Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PeNnImaN_Mercury92    12/05/2018    2 recensioni
Anno 846. Claire Hares si unisce all'Armata Ricognitiva in compagnia della sua migliore amica Petra Ral. Un fato atroce che la attende a casa influenza la sua scelta, ma il suo animo audace, generoso e un po' istintivo la renderanno una magnifica combattente sul fronte. Claire ci racconta la sua vita dopo essersi unita al Corpo di Ricerca, le sue emozioni, le sue soddisfazioni, i suoi timori e il suo rapporto con i suoi cari amici e con un soldato in particolar maniera. Armatevi di lame e di movimento tridimensionale e seguitela nelle sue avventure!
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio, Petra Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Wings of Freedom Series '
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19. Ad un passo dalla verità

Levi e io ci tenevamo per mano, seduti sul bordo del lago in cui egli mi aveva condotta molti giorni prima. Come al solito, non dicevamo niente, lasciandoci pervadere da quel silenzio che, sì, ci illudeva al punto da farci credere che tutto andasse bene, che l’umanità non fosse soggiogata da nessun mostro. Poi, due ombre si accostarono alle nostre spalle. Una ragazza briosa sedette accanto a me, un suo coetaneo dai capelli biondi era al fianco di Levi. Entrambi ridacchiavano; osservandoci, guardavano soprattutto il mio amato.
-Che fai, non ci presenti la tua fidanzata, fratellone? – la giovane si rivolse al piccolo uomo accanto a me. Ricordo lo stupore che mi aveva pervaso nel rendermi conto di quel bizzarro appellativo.
-E così ti sei innamorato, Levi? – intervenne il ragazzo. –Sapevo che sotto sotto sei dolce come il miele.
L’interessato sospirò. –Voi mocciosi non fate altro che dire assurdità, non è così? – scosse il capo.
-Così tu sei la famosa Claire, vero? – mi domandò la giovane. –Tanto piacere, io sono Isabel.
-Furlan.
Strinsi la mano ad entrambi, un po’ agitata.
-Ci sai proprio fare, coi gusti, Levi. È proprio carina! – esclamò Isabel, saltandomi addosso di colpo.
-Lasciala in pace, Isabel. Non soffocarla – la intimò Levi.
La più piccola gli fece una linguaccia. –Vedi di non rompere, tu!
Rimanemmo a osservare l’orizzonte, il sole che piano piano si destava, senza proferire parola. Di colpo mi accorsi che l’acqua del lago arrivava fino ai nostri corpi, bagnandoci fino all’altezza dei ginocchi per poi scorrere nella direzione opposta. Mai mi era capitato di assistere ad un fenomeno del genere. Ma nessuno sembrava accorgersi di nulla: Levi osservava distratto le piccole onde, Furlan e Isabel mi guardavano.
-Claire, puoi prometterci una cosa? – mi chiese il ragazzo.
-Prometti che avrai cura del nostro fratellone? – concluse Isabel.
Con le lacrime agli occhi, risposi di sì, cercando l’attenzione di Levi. Quest’ultimo mi guardò, carezzandomi come sempre la guancia.
 
Pochi secondi dopo ero adagiata sul letto della sera prima, da cui mi alzai piano piano. La luce fioca proveniente dalla finestra alle mie spalle mi annunciava che doveva trattarsi dell’alba. L’intera Legione ancora si stava godendo il sonno, prima di prendere parte ad una faticosa giornata.
Cercai Levi da qualche parte della stanza: non lo incontrai né seduto ai bordi del letto, né adagiato sulla poltrona. Che fosse in bagno? No, la porta era aperta, l’interno buio.
Solo alcuni istanti dopo mi accorsi che il suo corpo era disteso in una scomoda posizione accanto a me. La testa poggiava sullo schienale, inclinata verso il posto dove avevo riposato.
Stentai a credere a ciò che stavo osservando: per la prima volta lo vedevo dormire, e ciò che più mi era parso stupefacente era che, invece di farlo sulla poltrona, aveva preferito adagiarsi al mio fianco.
Mi doleva molto che fosse costretto a rimanere in condizioni così incomode. Mi ero ingiustamente appropriata di tutti e due i cuscini che formavano il letto, dimenticandomi di lasciarne uno per quell’evenienza.
Molto lentamente, mi inginocchiai sul materasso con l’intento di sistemargli un guanciale sotto la nuca; ma, come mi ero mossa, egli si era già svegliato di colpo, con un’espressione preoccupata in volto.
-Dio mio, Levi. Scusami tanto – lo supplicai.
-Tranquilla, non sei stata tu – si rialzò. –Ho appena avuto un incubo. Non è una rarità.
Ero intimorita da quello che avrebbe potuto pensare, tuttavia, non mi astenei dal chiedergli: -Sognavi di perdere qualcuno? Furlan e Isabel?
Egli annuì, osservando le coperte.
-Credo di averli sognati anche io – rivelai. –Non chiedermi come abbia fatto, nemmeno ho avuto una loro descrizione fisica.
-Come li hai immaginati?
Ci pensai qualche attimo, rievocando quei pochi ricordi relativi a quel sogno già sbiadito. –Beh, Furlan aveva i capelli biondissimi e gli occhi azzurri, simili a quelli di Erwin ma molto più vispi. Isabel aveva la chioma più o meno corta e bruna, due occhi giganteschi. Entrambi erano coetanei.
-Non so come tu abbia fatto, Furlan era identico a come me l’hai descritto, ma più grande di lei. Per Isabel, be’, i capelli erano rossi. Gli occhi grandi color smeraldo – terminò. –C’ero anche io, per caso?
-Assolutamente sì. Credo che quei due ci stessero spronando a continuare senza indugi la nostra relazione – sorrisi intenerita. –Isabel mi abbracciava come una buona amica.
Pochi secondi dopo, egli compì lo stesso gesto, stringendomi a sé con un braccio. –Tra un po’ ci sarà la nuova spedizione – mi ricordò. –Cerca di non metterti nei guai con quei mostri.
Sospirai. –Io spero solo di poter fare pace con lei prima di partire.
Ricomponendomi per ritornarmene in silenzio nel dormitorio, come se nulla fosse accaduto, mi avvilii ancora.
-Ricorda: abbi fiducia. Mi spiace, non posso augurarti altro, sarà lei a decidere se dimenticare questa storia – mi disse lui, prima che potessi lasciarlo. Era straordinariamente realista. Feci un cenno con la testa, avviandomi fuori da quella stanza in cui avevo trovato tanta consolazione da dimenticare per un attimo tutti i miei problemi.
 

Sfortunatamente, nonostante fossero passati numerosi giorni, all’alba del giorno in cui mi apprestavo a partecipare alla quarantanovesima spedizione, Petra stentava ancora a rivolgermi la parola, se non nei casi in cui eravamo costrette a collaborare per allenarci in un attacco o per discutere di altre faccende prettamente militari.
Ultimamente, doveva aver parlato con gli altri, curiosi dell’improvviso allontanamento tra me e lei, di quello che era accaduto, limitandosi ad assicurarsi che i tre non diffondessero alcuna notizia riguardo la presunta relazione tra me e il caporale.
Anche loro cominciarono a trattarmi con indifferenza, o almeno non parlavano più con me assiduamente come prima. Col passare dei giorni, mi ero accorsa di aver anche spezzato il cuore a Gunther, che a stento si rivolgeva a me col suo solito tono dolce. Eppure non avevo ancora trovato il coraggio di affrontare la questione, preferendo inizialmente rimanere in disparte a collaborare con loro solo in veste di collega.
Ora non dovevo più preoccuparmi di quelle cose, e concentrarmi solo ed esclusivamente sulla missione. In direzione di Trost, cercai di tranquillizzarmi con il fatto che la nostra squadra fosse stata piazzata nelle retrovie, per cui erano a dir poco scarse le probabilità che, sulla strada, avessimo potuto imbatterci in un colosso.
Mi distrassi osservando i contadini che nei campi circostanti lavoravano senza sosta, e, incuriositi, guardavano l’avanzata dell’Armata Ricognitiva.
Catturò la mia attenzione una giovanissima fanciulla bruna, sporca di terra in viso, che, tra tutti, pareva guardare me, o comunque la squadra di Levi. Per quanto fosse chiaramente di umili origini, era straordinariamente graziosa; il suo candore mi ricordò quello della compagna del capitano Dawk.
Tentai di sorriderle, prima di rendermi conto che il cavallo di Oruo, posizionato tra me e la ragazza, sembrava aver assorbito tutte le ansie del suo cavaliere, e minacciava di liberarsene, colpendo contrariato gli zoccoli sul suolo.
-Che sta succedendo, qui? – domandò Levi davanti a me.
-Signore, il mio cavallo… - iniziò Oruo.
-Non dovrebbe comportarsi così – constatai.
-Oruo, scendi immediatamente – lo intimò Petra.
-Non riesco… - provò a giustificarsi quest’ultimo. Il destriero era già fuori la formazione, in direzione della povera contadina rimasta impalata a fissare il grosso animale imbizzarrito.
Pochi secondi dopo e sarebbe stata calciata, se Erd non avesse deciso di intervenire coraggiosamente, conducendo la ragazza lontano dagli occhi del cavallo.
-Attenta! – esclamò lui, strattonandole la vita.
Intervenimmo io e Gunther per salvare anche Oruo e cercare di calmare il suo destriero. Ma gli occhi di tutti erano puntati sul mio compagno d’arme soccorso in aiuto alla povera contadina.
-Tutto bene? – chiese quest’ultimo alla ragazza scombussolata e spaventata.
Ella annuì, incerta. Avrei giurato di aver visto il mio amico arrossire.
-La ringrazio tante… per avermi salvato – mormorò la giovane.
-Era mio dovere – rispose il ragazzo, allungandole la mano. –Sono Erd. Tanto piacere.
-Aubrie – rispose intimidita lei, ammirando con i suoi occhi innocenti il soldato biondo.
Entrambi si osservarono, ma la loro intesa di sguardi venne interrotta dal caporale: -Sbrigatevi a tornare in formazione! Anche tu, Erd!
Quest’ultimo si schiarì la voce, mentre io e Gunther riconducevamo Oruo sul cavallo.
-Ora devo andare. Lieto di averti conosciuto e di esserti stata d’aiuto.
I due si salutarono con grande timidezza. Più rincuorata che mai, mentre proseguivamo la nostra avanzata verso il distretto, mi voltai verso Erd.
-Sei stato in gamba – mi complimentai.
Egli arrossì, sorridendo. –Qualcuno doveva pur intervenire, no?
-Già – risposi, prima di continuare a galoppare alle spalle di Levi, domandandomi cosa avesse potuto pensare proprio quest’ultimo.
Proseguimmo sulla strada, raggiungendo ben presto il portone da cui si accedeva per la città.
Come la prima volta, inizialmente buona parte dei cittadini osservava il nostro arrivo con grande entusiasmo, come se fossero appena giunti i salvatori, gli eroi che si leggevano nei libri.
Di nuovo, ci dissero che la preparazione da parte della Guarnigione per l’apertura della porta avrebbe richiesto del tempo; stufa di attendere e ansiosa all’idea di dover mettere piede ancora una volta in un territorio popolato dalla nemesi, avevo voglia di farmi un giro.
-Soldatessa, soldatessa! Sei ritornata! – urlò una voce infantile nei dintorni. Il tempo di voltarmi, incontrai i visini dei tre bambini conosciuti qualche tempo prima durante una visita a Trost.
-Wow, che bel cavallo! – i tre ammirarono il mio destriero, i loro volti rivolti verso l’alto, stupiti.
I due bambini tenevano per mano la silenziosa Ellen, che mi osservava con ammirazione. Che gran tenerezza mi facevano quei piccoli pargoli, ignari di tutte quelle atrocità che avrei dovuto affrontare da lì a poco senza nemmeno il sostegno dei miei amici!
-C’è anche il capitano Levi! – esclamò Carlo, guardando il mio compagno smontare dal suo cavallo prima di invitare i suoi amici a compiere il nostro tipico saluto militare.
Quest’ultimo si avvicinò al nostro gruppetto, scompigliando i capelli di Agrim. –Ma voi non avete mai niente da fare, se non vagabondare per le vie?
-Nossignore – rispose senza indugio il bimbetto castano.
-Vedete di non cacciarvi nei guai, allora. E obbedite sempre alle vostre mamme – aggiunsi io, ridacchiando, incrociando lo sguardo attento e interessato di Petra.
Mi domandai il motivo per cui era così presa a guardarci da ignorare completamente il discorso che le stava rivolgendo Oruo; ma ben presto la dimenticai, concentrandomi su Ellen che mi strattonava il mantello.
-Ho fatto una spilla, ieri. Vuoi vederla? – chiese innocentemente.
-Sì, per favore – la supplicai, inginocchiandomi.
Ella tirò dalla sua piccola tasca una spilla ricoperta di due sottilissimi nastri alternati, uno bianco e uno blu. Mi prese timidamente una mano, rendendomi il piccolo bijou. –Te la regalo.
Le sorrisi. –E’ così bella. Grazie, piccola – le strizzai un occhio, indossando davanti a lei l’oggetto sulla giacca beige, ponendola all’altezza del vecchio bottone. –Ora li ho tutti qui – indicai i due umili gioielli. –Sei contenta?
Ella annuì, arrossendo un po’. Nel frattempo, i due bimbi stavano supplicando Levi affinché quest’ultimo acconsentisse a farli montare sui cavalli.
-Fate i buoni e rimanete sulle selle, però – intervenni. Gli occhi dei due si illuminarono, ma il caporale mi guardò interdetto. –Capitano, so per certo che questi ragazzi d’oro faranno i buoni – dissi, e mi rivolsi nuovamente ai fanciulli: -Non è vero?
Essi risposero di sì, eccitati. Allora, Levi alzò da terra Carlo, aiutandolo a salire su Blue, io feci la stessa cosa con Agrim, adagiandolo sulla sella di Edmund.
-Com’è alto, qui! – urlò Carlo, richiamando l’attenzione degli altri soldati, folgorati dalla figura del bambino seduto sul destriero del caporale maggiore.
-Mi sento un soldato della Ricognizione!
-Credo che anche questa bimba curiosa voglia farsi un giro sul tuo Edmund, Claire – osservò Levi.
Non me lo feci ripetere due volte: diedi a Ellen il tempo di godersi la panoramica da cavallo, poi fummo costretti a farli scendere per prepararci all’apertura della porta.
-Ammazzateli tutti! – ci spronò Agrim, una volta che fummo tornati nel mezzo della formazione.
-Siete i più forti! – aggiunse eccitato Carlo. –Siete i nostri eroi!
Salutai con la mano tutti e tre, Levi fece un cenno col capo, concentrandosi davanti a sé.
Sentii piombare su di me una grossa responsabilità: mi promisi di nuovo che ce l’avrei messa tutta anche quella volta. L’avrei fatto per la sopravvivenza dell’umanità, per quei miei piccoli amici che meritavano una vita migliore, lontano da una gabbia alta cinquanta metri.
Rinnovare quella promessa sarebbe divenuto una vera e propria prassi prima di ogni mia missione. Che mi si credi o meno, ancora oggi auguro tutto il meglio agli abitanti delle Mura, figli di coloro che hanno patito le pene infernali per ben cento anni in una scatola chiusa, piena di sofferenza e di miseria.
-Il portone si apre. Tutti pronti a galoppare! – gridò un superiore.
Osservavo la grande porta sollevarsi, i soldati davanti a me cavalcare all’unisono verso l’esterno, l’adrenalina che mi scorreva nelle vene.
Momenti dopo, ricevemmo l’ordine da Erwin di sparpagliarci e di attuare a tutti gli effetti la disposizione ad ampio raggio.
Per questo motivo, io e Gunther, disposti alla sinistra del capitano Levi, avanzammo in quella direzione; in quella opposta fecero lo stesso Oruo e Petra, Erd rimase più indietro. La nostra era l’unità centrale della quinta linea, posta tra quella di comando e la squadra di scorta per l’approvvigionamento, che, nel caso di una spedizione-lampo come quella, non trasportava un gran carico di provviste o altri utensili militari.
Benché fossimo stati posti nel cuore della formazione, l’ansia iniziò a prendere il sopravvento; già non ero più in grado di avvistare i miei compagni, eccetto nel caso di Gunther, intento a galoppare a solo qualche metro di distanza da me. E se fosse successo qualcosa agli altri? Scossi il capo; adesso dovevo agire come un soldato degno di tale appellativo, che necessitava assolutamente di confidare nei propri compagni a qualsiasi costo.
Diversi fumogeni rossi iniziarono ad essere sparati dalle unità di ricognizione; fu difficile sottostare agli innumerevoli cambi di direzione provenienti dall’unità di comando, ma, non solo avevo familiarizzato già molto con quella formazione: disponevo anche del supporto del mio fidato compagno.
-A quanto pare la missione procede bene, - notò Gunther, accostando il suo cavallo al mio, -non hanno ancora sparato nessun fumogeno nero. Di anomali ce ne sono poco.
Era proprio quest’ultimo aspetto a preoccuparmi. Solitamente, questi ultimi non mancavano mai in situazioni dove un centinaio di soldati avanzava imperterrito. Che ci fosse qualcuno intrufolatosi nella formazione?
Udii il suono di passi pesanti. Iniziai a domandarmi se fosse solo l’effetto della mia tensione, ma questi accorrevano spediti da un gruppo di alberi nelle vicinanze.
Pescai lo spara fumogeni dalla borsa collocata al fianco della sella, cercando lentamente il colore nero.
Il mio compagno mi osservò confuso. –Claire, senti qualcosa?
Annuii, concentratissima. La mia previsione si avverò: un classe quattro metri si era scoperto dalla fitta vegetazione e iniziò a camminare in maniera meccanica dandoci le spalle, dirigendosi probabilmente all’unità di approvvigionamento.
Sparai preoccupata una scia oscura in aria, osservando il nemico.
-Accidenti, proprio a noi? – giudicai, sospirando e caricando le spade. –Gunther, credo proprio che tocchi a noi sbarazzarcene. Questo è sfuggito addirittura alla squadra delle comunicazioni.
-Qual è il tuo piano?
-Aggiriamolo. Gli taglio via le caviglie, tu pensa alla nuca – riflettei.
Anche lui tirò fuori le sue spade. –Come desidera, soldatessa.
Troppo presa dal momento di angoscia, poco feci caso al modo con cui mi aveva appena chiamata, appellativo ispirato probabilmente dalla conversazione che avevo avuto con i tre bambini di prima.
Ordinammo ai nostri destrieri di cavalcare verso il mostro, iniziando a salire in piedi sulla sella dura; partii spedita per prima, centrando il rampino all’altezza di uno dei polpacci prima di trascinarmi sull’erba e tranciare all’essere buona parte delle ossa sottili. Una volta rimasto a terra, Gunther si preoccupò di staccare via il retro della testa della povera creatura.
-Ottimo lavoro! – mi complimentai, cercando di fischiare affinché Edmund ritornasse.
Gunther mi aiutò nell’impresa, richiamando il suo destriero assieme al mio.
-Sai bene che non ho mai saputo fischiare – mi giustificai.
-Non ti serve. Le tue qualità sono ben altre – mi rassicurò lui, riposando le armi. –Se fossi il capitano Levi, mi sentirei terribilmente contento di avere una ragazza di talento come te nella mia squadra.
Imbarazzata, ripresi a cavalcare nella formazione, rivolgendogli un candido sorriso.
Meno male che avevo lui!, pensai. Tenevo molto a quel giovane forte, intelligente e generoso. La memoria di quell’abbattimento è sempre vivido nella mia mente, soprattutto perché ricordo ancora bene il suo atteggiamento nei miei confronti: si era fidato ciecamente di me, mettendo in pratica tutto ciò che avevo proposto senza indugiare.
Dopo quel quattro metri, io e Gunther non entrammo più in contatto con altri anomali – ne apparse solo uno nell’ala destra, abbattuto da qualche soldato d’élite di quella zona - , mentre la squadra ricognitiva segnalava ogni avvistamento di esemplari “normali”.
Ben presto, raggiungemmo la base logistica della vecchia torre. Vi sostammo per pochissimo tempo, permettendo soprattutto al Comandante di scegliere la via più vicina per raggiungere quei resti del piccolo villaggio in rovina, luogo in cui avremmo dovuto piazzare la nostra seconda base logistica. A detta di Levi, essa non era affatto lontana, ma, in quell’occasione, avremmo dovuto deviare un gran numero di giganti che ne ostacolavano il passaggio. Dichiarò che, una volta terminata la missione, sarebbe stato decisamente più semplice ritornare al primo accampamento.
Poco tempo dopo, Erwin ci ordinò di riprendere a marciare, seguendo comunque lo schieramento e il percorso alternativo che i superiori ci avevano indicato. Avendo deviato quel gruppo di titani avvistato, il raggiungimento della seconda base risultò più semplice del previsto.
Tirai un respiro di sollievo, non appena avvistai il villaggio di cui si era parlato. Diedi un’occhiata ai soldati nelle vicinanze: ebbi l’impressione che nessuno mancava all’appello, infatti attesi che gli ufficiali facessero rapporto al Comandante per comunicare l’esito della marcia.
Io e i restanti membri della mia squadra rimanemmo in attesa del nostro superiore, rispettando comunque l’ordine di aiutare l’unità degli approvvigionamenti a piazzare tende e a sistemare le varie provviste.
Non spostandosi da cavallo, pochi minuti più tardi, Levi tornò dalla sua squadra.
Tutti e cinque aspettavamo che ci dicesse qualcosa, ma poiché non sembrava interessato a proferire parola, fui io a intervenire: -Capitano, mi scusi, può dirci se ci sono state delle perdite, durante lo spostamento?
-Nessuna – rivelò lui. –Abbiamo fatto bene a confidare nella strategia di Erwin. Ho sentito dire che i due anomali apparsi nel mezzo della formazione non sono entrati in contatto con le altre unità, il che mi ha fatto supporre che siate stati voi a occuparvene.
-Io e Claire abbiamo abbattuto un classe quattro metri diretto ai carri – spiegò Gunther.
-Petra e io ci siamo occupati di un altro proveniente da sud – rispose Oruo.
Levi rimase visibilmente stupito, io ero assolutamente fiera dei miei compagni, per i quali avrei sempre provato una grande stima: non avevo idea di come facessero, ma il loro talento li stava portando sempre più al livello dei soldati veterani, benché il minimo di esperienza.
-Molto bene – disse il caporale. –Ora aiutate l’unità dei carri. Ma tenetevi sempre pronti, mi raccomando.
-Agli ordini! – rispondemmo all’unisono.
Gunther e io lavorammo nelle vicinanze di Levi, al quale avrei voluto porre un’infinità di domande, ma soprattutto desideravo ardentemente parlare con lui dopo aver affrontato l’avanzata.
Mi liberai presto dei miei impegni col pretesto di accudire Blue, sulla quale sella si trovava ancora il suo cavaliere.
Il cavallo sorprendentemente mi accolse avvicinando il muso al mio viso.
-Accidenti, Levi – dissi sottovoce. –Ti sei ritrovato a capo della migliore squadra del Regime Esplorativo. Non hai idea di quanto ti stia invidiando.
-I tuoi compagni hanno una forza notevole. Sono fiero di voi – rispose.
Gli sorrisi, prima di udire le urla della Caposquadra Hanji proveniente dalla tenda del generale.
-Che succede? – domandai, coprendomi gli occhi dal sole per poter guardare meglio.
-La Quattr’occhi continua a chiedere delle catture di quegli esseri.
-Guarda che lei non ha tutti i torti – la giustificai. –Come pretendiamo di conoscere quanto più possiamo sul nostro nemico naturale se non interveniamo nella loro cattura?
-Perché ci costerebbe un’infinità di soldati per ragioni inutili – ribatté lui.
La Caposquadra uscì contrariata dalla tenda, seguita dal suo secondo che, in una maniera o nell’altra, cercava a tutti i costi di placarla. Che mi si creda, Hanji Zoe può divenire ancora più pericolosa di un anomalo non appena le si pone un divieto, ma in quel momento non avevo ancora sperimentato quel lato oscuro della sua personalità, ragion per cui mi preoccupai tanto per il mio amico Oruo non appena l’ufficiale lo alzò da terra senza pietà facendogli correre il rischio di soffocarlo.
Mi congedai da Levi, correndo disperata dal mio compagno, rimasto assieme a Petra.
-Ma che è successo? – domandai apprensiva, non appena Hanji si fu allontanata.
-Oruo non sa tenere la bocca chiusa nemmeno con i superiori – spiegò la ragazza.
-Ma che dici, Petra? – sbottò lui, massaggiandosi il collo. –Sai benissimo che non saremo mai in grado di catturare una di quelle bestie, soprattutto se ci affidiamo a quella mentecatta. E poi, hai visto cosa mi ha fatto quella stronz…?
Non gli diedi il tempo di finire la frase, colpendogli la spalla. –Come ti permetti, brutto stupido?
-Ma siete tutti impazziti, qui? – si lagnò lui.
Ridacchiai, pensando che avrei potuto approfittare di quel momento per fare una chiacchierata con Petra dopo tanto tempo, usando qualsiasi pretesto.
-Com’è andata prima, con l’anomalo? – chiesi insicura.
-Non particolarmente difficile, direi – rispose lei. –Scusami, io e Oruo dobbiamo occuparci di sistemare il gas.
Detto questo, i due si allontanarono, lasciandomi sola alle spalle della tenda di comando.
Affranta e stanca di quella situazione, decisi di raggiungere la Caposquadra. –Signorina Hanji, mi dispiace che ancora una volta non sia riuscita a ottenere il permesso.
Ella si voltò, rivolgendomi un sorriso molto dolce. Che Moblit fosse già riuscito a calmarla a distanza di pochi istanti?
-Non preoccuparti, Claire. Riusciremo a realizzare il nostro desiderio, prima o poi – batté un pugno sul palmo dell’altra mano. –Costi quel che costi.
Feci di sì con la testa, prima di captare altri segnali di suono alle mie spalle. Potevo percepire strani versi imponenti, passi di gigante.
Mi girai, comprendendo che i rumori stessero provenendo dalla foresta in lontananza.
-Uh, c’è qualcosa? – mi domandò la Caposquadra.
Non riuscii a rispondere, la mia voce fu interrotta dal suono di un fumogeno. Tutto l’esercito guardò Mike, rimasto sul tetto di una vecchia casa a riferire eventuali avvistamenti. –C’è movimento nella foresta! – segnalò.
-A tutte le unità, prepararsi al combattimento! – gridò Erwin.
Hanji aveva già iniziato a correre verso il suo cavallo, rimasto, assieme al mio, alle cure di Gunther.
-Caposquadra, non sia precipitosa! – la intimai.
-E’ pericoloso! – aggiunse preoccupato Moblit.
-Erwin, vado a vedere di cosa si tratta! – disse lei, montando velocemente sul suo destriero per poi partire spedita.
-Ferma, Hanji! – la implorò Erwin.
Levi accorse immediatamente, venendo notato dal Comandante. –Levi – si limitò a chiamarlo quest’ultimo.
-Merda… Claire, raduna la squadra e seguimi – mi ordinò il corvino.
-Subito, capitano – feci come mi aveva chiesto, chiamando a raccolta i restanti quattro prima di raggiungerlo.
-E’ già entrata nel bosco – osservò il caporale, non appena lo avemmo raggiunto. –Faremo il giro. Potrebbe sbucare da un momento all’altro.
La sua predizione non tardò ad avvenire: Hanji sbucò qualche attimo dopo dalla foresta, inseguita da un gigante di sette od otto metri.
-Eccoti, brutta idiota – intervenne Levi, sparando un fumogeno in direzione del mostro.
-Ehi, non interferire! – sbottò Hanji, presa a giocare ad un bizzarro acchiapparello con quel titano.
-Caposquadra, è inutile attirarlo! Le unità non sono in grado di catturarlo in questa maniera – dissi io.
-Lascia fare, Claire. Facciamo parte dell’Armata Ricogniti…
Hanji si accorse che il gigante si era di colpo fermato; inquieto, con uno sguardo preoccupato che personalmente mi aveva messo i brividi, corse in senso opposto, ignorandoci del tutto.
-Aspetta! Torna qui! – lo supplicò Hanji, inseguendolo.
Ordinai ad Edmund di cavalcare più velocemente per stare al passo di quella folle; una volta nel bosco, mi trovavo assai più avanti rispetto ai restanti uomini di Levi.
Lo strano comportamento di quell’esemplare era assolutamente unico, persino per un anomalo. Come detto, ero inorridita alla vista della sua espressione trepidante, assolutamente diversa rispetto a quella vuota ma famelica degli esseri in cui mi ero precedentemente imbattuta. Inoltre, mi aveva spaventato il modo con cui aveva iniziato a squadrarci, per poi fare ritorno senza indugi da dove era provenuto.
-Signore, c’è qualcosa che non mi torna – mi accostai alla donna. –Non ha visto come si sta comportando? Perché ha smesso di rincorrerci all’improvviso?
-Lo scopriremo ora, cara – rivelò convinta.
-Per favore, affrontiamo la cosa con prudenza – la scongiurai. –Le sue peculiarità potrebbero andare addirittura ben oltre di quelle di un semplice anomalo.
La sua espressione si fece molto più eccitata. Compresi che non aveva più senso pregarla di minimizzare gli obiettivi, lasciando perdere la cattura. A stento Erwin riusciva a tenerle testa, figuriamoci una semplice recluta!
Poco dopo ci imbattemmo nel cuore della foresta. Il gigante aveva arrestato la propria corsa, piazzandosi davanti a un altissimo albero. Inizialmente non ce ne eravamo accorte, ma sembrava osservare la cavità nel mezzo del tronco. Poi, quell’essere iniziò a compiere un gesto così inaspettato da farmi ulteriormente rabbrividire: cominciò a colpire più volte il fusto dell’albero usando la testa.
Hanji scese lentamente da cavallo, e così feci io. Ella avanzò passo dopo passo verso la creatura, cercando la carica delle lame dal mantello.
-Caposquadra, la prego… - le sussurrai.
-E così volevi portarci qui, piccolo? Hai qualcosa da mostrarci?
-Signorina Hanji, non so più come dirglielo, si tolga da lì!
Il gigante si girò di colpo verso l’ufficiale, con l’intento di afferrarla. Ma questa, più accorta, si arrampicò su un albero, sfuggendo ad un passo dalla morte. –Ohoh, ci sei andato vicino!
Altrettanto mi allontanai anche io, schifata: il comportamento speciale di quell’essere mi spaventò ulteriormente non appena quest’ultimo aveva iniziato a disperarsi, muovendo disperatamente le braccia come se qualcuno gli stesse impedendo di…
-Che voglia comunicare? – pensai.
Hanji pareva straordinariamente tranquilla, a suo agio, trattando quel mostro di otto metri come il suo più caro amico. –Credo proprio di sì – sorrise, immobile di fronte alla creatura. -Cosa ci vuoi dire? Ti ascolto, parlami pure.
Il battito di entrambi i nostri cuori aumentò vistosamente. Eravamo tutte e due convinte che quel gigante stesse per dire qualcosa da un momento all’altro, segnando una svolta definitiva per la nostra causa. Per la prima volta, il genere umano avrebbe avuto modo di comunicare con quello che giudicavamo il nostro nemico naturale di sempre, avvicinanandosi di un passo alla verità su quei mostri approdati misteriosamente nel mondo.
Ma quell’illusione si dissipò con l’intervento del mio compagno Oruo, che aveva intercettato la collottola dell’esemplare.
-Oruo, fermati! – esclamò con poca furbizia Hanji. L’eccitazione aveva preso il sopravvento su di lei, facendole dimenticare che MAI è consentito ad un soldato di distrarre un compagno quando questi è intento ad utilizzare un’arma tanto potente quanto complessa come il dispositivo di manovra.
Il gigante di colpo smise di usare il minimo di intelletto di cui era provvisto, seguendo il proprio istinto e afferrando il mio amico spalancando le fauci.
-No! – esclamai, accorrendo in soccorso del compagno, sparai impulsivamente un rampino, mutilando l’arto che il titano aveva usato per stringere Oruo. Un attimo dopo, Levi terminò quanto avevo iniziato, facendo saltare via la collottola del mostro, che cascò a peso morto ai miei piedi.
Ancora col cuore in gola, preoccupata che il mio compagno potesse fare una brutta fine, mi resi conto di quanto, in realtà, l’intervento di Oruo, mio e di Levi avesse avuto un esito negativo: avevamo appena ucciso un essere tanto prezioso per la ricerca, e ci ritrovavamo di nuovo al punto di partenza.
-Che lerciume – commentò Levi, ripulendosi le lame. –Tutto bene, lì? – chiese a Oruo.
Quest’ultimo, adagiato sulla mano aperta del gigante ad evaporare, era in preda alle lacrime. –Capitano – iniziò, tirando su col naso. –Le sarò debitore a vita, lo giuro.
Lo guardai interdetto. –Ti ho liberato io dalle grinfie del mostro, e non mi attribuisci nessun riconoscimento?
Si asciugò il volto. –Credo di essermi anche slogato la spalla.
Mi inginocchiai verso di lui. Con un movimento brusco, gli risistemai l’osso, usando la tecnica appresa da Petra molto tempo prima. Susseguì un grido poco virile da parte del mio amico, al quale porsi la mia mano. –Dai, alzati. Sei stato coraggioso a intervenire, ma vedi di non fare più stronzate.
Quest’ultimo si rimise in piedi, grattandosi il capo. –La spalla non mi fa più male.
-E’ una cosa che mi ha insegnato Petra. Non pensavo mi sarebbe tornata utile, vero? – mi diressi a lei, che tuttavia non ricambiò lo sguardo. 
Delusa, osservai Hanji rimasta per terra in preda alla commiserazione. –Questo esemplare… poteva essere così importante per noi! E tu l’hai ucciso, Levi!
Il caporale avanzò nero di rabbia verso di lei per tirarle bruscamente il colletto della camicia. –Senti, quattr’occhi del cazzo, per quanto mi riguarda puoi benissimo decidere arbitrariamente di diventare merda di gigante – sbraitò. - Ma non permetterti mai più di mettere a rischio la vita di un mio sottoposto per una simile stupidaggine. Hai capito, maledetta?
-I giganti non defecano – rispose tranquillamente lei. –Non hanno nessun apparato digerente.
Levi la lasciò andare con poca gentilezza, facendola cadere per terra, ordinando di rimontare sui nostri cavalli.
-Capitano, non le sembra di esagerare? – aggiunsi, dopo aver guardato la poveretta.
-Smettila anche tu di seguire questa pazza appresso alle sue idiozie, mi hai capito? – continuò lui. Gli era impossibile continuare il discorso, ma ebbi l’impressione che mi stesse invitando a lasciar perdere la collaborazione con Hanji e di pensare più alla mia incolumità. –Rispondimi.
-Va bene, ho capito – lo liquidai, guardando altrove.
-Capitano, mi scusi…
-Cosa c’è, Petra?
Mi voltai verso la mia compagna, rimasta a fissare un punto dell’albero davanti a sé.
-Può mai… essere stato quello? Ma no… come avrebbe potuto? È…
-Di che stai parlando? – domandò spazientito il corvino.
Dopo quel discorso disconnesso, Petra indicò lentamente il fusto dell’albero di prima, nella quale cavità giaceva il cadavere decapitato di un ricognitore.
-Il corpo di un compagno! – esclamò Erd. –Ma che ci fa lì dentro?
Hanji vi si avvicinò, controllando la giacca ammuffita per risalire al nome del soldato. –Questo militare è morto durante la 34°. Il suo nome era… vediamo… Ilse Leg… Langnar.
Non riuscivo a osservare quell’orrore e abbassai il capo. Fu in quel momento che mi imbattei in un vecchissimo taccuino che raccolsi immediatamente da terra.
-Levi – cercai l’attenzione di quest’ultimo, dimenticando che forse avrei dovuto usare un appellativo più formale per l’occasione.
Egli prese l’oggetto dalle mie mani, controllandone l’interno. Si imbatté in pagine e pagine consumate ripiene di scrittura.
-Quello cos’è? – chiese dubbiosa Hanji.
-Il frutto dell’operato di Ilse Langnar – rispose il mio superiore. Mai l’avevo visto così particolarmente stupito e scosso.
 
Spazio autore: distanza di pochissimi giorni, ritorno con un capitolo la cui ambientazione risulta totalmente differente rispetto a quella del precedente!
Qualcuno ha idea di cosa sia lo strano "lago" in cui si è imbattuta Claire nel suo sogno? :) Magari riprenderemo l'argomento anche in futuro. nel frattempo, questa volta ho deciso di fare riferimento per la prima volta ad una reale vicenda vissuta dai nostri protagonisti, in particolare nello spin off dedicato al diario della Langnar. Ovviamente, sono rimasta fedele solo in parte all'episodio, cambiandone alcuni aspetti (la missione, infatti, si svolse solo nell'anno 850).
Erd sembra aver fatto una conoscenza interessante, e io ancora una volta ho deciso di dedicare un altro piccolo spazio alla mia cara Hanji. Ho un debole per i veterani, magari l'avrete già capito ;). 
Vi lascio anche stavolta, promettendo di pubblicare anche la prossima settimana, come sempre. Buon fine settimana!

 
 
  
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