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Autore: Signorina Granger    29/05/2018    3 recensioni
“Sei sicura di non voler venire ad allentarti per la maratona? Sarebbe divertente correrla insieme.”
“Ci sarà Ryan Goasling sulla linea del traguardo?”
“Non credo.”
“Allora passo.”
*
“Alla buon’ora! Hai trasformato il bagno in una sauna?!”
“Scusa, ma ero davvero esausta dopo la maratona.”
“Sì, di Downton Abbey…”
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Fifty shades of Reil 



“Sei sicura di non voler venire ad allentarti per la maratona? Sarebbe divertente correrla insieme.”

Emil indugiò sulla soglia del salotto mentre chiudeva la cerniera della felpa, osservando lo schienale del divano dove la fidanzata era stesa e di cui riusciva a vedere solo i piedi appoggiati sul bracciolo.
Le si avvicinò e appoggiò i gomiti sullo schienale, osservandola con un sorriso divertito sul volto mentre la ragazza sollevava lo sguardo, distogliendo l’attenzione dal suo libro per rivolgergli un’occhiata di traverso:

“Ci sarà Ryan Goasling sulla linea del traguardo?”
“Non credo.”
“Allora passo.”

Rebecca ritornò a leggere con nonchalance, senza scomporsi minimamente mentre il fidanzato sbuffava debolmente, guardandola con gli occhi azzurri imploranti:

“Ma ci sarò io sulla linea del traguardo ad aspettarti!”
“Mh, mi tenti, ma per fortuna non devo correre la maratona per averti tutto per me, no?”

Rebecca sfoggiò un sorriso allegro e Emil si arrese, annuendo e sospirando:

“Va bene, come vuoi… ci vediamo più tardi, allora.”
“Buona corsa… ma non prendere freddo!”
“Tranquilla, il mio sangue danese mi impedisce di ammalarmi entro i limiti di certe temperature.”


*


“Adoro le sale da thè! Non lo so, hanno un non so che di… pittoresco. Rilassante, confortevole. Come si fa a non amare le sale da thè, con i dolci, i tavolini, le poltroncine e i mille aromi?”

“Puoi anche dirlo che stai con me solo perché mia madre ne gestisce una…”
Emil inarcò un sopracciglio mentre si rivolgeva alla fidanzata, abbassando lo sguardo su di lei mentre camminavano fianco a fianco sul marciapiede, con Rebecca che lo teneva sottobraccio e il capo appoggiato contro la sua spalla dopo averlo trascinato a “fare merenda” nella sua Sala da thè prediletta.
L’ex Serpeverde sorrise, annuendo prima di parlare con tono divertito, il rumore dei tacchi che segnava ogni suo passo sul marciapiede:

“Mi hai scoperta, è uno dei motivi.”
“Sono curioso di conoscere gli altri.”

“Beh, anche perché sei l’essere più dolce e amabile del mondo, sei stupendo, sai cucinare, hai un cane meraviglioso, sei bravissimo a suonare e io adoro gli uomini che amano la musica, i cani e sanno cucinare. In pratica sei il mio idealtipo perfetto, Bach.”

Rebecca parlò con una scrollata di spalle, piuttosto di buonumore mentre Emil, invece, restava in silenzio e si limitava a “sbirciare” quasi timidamente tra i suoi sentimenti e le sue emozioni, provando un moto di calore e quasi sollievo difficile da descrivere quando riuscì a scorgere tutto quello che lei provava per lui. Un sentimento così forte e vivo, senza la minima sbavatura, che lo fece sorridere a sua volta.

“Ti amo anche io, Becky. E comunque sì, nessuno oltre a me potrebbe mai sopportarti, non ci sono dubbi.”


*


“Alla buon’ora! Hai trasformato il bagno in una sauna?!”
Quando la porta del bagno si aprì e la sua fidanzata fece la sua comparsa con l’accappatoio allacciato in vita, i capelli avvolti in un asciugamano e le infradito ai piedi dalle unghie appena smaltate Emil era appoggiato al muro e le rivolse una delle sue rarissime occhiate torve: era andato a correre ed era tornato trascinandosi verso il bagno per lavarsi, ma lo aveva trovato già occupato dalla sua fidanzata.

“Scusa tesoro, pensavo saresti tornato più tardi… tutto tuo.”
“Se non hai finito l’acqua calda…”
“Potevi farti la doccia nell’altro!”
“Stanno rifacendo la doccia, ti ricordo.”

“Ah, è vero. Beh, scusa, ma ero davvero esausta dopo la maratona.”
Rebecca lo superò ce si allontanò con un sospiro, ciabattando sul parquet mentre teneva l’asciugamano in equilibrio ed Emil la seguiva brevemente con lo sguardo prima di alzare gli occhi al cielo ed entrare in bagno:

“Sì, di Downton Abbey…”
“Tu non puoi capire, è morto Matthew, ero distrutta dal dolore!”


*


“Per te.”
Emil sfoggiò un largo sorriso mentre porgeva a Rebecca l’enorme mazzo di gigli bianchi che teneva in mano, guardandola sfoggiare un’espressione stupita mente li prendeva, piegando le labbra nel suo sorriso più dolce che sfoggiava praticamente solo in sua presenza mentre sfiorava i petali bianchi con un dito:

“Oh… grazie. Sono i miei preferiti.”
“Lo so.” Emil annuì, sorridendo compiaciuto mentre la fidanzata gli rivolgeva un’occhiata perplessa:

“Ma… perché?”
“Mi serve un vero motivo per regalarti i tuoi fiori preferiti?”

Emil si strinse nelle spalle e continuò a sorridere anche quando, dopo aver sospirato, Rebecca si alzava in punta di piedi per abbracciarlo, gettandogli le braccia al collo e mormorando sommessamente che era meraviglioso e che lei non lo meritava affatto.


*


“Fa male?”
“Mh?”
Emil, assorto nel film che stavano guardando, si voltò verso la fidanzata senza capire a cosa si stesse riferendo. In effetti Rebecca non sembrava prestare molta attenzione alla televisione e, seduta sul divano accanto a lui, stava osservando con aria assorta il tatuaggio che il danese sfoggiava sul bicipite sinistro, il nome del fratellino “Sebastian” scritto in un elegante corsivo che la ragazza stava sfiorando delicatamente con un dito, tracciando le linee dell’inchiostro indelebile.

“I tatuaggi? Beh… per i Babbani sì, abbastanza, ma noi abbiamo qualche trucco per soffrire meno. Non hai mai pensato di fartene uno?”
“No. Insomma, è una cosa che dovrebbe avere un significato importante, non mi piace chi si tatua stupidaggini solo per dire “ho un tatuaggio”. E non mi è mai venuto in mente nulla che fosse così importante… Tu ne hai tre, invece.”

Emil annuì mentre gli occhi di Rebecca guizzavano sulla sua caviglia, dove si intravedeva il piccolo tasso stilizzato che Emil di era fatto tatuare pochi mesi dopo il Diploma in memoria della sua Casa e pensando alla bandiera della Danimarca che sfoggiava sulla spalla destra.

“Sì. Beh, hai ragione, dev’essere qualcosa di importante. Chissà, magari ti verrà l’ispirazione, presto o tardi.”

Emil sorrise prima di tornare a concentrarsi sul film e Rebecca annuì distrattamente, esitando con aria pensierosa prima di parlare:

“Ti piace il film?”
“Sì, sopratutto mi piace la sorella della protagonista.”

A senti sbuffare debolmente ma non si voltò, reprimendo a fatica un sorriso divertito prima di sentirla borbottare qualcosa:

“Mi fa piacere che sia di tuo gradimento.”
“Sì, beh, sai, in effetti è proprio il mio tipo, bionda, alta, occhi chiari… un po’ come in Scandinavia…”

“Allora torna pure in Scandinavia a cercarti una vichinga…” Rebecca fece per alzarsi dal divano, scura in volto, ma Emil scoppiò a ridere e glielo impedì acchiappandola per i fianchi, cingendola con le braccia robuste e stampandole un bacio sul retro del collo prima di parlare:

“Scherzavo… adoro la mia moretta dagli occhioni da cerbiatta.”
“E io il mio vichingo.”

Rebecca abbozzò un sorriso mentre si voltava, sfiorandogli il viso con una mano mentre un’espressione soddisfatta si faceva largo sul volto del danese:

“Più di Ryan Goasling?”
“Mh, sì, anche se il mio danese preferito rimane Aragorn del Signore degli Anelli…”

“Non ti dovevo far vedere quel film!”
Emil sbuffò ma Rebecca non lo imitò, ridendo prima di baciarlo, improvvisamente totalmente incurante del film. E a giudicare dal modo in cui la strinse a sè, stringendole i capelli castani quasi con fare possessivo, lo stesso si poteva dire di Emil.


*


“Vichingo?”

Emil si limitò a mugugnare qualcosa invece di svegliarsi, sfoggiando una smorfia leggermente contrariata mentre Rebecca sorrideva divertita e gli accarezzava i capelli biondi.

Fu solo quando sentì il profumo del caffè che Rebecca versò nella tazza che il violinista aprì gli occhi, sorridendo prima di mettersi lentamente a sedere e appoggiarsi alla testiera del letto:

“Ciao…”
“Buon compleanno.” Rebecca sorrise e si sporse verso di lui per baciarlo, guadagnandosi un largo sorriso da parte del fidanzato, che si allargò quando si accorse del vassoio traboccante di cibo appoggiato sul letto:

“Mi hai preparato la colazione?”
“Certo, era il minimo, tu me la prepari tutte le domeniche da quando viviamo insieme. E ho anche un’altra sorpresa per te.”

Rebecca, con un sorriso, iniziò a togliersi la garza dal polso ed Emil, accigliato, seguì i suoi movimenti con leggera confusione: un giorno era tornato a casa e le aveva visto la fasciatura, ma Rebecca aveva riso e aveva dichiarato di essersi fatta male per una stupidaggine.

Invece, quando ebbe rimosso la fasciatura, Emil si ritrovò a sorridere di fronte alla E in corsivo che la fidanzata sfoggiava sul polso, allungando una mano per sfiorare il tatuaggio:

“Ti piace?”
“Certo. C’era qualcosa che stonava, in effetti…”

“Beh, ho finalmente trovato qualcosa di importante da imprimere sulla mia pelle. Anche se la tatuatrice era scettica, ha dichiarato che non era una buona idea perché se ci lasciassimo dovrei trovarmi per forza uomini con questa iniziale…”
Rebecca sorrise ma Emil non la imitò, inarcando un sopracciglio e sfoggiando un’espressione torva:
“Mi sembra superfluo dal momento che noi non ci lasceremo.”


*


Rebecca sedeva in prima fila, sorridente mentre teneva gli occhi fissi sul suo fidanzato, che stava accordando il violino sul palcoscenico prima che il concerto iniziasse.
Si sfiorò quasi senza volerlo con le dita l’anello che portava alla mano sinistra, non riuscendo a non sorridere al pensiero che entro poche settimane sarebbe diventata sua moglie. 

E magari tutte quelle oche-sanguisughe avrebbero smesso di fare gli occhi dolci al suo fidanzato al supermercato, quando andava a correre, quando passeggiavano, quando mangiavano fuori o quando andavano ad un concerto. 
Specialmente ai suoi concerti, c’era da dire.

Sì, Rebecca Crowley era sicura che prima o poi avrebbe ricevuto una condanna ad Azkaban per omicidio di massa, una volta aveva persino rimproverato Emil quando lui le aveva detto di non curarsene e di non essere gelosa, rispondendo che “era colpa sua perché troppo attraente”.

Continuava ad osservare il fidanzato, sperando di incrociare il suo sguardo e salutarlo, fargli capire che era lì per lui, quando sentì una voce accanto a sè:

“Sei sola?”
Rebecca si voltò di scatto, uscendo dalla bolla in cui si era momentaneamente rinchiusa per posare lo sguardo sulla persona che aveva appena preso posto accanto a lei sulla fila di poltroncine di velluto rosso scuro.
“No. Sono venuta con il mio fidanzato.”  Accigliandosi leggermente l’ex Serpeverde rivolse un’occhiata incerta all’uomo seduto accanto a lei, di pochi anni più vecchio.

“E ti ha lasciato qui tutta sola? Scortese da parte sua.”
“Ha di meglio da fare al momento.”
“Di meglio da fare piuttosto che assistere allo spettacolo insieme a te? Ne dubito.”

Sorrise, e Rebecca lo imitò prima di voltarsi nuovamente verso il palco con tutta l’intenzione di dire qualcosa come “in effetti si trova sul palco, al momento”, ma si accorse con leggero sgomento che Emil non era più lì.
Dannazione, le aveva mandato in fumo la risposta perfetta… 
Si stava chiedendo dove si fosse cacciato quando sentì una voce accanto a lei, una voce familiare e rassicurante che la fece sorridere mentre alzava lo sguardo:

“Sono venuto a prendermi un bacio portafortuna.”
Emil le sorrise prima di chinarsi, mettendo una mano sullo schienale della sua poltroncina e l’altra sul suo viso prima di baciarla, sorridendole quando si staccò mentre le sfiorava una guancia con il pollice:

“Sono felice che tu sia qui.”
“Non sarei mai mancata.”

Rebecca sorrise mentre Emil, dopo essersi rimesso in piedi, le rivolgeva un cenno prima di allontanarsi:

“Beh, ora devo andare. Spero sarà di tuo gradimento… buona serata.”  Emil rivolse un candido sorriso anche allo sconosciuto prima di allontanarsi, mentre Rebecca cercava di non ridere di fronte all’espressone quasi scioccata di quest’ultimo:

“Ma è il primo violinista…”
“Già. Magari, se la smetterà di dire stronzate, le farò avere l’autografo del mio fidanzato a fine concerto.”



Furono ovviamente tra gli ultimi ad andarsene ed Emil raggiunse Rebecca nel sontuoso ingresso del teatro tenendo la custodia del suo violino in mano, sorridendo quando la vide in piedi ad aspettarlo, i capelli castani arricciati leggermente raccolti in un’elegante coda e il vestito rosso dalla gonna svasata in tulle e la fascia nera in vita addosso. 

“Ehy… sei stato fenomenale. La critica ti adorerà, ne sono sicura.”
“La critica di cui più importa è la tua… ti è piaciuto il concerto?”
“Sì, molto.”
Rebecca sorrise, guardandolo con affetto mentre il fidanzato la prendeva sottobraccio, lasciandole un bacio sulla tempia prima di parlare:

“È piaciuto anche al tuo vicino?”
“Penso di sì. Grazie per essere comparso, a proposito.”
“Figurati, mi sono voltato verso di te proprio mentre prendeva posto e mi è parso che tu gli piacessi un po’ troppo a prima vista.”

“Emil, non vorrai dirmi che sei stato geloso!”
“Non dire assurdità, sei tu quella gelosa, qui.”
“Mh, sarà. Torniamo in albergo?”

“Certo, la parte migliore di questi viaggi sono le camere di lusso e la spa pagate! Ah, Becky?”
“Sì?”
“Sei un incanto stasera.”

“Devi smetterla di essere così adorabile.”


*


Emil correva qualche metro davanti a lei e Rebecca più che concentrarsi sulla corsa era impegnata a desiderare di poter uccidere con lo sguardo. 
Sì, perché era a dir poco stanca delle gatte morte che facevano gli occhi dolci ad Emil il sabato mattina, quando correvano nel parco… sembrava che tutte le oche di Londra si fossero registrate i loro orari e passassero di lì giusto in tempo per rifarsi gli occhi con il danese. 

Già, peccato che il suddetto danese non fosse abbordabile, neanche lontanamente.

E non sapeva se Emil fosse troppo dolcemente ingenuo per accorgersene o se si divertiva nel vederla rodere…

Rebecca sospirò rumorosamente quando uno stormo di anatre – in senso metaforico, aveva superato le anatre vere poco prima – si avvicinò ad Emil.
Ma perché voleva sempre andare a correre?! Basta, doveva trovargli un nuovo hobby, lo avrebbe costretto ad iniziare Downton Abbey, ecco, quella era una splendida idea.

Quando poi vide un’anatra in pelle e ossa – tutta pelle e ossa, in effetti – rivolgersi al suo fidanzato e poi sorridere, ridendo persino per qualcosa che lui le disse, Rebecca si pentì di non portare mai la bacchetta con sè quando uscivano per correre.
Ed era sicura che lui sapesse, non era stupido, solo adorabile. Ma non era ingenuo, dopotutto lo sapeva, talvolta fingeva semplicemente di esserlo.

Te la faccio pagare, vedi come te la faccio pagare. La prossima volta in cui andiamo a cena metto il mio vestito più inguinale e scollato e faccio gli occhi dolci al cameriere, poi vedremo chi riderà!
Ridi, ridi brutto adorabile e bellissimo farabutto dal cuore d’oro, dopo facciamo i conti, mangerai solo minestrone per un mese!

In effetti non seppe bene come accadde, fatto sta che i lacci delle scarpe dell’anatra si legarono stranamente tra loro e la “poveretta” ruzzolò con un urletto a terra sotto gli occhi sbigottiti del violinista, che però non fece in tempo a dire nulla perché la fidanzata lo raggiunse con uno scatto, prendendolo sottobraccio e invitando caldamente e gentilmente le presenti ad andare a fare gli occhi dolci all’uomo di qualcun’altra. 


“Emil, la settimana prossima cambiamo parco.”
“Ma…”
“Non discutere. E stasera cominci Downton Abbey. E mangerai minestrone e nient’altro.”


*


Rebecca, in piedi davanti ad Emil, inspirò profondamente mentre guardava il cartoncino color panna che teneva in mano, consapevole dello sguardo curioso e quasi emozionato di Emil su di sè, e anche di tutti i numerosi presenti. Ma sapeva di doversi concentrare solo e soltanto su di lui, così iniziò a leggere le parole che lei stessa aveva scritto con pazienza e forse, all’inizio, un po’ di fatica, nei giorni passati:

“Stiamo per dire “lo voglio”, otto piccole lettere, due brevi parole… è la parte più semplice, ma non c’è niente di semplice in tutto ciò che implica. Lo voglio significa “so che potresti ferirmi, ma sono pronta a guarire”, significa “voglio tentare, anche quando la paura di fallire mi blocca”, “non conosco il futuro, ma sono pronta a farmi sorprendere da ciò che ci riserva” e “lo voglio” significa anche “voglio il tuo amore, e ti dono il mio”. So che dopo queste due piccole parole niente sarà più come prima, e non vedo l’ora che ciò accada perché… perché ti amo tantissimo, Emil Bach, e anche se ancora non so perché tu abbia scelto me, te ne sono davvero grata.”

Rebecca fini di leggere quasi sorridendo di sollievo è solo allora alzò lo sguardo per incrociare quello del quasi marito, rendendosi conto con leggero stupore che gli occhi azzurri di Emil erano a dir poco lucidi. 
“Oh Merlino… erano così… così pessime?! Ci ho messo un’eternità, sai che non sono brava ad esprimere affetto, ma per iscritto pensavo che mi venisse meglio…”

Rebecca sgranò gli occhi, improvvisamente quasi a disagio – come se non fosse già stato difficile esprimere i suoi sentimenti a voce alta, davanti a tutte quelle persone – ma Emil scosse il capo con un sorriso prima di prenderle le mani tra le sue, così pallide e grandi in confronto a quelle piccole, delicate ed olivastre di lei.

“No. Sono le parole più belle che tu mi abbia mai detto.”

Poi Rebecca si accorse che Emil non era l’unico ad essersi commosso e inarcò un sopracciglio, rivolgendosi agli invitati:

“Andiamo… è un matrimonio, non un funerale, sorridete!”


*


Ghensa Bach stava innaffiando dei tulipani di un bel rosa acceso quando la campana che anni prima aveva sistemato sopra all’ingresso tintinnò, facendola capire che era entrato qualcuno.
La donna alzò lo sguardo, pronta a salutare con la sua solita cordialità chiunque fosse entrato. Ma si ritrovò a sgranare gli occhi quando si trovò davanti nientemeno che sua nuora, che le stava sorridendo mentre le si avvicinava:

“Rebecca! Cara, che ci fai qui?”
“Sono passata a fare un saluto. Come stai?”

Ghensa mollò l’annaffiatoio a se stesso e le si avvicinò per abbracciarla, senza che la ragazza facesse una piega essendoci ormai abituata:

“Bene… c’è anche Emil?”
“In realtà sono sola. C’è una cosa che dovrei chiederti.”
“Tutto quello che vuoi.”

“Ecco… mi prepareresti dei cupcake? Di quelli che piacciono tanto ad Emil.”
“Beh, certo… ma sei venuta a Copenaghen solo per questo?!”
La donna rivolse un’occhiata perplessa alla nuora mentre le faceva cenno di avvicinarsi al bancone, dove facevano la loro figura un’infinità di torte, biscotti, muffin e cupcake.
“Beh, è un’occasione speciale, quindi quali meglio dei tuoi dolci? In effetti avrei una richiesta particolare… potresti fare la glassa di un azzurro chiaro? È importante.”

Rebecca sorrise mentre sedeva su uno degli alti sgabelli e la donna, che intanto si era spostata dietro al bancone, la guardò con gli occhi sgranati per un paio di istanti prima di parlare con voce carica d’emozione:

“Azzurra?”
“Mh-mh.”
“Becky, non sarai mica…”
“Sta per arrivare un nuovo piccolo Bach.”

Rebecca sorrise e Ghensa, dopo un attimo di stupore, sorrise e quasi iniziò a saltellare sul posto battendo le mani prima di raggiungerla e stritolarla nuovamente in un abbraccio, esclamando in danese che avrebbe offerto una fetta di torta a chiunque quel giorno mentre Rebecca rideva, intuendo il significato di quelle parole a giudicare dalle reazioni dei clienti.

“Ora capisci perché voglio che li prepari tu e perché sono sola?”
“Certo, ma… Emil sa che sei qui?”
“In effetti no.”

“È tornato dal tour in Germania?”
“Sì, diciamo che lui è tornato e io sono partita.”
“Oh povero caro, chissà cosa avrà pensato!”
“Lo so, conoscendolo starà facendo i peggiori pensieri, come se potessi conoscere qualcun altro e dimenticarmi di lui in sole tre settimane!”

Rebecca rise come se fosse una sciocchezza mentre Ghensa, invece, annuiva e sorrideva debolmente:

“È un po’ fragile sotto questo punto di vista, lo sai. Teme di svegliarsi una mattina e vedere che non lo ami più.”
“Non succederà mai, glie l’ho ripetuto mille volte.”


*


“Becky, con calma, piano…”
“Lo so, lo so, smettila di ripeterlo! Ma perché questo imbecille va così piano?! Non c’è nessuno davanti a lui!”

Rebecca sbuffò mentre rivolgeva un’occhiata torva alla macchina che li precedeva, tamburellando con le dita sul volante mentre, accanto a lei, Emil pregava che tutto andasse bene.
Quasi rimpiangeva di averla costretta ad imparare a guidare, assicurandole che sarebbe stato utile una volta che il bambino sarebbe arrivato. 

“Ma… sta svoltando! Ecco perché andava così piano, brutto imbecille, e la freccia? Cos’è, un optional?! E dove pensa di andare questo in contromano… INUTILE CHE SUONI IDIOTA, C’È IL SENSO UNICO, DOVE HAI TROVATO LA PATENTE, NELL’OVETTO KINDER?! … Quel gesto era rivolto a me? A ME? Emil, aspettami qui.”
“Becky perché ti stai fermando?!”
“Vado a dare una lezione di vita ad un ermafrodito… aspettami qui e non guardare, non sarà un bello spettacolo.”

“Oh Merlino… tesoro sei incinta, non ti agitare!”


*


“Emil? Sto facendo la lista della spesa, vuoi qualcosa?”
Rebecca si affacciò nel salotto ma non ottenne risposta dal marito, che era seduto sul divano ma non diede segno di averla sentita, impegnato a sorridere e a fare smorfie al bambino dai vispi occhi azzurri e i capelli chiarissimi che si era praticamente seduto sul suo petto e ora ridacchiava allegramente, alzando una mano di tanto in tanto per toccare il naso del padre.

Rebecca abbozzò un sorriso a sua volta, avvicinandosi ai due, da lei soprannominati “il dinamico duo” e appoggiandosi al divano per sorridere a sua volta al figlio:

“Vi divertite?”
“Sì. Guarda Pete, c’è la mamma!” Emil sorrise e indicò la moglie al bambino, che sfoggiò un largo sorriso sdentato e allungò le mani verso di lei:

“Sei proprio un bambino adorabile.” Rebecca sorrise teneramente, allungando una mano per dare un pizzicotto sulla guancia del figlio mente Emil sorrideva con affetto al bambino:
“Tutto suo padre. Dicevi sulla spesa?”
“Mh, niente, volevo solo chiederti se devo aggiungere qualcosa di preciso per te… vuoi che vada io, così puoi restare qui con il tuo ometto?”

“Mi farebbe piacere, ultimamente quando torno a casa lo trovo sempre addormentato! Non sarai mica pigro come la mamma, vero Pete?”
“Ehy!”


*


“Boncio!”

Anne rideva come una matta mentre inseguiva il Cane da Montagna dei Pirenei per il salotto, le braccine protese verso di lui mentre il cane bianco scodinzolava e abbaiava, fermandosi di tanto in tanto per fare gli agguati alla bambina e farla ridere. 
Quando poi il cane si accucciò sul pavimento la bambina sorrise e si lasciò cadere tra il suo pelo soffice e candido prima di salirgli in groppa con un po’ di fatica, abbracciandolo per il collo per non cadere mentre il cane la portava in giro per il salotto sotto gli occhi divertiti del padre. 

“Pà, Boncio è un orso polale?”
“No tesoro, è un cane.”
“Ma è grandeee!”

Anne sgranò gli occhi azzurri e allargò le braccia quando fu scivolata dalla “groppa” del cane, che le leccò una guancia e la fece ridacchiare, guardando il cane con affetto:

“Boncio mi dà i baci!”
“E tu ne dai uno a papà?”

La bambina di due anni sorrise prima di trotterellare verso di lui e tendere le braccine pallide verso il padre per farsi prendere in braccio, cingendo il collo di Emil quando lui se la fu sistemata sulle ginocchia.

“E la mamma?”
“Ne diamo uno anche a lei?”
“Sì. Mamii!”

“Che c’è?”
“Vieni, dobbiamo dare un bacio anche a te.”

Rebecca rivolse un’occhiata quasi divertita alla figlia mentre si avvicinava dopo aver finalmente messo a letto il fratellino minore, Erik, che ora dormiva della grossa al piano di sopra. Poi si chinò per farsi dare un bacio su una guancia dalla bambina, che poi sorrise allegramente e indicò il padre:

“Devi darne uno anche a papà!”
“Uhm, ok… se proprio insisti.” Rebecca sorrise prima di prendere delicatamente il viso del marito tra le mani e baciarlo dolcemente, guardandolo sorriderle con gli occhi azzurri, che tutti e tre i figli avevano ereditato, luccicanti. 

“Me ne dà anche un altro, Signora Bach?”
“Mh, magari dopo.”
“Come dopo?! Io lo voglio adesso!”
“Cos’è, sei un bambino anche tu adesso?”






   
 
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