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Autore: _Polx_    14/05/2018    2 recensioni
“Non sei affatto ottusa” diceva lui “hai anzi molto più senno e consapevolezza di gran parte delle dame che io conosco e che non potrebbero competere con la tua mente, se solo aveste modo d'incontrarvi” ma a quelle parole lei si sbeffeggiava. Mai lui si sarebbe abituato al suo riso, che le illuminava il volto come luce eppure taceva come la più buia delle notti.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Piccole anime infelici'
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Vi era un giovane appartenente a una boriosa combriccola di pupilli d'alto lignaggio discendenti, tale era la comune convinzione, da genti originarie delle Terre del Verno, ma stabilitesi in passato sul confine di Ponente. I titoli nobiliari avevano da tempo perduto il proprio valore, ma così non era per gli ingenti patrimoni che vantavano e per la grande influenza decisionale di cui godevano su tutte le questioni politiche della regione. Avevano la libertà di agire come più aggradava loro, nel rispetto o nel disprezzo, nel buon senso o nella noncuranza.
Quei protetti godevano di grande rispetto e i locali li onoravano e riverivano. Era chiaro a tutti fuorché a loro, tuttavia, che tale stima mascherasse preoccupazione e soggezione da parte dei popolani, i quali temevano che, per capriccio o diletto personale, essi potessero in qualsiasi momento accanirsi contro i comuni cittadini.
Vi era anche una giovane bella e misteriosa sulla quale lo scapestrato gruppo aveva posato gli occhi con particolare attenzione e proprio quel ragazzo fu scelto perché le si presentasse e giovasse liberamente delle sue virtù, qualsiasi mezzo fosse necessario impiegare per conquistarle.
Tuttavia, per lui non fu difficile. Non dovette abbassarsi né al ricatto, né all'inganno, né tanto meno a costrizioni, poiché era un giovane di bell'aspetto, i capelli dorati e gli occhi turchesi degli uomini del nord, e la fanciulla era sola, isolata da gran parte del mondo a causa delle sue bizzarrie e, per questo, innocente e ingenua.
Non parlava, come fosse muta, pure udiva ogni cosa e lui rideva rudemente mentre la vedeva gesticolare nel disperato tentativo di farsi comprendere, perché ben poco interesse vi era in quel ragazzo per ciò che lei aveva da dirgli. Tuttavia, era splendida e i suoi modi garbati per natura, sebbene fosse cresciuta in un ambiente modesto, non certo logorato dalla terribile povertà che affliggeva taluni contadini, ma altrettanto lontana dal lusso. Solo quindici anni gravavano sulle sue spalle e un paio in più erano quelli che lui portava su di sé. Trascorse ben dieci giorni nella sua piccola e accogliente dimora, come fosse un nobile signore desideroso di sfuggire per qualche tempo agli agi della sua ricca città tra le braccia di una creatura gentile e fragile che subito se ne invaghì, per suo diletto.
Venne accolto a festa dagli amici quando tornò e da quel momento più non si preoccupò della giovane muta, ma in pochi anni cominciarono a spargersi voci insolite, che di lei parlavano e a lui si riferivano, pur dilagando con discrezione, così che il facoltoso pupillo non potesse udire i nomi di coloro che le diffondevano né assistere direttamente ai discorsi che su di esse si concentravano.
Era consapevole di poterle ignorare e, anzi, sarebbe stato per lui tanto conveniente quanto opportuno, ma la curiosità e il dubbio crescente lo convinsero a mettere da parte l'indifferenza e, per la prima volta in tre anni, tornò a bussare alla porta della ragazza senza voce.
Gli occhi di lei si fecero grandi di sorpresa e timore quando lo riconobbero e, quale che fosse il motivo, non desiderava che varcasse la soglia. Nonostante ciò, i gesti della giovane erano contenuti, il suo sguardo inquieto ma rispettoso, sia in nome dell'amore acerbo che ancora provava nei suoi confronti, sia a causa della paura che l'aveva pervasa.
Non fu difficile per lui costringerla da parte e farsi avanti quel tanto che bastava per entrare in casa. Vide così ciò che la giovane nascondeva con tanta apprensione ed era una bambina splendida, di circa due anni, immersa nel gioco nonostante la presenza dell'estraneo, i capelli fulvi come quelli della madre e grandi occhi turchesi che lui riconobbe.
Subito la giovane si frappose a loro e il suo volto era rigato di lacrime disperate, mentre già prefigurava il più crudele dei destini cui la figlioletta avrebbe dovuto far fronte. Gesticolava freneticamente, come preda di un'improvvisa follia, ma non veniva compresa e l'animo di lei si incupì ancor più quando ne fu consapevole. Strinse la piccola a sé e non badò a lui che, senza proferir parola, voltò loro le spalle e se ne allontanò.
La giovane non dormì quella notte, né lasciò la figlia sola per un istante, ma nulla accadde e fu al contempo turbata e sorpresa quando, al tramonto del giorno successivo, lui tornò e rimase per qualche ora in loro compagnia. Poneva domande e cercava di dialogare, ma la ragazza non sapeva come fare e quando le propose di scrivere ciò che desiderava comunicargli, l'espressione sconsolata di lei lasciò intendere che vederla compiere un gesto simile fosse impossibile quanto sentirla cantare.
La nascita della piccola erede illegittima aveva reso il suo isolamento ancor più ferreo. Ciò fu chiaro quando il ragazzo si rivolse alla bambina e comprese che non sapeva parlare o, peggio, non capiva le sue parole, poiché mai ne aveva udite prima di allora.
La condotta che lui mantenne da quel momento in avanti stupì molto la giovane.
Ogni giorno tornò da loro, solitamente all'imbrunire, per andarsene quando la piccola prendeva sonno o, talvolta, per restare fino al mattino seguente e, avendo lui un nome stimato e una libertà negata a molti, mai ciò gli fu impedito.
Imparò il bizzarro linguaggio della fanciulla muta così come insegnò a lei a leggere e scrivere e, poiché era più svelta e arguta di quanto lui stesso non fosse, il giovane finalmente apprese il suo nome quando poté leggerlo sulla carta.
“Brya” disse e gli occhi di lei si colmarono di lacrime, perché da anni non aveva il piacere di udirlo dalle labbra di qualcuno.
La bambina non possedeva un nome: mai Brya aveva avuto modo di insegnargliene uno.
Lui la chiamò Dyré e presto la piccola parlò speditamente.
Quando tra loro vi fu confidenza e il giovane comprese discretamente i gesti di Brya, le chiese come avesse perso la facoltà di parlare e lei mostrò un segno sulla sua gola che lui aveva già notato: una cicatrice spessa e profonda, residuo di un trauma crudele che l'aveva irrimediabilmente ammutolita. L'amministrazione locale le concedeva fondi sufficienti a vivere dignitosamente e la possibilità di risiedere nella dimora dei genitori deceduti, perché non aveva altre fonti di sostentamento e, figlia di artigiani mesti e ordinari senza più dote nonché vittima d'una menomazione che la faceva apparire tonta e ottusa agli occhi di tutti, mai avrebbe trovato marito.
“Non sei affatto ottusa” ribatteva lui “hai anzi molto più senno e consapevolezza di gran parte delle dame che io conosco e che non potrebbero competere con la tua mente, se solo aveste modo d'incontrarvi” ma a quelle parole lei si sbeffeggiava. Mai lui si sarebbe abituato al suo riso, che le illuminava il volto come luce eppure taceva come la più buia delle notti.
Al di fuori del piccolo nucleo, tutti sapevano quanto accadesse, ma nessuno ne faceva parola e il giovane sosteneva con piacere tale indifferenza, per quanto forzata essa fosse. Solo sua madre mostrava con sempre maggior ferocia il proprio disappunto. Lo redarguiva con amarezza e non sopportava il disonore piombato sulla loro famiglia ad opera di una povera campagnola e della sua figliola naturale: “abbi la decenza d'insegnarle a chiamarti signore, in presenza d'altri”.
Tale era la considerazione che aveva della piccola e mai vacillava nell'esprimere apertamente il proprio pensiero, ma a quelle parole il giovane si rizzò rigido come pietra e la guardò con occhi ancor più algidi: “mai Dyré mi ha chiamato signore e mai dovrà farlo” fu la sua risposta “né mi chiamerà per nome: sono suo padre ed è giusto che mi tratti come tale”.
“Perché tu sia suo padre, lei dovrebbe essere tua figlia”.
“E così è”.
“Piuttosto, direi che è la tua bastarda”.
“Non osare” la zittì indignato e più non volle parlarne con lei.
Ne ignorò le insistenze finché gli fu possibile ma, prossimo che fu il quarto compleanno di Dyré, ormai saturo di tanti rimproveri, prese una decisione che molti avrebbero considerato folle.
 
  
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