

Mi chiese Roxas una sera, di fronte a uno dei suoi gelati che si scioglievano; mi voltai verso di lui, aggrottando le ciglia. Era una domanda che non avevo compreso. Qualcosa di male l’avevo fatta, a suo tempo, ma Roxas certamente non poteva saperlo. Stavo ancora scontandone la punizione.

“Perché me lo chiedi?”

“Da quando siamo tornati dall’Isola che non c’è, Saïx sembra odiare anche te.”

“Sono sicuro che non è così.”

“Come fai ad esserne certo?”

“L’odio è un sentimento. Se anche volesse, Saïx non può provarlo.”

Il suo sguardo andò alla piazza sotto di noi ed ai ragazzini che giocavano a rincorrersi.
Diede un morso al suo ghiacciolo, e si specchiò ancora nel sole. Era tutto molto calmo.

“Perché dovremmo volere indietro un cuore?”

“Perché le persone associano le emozioni ai ricordi.”

Lasciò passare qualche momento, prima di rivolgermi la domanda successiva.

“Anche per te è così?”

“No. Finché tu sei accanto a me e posso vedere il sole, va bene com’è.”

Il mio migliore amico incrociò i miei occhi; pareva non aver compreso la mia risposta.

Ovvio, tutto quello che c’era stato prima non glielo avevo mai raccontato.

Gli rivolsi un sorriso dolce, mentre il sole calava di fronte a noi e colorava il cielo del colore più lontano.

“Ma gli altri potrebbero avere i loro motivi. Sono sicuro che a Demyx piacerebbe molto trasporre le sue emozioni in musica. Luxord amerebbe divertirsi. Lo stesso Saïx si lamenta sempre del fatto che non ha mai potuto esprimere i suoi sentimenti mentre era umano.”

“Se ne lamenta solo con te.”

“Non dire così, sa essere socievole. Quando vuole.
  Una volta, su questa stessa torre, abbiamo mangiato un gelato insieme.”

“Un gelato come questo?”

Rivoltò più volte il ghiacciolo, come se a Crepuscopoli esistessero altri gelati. Risi sonoramente; doveva essere un’immagine insolita per lui. Saïx era il peggiore dei Nessuno, senza emozioni e senza ricordi.

“È stato prima che tu arrivassi.”

“Quindi siete amici?”

“No. Continua a ripetere che per lui non è possibile.”

Rimase in silenzio per lungo tempo prima di finire il suo gelato; allora, ci alzammo insieme e tornammo nel buio. Una volta ero terrorizzato dall’oscurità, ma quando mi aveva circondato era divenuta la mia nuova casa, e avevo deciso che me ne sarei servito per arrivare al mio obiettivo. Fino alla fine, non avrei mai voluto lasciare Saïx da solo. Il mio posto era con lui, a rimembrargli della torre, del gelato, della nostra amicizia.

Roxas sarebbe dovuto essere solo una parentesi nella storia più intricata e completa di noi due. Una volta mi propose di scappare, mi disse che avrebbe voluto vivere con me per sempre. Ma non sarebbe stato possibile.

Sebbene mi facesse piacere trascorrere del tempo con il mio nuovo migliore amico, ben presto mi si profilò dinanzi la verità del fatto che avrebbe potuto cercare le sue origini al di fuori del castello. Così cercavo di tenerlo all’oscuro di ogni cosa, senza allontanarmi dall’Organizzazione. Ma Saïx arrivò a darmi degli ordini inderogabili. Quando il mio ruolo di mediatore divenne insostenibile e Xemnas cominciò a spazientirsi, lui dovette fermarmi. Roxas avrebbe voluto scoprire la verità, e io non potevo dargliela. In poco tempo, le cose precipitarono. Xemnas gli rivelò di Sora e Roxas smise di fidarsi di me, perché gli avevo nascosto ciò che sapevo dalla missione al Castello dell’Oblio. Non potei fermarlo, e lo vidi scivolare via dai nostri tramonti.

Rimproveravo a me stesso di avergli mentito, sebbene fossi oramai avvezzo a farlo. Mi sentivo in colpa, perché da umano non avrei mai mentito; immaginavo fosse a causa della presenza di Roxas. In più, attribuivo a Xemnas buona parte della colpa. Anche lui aveva sicuramente mentito in qualcosa; aveva mentito a Saïx, aveva mentito a Roxas, e nel momento in cui avessi mai scoperto in che modo avrei trovato il modo di sgretolare una per una tutte le sue fantasie.

La prima volta, quando dovetti prestarmi a quegli odiosi esperimenti, non sapevo cosa sarebbe accaduto in seguito. Pensavo mi attendesse la morte. Qualcosa di oscuro, di non attraversabile. Se mi avessero privato di una parte di me importante, ero sicuro che mi avrebbero rubato anche i ricordi. Non la memoria in se stessa, ma il suo significato. Mi atterriva pensare che avrei potuto perdere il mio affetto per lui, i nostri tramonti insieme e il ridere delle sue espressioni poco emotive. Mi sarebbe mancato tantissimo l’avere un amico.

Fummo rinchiusi in una stanza angusta. Ovunque la si guardasse aveva un solo colore, ch’era anche il motivo per il quale nel Castello dell’Oblio iniziavo dopo poco tempo a sentirmi soffocare. Non avevamo niente, solo quello che ancora riuscivamo a sentire dei nostri corpi; ci fu un’occasione nella quale mi arrabbiai molto, quando Isa disse che dovevamo ringraziare di avere almeno dei vestiti e delle coperte.

“Non potrei mai ringraziare queste persone. Ci hanno rapiti.”
 

Dovevo avere in volto un’espressione davvero incollerita, perché Isa si strinse nelle spalle e s’allontanò da me sedendosi dalla parte opposta di quella piccola stanza. Alzai lo sguardo e trovai i suoi occhi spaventati.

“Tu non sei arrabbiato?”

“Molto.”

Mi disse, volgendo lo sguardo altrove.

Più avanti avrei capito che la sua rabbia consisteva nel tenersi tutto dentro e nel negare i suoi stati d’animo all’estremo per poi esplodere. Io divenni nervoso e agitato al punto da stare male tutti i giorni, così che, dopo un iniziale periodo di smarrimento, quando realizzai di non poter più sentire alcuna emozione mi sentii come se fossi stato finalmente liberato delle mie catene e divenni consapevolmente un essere vuoto e indolente.


 

La notte eterna mi confondeva. Mi accorsi di tutto ciò che Xemnas mi aveva portato via, nel giorno in cui Roxas lasciò l’Organizzazione. Trovai Saïx immobile sul pavimento. Si reggeva un braccio, guardava la luna. Gli corsi incontro gridando il suo nome, ed ebbe appena la forza di alzare il capo e guardarmi in viso.

“Ho tentato di fermarlo. Ho dovuto. Cuori, amicizie. Parole al vento. Che sciocchezze.”

Ebbe un mancamento, e mi mossi per prenderlo fra le mie braccia. Lanciai una rapida occhiata al suo corpo. Era ferito. Riuscii a pensare solo che era colpa mia; non avrei dovuto tradirlo. Realizzai solo allora che dei suoi sentimenti, del fatto che lui fosse felice, del terrore che poteva aver provato come me in quella stanza bianca, non mi ero mai curato abbastanza. Lui, il mio migliore amico, lo stesso che aveva sfiorato il mio viso quando i miei occhi avevano perso colore, lui che diceva di non avere paura perché io non provassi paura.

 

 

“Lea.”

Il mio nome aveva risuonato per le pareti dei sotterranei, ma non avevo la forza di alzare lo sguardo.
Era sempre così alla sera. Avrei voluto rivedere il sole, quando lui mi stringeva stavo ancora più stretto.

“Lea, guardami.”

Quando riuscii, trovai uno sguardo insolitamente determinato.

“Noi due ce ne andremo di qui.
Se resteremo uniti, troveremo il modo.”

Ero tormentato da cosa ero diventato, da cosa stavo diventando, e non avrei mai potuto salvarlo a quel modo. Mi chiedevo come sarei accorso in suo aiuto, se io per primo avessi avuto bisogno di lui.

“Te lo prometto.”

L’estremità della mia mano si sollevò ancora prima che potessi realizzarlo, e lui la incastonò nella sua con tanta forza che qualcosa nel mio cuore fece emergere ancora un poco di luce.

“Ti seguo.”

E lui aveva sorriso. 

Quel giorno era stato il mio cuore a implorare Isa di aiutarmi. Ma in seguito, durante il nostro periodo di transizione, convinto che non a lui non era rimasto più niente lo avevo dimenticato.

 

 

Mi strinsi al suo corpo inerme e debole. Avrei voluto un’altra opportunità per riscattarmi. Dopo il Nessuno che non fosse riuscito a completare Kingdom Hearts non avremmo saputo dire quale esistenza ci avrebbe attesi, se saremmo scomparsi per sempre. Forse la vita da Nessuno era tutto quello che potevamo avere.

“Non sparire.”

Tornai alla nostra prigione e al calore delle sue mani, e pensai che avrei scambiato volentieri la mia vita con la sua. Sollevai lo sguardo verso la luna che odiavo tanto, quella che ci avevano detto ci avrebbe alleggeriti delle catene di ogni legame, e risplendeva tanto forte che se l'avessi supplicata sentivo mi avrebbe esaudito.

“Ti prego, no...”

Avrei voluto ci fosse Roxas, perché con il suo cuore avrebbe curato entrambi, e con lui accanto io avrei potuto adempiere alla mia promessa. Dopo poco sentii qualcuno fermarsi dietro a noi. Quando sollevai lo sguardo, Xemnas mi puntò contro senza alcuna remora né espressione in volto una delle sue lame.

“Apprezzo che tu abbia guidato le cose perché andassero come dovevano, ma ora non mi servi più.
  Non posso permetterti di sottrarmi uno ad uno tutti i miei strumenti.”

“Strumenti?”

“Da ora in poi, ti sarà permesso di rimanere fra noi solo se saprai stare al tuo posto.
   I Nessuno con troppa iniziativa non hanno niente da invidiare ai Simili.”

I suoi occhi erano fin troppo simili a quelli di colui che tenevo stretto fra le mie braccia. Fin dall'inizio sapevo che non poteva essere una coincidenza. Lo strappò da me, lo prese sulle sue spalle e lo trasportò verso le sale più interne, lasciandomi con una spada pendente sulla testa.

Nei giorni successivi mi mandarono al massacro diverse volte, e mi usarono come meglio credevano. La prima volta mi mandarono a recuperare un altro membro dell’Organizzazione. Probabilmente, uno dei suoi ‘strumenti’. Quando tornai al castello ero sfinito, e per un attimo pensai che sarei potuto sparire. Xemnas si avvicinò a me. Pensavo che mi avrebbe eliminato. Invece prese il corpo che giaceva accanto a me e si allontanò. Persi conoscenza, e quando ripresi i sensi mi ritrovai nella mia stanza.

Accanto a me, il Moguri dell’Organizzazione con una Pozione in mano curava le mie ferite.

“Ben svegliato, kupò.”

“Cosa mi è successo?”

“Sei svenuto lungo il corridoio. Faccia da X era preoccupato che tu scomparissi, quindi ti ha portato qui e mi ha ordinato di prendermi cura di te fino a che non ti fossi svegliato, kupò.”

“Faccia da X?”

Risi di come lui, che tenevano relegato in un angolo del salone, aveva addirittura memorizzato il modo in cui ci rivolgevamo l’un l’altro e il nostro modo di prenderci in giro.

“Con che tono te lo ha ordinato?”

“Quello di sempre, kupò. Ha detto anche di mettere le Pozioni sul tuo conto.”

“Certo.”

Risi ancora. Risi tanto da stupirlo. Avevo solo bisogno di ridere. Quando ero umano credevo nel potere dei sentimenti, nelle stelle cadenti, nella luce, nel sorriso sincero delle persone. Nelle promesse. Da Nessuno dovevo essermi fatto influenzare così tanto da Saïx o da Xemnas da dimenticare tante cose.

Grazie a Roxas anche se di poco le avevo recuperate uscendo dal mio torpore, perciò avrei voluto ringraziarlo se lo avessi incontrato. Quando ebbi tempo di esplorare dovutamente ciò che lui mi aveva lasciato, trovai un bastoncino vincente del gelato accanto al mio letto. Inizialmente intendevo portarlo a Crepuscopoli in modo da avere due gelati invece di uno, ma non avrebbe più avuto alcun senso.

Avevo come la sensazione che due gelati non sarebbero stati sufficienti, e che insieme alle cose che avevo dimenticato ci fosse una terza persona.
Ben presto l’Organizzazione scoprì che Roxas era stato rinchiuso in un luogo che inizialmente non riuscimmo a raggiungere, e la situazione sfuggì di mano a Xemnas che si infuriò con me e mi mandò a recuperarlo. Quando lo vidi la sua arma era mutata, ne aveva acquisito una nuova e insieme ad essa una nuova consapevolezza, ma aveva dimenticato ogni cosa che riguardasse noi due.

Quanto a me, avevo ormai piena coscienza di come Xemnas aveva irretito il mio primo amico fino a cancellare in lui ogni traccia di attaccamento a ciò che era stato prima, e in quello stato di cose non avrei potuto fare niente per liberarlo.

Cominciai a chiedermi se ci fosse un modo, per quelli come noi, di tornare alla luce.

Ricordavo molto bene Ventus e avevo conosciuto Roxas. Avevo visto in azione la luce dell’eroe del Keyblade ed ero stato testimone di come Riku era riuscito ad accettare l’oscurità che aveva nel cuore, fino a non provare alcun timore nei riguardi d’essa. Se tutto ciò fosse stato possibile, allora sarebbe dovuta divenire la mia strada. Decisi quindi di seguire Roxas che era andato verso la luce, per cercare un modo alternativo di avere indietro il mio cuore e poi tornare indietro, per liberare i miei compagni dal giogo dell’Organizzazione.

In questo modo avrei mentito a Saïx, al quale avevo detto di non avere alcun motivo per andarmene.
Ma avevo deliberato che quella sarebbe stata la mia seconda opportunità.

Sarei divenuto io stesso uno dei traditori.



Note dell’autrice:

Giorno 353. Non sono riuscito a dire a Xion che si sbagliava e non sono riuscito a finirla. Ma se non lo farò dovrò cancellare Roxas. Non esiste un futuro in cui noi tre stiamo seduti qui a mangiare un gelato. So che Roxas non capirà, ma è come se non volessi ammetterlo nemmeno io.”
Axel, 358/2 Days Secret Reports (2009)

Due giorni dopo, dagli stessi Rapporti Segreti, capiamo che quella di essere stati in tre è rimasta solo un’impressione nella mente di Axel. Penso che questo sia uno degli estratti che meglio riassumono le sue sensazioni durante tutto l’arco narrativo che il gioco copre.

Pochi giorni prima dell’epilogo, Axel sente ancora di non avere possibilità di scelta.

In questo capitolo vediamo anche cosa è accaduto dopo lo scontro di Roxas con Saïx (Giorno 355), e il giorno dopo, quando Axel riporta Xion nell’Organizzazione per l’ultima volta prima che lei decida di sparire. In realtà, per ragioni di gameplay, il Moguri dell’Organizzazione seguirà Roxas, ma noi faremo finta che non lo faccia immediatamente.

Ecco, parliamo del dramma della prigione. Parliamo dei ‘bambini sacrificati in nome della ricerca’ prima da Ansem il Saggio, poi da Xehanort che lo esiliò nel Realm of Darkness per prendere il suo posto. Stando a ciò che possiamo estrapolare dai diversi capitoli della saga, nei sotterranei del castello si svolgevano esperimenti sull’oscurità. Lea e Isa erano soliti curiosare in quell’area. Probabilmente in uno dei loro sopralluoghi sono stati sorpresi, catturati e costretti a sottostare a quegli esperimenti. È dunque opinione di molti che i due possano essere inclusi a pieno diritto tra le vittime, consapevoli o meno, della ricerca.

Tutto il resto è qualcosa di aggiunto da me; la reclusione dei due protagonisti di questa storia non è affatto oro colato, né la verità assoluta, ci tengo a precisarlo.

La storia si avvia verso il suo finale. Spero resterete con me fino alla fine.

   
 
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