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Autore: Ghen    27/05/2018    6 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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14. Il destino che ci ha fatte incontrare


Al mondo esisteva qualcuno che aveva privato a lei e a suo cugino di una vita normale. Stavano pagando in carcere, così le avevano detto. Fino a quel momento le era bastato. Aveva ricominciato a vivere, si era ricostruita pezzo dopo pezzo e aveva fatto oro delle lezioni impartite dai suoi genitori, ma vedere i disegni di Kal che tentava di ricordarsi chi era e cos'era successo, l'aveva violentemente riportata a quel giorno. Ora adulta non pensava che accontentarsi di sapere che era tutto finito sarebbe bastato. Per Kal era diverso, lui stava ricominciando solo adesso a vivere, ma lei aveva ottenuto una nuova consapevolezza e sarebbe andata avanti. Voleva perché, voleva risposte e guardare in faccia chi aveva causato tanto dolore. Sapeva dove cominciare: il posto alla CatCo. Doveva passare il colloquio a ogni costo e con qualunque compito; non ne valeva solo del suo futuro ma anche del suo passato.
Vedere quei disegni le aveva ricordato il terrore vissuto, ma le aveva anche insegnato qualcosa: la vita era una e, da un momento all'altro, poteva perdere tutto. Non aveva senso fasciarsi la testa prima di averla rotta e sapeva di essersi comportata male con Lena e di non averla voluta ascoltare, ma aveva intenzione di farsi perdonare e, ormai aveva deciso, dichiararsi. Era innamorata di lei e a quel che sarebbe successo dopo averglielo detto non ci voleva pensare, non ancora. Poteva farcela, doveva solo concentrarsi, raccogliere coraggio, costruire un buon piano e armarsi di un ottimo discorso. Un discorso che la convincesse a dare a loro due un'occasione.
«E così… Insomma, non ti sto solo chiedendo di perdonarmi, ti sto chiedendo di… cioè, no, no, non te lo sto proprio chiedendo, è più che altro che-», si bloccò, alzando il mento e tirando sul naso gli occhiali, «che… i-io ti amo. È solo questo, alla fine: mi sono innamorata di te. Perdutamente. E lo so che le nostre madri si sono fatte la promessa di matrimonio e tutto il resto, m-ma, Lena, la vita è una e noi dobbiamo viverla o di questo, un giorno, ce ne pentiremo amaramente», prese una pausa, guardandola negli occhi. «Lo so quello che ti ho detto da Kal e mi dispiace, vorrei dire che non lo pensavo davvero m-ma in quel momento lo pensavo però- no, dimentica ciò che ho appena detto», rise, allungando una mano per fermare ogni tentativo da parte dell'altra di ribattere, «sono stata una completa idiota! Voglio quello che hanno Kal e Lois, sì, m-ma… posso averlo anche con te se, insomma, noi, noi come coppia ci provassimo… No? Che ne pensi?».
Megan annuì lentamente, facendo una smorfia con la bocca. «Secondo me ti sei impastata troppo».
«No», strinse gli occhi, scuotendo la testa.
«Sì, ragazza, devi essere più decisa; tendi a divagare! E anticiperei la cosa dell'idiota, per spostare alla fine il ti amo. Così non potrà controbattere», le sorrise, prendendo le mani nelle sue in un incoraggiamento. «Anzi, sai che fai? Chiedile velocemente scusa e butta il ti amo subito, arriva al dunque! Avrai tempo dopo di perderti in tutte queste cose sconclusionate».
Kara annuì con decisione e afferrò con grinta il cellulare accanto a lei, sul suo letto, mentre l'amica si mise in piedi a braccia a conserte, in attesa. Compose il numero e deglutì, poggiandolo all'orecchio. Squillava. Squillava a lungo. «Forse non mi vuole parlare…», si passò una mano sui capelli con fare nervoso, «Oddio, cos'ho fatto…?». Temeva il peggio: da quando avevano lasciato Metropolis erano passati giorni e non si erano ancora sentite. «Non risponde», guardò Megan con gli occhi sgranati.
«Kara?».
«Oh, cielo! Ci sei», si lasciò scappare un sospiro e poi un sorriso.
«Stai bene? Ti serve qualcosa?».
«Ah… sì. Sì, sì, in verità mi serve…», guardò l'altra, che cercava di darle indicazioni gesticolando, «Vorrei parlarti. Devo parlarti. Ho bisogno di vederti».
«Ci vediamo domani, Kara. Ricordi l'incontro alla Luthor Corp?».
«Oh, sì… ma no. No che non mi ricordo, ma che non- io vorrei vederti da sola per parlarti, ecco». Sentì Lena sospirare e deglutì ancora, capendo quanto seria si stesse facendo la cosa.
«Non possiamo vederci oggi, Kara, sono impegnata. Ci vediamo domani e ci pensiamo, va bene?».
L'entusiasmo di Kara scemò, corrucciando le labbra. «Va bene, sì. A-A domani». Chiuse la chiamata e guardò Megan, che aveva come lei un'aria delusa.

Lena poggiò il cellulare davanti a lei, sulla scrivania in camera sua. Riprese una penna nera in mano e guardò ai fogli davanti, pieni di sottolineature e parole cerchiate, ricominciando a leggere a voce alta, tirandosi dietro un orecchio una ciocca di lunghi capelli lisci. Lesse con enfasi come se dovesse recitare delle battute, poi udì un rumore e si alzò dalla sedia a ruote, aprendo la porta. Eliza era lì che usciva dalla porta davanti alla sua, piantonata a guardarsi spaesata. «Ti sei persa di nuovo?», sorrise con compassione e la donna rise.
«Decisamente! Tua madre mi ha mandato a prendere uno scatolone dal vecchio ufficio di sopra ma non riesco a trovare l'ufficio o almeno uno che abbia degli scatoloni», scrollò le spalle.
Lena si affacciò, indicando una porta. «Intendeva sicuramente il vecchio ufficio che usava mio padre: eccolo. Torna indietro, seconda parta alla tua destra».
«Grazie. Ah!», bloccò un passo, avvicinandosi alla ragazza. «So che tutto questo deve spiazzarti molto, così se vuoi parlarne con qualcuno… voglio che tu sappia che puoi farlo con me», le sorrise, poggiandole una mano su una spalla, sulla fine vestaglia che indossava. «Sappiamo entrambe quanto tua madre non ci sappia fare con queste cose, ma per fortuna io ho il brevetto», le fece l'occhiolino e Lena le sorrise, vedendola andar via.
«Seconda porta a destra», le ricordò, vedendola guardarsi intorno di nuovo. La vide prendere lo scatolone e dirigersi alle scale, così richiuse, prendendo un grosso respiro. Aveva ragione Eliza: nonostante se lo aspettasse e avesse ormai accettato il cambiamento, vedere le cose di suo padre sgomberate e disposte in magazzino nella dependance le faceva uno strano effetto. Eliza Danvers si stava trasferendo: aveva iniziato portando con sé solo l'essenziale, ma Lena sapeva che era una cosa definitiva. Si sedette di nuovo sulla scrivania e, controllando il cellulare, scoprì di aver ricevuto una nuova email. L'aprì subito, leggendo i primi aggiornamenti da parte di Leslie Willis sul caso di suo padre. Prese un post it da un blocco e si segnò un nome, un indirizzo e un numero di telefono, così corse alla porta, la riaprì e, vedendo che non c'era nessuno, richiuse e prese il cellulare, componendo quel numero.
«Buon pomeriggio. Cerco Ross Fawrett. Lena Luthor. Sono Lena Luthor», annuì, ascoltando la voce dall'altra parte.

Eliza poggiò lo scatolone sul pavimento del salone, avvicinandosi a Lillian che teneva in mano un block notes, intenta a tenere il conto delle cose. La sentì arrivare e la anticipò:
«Verranno domani pomeriggio. Li ho chiamati e renditi conto: oggi proprio non possono muoversi».
Eliza l'abbracciò, regalandole un dolce bacio sul collo. «Li hai chiamati oggi. Le persone comuni prenotano quando hanno bisogno di un servizio. In questo caso di trasloco. Non importa: comincerò io a portare gli scatoloni nel magazzino; sono forte, sai, nel caso tu non lo abbia notato».
«Oh, no, l'ho notato eccome», incurvò la testa, abbozzando un sorriso. «Ma non vorrei che ti rovinassi la schiena, mia cara, e loro vengono pagati per questo. Piuttosto», si animò di colpo e si avvicinò alle scale, appoggiando una mano al legno della ringhiera, «Di sopra vorrei che esaminassi alcune stanze che potrebbero prendere Kara e Alex».
«Delle loro stanze? Mh, non saprei… Alex vive per conto suo, ha un appartamento, e Kara ha il campus».
«Quando verranno a stare qui vorranno trovare una camera adatta alle loro esigenze», le spiegò, «Pensaci. Intanto dovrai essere tu a sistemarti per bene nella nostra camera personale».
Eliza rise con imbarazzo e le portò via un bacio. «Sono preoccupata per Lena», sussurrò, tentando di tornare seria. «Sta molto tempo chiusa in camera sua e temo abbia problemi con questo trasferimento».
«Finora abbiamo trascurato questa parte del nostro rapporto, non stiamo facendo di fretta, vedrai che Lena si abituerà. Lei resta sempre spesso chiusa in camera sua quando sono qui e sicuramente starà preparando il suo discorso di domani».
Eliza guardò verso il piano superiore, sulle scale, così le annuì. «Anche questo sarà un gran cambiamento».
«È una Luthor», ribatté, circondando la donna nei fianchi, «Ed è pronta. Lei lo sa: è la sua eredità. Lionel non le ha lasciato altro che il suo nome».

Era la grande riapertura della Luthor Corp dopo le vacanze estive e tutti i dipendenti si erano diretti al lavoro, quella mattina, sapendo di dover partecipare a un discorso nell'auditorium dell'azienda. Si stava riempiendo in fretta. Kara era arrivata presto perché sperava di cogliere Lena qualche minuto da sola, ma non aveva fatto i conti con la calca già all'ingresso. Salutò da lontano Jeffrey della portineria ed Eliza la trovò per prima, chiedendole di starle vicino perché temeva di perderla. Entrarono nell'auditorium al piano terra insieme e trovarono i loro posti già assegnati alla prima fila al centro. Vide Lena con sua madre Lillian ma la salutarono con un'occhiata e un cenno, occupate a correre da una parte dall'altra del salone. Dopo poco arrivò anche Alex, lamentandosi di aver perso per un attimo l'orientamento per via delle tante persone presenti. Si sedette accanto a Kara e le fece notare la sedia vicino alla sua dall'altro lato, vuota, su cui c'era il cartellino col nome Lex Luthor, chiedendosi se finalmente si sarebbe unito a loro.
Ma Kara aveva altro a cui pensare e continuava a ripetere le parole scusa e ti amo nella testa, cercando di stare attenta il più possibile agli spostamenti di Lena: era salita sul palco, era andata dietro le quinte, poi era tornata a uscire, scendendo dalle scalette e andando a parlare con quelli che sembravano operatori. Appena la vide sola, finalmente, si alzò di scatto come se avesse avuto le puntine sulla sedia e disse a madre e sorella che sarebbe tornata presto. Le due la guardarono interrogative, ma immaginarono che dovesse correre in bagno.
«Lena», la chiamò, trovandola sola dietro una parete, con dei fogli in mano. Si avvicinò. «So che probabilmente non è il momento adatto, anzi non lo è quasi sicuramente, m-ma speravo di parlarti di una cosa veloce, prima che tu salga sul palco».
Lei alzò lo sguardo dai fogli e la guardò negli occhi, deglutendo. «Vai. Veloce».
Scusa e ti amo. Scusa e ti amo. Semplice, immediato, efficace. Scusa e ti amo. «Emh…». Doveva essere passato qualcuno dietro di lei poiché vide Lena salutarlo e poi ridare a lei l'attenzione. «Emh… i-io in verità…», le scappò un sorriso e Lena guardò di nuovo, fugace, i fogli. «N-Non so come…». Forse Lena era troppo buona per dirle di non avere tempo adesso per lei che aveva perso la voce, così si arrese. «Niente di importante, può aspettare: vai, vai e stupiscici».
Lena le sorrise, dandole una pacca su una spalla. «Me lo dirai dopo».
Arrossì, vedendola salire sul palco per raggiungere una delle sedie che erano state poste a poco dal leggio al centro, su cui stava davanti Lillian che parlava con un uomo. Kara ritrovò il suo posto a sedere e così molte altre persone ancora in piedi, a parte quello al fianco sinistro di Alex, riservato a Lex, ancora vuoto.
«Benvenute e benvenuti», quello stesso uomo, corpulento e coi baffi, attirò l'attenzione di tutti, che cominciarono a zittirsi. Accostandosi a lei, sua madre fece sapere a entrambe le sue figlie che lui era il dirigente coi gradi più alti. Il signore si lasciò andare a una breve annunciazione dei cambiamenti che investiranno l'azienda dai prossimi mesi e poi passò il microfono a Lillian Luthor, che si alzò dalla sedia accanto a Lena sistemandosi la gonna e dando un colpo di tosse. In sala non si muoveva più una sola mosca.
«Grazie. Ho lavorato qui davvero tanti anni, così tanti che fatico ormai a ricordare come mi sentivo all'epoca, giovane e con tante aspettative per l'avvenire. Volevo cambiare il mio futuro e quello di questa azienda, allora ancora piccola e acerba. Perché non solo ero preparata, ma conservavo grande determinazione. Ciò che non mi aspettavo, tuttavia, era di trovare marito e di avere successivamente dei figli. Figli che-», si fermò e il suo sguardo planò lontano, verso le porte. Eliza, Alex e Kara si girarono curiose e videro solo la figura di qualcuno, distante, che ascoltava il discorso. Lillian fece un altro colpo di tosse. «Scusatemi. Dicevo… figli. Figli che si sono sempre dimostrati all'altezza del nome che portano. Il mio primogenito Lex si occupa della succursale di Metropolis già da diverso tempo e sono molto orgogliosa dei suoi risultati. Lo sarò altrettanto della mia seconda figlia, Lena. Come anticipato, dai prossimi mesi l'azienda vedrà dei grossi cambiamenti. Mia figlia terminerà gli studi quest'anno e sempre durante quest'anno prenderà le redini di questa azienda al posto mio», prese una breve pausa, quando le reazioni dei più si stavano trasformando in basse chiacchiere. «Lascerò in mano a lei la Luthor Corp qui a National City entro quest'anno e dopodiché andrò in pensione. Resterò a vigilare l'operato di entrambi i miei figli, li guiderò e assisterò, ma mi farò da parte. Come sono entrata qui ragazza con tante aspettative e determinazione di fare qualcosa di concreto per il futuro, auspico che ora faranno lo stesso gli eredi dell'uomo che ha costruito tutto questo: Lionel Luthor. Sono loro il futuro», si girò per guardare Lena che, immobile, la guardava a sua volta. «Un applauso a Lena Luthor».
Lei si alzò dalla sedia ansimando, cercando di trattenere il tremolio delle mani sui fogli con il discorso che si era portata dietro, mentre tutti all'auditorium applaudivano e si lasciavano andare a qualche brusio. Lillian la ritrovò a metà strada e l'abbracciò all'improvviso, con un braccio, mentre con l'altro le fermava i fogli che saltellavano dall'agitazione.
«Prendi fiato, Lena; non vuoi dare l'impressione di essere nel panico, te lo assicuro», le sussurrò, per poi lasciarla andare.
Lei appoggiò i fogli sul leggio e guardò il pubblico, ricercò facce conosciute e quelle poco conosciute, guardando poi lontano, verso le porte.
Alex e Kara si girarono ma quella figura non c'era già più. «Non l'ho visto bene, ma doveva essere Lex», bisbigliò la prima. Kara si chiese perché non si fosse avvicinato, ma non osò porre la domanda a voce alta temendo di perdersi il discorso di Lena che stava iniziando. Alzò lo sguardo e la ritrovò a guardarla, così le sorrise.
«Buongiorno a tutte e tutti. Sono Lena Luthor», sorrise e la sala rise con lei, mentre Lillian alzava gli occhi al cielo. «Tornando seri, grazie per essere arrivati puntuali questa mattina per essere tutti qui, adesso, in questo momento così importante per l'azienda e per me. Il mio passaggio a capo qui sarà molto più graduale di come ve lo aspettate, non ci saranno grandi cambiamenti nell'immediato ma, considerato che siamo qui e nessuno di noi ha altro da fare, vi parlerò di qualcosa più nello specifico». Molti risero ancora e Lena si lasciò andare a un sorriso compiaciuto mentre degli operatori portavano sul palco un monitor e, con l'andare delle immagini, lei iniziava a spiegare. «Questi saranno solo alcuni dei progetti che guiderò di persona con voi al mio fianco a tempo debito».
Kara si perse. Di ciò che diceva Lena non capiva più una parola, ma in realtà la sua voce le arrivava appena, troppo presa a guardare lei come si muoveva, come sorrideva, come riusciva a prendere l'interesse di tutti con il minimo sforzo. Aveva i capelli tirati indietro, raccolti in alto, le lasciavano il collo scoperto. Era la prima volta che le vedeva indosso quel vestito a fiori. Le sembrava così irraggiungibile. Probabilmente non l'avrebbe mai conosciuta, o non come la conosceva ora, se non fosse stato per le loro madri. Da quel punto di vista, allora era stata una fortuna che il destino gliel'avesse presentata pur anche come sorella. Voleva credere che era possibile stare insieme anche in quella situazione perché, rifletteva scuotendo la testa, era già incredibile pensare che una come Lena si fosse innamorata di lei, specialmente per come le cose, tra loro, erano iniziate. Certo non glielo aveva detto a parole, ma era sicura che avrebbe ricambiato non appena si fosse fatta avanti. Magari gliel'avrebbe detto lei se da Kal non si fosse chiusa a riccio per la questione di Roulette. Aggrottò le sopracciglia, ricordando lei che cercava di spiegarsi e la propria testa che continuava a respingerla, mannaggi- ahi, cos'era stato? Si disincantò, scoprendo che Alex, sguardo duro, le aveva dato un pizzicotto sul braccio sinistro.
«La vibrazione del tuo cellulare», sussurrò, «Mi disturba e non riesco a sentire».
Tirò fuori il telefono dalla borsa e trovò un messaggio e una chiamata persa da parte di James Olsen. Oh, si era scusata con lui per come si era comportata da suo cugino, eppure per un attimo si era scordata di avergli dato il numero.
Da JamesOlsen a Me
Ehi, Kara! Spero di non disturbarti, ho provato a chiamarti ma non devi aver sentito. Come stai? Ero molto impegnato in famiglia in quest'ultimo periodo e mi dispiace di non averti cercato prima. E non preoccuparti per quello che è successo da tuo cugino: conosco un po' la vostra storia e so cos'ha passato lui. Mi chiedevo se ti andasse di uscire insieme qualche volta! Anche solo se avessi bisogno di parlare con qualcuno: puoi contare su di me. Fammi sapere presto!
Era davvero un bel tipo, riconosceva. Se solo lo avesse conosciuto prima…
Da Me a JamesOlsen
Ciao, James! Grazie mille e sono contenta di sentirti. Però devo rifiutare: ho gli allenamenti, gioco a lacrosse e ora riprendono le partite, e poi devo studiare…
Alzò lo sguardo, ritrovando Lena, che il cellulare vibrò di nuovo.
Da JamesOlsen a Me
Non ti preoccupare, anch'io per lavoro sarò impegnato. Ma sarò a National City proprio per questo, non so ancora quando, ma ti farò sapere per tempo! Così non dovremo rimandare!
Rimandare? Oh, non aveva proprio capito.
Da Me a JamesOlsen
Sei carino, James, ma non voglio farti perdere tempo, non so quando sarò libera!
Gonfiò le guance, pensando bene a cosa scrivergli e dopo inviò. Le seccava dirgli che non era interessata a lui, in fondo non le aveva scritto da nessuna parte che voleva vederla per un appuntamento, ma se lo aspettava: ricordava certe occhiate che le aveva riservato a quella cena da Kal. E lo aveva pure baciato, se per un soffio; chissà lui cosa si aspettava. Voleva davvero conoscerlo, e non solo perché era il migliore amico di suo cugino, ma non voleva neppure dargli false speranze. Il cellulare vibrò di nuovo, facendola spaventare e indispettendo Alex, che la guardò torva.
Da JamesOlsen a Me
Come preferisci! Ma non ho problemi ad aspettarti!
Da Me a JamesOlsen
Sei carino, grazie. Sono certa che troverò lo spazio per uscire con un amico!
Così doveva andare: era meglio specificarlo fin da subito.
Da JamesOlsen a Me
Sì, certo, come amico va bene. Iniziamo a conoscerci!
Kara sorrise e Alex le diede un altro pizzicotto.
«La vuoi finire con quel cellulare?».
«Ho fatto, ma- ahi», si girò velocemente a destra, passandosi una mano sul braccio dove le aveva fatto un pizzicotto anche Eliza.
«Finitela di parlare tutte e due: vi sentite solo voi».
Kara chiuse il cellulare in borsa e bloccò la vibrazione in caso di altri messaggi o chiamate, cercando di riprendere ciò che aveva lasciato. Ah, già. Non il discorso, ma l'ammirare Lena.
Purtroppo sapeva che sarebbe andata a finire così: concluso il discorso, l'auditorium si svuotò con una lentezza impressionante e vide Lena rapita da una parte all'altra della sala per parlare con le facce più disparate, tra quelle entusiaste, quelle entusiaste ma ancora perplesse su alcuni punti del discorso, quelle entusiaste che sorridevano e le stringevano la mano in continuazione, quelle entusiaste che non finivano di parlare, quelle entusiaste che non facevano che porre domande, e di sicuro altre facce entusiaste. Kara le inviò un messaggio per farle sapere che l'aspettava davanti all'ascensore, ma appena la vide la salutò con una mano, lontana, circondata da altre facce entusiaste, e sparì con loro. Sapeva che non avrebbe fatto ritorno e tornò al campus con l'aria della sconfitta disegnata in faccia. Lena la richiamò quella sera sul tardi, stava per andare a dormire, ma Kara non poteva dirle una cosa così importante per telefono, così la invitò a mangiare insieme l'indomani, e l'indomani ancora, e quello dopo, lei continuava a rifiutare.
Kara si lasciò andare, spalmandosi sul letto con delusione. «Sbrb c e nn tr v a me».
«Se vuoi che ti capisca dovrai sollevare quella faccia dal cuscino, Danvers».
Lei brontolò, riuscendo ad alzare il busto con parecchia fatica, guardando Megan. «Sembra che non riesca più a trovare del tempo per me».
L'altra annuì, pescando una carta e cercando il suo posto tra le file di quelle poggiate sul letto. «Lavoro, università, tutor, chi lo sa cos'altro: credo abbia degli ottimi motivi per non avere più tempo per te», sorrise, infilando la carta nel posto corretto e prendendone un'altra.
«No! Ha detto che il suo passaggio a capo sarebbe stato molto graduale. Quindi ha solo tutto il resto».
«Allora non ti vuole parlare». Si girò per godersi il suo sguardo d'odio e scosse la testa, abbozzando una risata. «Non mi preoccuperei, fossi in te. Quella ragazza ti ama, Kara, e lo sai anche tu. Avete avuto un battibecco ma non è mai stato un battibecco a fermare una grande storia d'amore. Pensa a Romeo e Giulietta, Lancillotto e Ginevra o», ci pensò un attimo, «il Principe e la Sirenetta».
Kara si buttò di nuovo di peso. «Te ne sei accorta di aver citato solo coppie che sono finite in tragedia? E una di loro diventa schiuma di mare quando lui decide di sposare un'altra ma si rifiuta di ucciderlo», mormorò lei.
«Oh, poverina… me la ricordavo più felice». Sorrise soddisfatta quando vide di aver finito il suo solitario. «Va bene, adesso possiamo andare ad allenarci».
Il piano consisteva nello stare da sole, era il primo passo, sorprenderla con le sue scuse e, veloce, prima che potesse dire qualcosa, il ti amo, rapido, preciso come un proiettile, che doveva colpire il suo cuore. Fortunatamente dopo giorni di tentativi a vuoto, Lena Luthor accettò di andare a pranzo con lei. Era il suo momento.
Solito locale vicino alla Lutor Corp, Lena arrivò in ritardo di quindici minuti e la pancia di Kara brontolava da almeno trenta. Si scusò per il ritardo ed entrarono, intanto che il cuore di Kara batteva come la musica di un film horror prima di una scena spaventosa, senza riuscire a calmarlo, tentando di controllare il respiro. Ordinarono velocemente e notò che Lena si fermava a guardarla, di tanto in tanto, facendo uno strano sorriso; come se sapesse in anticipo cosa volesse dirle e la cosa non faceva che metterla ancora più su di giri. Scusa e ti amo. Scusa e ti amo. Erano sole e poteva farcela.
«Allora, come stanno andando gli allenamenti?».
«Cosa? Ah, sì, il lacrosse. Bene, bene», annuì. «A fine mese abbiamo la prima partita, siamo contro Gotham City. Verrai a vedermi?».
«Certo», rispose come se fosse ovvio e il cuore di Kara saltò un battito.
Iniziarono a mangiare e non le tolse occhio di dosso, mentre Lena controllava più spesso del dovuto il suo cellulare. Ora o mai più. Scusa e ti amo. Scusa e ti amo. «Lena, senti… t-ti volevo chiedere scusa per-».
«Non importa», la interruppe, non sapendo che in quel modo l'avrebbe messa in difficoltà con il filo del discorso. Le sorrise, mettendo giù il cucchiaio e guardandola intensamente negli occhi. «Kara, quello che hai passato quando eri bambina ti ha segnato, anche se porti la testa alta tutti i giorni. Non importa, credimi. Hai rivisto tuo cugino, sei stata male, va tutto bene! Non sono arrabbiata».
«Ah…», arrossì, abbassando lo sguardo. Dannazione. Sì, era bello sapere che non era mai stata arrabbiata con lei e che l'aveva capita, ma tutto il piano si basava su quelle scuse e ora non sapeva da che parte ricominciare. «V-Va bene».
«Da un punto di vista penso di capirti, anche se la tua esperienza è decisamente più drammatica. Ma non parliamo adesso di questo; siamo qui perché mi devi dire qualcosa, giusto?».
Kara deglutì. «G-Giusto. E-Ecco, il fatto è che non so come dirtelo… O meglio, avevo preparato un piano che tu mi hai distrutto poco fa, quindi dovrò fare di nuovo di testa mia e sai quanto parlo se mi metto a fare di testa mia, all'improvviso, e-», si fermò, prendendo un grosso boccone d'aria mentre l'altra la guardava quasi senza battere ciglio, poggiando la schiena sulla spalliera della sedia. «La verità è che- è che lo so che ora sembra tutto difficile, e poi Lois e Kal, quando li ho visti ho pensato che… che… Accidenti, quello che sto cercando di dirti-».
Lena deglutì e la interruppe subito: «Che domani mattina hai l'appuntamento con Cat Grant e sei nervosa. Lo sapevo. Vorresti già essere come tuo cugino e Lois Lane». Kara la guardò senza fiato mentre lei continuava, giocherellando con un bicchiere. «Ti farei da spalla ma sarò in università. Non devi preoccuparti di dirmi cose come questa; ci sarò sempre per te quando hai bisogno. Anzi, dato che non ci sarò fisicamente, ti scriverò per messaggio, così potrai sentirmi con te. Non devi rispondermi, solo… leggere».
Seria, Kara annuì lentamente e poi abbozzò un sorriso. «Sì, s-sì… Temevo di passare per sciocca a dirti che ero nervosa… M-Ma è normale, no?». No. No. No. Non andava bene, non andava bene per niente; cos'era successo? Ci stava seriamente riuscendo, anche se non di certo come le aveva suggerito Megan, ma ci stava riuscendo. E ora si ritrovava costretta in un altro argomento che niente aveva che vedere con quello che voleva. Ma non si sarebbe persa d'animo: erano sole e non aveva neppure più bisogno di chiederle scusa, restava solo il ti amo. «Ma in realtà, quello che volevo dirti è che-», si bloccò di colpo, sentendo la suoneria del cellulare di Lena. Non doveva rispondere. Non doveva rispondere. Non doveva risp-
«Scusami, devo rispondere».
Accidenti. Annuì un po' di volte e richiuse, ma il suo sguardo da quella telefonata era cambiato e Kara sapeva che era un cattivo presagio.
«Mi dispiace», si alzò, riportando la borsa in spalla, «ma devo proprio andare. Ci rifaremo senz'altro, te lo prometto! In bocca al lupo per domani, ti scriverò». Le lasciò una pacca sulla spalla e, proprio mentre Kara pensava si stesse allontanando da lei, un bacio su una guancia.
Avvampò, vedendola sparire, domandandosi cos'avesse di così importante da fare che non poteva aspettare dopo pranzo…

L'auto nera con Ferdinand alla guida si fermò ai pressi di un ospedale, ai limiti di National City. Lui le aprì la portiera e Lena Luthor scese con eleganza, borsa in spalla; salì le scale che portavano all'edificio ed entrò.
Attese solo pochi minuti dopo che si presentò alla reception cercando Ross Fawrett e lui, indosso la divisa rosa da infermiere, la richiamò.
«Suo padre? Mi ricordo…», annuì, grattandosi la nuca, «Gran brutta caduta da cavallo».
Si spostarono dallo stare davanti a una porta d'ascensore e cominciarono a camminare. Lena era costantemente sull'attenti, temendo che qualcuno li sentisse. «Lei è stato uno dei primi infermieri a soccorrerlo, se le mie fonti non sono errate».
«Sì, è vero. A un primo sguardo: caviglia sinistra rotta».
«Primo sguardo?».
Lui alzò le mani in segno di resa. «Sono stato sostituito. Che cosa cerca, esattamente, signorina Luthor?».
«E poi è stato trasferito?», incalzò, senza rispondere alla sua domanda. Lo vide annuire.
«A volte succede, non mi sono posto domande. Sono solo pochi chilometri dall'altro ospedale. È il mio lavoro: vado dove c'è bisogno di me».
«Ed è stato sostituto da chi, posso saperlo?».
«Senta…», lui si portò le mani nelle tasche, scuotendo la testa, «Mi dispiace per ciò che è successo a suo padre, ma non posso dirle più di quello che le ho detto: caviglia rotta. Non so altro».
Lena si irrigidì, per poi ansimare. «La ringrazio lo stesso. Se posso solo chiedere, vista la sua esperienza sul campo, magari, se ha notato qualcosa di insolito in lui, dovuto alla caduta o…?».
L'uomo strinse gli occhi, cercando di fare mente locale, ma infine scrollò le spalle. «Non saprei. Non aveva altri segni evidenti, a parte nei palmi delle mani, qualche escoriazione per come ha cercato di ripararsi dalla caduta», le sorrise, «Suo padre era un tipo loquace, signorina Luthor, non faceva che parlare del tempo! Ahimè, tuttavia, non diceva se aveva male da qualche altra parte, probabilmente per l'adrenalina. Ora, se vuole scusarmi».
Lo salutò e lei si appoggiò schiena contro il muro, prendendo un grosso respiro. Parlare con l'infermiere non le aveva detto molto riguardo le condizioni fisiche, ma sul piano mentale c'era qualcosa che non andava: suo padre non era loquace. Non lo era mai stato. Scosse la testa, prendendo il telefono. Compose un numero e lasciò squillare parecchio tempo prima di decidere di richiudere. L'ex segretaria di sua madre era sparita. Maledizione. A quel punto, decise di rientrare.

E così il fatidico giorno era arrivato. Per l'occasione, Kara aveva deciso di indossare dei pantaloni lunghi, marroni, per denotare serietà, ma con sandali aperti e una camicia fresca e leggera. Il doversi dichiarare a Lena l'aveva un po' allontanata dal pensiero di dover incontrare Cat Grant per un colloquio di lavoro, ma ora che era all'interno della CatCo e stava aspettando l'ascensore, una parte di lei era così in ansia che la stava mangiando dentro. Doveva mettersi bene in testa che quel posto per lei non significava soltanto il lavoro desiderato da una vita, ma era anche il punto più facile per ottenere la verità sul suo passato. Doveva restare concentrata e camminare dritta fino al raggiungimento del suo obiettivo.
Lasciato l'ascensore entrò in una sala piena di scrivanie, di persone che andavano e venivano, alcuni con pile di fogli tra le braccia, i telefoni squillavano in continuazione e il rumore di scanner, stampanti e computer riempiva l'aria. E di aria, quella vera e pulita, pensò, sembrò mancare là dentro. Una voce urlò il nome di qualcuno e una ragazzetta si alzò da una scrivania come se quella avesse appena iniziato a prendere fuoco e così corse dentro un ufficio. Oh, non era difficile capire dove si trovasse Cat Grant.
La vide da lontano attraverso i vetri e più urlava contro la poverina e più si rendeva conto che, a breve, sarebbe spettato a lei. Ricevette qualche occhiata là dentro, ma non si lasciò fermare e bussò con energia sulla porta, restando in attesa. Cat Grant scacciò la segretaria, che uscì con le lacrime agli occhi, e le urlò di entrare.
«Chiudi, chiudi la porta», le fece cenno con la mano, disgustata; dopo qualche istante finalmente la guardò, abbassando gli occhiali da sole, mostrando occhiaie rossastre. «Aspetta un momento: e tu chi sei? Avevo un appuntamento adesso con…», se mise a sfogliare rapidamente dei fogli che aveva sulla scrivania e Kara si affrettò a fare due passi avanti, portandosi una mano contro il petto.
«Oh, con me, con me, signora Grant», si avvicinò ancora, mostrandole la mano, «Piacere di conoscerla, sono Kara Danv-».
«Ferma dove sei!», le ordinò all'improvviso, così Kara si bloccò. La squadrò da capo a piedi, tenendo bassi i suoi occhiali. «Ouh…», sbuffò, rimettendo a posto i suoi fogli con aria distratta, «Mi aspettavo un'universitaria tutto pepe, non una bimba del liceo».
«I-Io frequento l'università, signora Grant».
«Beh, la tua faccia e il tuo abbigliamento mi dicono che sai appena prendere l'autobus da sola…», ricercò il suo nome nei fogli, per poi leggerlo a bassa voce e ripeterlo, «Keira Danvers».
«È Kara, veramente».
«Lena Luthor mi ha parlato molto bene di te. Sembrava estasiata dal tuo modo di fare, per come l'hai aiutata con quel caso alla Luthor Corp. La cosa aveva emozionato anche me e anche se a guardarti ora quasi me ne pento, voglio darti la possibilità di distinguerti. In quel caso, ho un posto alla CatCo per te. Deludimi e sei fuori. Patti chiari e amicizia lunga. Beh… non proprio amicizia, ci siamo capite, è un modo di dire», aggiunse gesticolando, agitando la tazza che aveva appoggiata sulla scrivania, scoprendo con delusione che era vuota e mugugnando.
«Q-Qualsiasi cosa, signora Grant».
Qualsiasi cosa, certo, qualcosa che pensava di dover fare da sola. L'aveva fatta sedere sulla scrivania della sua segretaria con il compito di scrivere un articolo, uno solo, che la soddisfacesse, con l'unica condizione che a seguirla e a curarle il pezzo dovesse essere una delle sue dipendenti: Siobhan Smythe. Lei adorava Siobhan Smythe e non vedeva l'ora di conoscerla. Prima. Prima di scoprire che era un'arpia doppia faccia della peggior specie. A ricordare l'articolo sul numero 432 del CatCo Magazine che prima tanto amava adesso le veniva mal di stomaco. Non poteva crederci di aver idolatrato una persona tanto acida e antipatica. Si piazzava alle sue spalle e leggeva, così rideva e se ne andava e Kara barrava tutto, ricominciando daccapo. Non le dava consigli, si limitava a prenderla in giro. Le masticava una gomma nelle orecchie. E per di più, quando si sedeva alla sua scrivania, non distante, la chiamava spesso per farla andare da lei e no, non certo per aiutarla.
«Danvers, considerato che sei qui perché non pensi di renderti utile e portarmi un caffè? Per favore».
Kara alzò gli occhi al cielo ed eseguì. Si accorse di non sapere la strada solo quando era già in viaggio in ascensore, così torno indietro.
«Che sciocca, devo essermi scordata di dirtelo: pian terreno».
Kara corse.
Quella mattina non sembrò finire mai. La macchinetta si bloccò ma infine riuscì ad avere quel caffè. Sorrise nel leggere i messaggi che Lena le scriveva, dal so che ce la farai, al sei la persona più forte che conosca. Uno le disse credo che non smetterò mai di credere in te e Kara sussultò. Era come se le avesse detto che l'amava, ma usando parole diverse. Forse erano davvero fatte l'una per l'altra.
«Oh, non è possibile, sono proprio distratta questa mattina: Kara, lo prendo senza zucchero; potresti scendere a riprenderlo?».
Lei la guardò con l'odio nello sguardo. Non disse nulla, semplicemente tornò indietro non appena le lasciò le monete. Avrebbe voluto spiegarle che non era la sua segretaria, ma non voleva farla arrabbiare e di conseguenza far arrabbiare Cat Grant; non la conosceva e non sapeva se la cosa avrebbe potuto infastidirla, così eseguì e basta, in silenzio. Lesse di nuovo tutti i messaggi in attesa del caffè, come per infonderle un po' della forza che Lena credeva lei avesse, poi tornò indietro. Per poco non si scontrò con una donna dai capelli argentati e ringraziò che non le cadde il caffè.
«Mh, immaturo e incompleto…», disse Cat Grant, esaminando il testo di Kara. «Mi aspettavo di più dalla ragazza determinata che ha scovato una falla nei rapporti della Luthor Corp. Tu cosa ne pensi, Siobhan?».
«Assolutamente d'accordo, signora Grant», annuì e a Kara parve perfino dispiaciuta. «Ho provato a consigliarla, ma lei chiaramente voleva fare di testa sua… Forse si ritene tanto in gamba, dopo quello che è successo alla Luthor Corp».
Eh, no. Poteva portarle il caffè e rifare la strada anche quattro volte, senza masticare nelle orecchie e ridacchiare del suo lavoro, ma non le avrebbe permesso di dire nefandezze sul suo conto. «No», alzò la voce, «Non è ver-».
«Chiudi la bocca, Keira, ho mal di testa», la donna la fece zittire, portandosi una mano sulla fronte. Chiese a Siobhan Smythe di uscire e poi guardò lei negli occhi, senza occhiali e mettendo le mani con le dita intrecciate. «Dovevi scrivere qualcosa, qualsiasi cosa, che mi soddisfacesse. Su qualsiasi argomento. Invece mi ritrovo con un temino da scuole medie sullo sport. Dov'è il sentimento, la ricerca… dove sei tu, in queste righe?».
Kara deglutì, capendo di aver fallito, e che non era nemmeno colpa di Siobhan, dopotutto. «P-Posso fare di meglio, signora Grant». Era la sua ultima spiaggia. Temeva di sentirla dire che poteva ritornare a casa, invece le restituì il foglio e la rimandò fuori.
«Ah, Keira».
«Kara».
«Noterai che per questo lavoro non si può puntare solo sulla determinazione. Se pensi di non essere all'altezza, allora questo non è il posto per te».
Uscì, ritornando a sedersi. Udì Siobhan Smythe richiamarla ma finse di non sentirla, cercando di rimettersi al lavoro. A un certo punto se la ritrovò di nuovo alle spalle, col fiato sul collo.
«Ti stavo chiamando, Kara, svegliati. Dovrei fare delle fotocopie di un documento: potresti andar tu?», le lasciò un foglio sulla scrivania, prendendo passo per allontanarsi. «Me ne servono almeno due. Grazie».
Kara deglutì, alzando la testa. «Fattele da sola».
«Come, prego? Ho sentito male?».
«No. Sto lavorando: fattele da sola».
Dietro una scrivania poco più avanti, si mosse la stessa criniera argentea con cui Kara si era scontrata quando aveva la tazzina di caffè in mano. Quella donna rideva con gusto, mettendosi comoda sulla sedia e sistemando i piedi incrociati sulla scrivania. «La micetta ha tirato fuori gli artigli. Miao», esclamò, muovendo la mano a mò di graffio.
Siobhan Smythe la guardò appena con una smorfia, tornò indietro a riprendere il foglio lasciato da Kara e se ne andò per fare le fotocopie.

Per richiamare l'ascensore dovette calmarsi. In ascensore, perché le mancava l'aria, dovette calmarsi. Quando le porte si aprirono… restò incantata: Lena Luthor era lì, parlava con una coppia, bellissima come non lo era stata mai. Quello. Quello era il momento giusto. Lena era sua.
Uscì con passo svelto, la sorprese alle spalle e in un attimo la rovesciò, la guardò in viso e, sotto lo sguardo sbigottito dei presenti, la baciò con passione. Quasi riusciva a sentire la musica in sottofondo.
Le porte dell'ascensore stavano per richiudersi e dovette infilare una mano, svegliandosi di colpo, per non restare chiusa lì dentro. Oh, sì, era stato un bel sogno a occhi aperti, ma Lena la vide e le sorrise, così le sembrò, in fondo, un sogno possibile.
«Com'è andata? Devi assolutamente raccontarmi tutto». L'abbracciò e Kara prese un grosso respiro.
Quando la lasciò le sorrise anche lei: «Sono stata presa».
«Ma è fantastico! Sapevo che ci saresti riuscita, non avevo alcun dubbio».
Uscirono e decisero di andarsi a prendere un gelato per festeggiare, forse l'ultimo della stagione. Camminavano l'una vicina all'altra e, di tanto in tanto, si scorgevano a guardarsi e così ridevano.
«Siobhan Smythe è una vera…», si lasciò andare a una smorfia e a un ringhio, facendo ridere l'altra, «persona irritante e maleducata».
«Tu non sai proprio come offendere il prossimo, eh?», rise, finendo il suo cono; Kara lo aveva già finito da un po'.
Si sedettero sulla panchina di un parco e si guardarono, prima di ridere di nuovo, senza apparente ragione, solo perché erano felici.
«È tutto grazie a te. Se ci sono riuscita è grazie ai tuoi incoraggiamenti; se ero lì per poterlo fare è grazie a te per aver parlato con la signora Grant».
«È grazie a te che mi hai dimostrato di essere una futura reporter coi fiocchi», rimbeccò, «O lei non mi avrebbe mai dato-».
«Ascolto, sì, me lo ha fatto capire», sorrise di rimando, «La signora Grant ha una personalità molto forte. E comunque è un tirocinio, devo finire gli studi… Devo ancora-».
«Sorprenderla», concluse per lei, «Ci riuscirai».
Kara deglutì. Ora o mai più. Di nuovo. «Lena… le cose tra noi si sono un po' raffreddate da quando siamo tornate da Metropolis. Hai detto che non ho nulla da perdonarmi m-ma sento che non è così», la guardò dritta negli occhi, «Voglio che siamo sincere l'una con l'altra, ti prego. Quello c-che sto cercando di dirti è che… che-».
«Mio padre è stato assassinato». Le parlò sopra quasi di colpo e Kara spalancò gli occhi, cercando di capire. «Mia madre ha coperto il suo assassinio e sto cercando di capire cos'è successo e perché. Non dovrei parlartene perché è rischioso, la gente che ha avuto a che fare dall'incidente alla sua morte continua a sparire e… ho paura». Kara si avvicinò, stringendole una mano. «Ma voglio che siamo sincere, Kara. Hai ragione e cercavo di dirtelo da un po', non ne trovavo il coraggio… Niente più Roulette, omissioni, niente. Ho paura di non farcela da sola e… voglio stare al tuo fianco e voglio farlo sapendo di essere sincera».
Kara la prese fra le sue braccia. «Ti starò sempre vicina. Lo sai».
«Vale anche per me».

Il suo piano era fallito. Miseramente fallito in ogni sua parte. Eppure tornò verso il campus con il sorriso stampato sulle labbra. Non era solo ciò che era successo alla CatCo, ma la confessione di Lena che si era fidata di lei e l'aveva sentita vicina come mai prima. Forse anche più vicina di come sarebbe stato se fosse riuscita a dichiararsi. Si amavano e lo sapevano; forse il resto poteva aspettare.
Era ormai vicina al cancello quando sentì il cellulare vibrare e si fermò. Forse era Lena e… ah, era solo James.
Se tutto va come previsto, dovrei essere a National City verso la seconda metà di ottobre. Allora, ti andrebbe di uscire con me?
Kara sorrise, scuotendo la testa.
Da Me a JamesOlsen
Vedrò di liberarmi! Non vorrei però che capissi male: si intende come amico, no?
Stavolta glielo chiese espressamente, in modo che non ci fossero incomprensioni. Fece ancora due passi che la risposta di lui non si fece attendere:
Sì, ovviamente! Tranquilla, Kara, non voglio turbarti.
Non era la risposta che si aspettava e lesse con attenzione, aggrottando le sopracciglia.
Da Me a JamesOlsen
Turbarmi per cosa?
Da JamesOlsen a Me
Del fatto che sei già innamorata di un'altra persona! Non sono stupido, mi interessi ma non voglio forzarti o ferirti!
Da Me a JamesOlsen
Come fai a saperlo?
Da JamesOlsen a Me
Come faccio? Lo hai detto tu! Ricordi? Lo hai detto prima di andare a letto, alla festa di tuo cugino. Lena Luthor ti stava portando via e hai detto delle cose, Kara. Ti sei dimenticata?
Kara restò immobile, con il cellulare tra le mani. Forse James doveva essersi risposto da solo alla domanda, poiché aveva mandato subito un altro messaggio:
Hai detto delle cose spiacevoli, Kara. Come che i tuoi genitori erano stati uccisi e che ti stava andando male tutto, come che non sapevi come comportati da capitano per la tua squadra, o che ti eri innamorata della persona sbagliata. Non pensavo avessi bevuto tanto da non ricordare, scusami. Con me puoi parlare quando vuoi, Kara!
Lena lo sapeva. Per tutto il tempo, Lena lo sapeva. Lo aveva detto e non ricordava. Lena lo sapeva.


***


Lena aprì la porta di camera sua e la richiuse dietro di lei, ancora col sorriso sulle labbra. Poggiò la borsa su una poltrona e si sciolse i capelli. Aveva qualche minuto per rilassarsi prima di tornare in università, così si liberò anche i piedi dagli alti sandali e si sedette davanti alla scrivania, accendendo il portatile. Parlare con Ross Fawrett le aveva posto altre domande, più che fornirle risposte, e non la portava da nessuna parte perché non aveva fatto nomi. Avrebbe dovuto aspettare qualche altro aggiornamento di Willis per andare avanti, oppure scoprire che fine aveva fatto la ex segretaria di sua madre che le aveva promesso di aiutarla a trovare il coroner del caso di suo padre. Aveva davvero paura che avesse fatto anche lei chissà quale fine. E per di più non le aveva lasciato nulla per aiutarla. Sospirò, poggiando la testa sulla spalliera. Era punto e a capo.
O almeno lo era finché non le arrivò quella notifica. Si fece curiosa, cliccandoci. Apparteneva a un vecchio forum di medicina: ci aveva girovagato a lungo quando cercava alcuni dei medici che si erano occupati di suo padre, trovando, coi loro nomi, account non più attivi da mesi. Era un messaggio in posta privata. Lo aprì, scoprendo nient'altro che una serie di numeri.


























***

Ci riprendiamo dallo stand alone della scorsa settimana con un capitolo un po' più corto… Ma non per questo privo di avvenimenti: Kara aveva deciso di dichiararsi, Lena invece di essere sincera con lei e dirle di suo padre. Eliza si sta trasferendo a villa Luthor (e tende a perdersi). Kara ha fatto prova alla CatCo e abbiamo avuto modo di conoscere Cat Grant e Siobhan Smythe, il suo idolo prima di poterle parlare dal vivo e adesso sembra che finirà per odiarla. Poi Lena ha tenuto un discorso nell'azienda di famiglia e si prepara per prenderne le redini. Ha avuto un incontro con uno dei primi infermieri ad aver soccorso suo padre all'ospedale e ciò che ne ha ricavato è stato solo farsi dire che era loquace e parlava del tempo. E la serie di numeri in notifica? Ah, poi sì, abbiamo anche saputo da James Olsen che, in realtà, Kara si era già dichiarata ma era troppo ubriaca per ricordarlo: Lena sa.
Tanto impegno per una cosa che non sapeva di aver già fatto, anche se non certo come aveva in mente °°
La situazione sembra sempre più complicarsi, eh? Eppure sono ora vicine quanto mai lo sono state e prevedo che nel prossimo capitolo le cose prenderanno una piega diversa...  

La pubblicazione torna di lunedì, lunedì 4 giugno, con il prossimo capitolo che si intitola Fretta di vincere :3 Non mancate e buona domenica!

   
 
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