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Autore: fragolalidia    17/05/2018    1 recensioni
[Royaumes Renaissants]
Madamigella,
Vi chiederete chi vi lascia questa missiva davanti alla porta di casa e io debbo dirvi che, purtroppo, sono una persona che probabilmente state odiando con giusto rancore.
Permettetemi di dirvi che il mio nome non ha importanza e non l’avrebbe neanche la mia identità o la mia stessa esistenza davanti ai vostri occhi se non fosse per l’unico motivo che riempirebbe d’orgoglio qualunque uomo sulla faccia della terra: essere vostro padre (questa ciocca me l’ha strappata uno strano e terrificante gatto un po’ malandato ad Alessandria: un gatto strano che comandava pecore sbattendo la zampetta destra sul terreno...). In vero, è proprio il motivo per cui non vi dico come mi chiamo: non voglio che un giorno a sentire il mio nome, voi mi guardiate con i vostri grandi e meravigliosi occhi carichi di odio: preferisco l’indifferenza che con voi so che sareste semplicemente carica di affettuosa carità nel vedere un uomo solo che vi guarda con ammirazione.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Regni Rinascimentali - memoria di una cittadina'
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AVVERTIMENTO:
I nomi qui usati sono gli stessi usati nel Gioco di Ruolo “Regni Rinascimentali”.
Essendo una storia legata a quel mondo e non avendo fatto rielaborazioni per il mondo virtuale fuori da quello, ho scelto di non cambiarli.
Quei nomi sono gli User Name degli utenti.
LA STORIA NON HA SUBITO NE’ ALTERAZIONI, NE’ MODIFICHE NELLA TRAMA, NEL CONTENUTO, NE’ NELLA FORMA


Questo racconto è stato scritto nel 2012

Madamigella,
Vi chiederete chi vi lascia questa missiva davanti alla porta di casa e io debbo dirvi che, purtroppo, sono una persona che probabilmente state odiando con giusto rancore.
Permettetemi di dirvi che il mio nome non ha importanza e non l’avrebbe neanche la mia identità o la mia stessa esistenza davanti ai vostri occhi se non fosse per l’unico motivo che riempirebbe d’orgoglio qualunque uomo sulla faccia della terra: essere vostro padre (questa ciocca me l’ha strappata uno strano e terrificante gatto un po’ malandato ad Alessandria: un gatto strano che comandava pecore sbattendo la zampetta destra sul terreno...). In vero, è proprio il motivo per cui non vi dico come mi chiamo: non voglio che un giorno a sentire il mio nome, voi mi guardiate con i vostri grandi e meravigliosi occhi carichi di odio: preferisco l’indifferenza che con voi so che sareste semplicemente carica di affettuosa carità nel vedere un uomo solo che vi guarda con ammirazione.
Non sto mentendo e la ciocca di capelli che vi lascio a testimonianza di questa parentela non può confondervi: sono dei capelli identici ai vostri in tutto e per tutto, solo che non vi appartengono in quanto sono i miei.
Non vi scriverei ai se non per il caso eccezionale che sono venuto a sapere che voi state per essere adottata.
Ne ho sentito parlare da un’alessandrina in viaggio per il ducato e ho avuto conferma da vostra madre a cui ho subito chiesto spiegazioni.
Per favore, non smettete di leggere questa lettera e permettetemi di continuare nella mia confessione: voglio raccontarvi come siete venuta al mondo. Non chiedo ammenda, ma penso comunque ne abbiate il diritto per cominciare più serenamente la vostra nuova vita.
Sono un uomo che ama le stelle e dormire all’aria aperta. Per questo ormai la mia dimora la vedo solo raramente, ma non me ne faccio un problema e neanche lei.
Conobbi vostra madre ad Alessandria, la città dove siete nata ed è lì che siete stata concepita. Vostra madre è una donna semplicemente eccentrica. E’ tendenzialmente una testa calda, ma sa fare anche incredibili gesti pieni di altruismo. In vero, la prima volta che ci siamo incontrati siamo finiti a botte e mi giurò odio eterno (il motivo non lo ricordo, lei sicuramente sì) per poi scoprire subito dopo che ero (a suo dire) costretto a dormire sotto le stelle, con la conseguenza che mi offrì la sua ospitalità.
Il resto è storia: ogni volta che passo per Alessandria non posso fare a meno di cercare rifugio da lei.
L’amo, ma se mai scoprirai chi è, non dirglielo (te ne prego!): Mi ucciderebbe.
Quando scoprii della tua nascita (ebbene sì, eri già nata) andai su tutte le furie: ti vidi in taverna, così piccola e indifesa, circondata da degli emeriti sconosciuti; ti chiederai come feci a sapere che eri mia figlia, immagino. Beh, perché vidi come ti guardava tua madre: quello sguardo lo conosco molto bene nei suoi occhi, era di puro amore e sono stato tra quei pochi a cui lei l’ha rivolto.
Mi vide quando stavo per entrare e mi impedì di venire da te.
Mi spiegò quello che aveva fatto: che ti aveva abbandonata all’entrata di una taverna e che era stata a guardare fino a quando non ti raccolse una sua concittadina. Mi infuriai, ma inutilmente: mi diede un colpo in testa e ricominciammo a parlare solo quando mi svegliai legato ad una sedia della sua bottega.
Discutemmo animatamente e io le dissi che non avrei mai permesso che nostra figlia vivesse senza i suoi genitori e allevata da estranei.
Fu allora che disse un’amara verità. Queste parole le ricordo come se le avesse appena pronunciate, tanto mi fanno male:
“Figlia tua e mia? Povera sciagurata se lo fosse rimasta! Tu sei incapace a mettere radici e avere responsabilità! Sei totalmente inutile a lungo termine e la faresti solo soffrire e io: oh, andiamo! Il più grande atto d’amore che le sto facendo è proprio quello di non essere sua madre: la rovinerei forse più di te! Ora non ha solo due genitori disgraziati come noi! Ha Kallistra che l’ha subito presa sotto la sua ala, ha Adamas che la segue passo passo, ha Gio che l’aiuta come ha aiutato un tempo me, ha il tribuno e il sindaco che vegliano su di lei. Ha tutta Alessandria che le fa da mamma e papà! E non c’è cosa più bella, né onore più grande! Come madre so che è il mio più grande atto d’amore quello di amarla nascosta nella maschera di una sua concittadina, piuttosto che nel volto della madre che non saprei fare. E tu, se davvero le vuoi bene, non fare l’egoista: amala da lontano e scambiaci qualche parola se l’incontri per strada, ma non costringerla ad amarti come un padre perché lei merita di meglio."
E’ ironico che poi tu hai deciso di diventare Comasca e avvicinarti di più alle mie terre che alle sue, ma quando gliel’ho fatto notare lei mi ha solo sorriso e riposto con orgoglio: “Ma lei è quello che è proprio perché è alessandrina! Lei sa di essere amata perché è amata, perché Alessandria la ama e perché noi l’abbiamo amata così tanto da rinunciare a lei."
Ammetto che, vedendoti adesso, tua madre diceva il vero (peccato che io detesti darle ragione): ti ho visto accompagnata all’uomo che mi sta sostituendo e sei felice, più di quanto non lo saresti mai stata con me. E ringrazio l’Essere Supremo che ha dato a tua madre tanta lungimiranza, perché ogni volta che sei caduta, lui ti ha offerto la mano come forse io non sarei riuscito a fare, non perché non avrei avuto il coraggio, ma proprio perché non sarei stato lì con te: purtroppo sono un egoista.
Ed eccoci arrivati al motivo di questo messaggio, piccola Aryale.
Permettimi questo ennesimo atto di amore egoista.
Quando tua madre ti lasciò davanti alla porta di quella locanda, ad Alessandria, ti lasciò con una copertina. Da quella copertina venne preso il tuo nome: Aryale; in verità sarebbe “Ary" e “Le", ma tua madre non è mai stata una grande ricamatrice (per fortuna è abbastanza onesta da aver deciso di non fare la sarta e, tecnicamente, quella coperta era uno scialle che io le feci con della lana d’avanzo).
C’è da dire che il risultato è stato, comunque, un nome stupendo: ho sempre pensato che fosse il nome perfetto per la brezza di primavera e il colore azzurro di un cielo estivo (e se tua madre lo sapesse mi darebbe dell’idiota vagabondo; e forse è vero, ma per l’idiota: io non sono vagabondo, sono un girovago).
Molto prima del tuo concepimento, parlai con tua madre del nome che avremmo dato ai nostri figli. O meglio: io parlavo e lei rideva (non ha mai avuto intenzione di avere figli: sapeva già quali erano i suoi limiti). Io le dissi che, assolutamente, il tuo nome, il nome di nostra figlia intendo, sarebbe dovuto essere uno e uno soltanto; permettimi di quindi di donartelo una seconda volta, in vista della tua adozione (da parte di un uomo che non sono io, ma che, per quanto lo invidi, so che è migliore di me per il ruolo di padre):
Leuviah.
Leuviah, l’angelo che offre l’anticipazione di questo paradiso terrestre con la sua sola presenza.
Leuviah, perché sia equilibrata, amabile e sempre di buon umore, anche nelle avversità.
Leuviah, perché la personificazione di un amore ricco e strabordante, perché tale è quell’amore che è riuscito a portare alla luce una creatura tanto luminosa.
Leuviah, perché le sue emozioni facciano scoprire a chi le sta accanto i mondi meravigliosi che la circondano.
Leuviah, dove la Grazia della Giustizia prevale sul rigore della stessa, perché essi sono indissolubili in lei.
E sono felice, vedendoti, mia cara: tu non mi hai smentito. Leuviah è il “Le" di Aryale. Sì, perché tua madre, per dispetto (non è un a menzogna: me lo disse facendomi una linguaccia), te ne diede un altro prima del mio. Che poi sembra che abbia visto nel futuro (o che quel messere a cui ti stai per imparentale abbia avuto un’illuminazione): è lo stesso che, ho sentito dire, vuole darti l’altro tuo padre, forse perché spera che tu un giorno riesca a sgrovigliare il filo ingarbugliato del tuo passato e a tesserti un futuro luminoso. Come del resto lo sperava (e lo spera tutt’ora) tua madre.
A proposito di tua madre, vorrei dirti una cosa su di lei: è vero che ha deciso di abbandonarti, ma ti è sempre stata vicina per quanto le fosse possibile e ha odiato tutti coloro che si sono proposti di adottarti e credo abbia smesso di odiare il tuo futuro padre adottivo per due motivi: in primis è un uomo e quindi ti adotta un padre e non una madre, poi perché beh, ti ha visto felice e sa incassare: non metterebbe mai barriere alla tua felicità e lei è sempre pronta, dietro di te, in caso di caduta.
Con infinito amore
Tuo padre.
Ps: comunque spero che, oltre ai capelli, tu abbia ereditato almeno il mio fegato: tua madre non regge molto l’alcool.
Ti ho vista anche rispondere a uomo che si dichiarava a te senza conoscerti neanche e tu gli davi alle spalle del provolone viscido (ebbene sì: quella volta a Milano ero dietro di te, a bere con un mio amico, l’uomo in verde che è sempre in quella taverna) e della capra a una personalità eccessiva e devo dirtelo, cara: così sei tutta tua madre e la cosa mi rende ancor più fiero di te, ma tu non dirglielo.


NOTA DELL’AUTRICE:
Questa lettera faceva parte di una storia scritta principalmente da Aryale e Terge in occasione dell’adozione di lei. Lei la voleva per dare una stora a come veniva presa definitivamente sotto l’ala protettrice di Terge.
Da parte mia come gioco di ruolo come Fragolalidia mi preoccupai di partecipare come persona interessata al futuro della sua protetta, ma la parte scritta per questa occasione è un piccolo pezzo che estrapolato non avrebbe nè capo nè coda.
Aryale nella Storia di una vendetta - missione cacca era poco più di una bambina, mentre ora, cresciuta, sta per iniziare il terzo importante momento della sua vita.
La ragazza dietro il personaggio parlando con me, voleva che ci fosse qualcosa che la facesse vacillare, che facesse pensare ad Aryale che forse non stava facendo la cosa giusta.
Da qui saltò fuori l’idea che riceveva la missiva dal padre naturale (a contrapposizione di quello attivo) e che visto che lei cominciava una nuova vita, era giusto che sapesse qualcosa della vecchia.
Così mi diede un paio di giorni e io mi inventai questa missiva, decidendo una votla per tutte di dare un senso alle domande che nel gioco la piccola Aryale continuava a porsi sulla sua nascita e sul suo abbandono e permettendo anche un turbamento proprio nella giovane. Un turbamento comprensibile per ogni individuo.
Scrivere frasi come “se cadrai io di prenderò” sa tanto di Baci Perugina, io non sono brava con le frasi ad effetto, scrivo soprattutto lunghi monologhi.
Spero vi sia piaciuta comunque.

  
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