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Autore: KomadoriZ71    21/05/2018    2 recensioni
[ Fan Fiction ~ Giovanni, Ivan, Max, Cyrus, Ghecis & Acromio ]
"Sono passati anni da quando i Leader dei vari Team hanno provato a mettere in ginocchio le regioni dei Pokémon ma, a causa di ragazzini spuntati fuori da chissà dove, ognuno di loro ha visto ogni progetto andare in fumo.
Ma che fine hanno fatto, ora che la pace sembra essere tornata?
Semplice: sono stati arrestati e ora si ritrovano limitati dentro un carcere di altissima sicurezza, il quale è stato costruito sopra a un isolotto posto in punto sperduto del mare.
Cosa mai succederà all'interno delle minuscole celle?"
Genere: Angst, Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Cyrus, Ghecis, Giovanni
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
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13. Il diversivo
15. La resa dei conti
By Lily

rocket

La luce bianca e fredda del neon illumina la stanza, solo la porta chiusa mi separa dalla ribellione provocata dai carcerati. Le grida e i rumori molesti della rivoluzione penetrano all'interno con una violenza unica, un canto confuso che mi riempie il cuore e l'animo di speranza.
La libertà è più vicina di quel che pensassi, la mia vittoria sarà rapida e indolore.
Davanti a me c'è la figura invecchiata e grassoccia del direttore del carcere, non emette alcun fiato e tiene la testa rivolta verso il pavimento, le corde che lo legano alla sedia gli impediscono di compiere anche il movimento più semplice e naturale.
Schiocco la lingua contro al palato, sbuffo una nuvola di fumo dalla bocca e lo fisso con un sorrisetto divertito sul volto. Non è stato complicato scortarlo fin qui, mi è bastato indossare un travestimento per prelevarlo dal suo ufficio e condurlo nella mia trappola, ma non ci sarei mai riuscito se non fosse intervenuto Max.
Non sono informato sull'episodio che ha permesso a quel testone rosso di entrare in possesso delle chiavi, è successo tutto così all'improvviso, non sono in grado di raccontare il vero corso degli eventi. Non ho potuto trattenere un'espressione di sorpresa quando lo scienziato ha aperto la porta della mia cella, non mi ha detto niente in particolare, si è limitato a correre verso gli altri prigionieri con un Extra-rapido talmente agile da fare invidia a un Arcanine appena evoluto.
Avrei potuto sfruttare la libertà per fuggire e dimenticare questo postaccio, ma la sete di vendetta mi ha spronato a mettere in atto il mio piano diabolico.
E ora sono qui, a fissare quel verme ambulante.
Resto immobile nella mia posizione, le spalle sono posate contro al muro e tengo le braccia incrociate al petto. Nella mano destra stringo il sigaro pregiato che ho acceso poco fa, ci giocherello prima di scrollare la cenere in eccesso.
«Davvero siamo arrivati a questo?»
Borbotta lui dalla sua postazione, lasciandosi sfuggire un colpo di tosse.
Rido.
Ha smesso di fare il gradasso ora che non è seduto dietro alla sua scrivania, non ha più niente per le mani. È soltanto un uomo come tanti altri, incatenato a una sedia senza la possibilità di difendersi. «Giovanni, adesso ti diverti a fare il Dio? Non ti facevo così schizzato, se l'avessi saputo prima ti avrei rinchiuso insieme a quel vegetale e mi sarei sbarazzato della chiave».
«Una mossa fin troppo intelligente per uno del tuo stampo» intervengo con una punta di sarcasmo, porto il sigaro alle labbra per concedermi un tiro e sbuffare il fumo senza aspirarlo. «Ma non mi sarei fermato, sarei risorto comunque dalle mie ceneri»
«E per cosa? Per avere la soddisfazione di legarmi e maltrattarmi? Tu sei malato, proprio come gli altri scagnozzi che ti seguono come cagnolini!»
«No!» sbotto dalla rabbia e mi avvicino a lui come una furia, gli afferro il mento e gli strattono la testa per alzarla. Voglio costringerlo a guardarmi negli occhi, ad assimilare tutta la cattiveria e il malessere che mi porto dietro da anni. «Non ho niente da spartire con quella mandria di schizzati, sono solo dei bambocci incapaci di gestire un vero giro d'affari.
Sono solo capaci di arraffare tutto quello che trovano lungo il loro cammino, proprio come i parassiti della peggio specie.
Bramano potere per realizzare degli ideali campati in aria, non sanno cosa significa essere un vero criminale!»
A quel punto lo lascio andare, sbraitando qualche altra imprecazione.
«Eppure sei qui grazie a uno di loro, o sbaglio?» ride. «Smettila di fare il grosso, Giovanni, sei soltanto un Persian selvatico che continua a leccarsi le ferite.
Sei solo un uomo come tanti altri, fuori di qui vali meno di un Pokémon sterile»
Scrollo le spalle.
È incredibile, quell'uomo non demorde e continua a sorprendermi.
Ho sempre apprezzato la sua personalità, anche come poliziotto non era male. Era un individuo ben addestrato e devoto alla giustizia, a quei tempi aveva una famiglia a carico e un sogno da realizzare.
Lo incontrai quasi per caso, avevo abbandonato il Team Rocket e mio figlio da poco per dedicarmi a un viaggio personale, intenzionato a migliorare le mie doti da Allenatore.
Agli inizi giocavamo a fare il gatto e il topo, era divertente affrontarlo o scappare dalla sua caccia. Solo alla fine abbiamo avuto modo di confrontarci, di frequentarci per stabilire un legame amichevole e malsano.
La sua proposta saltò fuori all'improvviso, quando il suo lavoro andava avanti a stento e il suo matrimonio iniziava a riempirsi di falle. Accettai solo per permettergli di diventare qualcuno, ma lui non rispettò la sua parte e preferì tenersi i meriti della mia cattura.
Diventò corrotto e occupò il posto al carcere solo per tenermi d'occhio, per controllare i miei spostamenti e impedirmi di fuggire.
Ma quei tempi sono finiti, è ora di dare inizio a una nuova era.
«Non parlerei in quel modo se fossi al tuo posto».
Mi infilo il guanto nero, estraggo la pistola che tengo nascosta dentro alla tasca della divisa da sentinella e carico l'arma.
Lo guardo senza aggiungere altro e la punto contro alla sua tempia.
«Giovanni...» sussurra, in preda al panico. «Cosa vuoi fare?»
«Non lo sapevi, mio caro?» borbotto divertito, leccandomi i denti con un gesto rapido della lingua. «È ora della resa dei conti».



Il corpo morto del direttore giace dentro la stanza, con un foro di proiettile nella tempia destra.
Prima di abbandonare il luogo dell'omicidio mi sono preso diverse precauzioni, non solo ho eliminato ogni segno del mio passaggio, ma ho slegato il cadavere per fargli impugnare la pistola e inscenare un suicidio.
Sono uscito da lì dopo aver controllato il dettaglio più piccolo e insignificante, mi sono interessato anche ai polsi, per fortuna non c'è alcuna traccia della corda che ho usato per legarlo.
In questo modo le autorità non indagheranno più del dovuto, lo individueranno come un gesto disperato, la ribellione che c'è in corso è un movente molto efficace per nascondere la realtà dei fatti.
In un'altra occasione avrei chiesto a qualcuno di farlo al posto mio, non sono il genere di uomo a cui piace sporcarsi di sangue, ma in questa situazione mi sono dovuto arrangiare. Sbuffo dalle narici e attorciglio la corda nella mano, cammino raso muro per evitare di essere individuato dalle telecamere o da uno dei trogloditi che sta devastando la struttura. Raggiungo il bagno senza compiere lo stesso tragitto di prima, mi avvicino al lavabo e guardo il mio riflesso che compare nello specchio.
Non posso fermarmi a pensare, il tempo non è dalla mia parte, apro l'acqua per togliermi di dosso le macchie di sangue. Devo trovare il modo più semplice per sbarazzarmi delle prove, non devo destare alcun sospetto o le conseguenze potrebbero essere spiacevoli.
Mi tolgo la divisa da sentinella imbrattata di sangue, guardo il corpo privo di vita dell'individuo morto sotto alla furia dei carcerati, lo stesso che ho spogliato prima di dirigermi dal direttore. Mi abbasso sulla carcassa e mi preoccupo di rivestirla, sono tentato dall'idea di lasciargli la corda nella tasca ma desisto all'idea.
Lì fuori sta accadendo il pandemonio, potrebbe tornarmi utile in un secondo momento.
Sospiro per scrollarmi di dosso ogni pensiero, mi alzo e mi volto in direzione della porta.
Adesso posso continuare la mia vendetta, non mi darò pace fino a quando non avrò rimesso le cose al loro posto.
Proseguo la mia traversata con il passo di un felino, vago tra i corridoi del carcere con le stesse movenze di un Persian in piena caccia, sono pronto a lanciarmi sulla mia preda in qualsiasi momento.
Ghecis.
Non ho in mente altro, il suo nome mi echeggia nella testa.
È l'uomo che mi ha complicato l'esistenza qui dentro, prima del suo arrivo ero venerato e temuto. Ma non gliela farò passare liscia, lo farò pentire dei torti che mi ha fatto.
A partire dalla sconfitta a Poker fino ad arrivare al nostro ultimo scambio di battute.
Adesso sono libero e pieno di rancore.
Posso agire come preferisco, niente e nessuno potrà mai fermarmi.


* * *




«Ero sicuro di trovarti qui».
Affermo nel preciso istante in cui sbarro la strada al Boss dei Plasma, lo guardo e ridacchio prima di avvicinarmi a lui. La sua altezza non mi spaventa, nemmeno il suo sguardo mi invoglia a fare un passo indietro.
Anche lui è solo, proprio come mi immaginavo.
Durante la fuga nessuno si è preoccupato di aiutarlo, non potrà andare molto lontano con le gambe che si ritrova.
Un punto a mio favore, sarà divertente dargli ciò che si merita e facendo passare l'episodio come uno sfortunato incidente.
«Giovanni...Cosa ci fai qui? Non sei insieme agli altri?» domanda con perplessità, appoggiandosi al muro con una mano.
È strano, non vedo il suo bastone. Dove sarà finito?
«So che non abbiamo dei trascorsi positivi, ma non credi che sia il caso di mettere da parte le nostre divergenze e fuggire?» continua lui.
Mi fermo e lo guardo.
Davvero è caduto così in basso?
«Solamente una persona ha il diritto di essere il Re e il tuo turno ormai è finito» gli sputo in faccia le stesse parole che mi ha riferito il giorno in cui ho provato ad approcciarlo nelle docce. «L'hai detto tu...O sbaglio?»
«Sì...» borbotta, insicuro. «Ma non avrei mai immaginato di arrivare a questo, non così almeno»
«Non posso farci niente Ghecis» esclamo con tranquillità, avvicinandomi a lui per riuscire a guardarlo negli occhi. «Ti sei rovinato con le tue stesse mani».
Sfrutto la sua distrazione per spingerlo, la mia forza riesce a fargli perdere l'equilibrio. Poco dopo il Boss dei Plasma si ritrova a terra, cascando con un unico schianto. Meglio così, farà fatica a muoversi.
«Si può sapere cosa ti prende, figlio di un Arcanine?!» urla lui senza trattenere il suo caratteraccio, ringhiando a causa della rabbia che si va a mischiare con il dolore dovuto dall'impatto.
«Non hai il diritto di rivolgermi la parola!» sbraito e afferro la corda che tengo in tasca, la stendo per allacciarla intorno al collo di Ghecis e cominciare a stringere. Forte, come un Arbok intento a stritolare la sua preda.
Lui si muove a fatica sotto di me, sento il fiato di quel vecchio che si spezza.
Una melodia malsana, che mi entra dentro alle orecchie per arrivare dritto al cuore. «Cosa c'è? Adesso non parli più, mh?»
Sto per rafforzare la presa, quando...

«Leva le mani da mio padre, mostro!»

Un urlo, poi percepisco un dolore lancinante.
Ricevo un colpo forte alla testa, sono talmente stordito che crollo e impatto contro al suolo.
Nel farlo sbatto il mento sul pavimento. Sono dolorante e in bocca sento il sapore metallico del sangue.
Mi giro ringhiando, poi mi fermo quando vedo un ragazzo vicino al corpo di Ghecis. È giovane, i lunghi capelli verdognoli sono raccolti in una coda, gli regala un'immagine selvaggia e spigliata.
Addosso ha dei vestiti normali.
Non fa parte del carcere? Non capisco.
«Padre...»
Sussurra lo sconosciuto, accucciandosi accanto alla figura imponente di Ghecis. «Come ti senti?»
Sgrano gli occhi.
È davvero lui, il figlio di Ghecis?
Non ci posso credere!
«Sto bene!» interviene Ghecis. «Grazie...»
Voglio intromettermi con una frase sarcastica, tanto per interrompere quel dolcissimo quadretto, ma un calcio ben piazzato allo stomaco mi blocca il respiro.
Poso la mano sopra al punto colpito, poi alzo lo sguardo.
Non ci posso credere. No, no.
«Silver?!»
«Almeno ti ricordi il mio nome» borbotta lui prima di sbuffare, poi si inginocchia per guardarmi negli occhi.
Lo squadro da testa a piedi, incredulo.
Sono passati anni dall'ultima volta in cui l'ho visto, devo ammettere che è cambiato molto da allora.
Ma non parlo di una trasformazione fisica, in fin dei conti è rimasto gracile come al suo solito, ma di qualcosa di interiore. I suoi occhi sono molto più mascolini e affilati, da vero uomo.
«Che ti è saltato in mente?»
«Io...».
Mi interrompo, non so più cosa dire.
«Non cambi mai» sbuffa e si volta verso gli altri due.
Ghecis è tornato in piedi, si regge alla spalla di suo figlio e mi fissa con uno sguardo omicida.
Il sangue continua a ribollirmi nelle vene.
Ma non posso fare altro, mio figlio e il suo nuovo amichetto mi impediscono di continuare ciò che ho cominciato.
«Dobbiamo andare, non c'è tempo per le spiegazioni» esclama il ragazzo dai capelli verdi.
Silver annuisce e si volta verso di me, si piega sulle ginocchia per porgermi la mano. «Vieni con noi, vecchio, oppure preferisci marcire qui dentro?»
Scrollo le spalle e gli afferro la mano.
«Solo perché non vedo l'ora di uscire da questo inferno»

   
 
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