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Autore: alessandroago_94    30/04/2018    11 recensioni
603 d.C, Italia Settentrionale.
Rufillo ben sapeva che esistevano due realtà quasi contrapposte, due mondi distinti. Ciò che c’era al di là del Limes Tiberiacus, l’ultimo baluardo a difesa di quello che restava della romanità, era qualcosa di travolgente, nella sua immensa barbarie.
O, almeno, così era stato fin all’avvento della regina Teodolinda, prima sovrana cattolica dei Longobardi. Si diceva che ella amasse dedicarsi alla lettura.
Allora, l’ultima missione di una vita lunghissima e resa però resistente dalle continue e tanto desiderate privazioni, sarà quella di far giungere tra le mani di una regnante barbara un preziosissimo testo sacro, così che i suoi occhi così dotti potessero essere per sempre illuminati e guidati dalle parole che avrebbero influenzato per secoli la vita di milioni di persone.
Racconto classificato secondo (a pari merito con FatSalad, Le due cetre) al Contest In Medio Stat Virtus indetto da mystery_koopa sul forum di Efp.
Racconto vincitore di due premi speciali; Rivelazione maschile (miglior personaggio maschile) e Verità o Menzogna (miglior storia di genere giallo/thriller).
Genere: Avventura, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Medioevo
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Capitolo due

CAPITOLO DUE

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ab intactae ferro barbae longitudine (...) ita

postmodum appellatos.

 Nam iuxta illorum linguam "lang" longam,

"bart" barbam significat.”

Paolo Diacono, Historia Langobardorum.

[Furono chiamati così (...)

in un secondo tempo per la lunghezza

della barba mai toccata dal rasoio.

Infatti nella loro lingua lang

significa lunga e bart barba.]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Guidato dalla Fede, letteralmente. Era così che era giunto a Mutina(1), l’ultimo baluardo conquistato dalla gens Langobardorum(2).

I Winnili(3), varcate le Alpi, avevano conquistato in meno di quattro primavere(4) quasi la totalità dei territori settentrionali della penisola italiana, travolgendo ogni resistenza greca.

Erano riusciti in seguito a far tremare tutta la cultura greco-latina preesistente, addirittura cancellando per sempre anche il ricordo delle precedenti, seppur brevi, dominazioni barbare, rivelandosi grandi conquistatori.

Essi erano giunti in massa, l’intero popolo coeso e pronto ad affrontare assieme le privazioni e le sofferenze di un esodo che, sotto certi aspetti, a Rufillo era parso molto simile a quello di Mosè, in fuga dall’Egitto. Per quello la sua attenzione era stata da sempre attratta da quel popolo; i Winnili, come loro stessi si identificavano, erano giunti in Italia in quanto terra promessa, come Israele lo era per i giudei.

Per questo non appena aveva preso i voti non aveva sprecato altro tempo, muovendosi immediatamente verso i territori da essi occupati. Non gli era mai importato granché della sua famiglia d’origine, a cui aveva dato le spalle per seguire la sua profonda vocazione.

Indubbiamente, ai suoi occhi questo popolo che poteva contare solo sulla forza dei suoi guerrieri esuli era parso come una grande identità da formare ed acculturare, sicuramente benedetto da Dio, ma senza che nessuno ancora avesse illustrato ai suoi componenti quanto Cristo fosse stato disposto a sacrificare per la salvezza eterna dell’umanità. Era perciò importante che rinnegassero in fretta la valanga di tradizioni oscene che si erano portati dietro dai confini del mondo conosciuto.

Rufillo era giunto a Mutina all’età di ventuno anni, quando solo un anno prima era stato cacciato dal monastero presso il quale aveva studiato, dentro le mura di Ravenna; non c’erano fondi, e lui sarebbe stato solo una bocca in più da sfamare.

Era ormai un uomo completamente adulto, e con un mondo intero da evangelizzare, pronto ad accogliere e ad ascoltare il messaggio di Cristo, il lavoro non gli sarebbe mancato. Aveva le idee ben chiare fin dalla più tenera età, quindi si era immediatamente messo in marcia a piedi, con addosso solo un sacco pulcioso donatogli da un conoscente caritatevole, che aveva adattato grezzamente al suo corpo.

Aveva affrontato freddo e gelo d’inverno, e afa d’estate.

Così, per un anno intero.

Poi, dopo aver attraversato le ultime terre romane, era giunto nel caos dei Ducati Longobardi.

Tutti quelli che aveva incontrato lungo il suo cammino gli avevano sconsigliato tale scelta, cercando di farlo desistere; i Longobardi, il popolo dalle lunghe barbe, avevano i visi nascosti da una foresta di peli, gli avevano narrato, poiché non avevano mai conosciuto la lama affilata di un rasoio.

Erano belve che saccheggiavano, uccidevano senza pietà e immolavano i Romani, assieme a tutti quelli che avevano la sfortuna di incontrare quei selvaggi, alle loro bestiali divinità sempre assetate di sangue umano.

Rufillo non si era lasciato spaventare da quelle dicerie, anche se aveva improvvisamente cominciato ad immaginare quegli uomini come qualcosa di non molto dissimile dai cavalieri dell’Apocalisse, gli sterminatori dell’essere umano giunti per proclamare la fine dei tempi.

Tra le mani, il suo umile crocifisso di legno era stato l’unico fedele compagno di viaggio, sul quale aveva versato lacrime, quando si era sentito debole e il suo corpo tremava dalla fame e dal freddo subìto, e sul quale poi aveva snocciolato un’infinità di preghiere assorte e colme di gratitudine, quando le tempeste passavano e il suo fisico provato riusciva a rilassarsi.

“Dio mi dia la forza per parlare della Sua grandezza a tutti coloro che sono affamati della Sua parola! Che lo Spirito Santo scenda su di me e benedica il mio cammino, affinché esso sia privo di ostacoli troppo grandi per questo esile corpo! Che la bontà infinita del Cristo crocefisso possa aiutarmi a non essere mai egoista, e mi permetta di mettere la mia vita al servizio degli altri, dei più poveri e di tutti coloro che ancora non conoscono i testi sacri”, ripeteva continuamente ad alta voce, per farsi compagnia da solo e rinvigorendo sempre più la fede che ardeva dentro il suo cuore, in grado di scaldarlo e di dargli conforto anche nel momento di più estremo bisogno.

Mutina era senza dubbio la città che più aveva bisogno di aiuto, a quei tempi; avamposto di confine dei Winnili, lì la popolazione sottomessa doveva ancora abituarsi agli invasori, ed essi a loro volta dovevano ancora riuscire a trovare una discreta stabilità.

Giunto nell’antica città romana, aveva trovato macerie e rovine, che tuttavia stavano venendo risistemate. Nuove abitazioni avrebbero presto innalzato i rispettivi tetti, seppur con caratteristiche differenti dalle antiche domus, che ormai disabitate e in disuso offrivano il materiale edile necessario ai lavori.

Erano costruzioni molto più umili ed essenziali, come quelle dei romani che ancora vivevano al di là dell’ultimo Limes.

In quella realtà remota Rufillo aveva avuto modo di vedere per la prima volta i guerrieri Longobardi; essi avevano capelli lunghi, spesso molto chiari, ed erano generalmente più alti rispetto ai romani. Vestivano in modo spartano, e vigilavano i loro nuovi sudditi con severità, sempre pronti a punire ogni irregolarità.

Le lunghe barbe confluivano sui petti sempre bardati da guerra, e le loro armi avevano il taglio affilato ed erano molto ben tenute.

Il monaco non aveva avuto timore di quelle persone, quando lo avevano circondato e l’avevano preso di peso, per portarlo di fronte al giudizio di un loro superiore. Non si erano comportati male con lui, indubbiamente non erano cavalieri dell’Apocalisse, e non dimostravano atteggiamenti di molto dissimili da quelli di tutti gli altri barbari che avevano invaso l’Italia in precedenza. E Rufillo aveva avuto modo di tessere contatti con gli Eruli, quand’anche il loro popolo oramai avesse perso prestigio e indipendenza, così come aveva avuto rapporti molto più stretti con i Goti del buon Teodorico, al quale suo padre aveva offerto tutti i suoi servigi, a Ravenna.

Seppur Teodorico fosse stato un gran sovrano, certamente illuminato da Dio, il suo popolo a volte non era stato in grado di eguagliarlo.

Così i Longobardi non erano in grado di aprire i loro occhi verso il Bene Supremo, e parevano spauriti agnelli che avevano perso il loro gregge, immersi in una realtà non loro, che non li riusciva a comprendere, e quindi tendeva a renderli più brutali di quel che realmente erano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

 

(1)Odierna Modena.

 

(2)Come venivano identificati dai Romani e dalla popolazione preesistente.

 

(3)Nome con il quale i Longobardi identificavano il loro popolo.                   

 

(4)Dal 568 d.C. (anno in cui Alboino guida il suo popolo in Italia) al 572 d.C.(anno in cui Alboino viene assassinato)

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Grazie ancora, a tutti.

 

   
 
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