Capitolo 2
Lasciate le bimbe a scuola, Regina ed Emma si
recarono nell’ufficio di quest’ultima. Emma si sedette di peso sulla sua sedia.
Era esausta di prima mattina, non avendo dormito a causa di quello stupido
sogno.
“Allora Regina, mi vuoi dire cosa succede?
Perché tanti misteri?” Chiese la donna, vedendo il sindaco camminare
nervosamente avanti e indietro per l’ufficio.
“Succede che ho passato una buona parte della
mattinata a calmare Roni. Era terrorizzata e non
smetteva di piangere. Non voleva staccarsi da me o da Robin. Non voleva andare
a scuola e voleva che nemmeno Roland ci andasse!”
Emma la guardò confusa, primo perché non capiva
cosa centrasse lei in tutto quello e secondo perché la bambina le era sembrata
vispa come sempre.
Stava per chiederle ulteriori spiegazioni, ma
Regina la precedette “Ha fatto un incubo e sebbene i bambini facciano spesso
brutti sogni, questi non creano crisi di panico Emma. Ci deve essere
qualcosa sotto!”
Emma si mosse nervosamente sulla sedia. Non
poteva essere una coincidenza che lei, sua figlia e Roni
avessero avuto tutte e tre un sogno che le aveva spiazzate.
“Cosa ha sognato, te lo ha detto?” chiese Emma.
“Ha detto di aver visto tante macerie che
appartenevano a una città, il cielo rosso sangue, corpi mutilati che cercavano
di afferrarla e che questa città era…”
“Storybrooke!” disse
Emma, sbiancando improvvisamente.
Si alzò e si recò alla finestra dove osservando
la cittadina, le sembrava quasi di vedere le immagini del sogno sovrapporsi
alla realtà e istintivamente si abbracciò come a volersi proteggere.
A Regina non scappò questo sua atteggiamento e
comprese che la donna sapeva qualcosa.
“Emma, cosa sai? Era una visione vero?” Chiese
il sindaco, temendo la risposta.
“Io…io non lo so. Speravo fosse un brutto
sogno, ci speravo veramente, ma…” sospirò e alzò lo sguardò sul sindaco. “Anche
io e mia figlia abbiamo avuto un incubo sta notte. Alice non ricorda cosa ha
visto, ma le emozioni provate l’hanno spaventata parecchio e io…ho visto le
stesse cose che ha sognato Roni. È tutto il giorno
che cerco di convincermi che non significhi niente!”
“Due salvatori che hanno lo stesso incubo nella
stessa notte? Quante probabilità ci possono essere? Inoltre tua figlia non sarà
una salvatrice, ma ha poteri simili hai tuoi, quindi possiede una particolare
dote a percepire cose che solo tu e Roni siete in
grado!” disse Regina preoccupata.
Emma scosse la testa e disse “Cerchiamo di non
allarmarci prima del previsto! Stiamo a
vedere se questi sogni continuano o…” cominciò, ma il sindaco della cittadina
la interruppe “O cosa Emma? Non voglio che mia figlia faccia altri di questi
incubi. È una bambina non dovrebbe pensare a città distrutte, cadaveri o temere
che qualcuno le faccia del male. Non voglio che Roni
sia coinvolta in tutto questo!”.
“Se sta per succedere qualcosa della portata di
quel sogno Regina…allora tutti quanti saremo coinvolti, non solo Roni!” disse Emma con uno sguardo serio.
“Ma lei più di altri. Se è qualcosa che ha a
che fare con la magia di un salvatore, poco importa che abbia solo sei anni
Emma!” disse Regina.
“Regina, sono io la salvatrice in carica, quindi
se succederà qualcosa me ne occuperò io. Lei non dovrà fare, né affrontare
niente, te lo prometto!”
Sebbene Regina si fidasse di Emma, non si
tranquillizzò. Non avrebbe mai cessato di preoccuparsi dei suoi figli,
soprattutto dato che Roni era destinata, sì a
qualcosa di grandioso, ma anche di estremamente pericoloso.
Quella sera quando Emma tornò a casa, si
sorprese di trovarla vuota e con la luce spenta.
Killian e sua figlia sarebbero dovuti rincasare un’ora
prima rispetto a lei. Non si preoccupò però di quel ritardo. Era già successo
in passato e sapeva esattamente quale era la motivazione della loro assenza. A
volte Killian, dopo la scuola, portava Alice alla sua
nave per passare un po’ di tempo insieme e soprattutto per insegnarle le basi
della navigazione. Era sempre tutto un gioco soprattutto per la bambina, ma da
quando aveva compiuto sei anni, l’uomo aveva iniziato a fare sul serio, sebbene
cercava in tutti i modi di far divertire la piccola, in quanto aveva notato
come spiegando le cose tramite il gioco, era più reattiva nell’apprendimento. A
causa di tutto ciò, spesso Killian perdeva la nozione
del tempo.
Emma decise allora di rilassarsi un attimo
davanti alla televisione. Non voleva guardare niente di specifico, ma solo fare
un po’ di zapping. Notò che non c’era molto da vedere, solo programmi stupidi e
film che aveva già visto. Decise ad un certo punto di soffermarsi sul tg e come
poteva immaginare, questo aveva solo notizie negative da raccontare. Rimase
sorpresa nel sentire la brutalità di certi crimini. Aveva a che fare con
criminali tutti i giorni, ladri e assassini, addirittura lei aveva ucciso Crudelia, o aveva assistito a omicidi, ma una volta ucciso
un nemico finiva la storia, non ci si accaniva ulteriormente sulla vittima, che
ormai non poteva più fare niente, cosa che spesso invece sentiva fare da
criminali che fino al giorno prima si erano dimostrate persone per bene o
tranquille. Aveva notato come nell’ultimo periodo il mondo sembrava impazzito.
Anche a Storybrooke, vi erano più problemi e come se
non bastasse tutto questo, a perseguitare un pianeta già abbastanza governato
dalla cattiveria e dall’egoismo, ci si metteva anche madre natura con la sua
ira a infierire, con terremoti, uragani, tempeste o eruzioni vulcaniche.
Sembrava che tutto stesse cadendo a rotoli.
Decise che ne aveva abbastanza di sentire cose
brutte per quella giornata. Spense la tv, ma nello stesso istante saltò la luce
in tutta la casa.
Sbuffò e afferrando una torcia nel mobiletto
vicino alla finestra, fece luce per recarsi al contatore della luce per
riallacciare la corrente elettrica.
Qualcosa però non andava, la casa era buia più
del solito. Avrebbe dovuto esserci almeno la luce che entrava dalla finestra,
grazie ai lampioni stradali, invece sembrava che quella oscurità avvolgesse
tutto sempre di più.
La luce della torcia sembrava fare fatica a
penetrare quella oscurità e Emma cominciò a sentirsi invadere da dei brividi.
Sentì una presenza accanto a lei e il fiato freddo di qualcuno sul collo che
con un gemito sembrava dirle qualcosa. Si sentì paralizzata e quando si sentì
afferrare un polso, reagì e colpì chiunque ci fosse con lei con un forte colpo
dato col dorso della mano.
“Accidenti Swan!”
disse una voce che conosceva benissimo.
Si guardò intorno e si ritrovò in mezzo al
salotto col telecomando in mano. La luce era accesa. Guardò Killian
che aveva una mano a coprirsi il volto dove era appena stato colpito.
“Cosa...cosa è successo?” chiese Emma confusa.
Per quanto fosse buio era sicura di essersi allontanata dal salottino e di
essersi recata nella cantina.
“Dovresti dirlo tu a me?” disse Killian. Era appena rientrato con la figlia e aveva visto
Emma in piedi davanti al divano ferma immobile. Non sembrava ascoltare i
richiami di Alice e temendo che ci fosse qualcosa che non andava, aveva mandato
la bambina al piano di sopra con una scusa.
“Io…io…ho…” cominciò, per poi portarsi una mano alla testa. Non voleva
dirgli ancora del sogno o della visione appena avuta. Per quanto ne sapeva
avrebbe potuto anche essersi addormentata davanti alla tv e tutto quello che le
sembrava di aver appena vissuto, poteva essere un brutto scherzo del suo
subconscio e lei non voleva preoccupare Killian, per
quella che sperava vivamente, si sarebbe rivelata una sciocchezza.
“Sto bene, sono solo un po’ stanca. Credo di
essermi addormentata improvvisamente e credo che non fossi del tutto lucida quando
mi hai toccato e ho reagito di conseguenza. Scusami Killian!”
disse la salvatrice accarezzandogli il punto colpito.
L’uomo l’osservò per qualche secondo, non
sapendo se crederle o meno, decise per il momento di lasciar cadere
l’argomento.
“Va tutto bene love!” disse stringendogli la
mano ferma sulla sua guancia per poi continuare “Spero che tu non sia troppo
stanca. Alice ha un sacco di cose da raccontarti!”
Emma sorrise a quelle parole. Sperava che sua
figlia riuscisse a distrarla con la sua parlantina veloce e piena di allegria
che si manifestava quando aveva trascorso una giornata piacevole, ma sebbene
l’ora di cena si svolse piacevolmente, l’ora di andare a dormire presto si
presentò.
Macerie
e detriti erano tutti intorno a lei. I lamenti e gemiti di dolore erano sempre
più forti e disperati man mano che si addentrava in quel luogo irriconoscibile.
Il cielo sempre più rosso sangue e il tormento di coloro che si trovavano in
quel luogo era sempre più palese.
Camminava in cerca di spiegazioni, in cerca di qualche segnale che le
facesse capire dove si trovava. Sembrava un luogo appena raso al suolo da
bombe, che oltre ad aver disintegrato tutto, avevano incendiato ogni cosa che
aveva la possibilità di ardere. Si tappò il naso per cercare di tamponare quel
fetido odore di carne bruciata e di carne in putrefazione che aleggiava intorno
a lei, ma purtroppo, anche la fonte da cui proveniva quell’odore fu presto
visibile. Si paralizzò di colpo quando vide corpi carbonizzati o dilaniati
disseminati ovunque voltava lo sguardo e quello che riconobbe in quei corpi le
tolse il fiato. Riusciva a riconoscere i proprietari di quei cadaveri. Conosceva
ognuno di loro.
“Granny, Archie!” disse in un sussurrò.
“Leroy,
Whale!” disse voltando il capo alla sua destra.
“Belle,
Tremotino, Gideon!” disse
girandosi alla sua sinistra.
Fece
diversi passi indietro, volendo scappare da quell’orrore, ma come se già tutto
quello non fosse sufficiente, ogni corpo, al suo nome, sembrava riprendere vita
e con il loro aspetto sfigurato, cominciarono ad avvicinarsi a lei, arrancando.
Si
voltò per scappare, ma si bloccò di colpo, quando vide i corpi dei suoi
genitori e del suo fratellino.
Non
li chiamò. A quella vista le parole le morirono in gola, ma anche loro si
alzarono e presero ad avvicinarsi con fare minaccioso verso di lei.
Neal
con praticamente metà volto la guardò con rabbia e disse “è colpa tua!”
A
quelle parole, corse e corse più veloce che poteva. Non sapeva nemmeno più dire
se era un incubo o realtà.
Non
seppe dire dove stesse andando. Lo scenario era pressochè
lo stesso ovunque andasse, ma si bloccò quando a causa di una cassetta postale
rimasta in piedi, comprese dove si trovasse.
Era
una cassetta delle lettere normale, ma con tre impronte colorate. Una verde,
una rosa e una gialla. Erano le impronte delle mani sue, di Killian
e di Alice.
Si
sentì mancare l’aria. Casa sua era distrutta.
Cominciò
a chiamare sua figlia e suo marito nella speranza di trovare almeno loro sani e
salvi, ma nessuna risposta giunse alle sue orecchie.
Si
arrampicò sui detriti della casa e cominciò a scavare e a scavare, finchè un dolore acuto non la costrinse a togliere di
scatto la mano.
Un
profondo squarcio le si era aperto sul palmo della mano.
Abbassò
lo sguardo per vedere cosa le avesse procurato quella ferita e urlò il nome di Killian quando vide il suo uncino insanguinato.
Prese
nuovamente a scavare per togliere l’amore della sua vita da sotto le macerie,
ma un rumore dietro le sue spalle la costrinse a girarsi e vide quello che non
avrebbe mai voluto vedere.
Sua
figlia era lì davanti a lei, ma il suo aspetto, tale e quale a quello degli
altri, le fece perdere la speranza di trovarla ancora viva.
“No!”
disse in un sussurro disperato.
“è
colpa tua! È tutta colpa tua!” gridò la bambina con rabbia e odio, prima che un
essere alato mostruoso si avventasse su di lei e, afferrandole per le spalle,
la portasse via.
L’ultima
cosa che sentì fu l’urlò disperato di sua figlia, prima di sentirsi scuotere da
due forti mani.
“Emma, Emma! Swan!”
Alla terza chiamata Emma si mise di scatto a
sedere. Era visibilmente agitata e ricoperta di sudore.
Il suo respiro era accelerato e non ancora del
tutto lucida, cercò di allontanarsi dalla presa di Killian
che cercava di tranquillizzarla.
L’uomo si era svegliato quando sentì Emma
agitarsi durante il sonno. Aveva provato a svegliarla vedendo la sua
inquietudine, ma dopo vari tentativi con la voce, vedendo che non riusciva a
strapparla dai suoi incubi, Killian comprese che
qualcosa non andava. Aveva notato già dalla mattina precedente un certo senso di inquietudine in
lei e si domandava se quanto stesse sognando potesse esserne la causa, perché
era chiaro che qualsiasi cosa stesse vedendo, non era solo un normale incubo.
Prese a scuoterla gentilmente, poi più forte fin
quando finalmente la donna si svegliò. Gli fu subito chiaro che nonostante si
fosse destata, era comunque ancora mentalmente nel suo sogno, perché cercava di
respingerlo con tutte le sue forze, spaventata, cosa che mai era accaduta. Al
contrario, il suo tocco era sempre riuscita a calmarla.
Cercò di tenere una presa salda e le parlò,
cercando di farle comprendere che si trovava al sicuro, che qualsiasi cosa
stesse sognando era finita.
L’accarezzò il volto e le spostò i capelli e
lentamente vide che la donna cominciava a comprendere dove si trovasse. Il suo
sguardo si guardava frenetico intorno e quando finalmente si posarono su di
lui, riuscì a sussurrare un “Killian!”
A sentir pronunciare il suo nome, l’uomo tirò
un sospiro di sollievo, ma la preoccupazione tornò a rifarsi viva, quando vide
la donna uscire con velocità dal letto e recarsi in bagno.
I conati di vomito seguirono subito dopo.
Killian tentò di raggiungerla, ma la porta della sua
stanza si aprì e Alice comparve con due con occhi impauriti.
“Papà, ho fatto un brutto sogno, posso dormire
con…” la bimba non fece in tempo a terminare la frase che Killian,
non potendo in quel momento dare la sua attenzione alla piccola, rispose “Non
ora Alice, torna a dormire nella tua stanza!”
“Ma…” provò la bambina non capendo cose stesse
succedendo, ma Killian nuovamente con tono e sguardo
severo le disse di andare.
Non obbiettò più e Killian
potè vedere la figlia andare via.
Raggiunse la moglie nel bagno ancora piegata
sul gabinetto, che ansimava e aspettava che il suo stomaco la smettesse di fare
i capricci.
L’uomo stava quasi per inginocchiarsi accanto a
lei e tirarle su i capelli, quando notò qualcosa che fino a quel momento non
aveva visto a causa dell’assenza di una luce che non fosse quella data
dall’esterno. Del sangue a terra e sulla tavoletta del water.
Cercò immediatamente la ferita dalla quale quel
sangue proveniva e si spaventò quando afferrando la mano destra di Emma, vide
uno squarcio su di essa.
“Come ti sei procurata questa ferita?” chiese Killian.
Emma che fino a quel momento non aveva fatto
caso alla ferita, vedendola entrò nel panico.
Si ricordò ogni singolo dettaglio del sogno e
anche degli odori e quest’ultimi le fecero nuovamente svuotare lo stomaco.
Killian era visibilmente preoccupato e non sapeva cosa
fare per aiutare la moglie, ma non ebbe nemmeno il tempo di rifletterci che
sentì, qualcuno chiamare Emma e un pianto di una bambina che non era sua
figlia.
Uscì dal bagno e accese la luce della camera da
letto e si sorprese nel vedere Regina, in vestaglia da notte con Roni in braccio che, aggrappata al suo collo, piangeva
disperatamente.
“Regina? Che diavolo sta succedendo?” chiese Killian.
“Devo immediatamente parlare con Emma!” disse
Regina agitata e Killian vide in lei la stessa
preoccupazione che aveva intravisto in lui, nello specchio del bagno.
“Non è il momento adatto!” disse Killian frettolosamente. Non poteva mandarla via, perché
dalle condizioni in cui era arrivata insieme alla figlia, comprese
immediatamente che ci fosse un collegamento con tutto quel delirio che si stava
verificando.
“Regina, Roni!” disse
Alice, entrando nella stanza e Killian non potè fare a meno di passarsi una mano sulla fronte.
“Ti avevo detto di tornare a dormire!” disse l’uomo
rivolgendosi alla figlia.
La piccola scosse la testa e disse “Ho paura!”
Regina guardò Alice e vide, sebbene non ai
stessi livelli di Roni, il terrore nei suoi occhi. La
donna allora decise di prendere in mano la situazione, fece sedere Roni sul letto e accarezzandole il volto, le disse di calmarsi
e di stare tranquilla, che lei non si sarebbe allontanata e che Alice le
avrebbe tenuto compagnia.
Ad Alice però non sfuggirono le macchie di
sangue che c’erano sul letto “perché c’è del sangue, papà?”
Regina, che
non l’aveva notato, con una magia lo fece subito sparire e dopo guardò Killian in cerca di una spiegazione.
“Non è niente. La mamma si è fatta un piccolo
taglietto, ma passerà in fretta!” disse l’uomo per calmare la figlia, la quale
si sedette accanto a Roni, spaesata da tutto quel
trambusto.
Regina, una volta riuscita a calmare almeno in
parte la figlia, si affacciò alla porta del bagno, dove vide Emma appoggiata
alle mattonelle del bagno, cercando di immettere più ossigeno possibile
all’interno dei polmoni.
Tremava e ansimava e sembrava non fare nemmeno
caso alla sua presenza e quella del marito che le si era inginocchiato accanto
chiamandola ripetutamente.
“Cosa le sta succedendo?” chiese Regina
preoccupata.
“Non ne ho la più pallida idea. È andata in
crisi subito dopo essersi svegliata, con una ferita alla mano che non riesco a
spiegarmi quando se la sia fatta!”
Regina guardò l’entità della ferita. Era
piuttosto profonda, ma con la sua magia, riuscì a risanarla come se non se la
fosse mai fatta.
Questo però non sembrò smuovere Emma. Aveva la
testa appoggiata sul petto di Killian, che nel
frattempo l’aveva abbracciata, e continuava a guardare davanti a sé con uno
sguardo perso. Tremava visibilmente.
“Emma, Emma mi senti?” chiese Regina. Poggiandole una mano sulla spalla.
La donna annuì leggermente, ma continuava a non
guardarla.
“Emma, qualsiasi cosa ti stia facendo questo,
devi combatterla!” disse Regina, non nascondendo però la sua preoccupazione.
“Mamma!” disse una vocina dietro di loro, che
fece voltare Emma verso di lei.
“Alice, torna di là!” disse Killian.
L’uomo non voleva che sua figlia vedesse sua madre in quelle condizioni.
Regina si alzò e accompagnò la bimba nella
stanza accanto dove c’era Roni che ancora
singhiozzava. Non sapeva più cosa fare per consolarla e sperava di rivolgersi
ad Emma per capire cosa le stesse capitando e invece ora non sapeva come
aiutare né l’una, né l’altra.