Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PeNnImaN_Mercury92    19/05/2018    4 recensioni
Anno 846. Claire Hares si unisce all'Armata Ricognitiva in compagnia della sua migliore amica Petra Ral. Un fato atroce che la attende a casa influenza la sua scelta, ma il suo animo audace, generoso e un po' istintivo la renderanno una magnifica combattente sul fronte. Claire ci racconta la sua vita dopo essersi unita al Corpo di Ricerca, le sue emozioni, le sue soddisfazioni, i suoi timori e il suo rapporto con i suoi cari amici e con un soldato in particolar maniera. Armatevi di lame e di movimento tridimensionale e seguitela nelle sue avventure!
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio, Petra Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Wings of Freedom Series '
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20. Il diario di Ilse Langnar

Mi chiamo Ilse Langnar. Membro della 34° spedizione. La mia squadra si è imbattuta in un gruppo di giganti durante la ritirata. Ho perso compagni e cavallo.
 
Ho abbandonato il mio dispositivo di movimento. Ho iniziato a correre verso nord per raggiungere quanto prima le mura. Non permetterò che la paura abbia il sopravvento su di me.
 
Io sono le ali della libertà dell’umanità. Un membro dell’Armata Ricognitiva. Io non temo la morte.
 
Combatterò fino al mio ultimo respiro.
 
Non ho armi, ma continuerò a lottare.
 
Io non mi arrenderò.
 
Queste furono le parole che mi trafissero il cuore non appena i restanti membri della mia squadra, riunitasi attorno ad un lungo tavolo alle cui estremità sedevamo io e Levi, mi avevano reso sconvolti quel piccolo taccuino ritrovato durante la nostra ultima spedizione.
Eravamo riusciti a sopravvivere anche quella volta. Tuttavia, il cadavere e il diario da noi ritrovato avevano dato inizio ad una vera e propria svolta nella Ricognizione, sconvolgendo anche i superiori.
Chi era Ilse Langnar? Perché il ritrovamento di quel diario venne considerato così importante dagli ufficiali? Fui in grado di soddisfare la mia curiosità proprio quella sera, quando il capitano ci aveva convocati per farci leggere le memorie della soldatessa morta valorosamente l’anno precedente nelle praterie del Wall Maria.
Io non mi arrenderò. Pensavo che il taccuino si limitasse a riportare le parole impetuose e sfrontate, che mi avevano scosso profondamente l’animo, scritte negli ultimi momenti di vita del soldato.
-Va’ avanti, Claire – mi consigliò Erd, preoccupato in volto.
Feci come mi aveva detto, voltando le pagine frantumate per rileggere il proseguimento. Riporterò solo alcuni frammenti del racconto letto quella sera:
 
Imbattuta in un titano, un classe sette-sei metri che non mi attacca direttamente. Che sia un anomalo?
 
Il mio viaggio è giunto a capolinea, è la fine, ormai. Così prematura! Non ho ancora dimostrato nulla ai miei genitori.
 
Ero già incapace di muovere un solo muscolo dalla tensione. Potevo percepire ogni singolo attimo di terrore vissuto dalla narratrice benché lo stile sintetico del suo scritto. Tuttavia, ciò che lessi dopo mi turbò ancor più del dovuto:
 
-Parlato. Il gigante ha appena parlato. Parole che posso comprendere. ‘Popolo di Ymir’, ‘Signora Ymir’, ‘Benvenuta’. Senza dubbi questo titano mostra espressioni facciali comuni a noi esseri umani. Sembra mostrarmi rispetto.
 
Gli ho chiesto l’origine della sua natura. Non risponde, mormora. Gli chiedo della provenienza. Non ottengo risposta. Gli chiedo la motivazione delle sue azioni nei confronti della razza umana.
 
Inizia a inseguirmi. Mi afferra. Posso sentire i suoi denti premere sulle mie ossa ch…
 
Susseguirono segni incomprensibili, lacerati dal tempo.
Richiudendo lentamente il taccuino, spingendolo con un mano verso il centro del tavolo, un misto di terrore e di stupore mi pervase. Ad un prezzo caro quanto la vita, Ilse Langnar aveva tramandato la prima conversazione tra un uomo e un gigante, un esemplare che aveva dimostrato di avere molte più affinità con la razza umana che con i propri simili.
In preda allo choc, osservai un punto fisso del tavolo, aspettando che qualcun altro intervenisse.
-Opinioni? – domandò con indifferenza il caporale.
Nessuno rispose. Mi colpì tanto l’espressione attonita che si scambiarono Oruo e Petra, l’uno seduto al fianco dell’altro.
-Io penso ad una cosa – presi la parola. –Credo che questa sia la più grande dimostrazione che l’uomo necessiti di catturare un gigante per poter spiegare la natura di questi demoni.
Tutti mi osservarono, senza aggiungere altro. Fu Levi a ribattere: -Anche tu hai deciso di diventare mangime per giganti senza affrontare con lucidità la situazione?
-Levi! – sbottai io, confusa e stanca di dover essere soggiogata dalla forza smisurata di quelle orribili creature, per le quali eravamo incapaci di per torcergli contro una loro minima debolezza. Ma un secondo dopo mi resi conto di come mi fossi rivolta a lui davanti a tutti gli altri miei compagni. Mi portai una mano alla bocca, ma continuai il mio discorso negli istanti successivi. –Capitano, - mi corressi, - abbiamo appena scoperto che quegli esseri senza vestiti somigliano più ad umani che a mostri. Questo sgorbio che lei ha ucciso l’altro giorno era in grado di comunicare, l’avrebbe fatto davanti ai nostri occhi se avessimo affrontato la situazione con più calma. Ora, la domanda è la seguente: per quanto quegli esseri abbiano capacità di apprendimento notevoli, come ha fatto il gigante ad apprendere le parole che Ilse Langnar ha scritto alcuni istanti prima di essere decapitata?
Sventolai in aria il taccuino, i volti sgomenti dei quattro ragazzi rivolti a me.
-Sono molto turbata anche io, capitano – rivelò Petra. –Il popolo di Ymir. Non abbiamo idea di cosa possa mai essere.
-A meno che non abbiamo frainteso il significato – aggiunse Oruo. -Forse questa Ilse intendeva scrivere parole diverse: “mir” invece di “mur”, mura.
Petra lo osservò diffidente. –E la “y” da dove è uscita?
-E’ inutile fissarci con queste assurdità – deviò il discorso Levi, sorseggiando dalla sua tazza un ottimo tè verde. –Spetta ad Erwin decidere il da farsi, compresa la scelta di lasciare il posto di caposquadra alla Quattr’occhi.
Lo guardai sbigottita, cercando la sua attenzione, benché l’avesse appena rivolta al liquido nella sua tazza. –Che intende dire? Non vorranno mica revocarle la carica?
-Può essere. Ha messo in pericolo la vita di innumerevoli soldati più volte. L’ultima è stata quella di Oruo – spiegò il caporale.
-E’ assurdo! – commentai, preoccupata per ciò che sarebbe potuto succedere ad Hanji, compassionevole nei riguardi di quella donna dalla mente acuta che di altro non si occupava, se non della rivendicazione del genere umano sui giganti.
-Hanji ha insistito affinché ottenessimo da Erwin almeno il permesso di partire per Karanes per rendere alla famiglia di Langnar le sue spoglie e il taccuino. Vi voglio svegli all’alba domani – concluse Levi, alzandosi dalla sedia.
-Signorsì – mormorarono i miei compagni, profondamente turbati e distrutti da quell’atipica giornata conclusasi con l’apprendimento di una storia tragica, rivoltante e sconvolgente.
Feci sì che i quattro lasciassero la “sala del tè” – luogo da noi così battezzato, in cui Levi era solito radunarci per discutere di faccende importanti davanti alla sua bevanda preferita – trattenendo il corvino per evitare che raggiungesse già la sua camera.
-Credi davvero che sia questo il destino di Hanji? – gli domandai.
-Non lo so, ma non si trova in una buona posizione. Quella matta dovrebbe imparare meglio a contenere la sua follia e a non mettere in pericolo il primo che passa.
Annuii, stropicciandomi gli occhi. Gli rubai un bacio dopo aver controllato che nessuno stesse raggiungendo la sala, avviandomi in silenzio nel dormitorio.
Non chiusi occhio. Per essere più precisi, era dal nostro ritorno dopo la spedizione che non ci riuscivo. Ciò non era solamente causato dal fatto che il mio rapporto con Petra si faceva via via sempre più freddo; in quell’occasione, ripensai all’espressione disperata di quello strano gigante nel quale ci eravamo imbattuti, al sacrificio di Ilse Langnar e a tutte le parole che nemmeno un’ora prima avevo letto nelle sue memorie.
Rimasi tutta la notte a fissare il legno della brandina della mia compagna con gli occhi spalancati, motivo per cui il giorno successivo ero più frastornata di uno stupido titano e non riuscivo a interagire con l’ambiente circostante, barcollando ed errando per la caserma trascinandomi i piedi. Fu proprio per quella notte passata in bianco che, mentre eravamo in marcia verso Karanes, persi i sensi e caddi da cavallo sull’erba bagnata dalla pioggia della sera prima senza che avessi quantomeno il tempo di accorgermene.
Non appena ebbi ripreso coscienza, mi imbattei nel volto di Levi, che, notai subito dopo, teneva il mio busto alzato da terra, e di quello della Caposquadra, l’unica che sembrava osservarmi con apprensione.
-E’ sveglia – constatò il caporale, prima di rivolgersi a me con un tono burbero. –Spiegami il motivo per cui non sei rimasta al campo, stamattina.
Tastandomi accidentalmente il livido che mi ero procurata sotto la mascella, mormorai di volere dell’acqua. Levi ordinò a Petra di portarmi una borraccia, dalla quale iniziai a bere con molta voracità.
-Hai una brutta cera, Claire. Hai dormito, stanotte? – domandò la Caposquadra.
Feci no con la testa, sorbendomi l’espressione accigliata di Levi. –Ma sto bene. Posso benissimo proseguire, non preoccupatevi.
-Fa’ ritorno in caserma – mi intimò lui.
-Ho detto che posso farcela – sbottai io. –Non ho intenzione di tornarmene solo perché per un momento ho perso i sensi.
Il corvino parve assai contrariato, ma non rispose più, montando nuovamente in sella al suo destriero, comandando alla sua subordinata di medicarmi la ferita.  
Poi riprendemmo la marcia. Raggiungemmo Karanes in poco tempo. Capivo perché non avevo esitato un momento a ribellarmi all’ordine del mio superiore: finalmente ero nella mia città natale, luogo di ricordi tragici e piacevoli. Lì avevo perduto mia madre, ma lì avevo conosciuto la mia prima amichetta del cuore. Lì avevo pianto lacrime amare per la morte della mia genitrice, ma lì avevo trascorso gli anni più spensierati della mia esistenza.
Poiché Levi non pareva assai contento di quello sgradevole inconveniente capitatomi durante il tragitto, mi ordinò di badare, come solitamente facevo durante le visita in città, ai nostri cavalli.
Seduta sui bordi della fontana della piazza principale, iniziai a osservare i miei compagni che seguivano Levi alle prese con le sue speciali compere: li vedevo riempire le loro sacche di centinaia di infusi di tè e saponi di ogni tipo e misura.
Petra seguiva ogni suo comando senza fiatare e con molta serietà, finché non fu costretta, visibilmente divertita, ad aiutare Oruo, inciampato su un gatto randagio di passaggio, a rialzarsi da terra col sangue che gli colava dalla bocca.
-Tu e questo tuo brutto vizio di morderti la lingua! – sembrava aver commentato lei, ridacchiando.
Risi anche io in lontananza, benché non potessero comunque accorgersi della mia presenza.
Qualche ora dopo, dopo aver trascorso non ricordo quanto a spazzolare i cavalli, sentii qualcuno fare il mio nome. Da lontano, riconobbi la voce di mio fratello Lex, che mi invitò a venirgli incontro.
Gli saltai addosso senza pensarci una seconda volta, felice di averlo incontrato dopo tanto tempo.
-Sono così lieto di rivederti, soldatessa – mi sussurrò, premendo la mia testa sul suo petto. –Petra mi ha fatto stare molto in ansia, l’ultima volta che l’ho vista. Dovevi stare davvero molto male.
-Me la sono vista brutta, sì. Qualcuno aveva addirittura temuto che potessi rimanerci – gli strinsi la mano. –Invece, eccomi qui.
-Con una bella medicazione sulla mascella?
Ridacchiai. –Me la sono appena procurata. Bella, vero?
Mio fratello mi diede un pizzico sulla guancia. –Sei la solita, Claire – mi rivolse un dolcissimo sorriso. –Ho aspettato con tanta tensione la tua lettera. Non posso descriverti il sollievo che ho provato quando mi hai detto che stavi bene.
Alluse alla penultima lettera che gli avevo spedito; di colpo arrossii, ricordandomi che, oltre ad avergli annunciato la mia spontanea ripresa dal mio malanno, gli avevo parlato della persona alla quale mi ero improvvisamente legata.
-Posso immaginarlo – dissi, battendo la punta degli stivali sul terreno.
Egli mi guardò sornione. -Spiegami una cosa, sorella, davvero molto presto diverrò il cognato del soldato più forte dell’umanità?
Scoppiò a ridere spensierato, mentre lo supplicavo di zittirlo. –Basta, Lex, ti prego. Sapevo che non avrei dovuto parlartene.
-Va bene, la farò finita – ebbe compassione. - Tu, però, raccontami: davvero quello lì non è come tutti credono? Insomma, a primo impatto pare un riccio bardato da aculei, ma da come ne hai parlato tu sembra più sensibile di quanto si possa credere.
Gli suggerii di accompagnarmi verso i destrieri, non potendo allontanarmi da loro per molto tempo. Poi, risposi alla sua domanda: -è una persona che ha sofferto molto. Anche più di noi. Ecco perché in caserma è parso l’unico in grado di comprendere le mie debolezze, non appena gliene ho parlato. Devo dirti che difficilmente riesce ad esprimere i suoi sentimenti, anche quando siamo soli io e lui, e il più delle volte si rivolge a me dandomi della mocciosa, - ridacchiai, - eppure sembra volermi davvero bene – il cuore riprese a battermi forte. –Mi ascolta ogni volta con tanta attenzione, persino quando gli racconto tutta la nostra vita prima della morte di mamma. Lui è molto importante per me– rivelai.
Egli mi sorrise di nuovo. –Ne sono contentissimo, davvero. Mi sta bene che tu abbia trovato una persona così speciale.
Scorsi la mia compagna in lontananza. –Ma il nostro legame è stato il motivo dell’allontanamento di Petra – gli ricordai, come gli avevo precedentemente scritto.
-Ancora non hai parlato con lei?
-Non ci riesco – ammisi. –Mi ignora ogni volta che le rivolgo la parola. È terribile.
Mi astenei dal piangere, prima di avvertire la sua mano stringermi la spalla. –Vedrai che prima o poi si sistemeranno le cose. Lei ti ha sempre voluto bene, Claire, lo sai meglio di me. Non può avercela con te neanche nel peggiore dei casi.
Mi lasciò un bacio sulla guancia, prima di incupirsi di colpo alla presenza di un soldato venutomi incontro.
-Cavoli, Claire. Potevi dirmi che qui viveva il tuo fidanzato! – esclamò la Caposquadra.
-Signorina Hanji, lui è mio fratello – intervenni, imbarazzata.
-Ah, adesso capisco! – sorrise. -Lieto di conoscerti. Sono la Caposquadra Hanji Zoe.
I due si presentarono. Pensai che solo grazie a me Lex stava pian piano stringendo le mani degli uomini più valorosi del mondo intero.
La Caposquadra tornò subito seria. –Ho una faccenda da sbrigare, Claire. Sai di cosa si tratta. Verresti con me?
Ebbi un tuffo al cuore. Davvero mi stava chiedendo di accompagnarla dai genitori di Langnar, i quali avrebbero sicuramente pianto con grande disperazione davanti a me alla vista delle spoglie della loro povera figlia?
 -Ma, signore, i cavalli? Sono stata incaricata dal caporale a…
-Non preoccuparti, per questo. Tra un po’ saranno di ritorno. Mi spiace aver interrotto la vostra chiacchierata.
Lex si ricompose. –Mi scusi tanto. Sono io che non c’entro nulla. Adesso vado, Claire – mi strinse ancora una volta con affetto. –Non dimenticarti di scrivermi.
Dissi che me ne sarei ricordata, poi lo vidi sparire per le viottole della città. Mi pianse il cuore vederlo andar via, ma la mia occupazione era la priorità. Seguii senza fiatare la Caposquadra, evidentemente turbata.
Se si era dimostrata tanto affettuosa nei riguardi di mio fratello, adesso pareva molto molto preoccupata. Continuava a inforcarsi gli occhiali sul naso, guardando dritto davanti a lei in silenzio.
Decisi di non parlare, nonostante mi fosse piaciuto conoscere le ragioni della sua apprensione al di fuori dall’incontro che da lì a poco avremmo fatto con i Langnar.
Questi ultimi aprirono la porta, dopo che io e lei eravamo state in grado di recapitare l’indirizzo della loro dimora. I loro sguardi si rabbuiarono non appena si accorsero della presenza di due ricognitori sull’uscio della loro modesta casa.
Con grande compostezza, che a me parve del tutto in contrasto con la sua solita vitalità, Hanji spiegò il motivo della nostra visita ai due civili tanto gentili e per bene. Se solo il lettore fosse in grado di comprendere il mio rammarico nel dover vedere soffrire della gente tanto buona ed educata! Mentre, a qualche ora di distanza, ottusissimi aristocratici si davano alle feste di ogni tipo.
I parenti della Langnar ci fecero subito entrare. Hanji mostrò loro la giacca macchiata di sangue da poco ritrovata dalla mia squadra. Con grande sagacia, ella attese di ottenere l’attenzione dei genitori sofferenti, che scoppiarono in un pianto inconsolabile dopo aver osservato l’indumento trasandato, prima di rivelare loro l’esistenza del piccolo taccuino.
-Vostra figlia è stata di grande aiuto, per la nostra causa – spiegò lei, sistemandosi ancora una volta i suoi immancabili occhiali. –Vi prometto che faremo il possibile per sfruttare quanto più le informazioni che abbiamo ricavato da lei.
Io, rimasta seduta accanto al padre della ragazza defunta, abbassai lo sguardo sconsolata, guardando la mano della madre prendere il memoriale lasciato da Hanji sul tavolo in legno.
-Vi ringrazio moltissimo per averci riportato quanto resta di Ilse – disse la signora Langnar, con la voce spezzata dal pianto.
-Ringraziamo voi per l’attenzione – concluse Hanji, rialzandosi, facendo cenno a me di fare lo stesso.
Prima di lasciare la casa, rimasi a osservare la coppia abbracciarsi. Il mio superiore era già fuori quando io, senza pensarci, avevo detto: -Provo molta stima per vostra figlia.
I due si accorsero di me.
-Probabilmente non varrò mai quanto lei, - continuai, -ma credo che entrambe siamo accomunate da un obiettivo: combattere fino alla fine per il bene dell’umanità. So solo questo.
Il signor Langnar abbracciò sua moglie, rivolgendomi un piccolo sorriso.
Ricambiai, poi velocemente chiusi la porta alle mie spalle. Con la Caposquadra, ci avviammo alla piazza principale, ma ci imbattemmo molto presto in Levi, Oruo e Petra.
-Com’è andata? – domandò il capitano.
-Che domande sono, Levi? – rispose l’ufficiale.
I due iniziarono a discutere, mentre facevamo tutti ritorno dai nostri destrieri. La schiena di Oruo pareva andare in pezzi a causa dei pesi a cui era sottoposta per via delle innumerevoli compere del dannato ossessionato dal pulito. Mi offrii di aiutarlo, trovandomi a mani vuote, liberando il suo sacco dai vari utensili.
Egli sembrò molto riconoscente nei miei confronti. Mormorò un semplice grazie. –E’ stato straziante incontrare i genitori della ragazza? – mi domandò poco dopo.
Annuii, sospirando. –Molto, a dire il vero. Posso immaginare il loro dolore, quello è certo – spiegai. –Questa storia mi sta provando parecchio.
Anche lui sbuffò. –A chi lo dici – si fermò, guardando per terra. –Caposquadra Hanji.
Quest’ultima si fermò, smettendo di parlare con Levi. Si girò verso Oruo.
-Mi dispiace molto per ciò che è accaduto durante l’ultima spedizione – confessò il mio compagno. –Capisco che se non fossi intervenuto io, avremmo certamente scoperto molto di più.
Ero in preda allo choc, ma il mio amico continuò comunque: -Solo ora ho compreso che la mia vita non sarà mai importante quanto la nostra caus…
La Caposquadra lo afferrò nuovamente per il colletto della camicia davanti gli occhi attoniti miei e di Petra.
-Sono io che devo scusarmi, Oruo. Ho messo in pericolo la tua vita e quella di molti. Mi dispiace tanto. Non provare più a dire che la tua vita non è important…
Ella subito rilasciò il ragazzo non appena questi aveva iniziato ad auto affogarsi stringendo la lingua in mezzo ai denti.
Petra, con fare eccessivamente amorevole, si preoccupò di lui. Riprendemmo il cammino in quelle strade quasi del tutto sgombre.
-Ho parlato con Erwin, stamani – rivelò Levi. –Benché non approvi la sua opinione, ha preso la decisione di appoggiare il tuo piano folle.
Mi bloccai di colpo, sgranando gli occhi.
-Lo so – disse inaspettatamente Hanji, continuando a marciare come se nulla fosse.
Incapace di comprendere come qualcosa che a me era parso così tanto impossibile da realizzare ora non era più un sogno, domandai: -Come? Caposquadra, lei sapeva che il Comandante ha approvato le missioni di cattura?
-Sì – rispose lei, iniziando a ridere sovraeccitata. –YAHAOOOO!
Tutti noi la zittimmo, cercando di contenerla per non disturbare il vicinato. Molto più sollevata, quella sera feci ritorno alla Base gaia della mia chiacchierata con Lex e dell’approvazione di Erwin da poco appresa. Dentro di me, sapevo che, grazie a quella scelta, le cose sarebbero cambiate. E Hanji sarebbe rimasta la solita matta, onesta e briosa Leader della seconda unità dell’Armata Ricognitiva.
 
 
Quella sera, avevo deciso di ritirarmi senza prima aver consumato il pasto serale. Qualcosa dal profondo mi aveva spinto a prendere quanto prima la mia chitarra, ad armarmi di carta e matita.
Il mio incontro con Lex rievocò alla mia mente un tipo di esercizio sullo strumento che anni addietro egli mi aveva insegnato: consisteva nel prendere dimestichezza con gli accordi più difficili da riprodurre, basandosi sull’alternarsi di maggiore e minore per ogni nota del tasto [Nota dell’editore delle cronache: i musicisti di chitarra sono soliti far ricorso a questo tipo di accordo in cui è necessario premere tutte e sei le corde col dito indice. Tale tecnica, pur rivelandosi assolutamente scoraggiante a primo impatto, permette al musicista di spostarsi lungo tutta la tastiera per consentire un suono più dolce e acuto].
Mi inventai un motivo semplice e armonico, che ripetevo molte più volte. Avevo bisogno di ideare un testo d’effetto che potesse valorizzare la melodia. Ma quella sera, per la prima volta in tutta la mia vita, fu diverso: mi ero sentita pervadere da un forte sentimento poetico, una carica di creatività che non aveva mai trovato dimora dentro di me.
Buttai sul foglio tutto quello che mi passava per la testa:
 
Le sedie così vicine, la stanza
così piccola
 
Io e te
a parlare per tutta la notte
 
Questo posto,
misero, ma che ci fa ben comodo
 
Noi, compagni, con storie da raccontare.
 
Mi era tornata alla mente la sera trascorsa in camera di Levi, quella in cui egli, seduto accanto a me nel suo piccolo rifugio, mi aveva parlato dei suoi due amici scomparsi. E poi, ricordai la prima sera, quella del tetto, dove mi ero esibita per la prima volta davanti a lui, poi, la mia preferita, quella passata nel boschetto.
Erano stati questi i motivi della mia ispirazione: il mio amore per lui, i momenti meravigliosi che avevamo condiviso, le nostre semplici chiacchierate, che cercavo come meglio potevo di trascrivere in questo mio componimento, ripetendole ad alta voce per improvvisare un canto che accompagnasse lo strumento.
-L’hai tirata fuori di nuovo – parlò la voce di colui o colei che era appena entrata. –La tua chitarra, intendo.
Iniziò a battermi impetuosamente il cuore alla vista della dolce ragazza dai capelli ramati.
-Petra, io… - dissi, già in preda all’ansia. –Sai che non mi piace tenerla nell’armadio per lungo tempo.
-Lo so bene. Non l’hai mai sopportato – si incamminò verso il mio letto, reggendo un piccolo vassoio. –C’erano le verdure, stasera. Niente carne, ma penso che possa bastarti.
Sedette di fronte a me. Il suo sguardo tremendamente dolce e altruista era capace di persuadere chiunque. Perché il nostro rapporto doveva essersi tanto sciupato? Domandai, maledicendomi per non essere stata sincera con lei molti giorni addietro. D’altronde, avevo capito che io avevo causato quell’equivoco.
-E’ gentile, da parte tua, - mormorai, -ma non eri obbligata.
Le mani avevano iniziato a divenire umide, impedendomi di continuare la melodia.
-Invece sì, Claire. Non hai toccato cibo per un giorno intero, e stamattina sei anche svenuta. Possibile che hai così poca cura per te stessa?
Un po’ indecisa e imbarazzata, poggiai lo strumento al mio fianco, accettando il vassoio della giovane, portandomi alla bocca piccole porzioni di carote e zucchine.
Lei osservò il foglio davanti a me, il suo sguardo si addolciva sempre più. –Noi compagni con storie da raccontare – sembrava aver bisbigliato. –L’hai scritta per lui?
Il tono della sua voce non era né malinconico né irritato, ma avevo paura di risponderle. Mi limitai ad annuire.
-E’ carina – concluse. –Ti consiglio di continuare, mi piace molto.
Ricambiai con un sorriso, inebetita, continuando a deglutire verdure.
-Sono contenta – risposi. Torna da me, Petra, supplicava il mio cuore.
-Vedrai che lo sarà anche lui – pensò.
Rimasi a bocca aperta, ma nascosi il mio stupore nel piatto davanti a me.
Susseguirono attimi di silenzio, interrotti nuovamente dalla sua voce meravigliosa. –Claire, oggi mi sono resa conto per la prima volta quanto lui tenga a te. L’ho visto non appena ti ha soccorsa da terra.
Sempre più emozionata, la ascoltavo con grande attenzione.
-Non credo di averlo mai visto così in apprensione. Non ha pensato due volte a occuparsi di te in nostra presenza. Si vede che il vostro rapporto è tanto bello – mi sorrise sinceramente, sistemandosi i capelli dietro un orecchio. –Claire, adesso ho capito. 
Distolsi lo sguardo da lei, preoccupandomi di fissare la cassa armonica della chitarra. Una lacrima mi rigò il volto.
-Io ti domando scusa – la sua mano si fermò sulla mia gamba, dopo essersi avvicinata ancora di più.
I miei occhi non erano più in grado di distinguere gli oggetti attorno a me, essendo offuscati dalle lacrime. Mi gettai addosso a lei, stringendola con forza, piangendo senza curarmi di quello che poteva pensare.
Avevo così tanto temuto di perderla o di morire fuori dalle mura in quell’ultima spedizione, senza prima aver fatto pace con lei, e anche i giorni seguente la missione, nonostante fossimo tutte e due al sicuro dai giganti, ero stata perseguitata da quell’incubo. Avevo accumulato tutta quell’angoscia senza poter reagire, senza nemmeno trovare il coraggio di parlarne con lei, e mi ero comportata male anche con me stessa, trascurando i miei bisogni primari: non riuscivo più a dormire, tantomeno a mangiare, preoccupandomi davvero poco di trovare una soluzione.
Ora piangevo sulla sua spalla, maledicendo ancora una volta il mio stupido comportamento. –Perdonami. Ti supplico, Petra.
Non riesco a far meno di sorridere, se penso che, in quel momento, anche lei, nascondendo il suo viso grazioso nell’incavo del mio collo, era in preda ad un pianto.
Le accarezzai i capelli corti, lieta di poterle finalmente essere accanto. Di poterla abbracciare.
-Sappi che mi fiderò sempre di te – aggiunsi. –Te lo giuro.
Mi sorrise, asciugandosi graziosamente il viso. –Mi perdonerai mai, Claire? Mi sono comportata da bambina, forse la mia mente è stata anche offuscata dalla gelosia, per un po’ di tempo.
Ridacchiai. –Per quello, dobbiamo prendercela con il nanetto. È colpa sua e del suo fascino.
La ma compagna chiuse la mano in un pugno, alzando il solo mignolo. –Amiche?
Strinsi il suo piccolo dito con il mio. –Amiche per sempre – ripetei, commossa per aver rivissuto uno dei ricordi più preziosi che avevo, quello del giorno in cui, in tenera età, io e Petra ci eravamo giurate il sostegno reciproco per la prima volta.
La sua risata cristallina mi riempì il cuore di gioia. Mi prese le mani. –Ora esigo che mi racconti cose che lui non acconsentirebbe mai a rivelarmi.
Arrossii. –Ecco… che potrei mai raccontarti? Conosci il suo carattere riservato e assai freddo.
-Non dirmi che è sempre così. Guarda che l’ho visto coi miei occhi quanto tiene a te.
Allora mi decisi a parlarle del modo in cui c’eravamo via via avvicinati l’un l’altro, di tutti i ricordi e gli eventi drammatici che avevamo deciso di condividere, di come avessi avvertito inaspettatamente quel sentimento così forte chiamato amore, di come egli si fosse dimostrato straordinariamente disponibile nei miei riguardi, benché il suo atteggiamento piuttosto chiuso e scontroso facesse intendere tutt’altro. Insomma, Petra mi aveva invitato a parlare senza peli sulla lingua, come avevamo sempre fatto, e io, che non avrei mai più commesso l’errore di dubitare di lei, l’avevo accontentata.
Dopo avermi forzato a finire l’intero piatto, mi invitò come era solita fare a coricarmi accanto a lei. Quanto fu piacevole tenerla nuovamente così vicino a me! La sua decisione di fare pace mi aveva liberato da quel fuoco che mi lacerava ormai da giorni.
-Dev’essere meraviglioso vedervi insieme – ammise, intrecciando i miei capelli, sistemandomi il ciuffo che mi copriva la parte destra della fronte.
-Sai, Petra, non credevo che si potesse amare così tanto una persona. A vent’anni, l’ho finalmente capito – rivelai.
-E lui? Ha mai avuto una ragazza? Dai, sono curiosa! – domandò con i fermagli tra i denti.
-Non credo proprio. Non ha mai avuto una relazione, stando alle sue parole.
-Meglio così per te, no?
Scoppiammo a ridere, poi ci sistemammo sotto le coperte.
-E’ stato difficile anche per me starti lontana, Claire – riconobbe lei.
-Almeno tu avevi il sostegno degli altri. A parte Gunther, penso che tutti se la siano presa con me per non aver avuto fiducia tantomeno in loro.
-Mi hanno vista molto triste e contrariata, - spiegò lei, -forse è stato questo. Ma hai ragione, sono stati tutti molto carini e disponibili – sbadigliò. -Persino Oruo.
Le lasciai un bacio sulla tempia, comprendendo che doveva essere distrutta, e si sarebbe addormentata da lì a poco. –Soprattutto lui – sussurrai, carezzandole la guancia. –Oruo ha una cotta per te, Petra.
Ci mise un po’ a rispondermi. –Con questo, che vorresti dire?
-Che, malgrado sia uno stupido, non è così male come sembra. Tutto qui.
Petra non parlò più. Evidentemente doveva essere caduta in un sonno profondo da poco. Strinsi a me un raggio di sole, un angelo caduto dal cielo che mi aveva salvato molti anni prima. Ora che le cose si erano sistemate, niente ci avrebbe più divise.

 
Spazio autore: buon sabato, amici e amiche .
Devo confessarlo, amando profondamente Petra, non sono riuscita a trattenermi nello scrivere l’ultima parte di questo capitolo: ho pianto per quella fanciulla bellissima morta in maniera assolutamente atroce e ingiusta. Accidenti, è proprio vero che i migliori muoiono sempre giovani! Ebbene, non ho potuto fare a meno di fare un piccolo riferimento al sentimento di affetto che Oruo prova veramente per lei (mi chiedete se shippo la Petruo? Beh… XD). Chissà se una cerchia ristretta di lettori avrà capito da quale canzone è tratta il testo del brano che Claire è in procinto di scrivere. Parlo ovviamnte della favolosa So Ist Es Immer , che fa parte del soundtrack del nostro amato anime:
https://www.youtube.com/watch?v=_jqSy8E9JLQ
Ragazzi, non avete idea di quanto dolore alle dita provoca suonare questa canzone alla chitarra! Claire, che è più forte di me, poco se ne rende conto. Io invece sì XD.
Spero che questo nuovo capitolo sia stato di vostro gradimento. Vi auguro un buon weekend!
 
 
 
  
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