Arrivata
davanti alla porta di casa, Aoko esitò. Non aveva le chiavi,
le aveva lasciate
nella borsa, quindi doveva bussare. Sperando che Kaito non fosse uscito.
Non
che le
fosse sembrato nelle condizioni di andare da qualsiasi parte…
Ingoiò
un po’
di saliva, si fece coraggio e suonò il campanello.
Aoko
se n’era andata.
Così,
semplicemente. Avrebbe dovuto aspettarselo.
Cosa
sperava, in fondo? Un po’ di comprensione?
Non
era stato neanche in grado di guardarla in
faccia, di reggere la delusione che sicuramente era apparsa nei suoi
occhi man
mano che lui parlava.
L’aveva
fissata senza vederla realmente, concentrato
solo sul suono della sua stessa voce.
Le
aveva detto tutto, senza omettere alcun
particolare.
Sapeva
che l’avrebbe lasciato, ma non poteva
impedirselo.
Mentirle
sarebbe stato peggio.
L’aveva
persa di nuovo, stavolta - ne era certo - per
sempre.
Si
alzò a fatica dal divano e raggiunse il tavolo.
Voleva
mangiare il brodo di Aoko.
Voleva
rimettersi in forze per potersene andare, per
non dover essere lì quando lei fosse tornata.
Per
non procurarle altro dolore.
Non
era l’unico motivo; quel brodo era l’ultimo segno
d’amore che avrebbe mai ricevuto da lei.
Non
lo meritava, ma non poteva semplicemente
ignorarlo.
Si
portò la ciotola alla bocca.
Rimase
lì ferma
per una buona mezz’ora, in attesa di una risposta che non
arrivava.
Si
avvicinò
alla finestra; dentro non sembrava esserci nessuno.
Kaito
se n’era
andato.
Le
si annebbiò
la vista. Le ci era voluto così tanto per fare ordine tra i
suoi sentimenti, ed
ora…
Ora
era troppo
tardi.
Non
sapeva se
sarebbe riuscita a rivedere Kaito dopo quella notte, a parlargli.
Non
aveva idea
di dove fosse andato - un pensiero maligno le suggerì che
poteva essere fra le
braccia di Akako, in quel momento, ma lo soppresse -, ma se se
n’era andato era
perché non voleva più vederla.
Probabilmente.
In
tutto ciò,
non poteva neanche rientrare in casa.
Che
poteva
fare? Di andare da suo padre non se ne parlava, avrebbe dovuto
raccontargli
troppe cose e non ne aveva intenzione.
Forse
poteva
andare da Keiko. Lei l’avrebbe sicuramente ospitata per
quella notte.
Tornò
sulla
strada… e si ritrovò davanti una figura che
conosceva bene.
Saguru
Hakuba.
Sdraiato
su un letto non suo, tese un braccio verso
la lampada e si osservò la mano in controluce. Per quella
sera aveva trovato un
riparo, ma poi?
Che
riparo, tra l’altro.
Non
sapeva perché avesse scelto proprio Hakuba.
Forse
perché non aveva nessun altro a cui chiedere.
Negli
ultimi anni aveva tagliato i ponti un po’ con
tutti.
Persino
il vecchio Jii si era trasferito in campagna
qualche anno prima, augurandogli tanta felicità.
Kaito
aveva dovuto sforzarsi per restare impassibile,
allora. Al tempo aveva già rimosso
“felicità” dal suo dizionario.
La
reazione del detective l’aveva sorpreso. Non gli
aveva fatto domande, si era spostato per farlo entrare ed era finita
lì. La
governante poi gli aveva mostrato la camera in cui si trovava anche
ora,
dicendogli che poteva dormirci.
Non
sapeva perché Hakuba non gli avesse ancora
voltato le spalle.
Avrebbe
dovuto essergli grato, forse, ma non lo era.
Non
era niente.
Aveva
passato gli ultimi anni ad arrampicarsi sugli
specchi.
Non
aveva realmente vissuto, ma aveva sempre avuto
Aoko. Gli era rimasta solo lei, dopo aver abbandonato i panni di Kid.
Ora
l’aveva persa.
Il
mondo che si era costruito con tanta fatica era
andato in frantumi.
Cosa
avrebbe dovuto fare?
Qualsiasi
cosa fosse, non ne aveva voglia.
Ora
come mai prima, Kaito avrebbe soltanto voluto
arrendersi.
Sentì
bussare alla porta della sua camera.
Hakuba
non le
aveva detto molto;
solo,
“Ti porto
da Kaito”.
Le
era bastato
per seguirlo fino a casa sua.
Una
volta lì,
la guidò al primo piano. Si fermò davanti ad
un’elegante porta rossa. Bussò.
Dall’interno
della stanza si sentì un rumore, come lo scricchiolio di un
letto.
Saguru
si
allontanò, lasciandola sola. Il cuore le batteva a mille.
La
porta si
aprì.
Kaito
non riusciva a crederci.
«A..
oko?» mormorò con voce roca.
Aveva
pensato a
cosa dire per tutto il tragitto.
C’erano
talmente tante cose che non sapeva da dove cominciare.
Quando
se lo
vide di fronte, semplicemente fece un passo in avanti.
Lo
abbracciò.
Nonostante
la sorpresa, ricambiò l’abbraccio con
forza.
Si
strinsero talmente forte che sembrava
uno dei due dovesse sparire da un momento all’altro.
Non accadde.
«Abbiamo
sbagliato tutto. È colpa mia».
Kaito
le accarezzò i capelli, incapace di parlare.
«Mi
dispiace,
Kaito. Io…»
Si
accorse che Aoko stava piangendo quando una
lacrima gli raggiunse una guancia.
Ruppe
l’abbraccio e la guardò negli occhi.
«Non
è colpa tua…»
Si
asciugò gli
occhi con una manica.
«Non
lasciarmi».
Kaito
non poteva crederci; l’aveva tradita, perché
era lì?
Perché
gli stava dicendo quelle cose?
Non
vedeva Aoko così da… non avrebbe saputo dirlo.
«Non
succederà mai, sciocca».
Non
capiva perché stesse succedendo. Sembrava un
sogno.
Ma
se era reale, se davvero Aoko non l’odiava
nonostante tutto…
Allora
potevano ricominciare.
Quella
notte la
passarono in quella stanza, abbracciati sul letto.
Entrambi
con il
cuore a pezzi eppure sereni come avevano dimenticato di poter essere.
Pronti
a far
tesoro dei loro errori per ripartire da zero.
Un
tradimento
uccide soltanto gli amori già morti. Quelli che non uccide a
volte diventano
immortali.
Rinato
dalle
ceneri a dispetto di tutto, il loro amore era sopravvissuto.
Ci
sarebbe
voluto del tempo, lo sapevano.
Lo
volevano.
Perché quello era il loro tempo.
NdA
Io spero davvero che l'impaginazione non vi abbia scombussolati troppo. Mi piaceva troppo l'idea di rappresentare, anche graficamente, Aoko e Kaito in parallelo.
Spero che il finale non vi abbia delusi... Sono un'inguaribile amante del lieto fine; non sono a favore del tradimento, ovviamente, ma in questo caso l'ho visto come il fondo da toccare per potersi rialzare.
Grazie mille a chi ha recensito i capitoli precedenti.
Mari
<3