Disclaimer al Capitolo 1!
Scusate se ci ho messo
un'eternità per pubblicare questo capitolo ma il Kharma, o chi per
esso, ha voluto punirmi con una bronchite che non voleva andarsene.
Passata quella, ho avuto un esame.
Ora che sono sopravvissuta ad entrambi, possiamo continuare ^.^
Quella
sera, poco prima del tramonto, il povero
Pullings cominciò ad agitarsi e lamentarsi pietosamente nella propria
branda
mentre la temperatura corporea cresceva inesorabile fino a
stabilizzarsi in un
orrendo 103,1° Fahrenheit[1].
Tutto ciò fu accompagnato da brividi violenti e da conati di vomito che
riportarono alla luce i resti del misero pasto di Tom, indebolendolo
ulteriormente.
All’inizio al ferito era rimasta sufficiente coerenza per scusarsi con
Stephen
– ormai avvezzo a scene di gran lunga più turpi – per l’orribile
spettacolo ma,
nel giro di poche ore, precipitò in uno stato di semi incoscienza
intervallato
da brividi e conati così violenti che solo l’intervento di Nostra
Signora –
prontamente evocata da un Maturin sconvolto dalla preoccupazione –
preservò i
punti dallo strapparsi e le costole dal fratturarsi di nuovo.
Fu
una notte infernale.
Tom aveva iniziato a vomitare almeno ogni mezz’ora – non tratteneva
nemmeno
l’acqua che il medico gli somministrava pazientemente a piccoli sorsi
tra un
attacco e l’altro - e ogni volta Stephen doveva alzarsi per tenergli la
testa
ed evitare che si sporcasse i lunghi capelli castani. Quando finiva, ed
i
conati lo lasciavano ansante e sofferente sui cuscini, il dottore gli
asciugava
il sudore dalla fronte con un panno umido che poi gli passava sul collo
e sul
petto nel tentativo di alleviare almeno in parte il suo malessere.
Era palese che il giovane soffrisse molto. La nausea ed il dolore,
esacerbati
dalla febbre alta, lo facevano gemere quasi senza sosta nonostante le
premurose
somministrazioni di spugnature e rassicurazioni, gentilmente sussurrate
al suo
orecchio dal medico.
I
suoi lamenti giungevano dalla finestrella aperta fino
al castello di prua dove Jack montava di guardia, sostituendo proprio
l’invalido Pullings, e straziandogli il cuore. Si sentiva dannatamente
in colpa
per quanto accaduto: se solo avesse avuto i riflessi pronti, se solo
fosse
intervenuto più rapidamente, il giovane non avrebbe sofferto tanto
orribilmente
per di più con la prospettiva di rimanere sfigurato a vita nel caso in
cui
fosse sopravvissuto.
In un momento di abietto egoismo quasi rimpianse di aver mandato il
giovane
Mowett sottocoperta ma poi realizzò quanto peggio avrebbe potuto
sentirsi
nell’essere costretto ad ascoltare i mugolii disperati dell’amico di
una via.
Ricordò i giorni e le notti trascorsi al
capezzale di uno Stephen delirante dopo essersi estratto una pallottola
dal
petto con le proprie mani.
Ricordò l’angoscia di quei giorni, le cui ore scorrevano centellinate
tra un
rantolo affannoso e l’altro, il timore che ciascuno di essi potesse
essere
l’ultimo che lo feriva più profondamente degli insulti - mormorati a
bassa voce
o gridati con tutta la misera forza di cui disponeva – che si levavano
da quel
corpicino dilaniato e stravolto dalla febbre.
Ricordò il dolore che lui stesso aveva provato di fronte a quella
sofferenza
così cruda e abominevole, arrivata solo pochi mesi dopo che il povero
Stephen
era sopravvissuto per miracolo alle atroci torture dei Francesi.
Osservando le
sue mani scheletriche artigliare spasmodicamente il lenzuolo gli era
sembrato
di vederle ancora contorte e sanguinanti come a Port Mahòn, ferito in
modo
troppo grave per reggersi in piedi, tanto debole che Jack aveva dovuto
trasportarlo
in braccio fino alla barella, cullandolo sul petto come un bambino. I
ricordi
di quel momento orribile si erano fusi al tormento di quella veglia
infinita,
rendendola intollerabile se non per l’affetto infinito che provava per
quell’esserino moribondo: una forza irresistibile che lo teneva
inchiodato
accanto a quella branda maledetta.
Ricordò la propria impotenza nell’alleviare le sofferenze dell’amico.
Ricordò gli sguardi comprensivi degli uomini ed i loro gesti impacciati
che
volevano essere un tentativo di consolazione: nessuno parlava
apertamente ma
tutti erano consapevoli del profondo attaccamento che legava il loro
capitano
al medico di bordo, per il quale anche loro nutrivano affetto e genuina
preoccupazione.
Ricordò come il giovane Pullings, allora Terzo Ufficiale, si era
sobbarcato di
doppi e tripli turni per settimane, restando alzato una guardia dopo
l’altra
per permettere al comandante di vegliare sul malato. Com’era pallido
quando
Jack lo aveva informato di come la febbre del dottore si era finalmente
abbassata!
Il poveretto era talmente provato che riuscì appena ad evocare un
sorriso
timido sul volto stanco; a furia di urlare ordini non gli restava che
un filo
di voce e non si reggeva in piedi quando lo aveva congedato. Non si
sarebbe
sorpreso se di lì a poco qualcuno fosse corso in cabina per
comunicargli che
aveva avuto un collasso.
Cosa che in effetti successe, ma diversi giorni dopo per una
‘malaugurata quanto
inspiegabile combinazione tra caldo equatoriale e sovraffaticamento’
come
l’aveva definita uno Stephen dall’umore più inverso del solito a causa
della
convalescenza forzata. Ma si era trattato di un episodio isolato ed
entrambi si
erano ripresi bene.
Restava
il fatto che non poteva sottoporre il povero Mowett alla stessa
tribolazione
che aveva attraversato egli stesso pochi anni prima. Sarebbe stato
ingiusto,
anche perché Dio solo sapeva quanto lavoro gli avesse risparmiato a suo
tempo il
suo zelante Primo Ufficiale che ora meritava almeno qualche guardia
notturna
come riconoscimento.
[1] 39,5° Celsius
Note:Le parti in corsivo sono un Missing Moment da "Buon Vento dall'Ovest" perché un po' di Hurt!Stephen in più non fa mai male.
Grazie a tutti i pochi coraggiosi che stanno leggendo questa storia! Tenete alto l'amore per O'Brian!
Sarebbe che per tutti gli altri il caffè è finito!