Anime & Manga > Sailor Moon
Segui la storia  |       
Autore: Urban BlackWolf    30/05/2018    5 recensioni
Può un falco forzare se stesso e rallentare per mettere in discussione le scelte fatte nonostante la sua natura lo costringa alla velocità, alla determinazione nel raggiungimento dell’obbiettivo di una vendetta?
E può una gru riuscire a proteggere con l’amore e la cieca fedeltà tutto ciò nel quale crede fermamente?
Possono due esseri tanto diversi fondersi in uno per tentare di abbattere le barriere che li separano pur solcando lo stesso cielo?
Ungheria 1950: Michiru, figlia della ricca e storica Buda, dove tutto è cultura e tradizione, lacerata tra il dovere ed il volere, dalla parte opposta di un Danubio che scorre lento e svogliato, Haruka figlia di Pest, che guarda al futuro correndo tra i vicoli dei distretti operai delle fabbriche che l’hanno vista crescere forte ed orgogliosa.
Una serie di eventi le porteranno ad incontrarsi, a piacersi, ad amarsi per poi perdersi e ritrovarsi nuovamente, a fronteggiarsi e forse anche a cambiare se stesse.
Genere: Romantico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Le Gru della Manciuria

 

 

I personaggi di Haruka Tenoh, Michiru Kaioh, Setsuna Meioh, Usagi Tzukino. Mamoru Kiba, Makoto Kino e Minako Aino apparsi in questo capitolo appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Capitolo XIII

 

 

Orgoglio magiaro

Pest – Distretto XIII, casa circondariale della luce

 

 

Quando Michiru entrò nella stanza chiamata piccolo parlatorio, che per motivi di sicurezza era adibita hai casi non comuni, vide l’uomo dal bell’aspetto vestito con un completo scuro sentendosi un groppo alla gola. Papà, sospirò capendo dal bruciore agli occhi di stare per piangere.

“Michiru. Amore.” Disse lui alzandosi lentamente e a quella parola carica di un’infinità di significati, amore, il sollievo la spinse a corrergli incontro fasciandogli lo sterno con le braccia.

Per giorni non aveva potuto dare ne ricevere notizie ed anche se avrebbe scommesso tutto sull’affetto che Alexander provava per lei, i sensi di colpa che aveva nei suoi confronti l’avevano spinta ad immaginarsi un’accoglienza ben diversa. Fredda. Giudicatrice.

Nascondendo il viso nel suo petto si sentì stringere. “Papà… Perdonami. Ti prego.” Ma lui non rispose continuando semplicemente a tenersela stretta iniziando ad accarezzarle i capelli.

Rimasero così per qualche momento, poi afferrandole le spalle, la staccò scrutandola da capo a piedi.

“Stai bene?” Chiese per poi lasciarla definitivamente.

Michiru conosceva quello sguardo severo ed abbassando il suo mosse la testa affermativamente. Era sempre stato così fra loro; lunghe pause intervallate da sguardi attenti carichi di significati. Frasi mai fuori posto. Forse ancor più pragmatica del padre, la figlia attese in piedi mentre l’uomo riprendeva sospirando la seduta.

“Per tutti i Santi del Paradiso figlia, cosa ti è saltato in mente!” Iniziando a massaggiarsi la fronte con la destra rivelò l’ennesimo attacco d’emicrania.

Un paio di passi e lei gli fu accanto posandogli le dita sulla guancia rasata. “Posso spiegarti tutto… se vorrai ascoltarmi.”

Certo che voleva e facendole cenno di sedersi accanto a lui, provò a seguire il filo logico delle ragioni di una figlia che non aveva mai dato avvisaglie populiste. Nell’eventualità molto probabile che nella stanza fossero presenti delle microspie, con un gesto le lasciò intendere di non esporsi troppo, ed incrociando le braccia al petto si sistemò più comodamente. Così Michiru iniziò a spiegargli quando, ma soprattutto perché, fosse entrata a far parte della Voce di Buda. Il rapporto nato ed accresciutosi nel tempo con le sorelle Aino. Il suo prendere contatto con il mondo sotterraneo della resistenza contro il regime sovietico, rimanendone però ai margini. Infine, come se fosse l’onta più atroce di tutto quel percorso, rimarcò a più riprese la sua ingenuità nei confronti di quello che si era rivelato una talpa infida e geniale, dandosi più volte dell’idiota per avergli concesso una fiducia praticamente incondizionata.

“E’ tutto nato per un mio capriccio papà. - Forzò il sinonimo guardandosi intorno con fare sospetto. - Volevo sentirmi parte di qualcosa. Lo riconosco.”

Da prima Michiru aveva pensato che l’entrare a far parte di un gruppo universitario idealista e politicamente impegnato, le avrebbe dato quel senso d'appartenenza nazionale che da quando si erano trasferiti in Ungheria non aveva mai sentito di avere.

“Poi credo di essermi lasciata guidare da una specie d’insofferenza sessista. So quanto valgo… Volevo che lo sapessero anche gli altri. Sono stata una sciocca superba.”

In effetti nel suo attivismo aveva pesato il suo essere donna. Il sentirsi soverchiata dal potere decisionale di alcuni uomini del gruppo, nello specifico Hairàm, l’aveva infuocata. Così l’asticella si era fatta via via più impegnativa, alzandosi ad ogni incontro. Minako e Usagi Aino erano state solo l'ennesimo step di quello che ora, a mentre fredda, le sembrava la più logica delle continuazioni. Da una lotta di genere tutto si era rapidamente trasformato in una forma più grande e complessa.

Non essendo quello il luogo più adatto per ammettere delle colpe a danno del Regime, Michiru cercò di forzare ancor di più la cosa nel caso la stessero registrando, rimarcando così quanto fosse stata ingenua.

“La mia battaglia personale è stata inutile e dispendiosa. E ti ha creato problemi papà. - Ammise abbassando poi di colpo la voce sporgendosi verso l’orecchio dell’uomo. - Ho toccato con mano l’iniquità di alcune situazioni e ho creduto di far bene. Non so cosa mi sia successo, ma dentro ho avvertito come un fuoco, una sensazione mai provata prima. Il nostro paese è soffocato da un bavaglio inaccettabile!”

Leggittimamente stupito nel sentirle bisbigliare il nostro paese, Alexander sbatté le palpebre. Orgoglio nazionale. Sua figlia, la sua Michiru, per alcuni versi asettica come la madre, granitica osservante del razionalismo del Sol Levante, aveva scoperto di avere un cuore magiaro che batteva per una terra che non conosceva ancora, che non l’aveva vista nascere e crescere, formarsi e diventare adulta, ma che nonostante tutto era presente in lei grazie al sangue paterno.

Stirò le labbra Alexander, tanto impercettibilmente che lei non se ne accorse. La sua piccola gru, da sempre legata a doppio filo alle sponde di Hokkaidō, stava rivelando un’inaspettata fedeltà anche nei confronti dell’Ungheria.

“Purtroppo cara, le tue azioni non hanno implicato solamente la nostra famiglia. Il tuo coinvolgimento con Ferenc Aino, anche se solo marginale, ha creato un danno considerevole alle centinaia di correntisti che fanno capo alla Kaioh Bank. Il Regime ci ha imposto il rallentamento di gran parte delle trattative private ed un blocco totale su quelle pubbliche." Ammise desolato.

Michiru perse lo sguardo nel vuoto avvertendo un tremore. “Cosa ho fatto. - Si lasciò sfuggire prima di portarsi una mano alla bocca. - Non avrei mai accettato di collaborare con chi che sia se lo avessi previsto. Se soltanto fossi stata più accorta nelle mie scelte. Mi dispiace.” Terminò con una specie di lamento.

Afferrandole la mano, l’uomo la strinse forte cercando di spiegarle che sarebbe stata una cosa temporanea. “Risolverò tutto amore. La nostra banca è solida e vanta un grosso credito d’immagine, perciò su questo fronte stai tranquilla. Tu cerca solamente di tener duro. Purtroppo la tua implicazione con l’ex Generale Aino non renderà facile una tua veloce scarcerazione, ma vedrai che tutto andrà per il meglio. - Imitando la ragazza abbassò di colpo il tono della voce. - Tutti hanno un prezzo cara e io so come arrivare dove voglio.”

Ma scattando in piedi lei riuscì a sorprenderlo ancora una volta. “Non si tratta di me papà, ma di tutti i piccoli e medi risparmiatori che per colpa mia adesso si vedono bloccati i loro conti!”

“Michiru stai calma, la situazione non è cosi' drammatica.”

Deformando il viso in un’espressione satirica gli ricordò di essere al terzo anno di economia. “Non indorarmi la pillola papà! Per garantire una certa liquidità ai risparmiatori, la Kaioh dovrà attingere al credito interno.”

“Già cara e come hai detto tu pocanzi, non avresti mai dovuto accettare di collaborare con chi che sia!”

Dilatando le palpebre lei lo guardò per poi comprendere. “Hai ragione. - Confessò sorridendo tristemente al gioco paterno. - Ho agito veramente da ragazzina.”

Seguendola in piedi lui si raccomandò di continuare a collaborare con la polizia. “La Direttrice mi ha detto che non dovresti essere più interrogata, ma se dovesse accadere… Mi raccomando.” Le lasciò intendere strizzando un occhio glissando a malincuore l'enorme fierezza che come padre stava provando.

“Ora devo andare. Per qualunque cosa, scrivimi. Intesi?”

“Per ora ho tutto quel che mi serve, grazie. Però un paio di cose potresti farle e potrebbero portare beneficio a tutto il carcere.” Ed abbracciandolo sorrise pensando ad una bionda, una lotta impari con una vecchia ferraglia, un freddo micidiale e le troppe ore vuote che in inverno cadenzavano la vita di ogni reclusa.

 

 

La visione di una vecchia amica

Pest – Distretto VI, Casa Tenoh, maggio 1941

 

“Scendi immediatamente giù da li, piccola peste bionda!” Urlò la ragazza puntando l’indice della mano destra alla terra del giardinetto dietro casa.

“Col cavolo!” Rispose la bambina da sopra una porzione di tetto che copriva la veranda.

“Haruka conto fino a tre e poi salgo e ce le prendi!”

“Bada Meioh che se non te ne vai ti sparo un sasso in mezzo agli occhi!” Minacciò estraendo la fionda dalla tasca posteriore dei pantaloncini.

“Dove l’hai presa quella?!” Ricordava perfettamente di averle buttato quell’arma diabolica la sera precedente, quando al ritorno da un corso universitario, durante un agguato era stata colpita alla schiena da quel mostro.

“E’ mia. - Rispose Johanna uscendo dalla porta sul retro. - Possibile che non riusciate più ad andare d’accordo?”

Che sfinimento quelle due. Ogni giorno un grattacapo. Ogni singola ora trascorsa in serenità, una lode al Signore.

“Vallo a dire a quell’essere li! Lo sai che ha fatto a botte con la figlia del panettiere e per l’ennesima volta mi sono dovuta sentire le sue urla, mentre quel piccolo Turul se ne stava a ridacchiarmi dietro l’orlo della gonna?!” Tornando a guardare la biondina in atteggiamento di sfida, riprese la sua intimidazione penetrandola con lo sguardo facendola così ritrarre un po’.

“Setsuna ti consiglio di non stuzzicarla troppo. Mia sorella è brava con la fionda, lo sai.”

“Sentito carina? Smamma o armo.”

“Tu stai zitta Ruka e porta rispetto! - Urlò Jo sorridendo poi all’altra. - Uscendo da scuola sono passata al mercato e ho preso un po’ di zucchero. Magari riuscirai ad addolcirla con qualche biscotto dei tuoi. Lascia che le parli io Set. So come prenderla.”

Sospirando impotente, la più grande le lasciò una carezza sulla guancia entrando in casa. La situazione venutasi a creare in quella famiglia stava diventando ingestibile. Da quando Jànos era stato richiamato al fronte, Haruka aveva preso a trattare Setsuna peggio di un’appestata. Per un pò la ragazza aveva cercato di non badarci, perchè in fin dei conti la bambina aveva perso la madre da poco e lo vedeva come il ritorno forzato in città l’avesse scombussolata tarpandole le ali, ma anche lei, giovane donna provata da una famiglia tutt’altro che facile, aveva i suoi problemi e in tutta onestà iniziava a pentirsi di avere accettato la richiesta d’aiuto di un padre rimasto solo con due figlie.

”Set ho bisogno di una mano. Presto sarò costretto a seguire la mia unità e visto la latitanza dimostrata dal padre di mia moglie, non posso contare su di lui, ne chiedere a Johanna d'occuparsi di tutto. Ha solo quattordici anni. Perciò stavo pensando che visto la tua volontà nel continuare gli studi e l’impossibilità che avresti nel farlo a contatto con il tuo... ambiente, potremmo aiutarci a vicenda.” Le aveva proposto un giorno Jànos dopo essere stato a trovare la famiglia Mieoh e constatato con mano quanto le voci che giravano sul capo famiglia fossero vere.

Amiche da sempre, ma divise da anni dal solco dell’alcol che aveva trasformato un brav’uomo in un derelitto violento e scansafatiche, le famiglie Tenoh-Maioh si erano così riavvicinate. Setsuna, unica figlia rimasta di un destino avverso che le aveva portato via due fratelli maggiori, aveva così accettato con gioia, passando qualche settimana insieme ai tre per poi accompagnare Jànos alla stazione e vederlo partire nella speranza che la guerra finisse presto. Ma da quel momento la piccola Haruka era diventata intrattabile. Una vera e propria teppista. In verità studiava e faceva tutto quello che Mirka e Johanna le dicevano di fare, ma quanto a relazioni con gli altri, il discorso si complicava e non poco. Aggressiva. Taciturna. Quasi violenta. E Setsuna non ce la faceva più, perchè sentiva di essere diventata l’oggetto sul quale quella bambina amava sfogare tutta la rabbia che in quel momento provava verso il mondo.

Scuotendo la testa, Johanna andò a prendere la scala abbandonata nell'erba e poggiandola sulla grondaia iniziò a salire.

”Ruka devi ascoltarmi; se non cambi atteggiamento un giorno Set se ne andrà e noi saremo divise.” Disse gattonando sulla rotondità dei coppi sedendole poi accanto. Respirando a pieno l’aria carica degli odori primaverili la sentì pontificare.

“Puoi benissimo occuparti tu di me e della casa.”

“No che non posso. Sono troppo giovane. A malapena riesco a badare a me stessa.”

“Allora ci penserà la signora Mirka!”

“Ha già tre figli ed un marito al fronte. Non fare sempre la bambina capricciosa e pensa anche agli altri qualche volta! Credi che se la famiglia Erőskar avesse potuto, nostro padre ci avrebbe lasciate con una ragazza poco più che ventenne?”

“Mi sta sulle palle! E poi ha gli occhi strani.” Disse stentorea guardando le cime degli alberi che svettavano dalla parte opposta della loro palizzata.

In effetti Setsuna aveva il colore delle iridi più simile ad una coppa di vino d’annata che a quelle di una giovane donna. Quasi rossi. E questo metteva spesso e volentieri la sorellina in crisi.

“Non dire sciocchezze.”

“E poi mi obbliga sempre a fare le cose.”

“Si chiama disciplina Haruka. - La guardò poggiare le ginocchia al petto e le venne da sorridere. - Non penserai che voglia prendere il posto della mamma, vero? Amore, Set è solo qui per aiutarci e poi anche lei viene da una situazione famigliare complicata e se non ci si spalleggia nei momenti brutti, come credi potremmo andare avanti ora che siamo in guerra?”

“Mi manca.”

“La mamma?”

“Mmm.” Mugulo' nascondendo il viso tra le gambe in quella che era un’ammissione difficile per un tipino tosto come lei.

“Lo so, anche a me. - Se la strinse contro grattandole la zazzera bionda. - Allora cercherai di fare la brava con lei e con tutti i bambini della zona?”

“Proverò. Però se mi darà ancora noia con il lavarsi le orecchie tutte le mattine, il bagno e l’ordine, ti assicuro che le impallinerò quel suo bel cul…”

“Si. Si, va bene.” E scoppiando a ridere la tacitò tappandole la bocca con la mano.

 

 

Pest – Distretto XIII, casa circondariale della luce, inverno 1951

 

Con lo scarponcino già sulla breccia parzialmente ghiacciata del primo gradino dell’entrata del carcere, Johanna guardò alcuni ragazzini poco oltre sfidarsi fionde alla mano a tirar sassi contro alcuni barattoli di latta. Stirando le labbra rivide se stessa ed Haruka. Quanti contenitori, vetri e Dio sa cos’altro, avevano fatto saltare durante le interminabili ore pomeridiane di un’infanzia spesa tra le strade del loro quartiere.

Saldando la mano alla cinghia della borsa che portava a tracolla si sentì contenta. Era finalmente arrivato quel giorno della settimana che tanto aspettava; la visita in parlatorio. Aveva alcune cose da dare al suo piccolo Turul. Per lo più panni caldi. Poi le avrebbe chiesto come stesse e come sempre Haruka avrebbe mugugnato un che non si vede il posto di lusso?! Un po’ di chiacchiere, qualche risata, un paio di pettegolezzi. Insomma, la normalità tra due sorelle, anche se forzata dalle circostanze. Ma soprattutto, la maggiore si sarebbe sincerata sull’andamento di quel particolarissimo rapporto che giornalmente stava istaurandosi tra la bionda e la sua nuova compagna di cella.

Michiru. Un nome straniero e per questo assai raro dalle loro parti. Un nome che Johanna aveva già sentito pronunciare ad Haruka in quella famosa notte, quando rientrando a casa dopo essersi fatta deturpare il braccio dal loro nagyapa, nel delirio della febbre lo aveva scandito più volte con vibrata sofferenza. Si conoscevano già quelle due creature tanto diverse, ma incredibilmente affini e Jo ancora non si capacitava di come il destino avesse potuto muovere così furbescamente i fili delle loro vite facendole ritrovare in un posto come quello.

Sempre molto gelosa dei suoi sentimenti, la bionda non si era sbottonata un gran che, ma si vedeva da come le si illuminava lo sguardo ogni qual volta parlava di quella ragazza, che provasse amore per lei. E Jo non poteva che esserne felice.

Suonando il campanello attese l’apertura del portone da parte di una guardia. Entrando subì la perquisizione di rito, dirigendosi poi verso la guardiania dove i visitatori dovevano lasciare il cappotto e gli oggetti metallici. Ormai abbastanza avvezza a quegli ambienti asettici, tagliò velocemente il corridoio entrando nella stanza non accorgendosi però di un uomo fermo davanti al bancone. Gli franò praticamente contro lasciando che la borsa le si sfilasse dalla spalla ed il giornale che teneva stretto sotto l’incavo dell’ascella, non le cadesse in terra.

“O signorina. Mi dispiace. Vi siete fatta male?” Chiese lui accovacciandosi per raccoglierle il quotidiano.

Tenendosi il naso con la mano lei scosse la testa mortificata. “Colpa mia. Non guardo mai dove metto i piedi.” E la colpì il blu profondo e triste dei suoi occhi incorniciati da un volto sulla cinquantina.

Un po’ smagrito, sicuramente preoccupato. Un viso che a Johanna parve subito noto, ma che non riuscì a focalizzare se non qualche minuto più tardi.

“Prego tenete. Vi è caduto questo.” Prendendo il cappello abbandonato sul bancone le sorrise chinando la testa per poi sparire dietro l’imbocco della porta.

Facendo capolino dallo stipite, lei ne seguì l’alta figura fino a vederlo uscire dal portone congedato dal secondino preposto.

“Oggi siamo di visita al piccolo parlatorio?” Chiese la guardia chiudendo il registro delle visite.

Richiamata dall’ovvietà di quella domanda, Johanna iniziò a mettere sul piano le cose che aveva portato per Haruka. Ho come l’impressione di averlo già visto, pensò chiedendo poi alla donna dalla parte opposta del tavolato chi fosse quel distinto signore.

“Johanna lo sai che non mi è permesso rivelare i nomi dei visitatori. Sappi solo che è un parente di una delle ultime arrivate.”

“Ma chi, le ragazze di Buda? Le sovversive?”

“Esattamente. E’ un uomo di classe, vero? Ho sentito dire dalla collega all’entrata che sia legato all’alta finanza cittadina.”

Fu in quel preciso istante che Johanna ebbe una folgorazione. Aprendo il quotidiano guardò attentamente la foto in prima pagina leggendo mentalmente il titolo di spalla. Liquidi momentaneamente bloccati. Alexander Kaioh riuscirà a tenere in piedi la sua banca?

E tutto le fu chiaro. Kaioh! L’uomo appena incontrato era Alexander Kaioh. Il Direttore dell’omonimo istituto di credito e causa dell’inganno che aveva portato Jànos in prigione. E alla sua morte.

Continuando a leggere apprese dell’arresto, fino a quel momento tenuto segreto, dell’unica figlia, affiliata ad un gruppo sovversivo capeggiato dall’ex Generale Aino attualmente ricercato in tutto il paese con l’accusa di cospirazione ai danni dello Stato.

“Non posso crederci.” Ringhiò guardando in direzione della porta.

 

 

Bussando convulsamente sull’anta si riversò all’interno del suo ufficio senza neanche attendere una voce. La Direttrice Meioh se la ritrovò davanti alla scrivania con il fiato corto e gli occhi iniettati di sangue. Alzando le sopracciglia abbandonò il modulo che stava compilando arretrando il busto fino allo schienale.

“Ma che cos’hai fatto?! - Chiese Johanna lanciandole il quotidiano sul petto. - Se questo è uno scherzo a me non fa affatto ridere Set!”

Guardando la pagina stampata l’altra capì. Prima o poi lo avrebbe scoperto, ma non credeva sarebbe avvenuto tanto presto. “Calmati e siediti Jo.”

“Calmati un cazzo!” Urlò sbattendo entrambi i palmi sul legno del pianale sporgendosi in avanti minacciosa.

“Siedi, riponi le zanne e dammi la possibilità di spiegarti.”

“Spiegare cosa? Che hai deliberatamente voluto mettere mia sorella nella stessa cella con la figlia di colui che riteniamo essere il responsabile della morte di nostro padre?! Ma cosa ti dice il cervello!”

Non scomponendosi l’altra la invitò nuovamente con un gesto deciso. “Siediti ho detto."

“Non venirmi a dire quello che devo fare Set. Non ho più quattordici anni!”

“E allora resta in piedi, ma non alzare la voce! Signore del cielo, tu ed Haruka siete fatte della stessa pasta. Sbraitate, sbraitate, ma mai che vi fermiate a riflettere sulle cose.”

Abbandonando mollemente la testa, Jo inalò aria fremendo di collera. “Ora anche la paternale?!”

“Come l’hai scoperto? La signorina Kaioh è stata registrata con il nome materno.”

“Vedo che quello di cambiare il cognome è un giochino che ti piace fare spesso. - Crollando sulla poltrona davanti a quella di una donna nonostante tutto calmissima, Johanna le rivelò di avere incontrato il signor Kaioh giù da basso, all’ufficio accettazione. - Ci siamo incrociati mentre stavo per andare in parlatorio. L’ho riconosciuto dalla foto che quest'oggi campeggia in prima pagina su quasi tutti i quotidiani del paese e facendo due più due non mi è stato difficile arrivare ad una conclusione logica. Sul giornale non viene riportato il nome di Michiru, ma quello del carcere dov’è stata rinchiusa… si.”

“Sei perspicace.” Ammise iniziando a leggere velocemente l’articolo.

“Ma fottiti Set. - Si lasciò scappare prendendo a massacrarsi le labbra con le dita. - Pensavo volessi bene ad Haruka. Nonostante non vi siate mai prese. Non avrei mai creduto che potessi essere capace di una simile canagliata.”

“Trovi veramente che quella di far vivere due donne tanto diverse in una stessa cella, sotto pressione costante, in un ambiente malsano come questo, possa essere considerata una… canagliata?” Sorrise spocchiosa ripiegando il quotidiano.

Non capendo, l’altra fermò il dondolio delle gambe guardandola allibita. “Cosa mi sfugge?”

“Johanna non prendiamoci in giro. Lo so io come lo sai tu che una volta uscita da qui tua sorella farà qualunque cosa per portare a termine la sua vendetta. Il sangue magiaro che ci scorre nelle vene, le tradizioni con le quali siamo state cresciute, i riti pagani ai quali i nostri táltos ci hanno spinte a credere, volenti o meno ci hanno dato un’impostazione che anche se arcaica, continua ad influenzarci anche adesso che siamo adulte. Haruka ha consacrato la sua vita ad una missione di sangue. Il suo braccio è stato segnato e tralasciando l'omicidio, solo con il perdono la lama del suo kés potrebbe trovare la pace.”

“Michiru…”

Setsuna annuì. “Ad Haruka quella ragazza piace e molto. Ma lascia che ti dica che la cosa penso possa essere reciproca.”

“Credi che l’amore per una donna potrebbe farle dimenticare l’amore verso nostro padre?”

“Certo che no, ma potrebbe darle il coraggio per capire che la strada che ha scelto di intraprendere è sbagliata.”

Scuotendo la testa Johanna la guardò dritta negli occhi. “Haruka sa già che la strada che ha scelto è sbagliata! Non è certo una stupida e non sono affatto convinta che il metterle vicine sia la soluzione, anzi, ti figuro questa ipotesi Meioh; e se Haruka, una volta venuta a conoscenza dell’identità di quella ragazza, scegliesse comunque di strappare la vita di suo padre? Vivrebbe con un rimorso ancor più spaventoso, non trovi?”

“Johanna... tua sorella non è stupida, è vero, ma non è neanche un’assassina. Non ha mai avuto l’istinto da killer che invece hanno molte donne che si trovano qui dentro. E’ un tipo testardo, questo si, ma è buona e generosa e sono certa che istaurare un rapporto con la figlia di Alexander Kaioh possa farla desistere dal suo proposito.”

L’altra non rispose, ma capiva una disamina tanto umana.

“Aspettiamo sperando nel meglio. Sono sicura che la signorina Kaioh riuscirà a guarirle il cuore. Adesso però quella che mi preoccupa sei tu Johanna. - La vide sgranare gli occhi proseguendo. - Non fare quella faccia. Ti stai ammazzando di lavoro per cercare di pagarle un legale che perori la causa della buona condotta facendole ottenere un corposo sconto di pena. Quando ti ho fatta assumere, anche io credevo fosse la cosa più giusta da fare, ma ora che le cose sono cambiate, che Michiru è entrata in prima persona in questa storia, ho cambiato parere.”

“Non capisco. Secondo te dovrei smettere di aiutare mia sorella?”

“No, aiutarla in modo diverso, perché farla uscire prima la porterà solamente alla rovina.”

Ingoiando faticosamente Jo iniziò a riflettere. In effetti aveva puntato tutto sullo sconto di pena, non pensando però ad un dopo. Aveva in mente di portarla via, in un 'altra città, in un altro paese se fosse stato necessario. Ma Haruka non aveva più dieci anni e non avrebbe potuto costringerla a desistere nel suo progetto con la forza di una fuga. Non l’avrebbe ascoltata come quando era bambina.

“Maledizione.” Vomitò flebilmente.

“Cerca di ponderare bene le tue scelte. Da ora in avanti la vita del tuo piccolo Turul, la sua felicità, il suo futuro, dipenderanno anche da te e da come giocherai le carte che ancora ti rimangono in mano.”

 

 

Qualche giorno dopo avvenne il miracolo della caldaia. Poggiata con le spalle al grosso termosifone del corridoio che portava alla biblioteca, Haruka socchiuse le palpebre gongolando per la sua vittoria. Seduta sul pavimento sistemò la spina dorsale tra un paio di elementi iniziando ad avvertire il beneficio del calore. Lasciarsi coccolare i muscoli dal tepore, era un vizio che aveva da sempre e nonostante tutti non facessero altro che ripeterle che poteva farle male, non avrebbe mai rinunciato a quel suo personalissimo atollo di piacere. E poi era talmente appagante la sensazione del raggiungimento di un obbiettivo, che non si sarebbe schiodata di li molto facilmente.

Ce l’aveva fatta. Non soltanto era riuscita a far ripartire la caldaia, già di per se un risultato eccezionale, ma grazie ai pezzi di ricambio che un anonimo benefattore aveva fatto arrivare direttamente dalla casa costruttrice, ne aveva potenziato le prestazioni. Non sapeva quanto quel bidone avrebbe resistito, ma sicuramente abbastanza per passare tutto l’inverno al calduccio.

Inondando eccessivamente d’aria i polmoni tornò ad aprire completamente gli occhi voltandoli in direzione di quello che ormai era diventato il suo gruppetto; Kino, le sorelle Aino e lei. Ma quanto poteva essere bella lei. Così fine, così testarda, alle volte persino sprezzante, bizzosa, ma dolcissima, intelligente, pudica quanto basta per strapparle sorrisi camuffati da smorfie strane, ogni volta che era costretta a condividere il locale delle docce con una bionda in completo brodo di giuggiole.

Mi hai proprio fottuta alla grande pensò grattandosi il collo. Stava pensando troppo a quella bella ragazza di Buda e come poter fare il contrario visto che l’aveva davanti agli occhi praticamente sempre. Fatta l’eccezione per gli spicchi temporali che Michiru si ritagliava chiudendosi a leggere in biblioteca con Minako e quelli dove Haruka usciva durante le ore d’aria a correre in mezzo alla neve o a sollevar pesi con Makoto, erano praticamente inseparabili. Così la figlia di Pest, che pur non aveva mai amato molto parlare di se, si era ritrovata dal marcato senso d’agio che riusciva ad infonderle quella di Buda, a raccontarle della sua vita, così come aveva preso a fare l’altra. Avevano scoperto che le similitudini tra loro erano molte di più delle differenze caratteriali. Entrambe orfane di madre. Entrambe con un’adorazione viscerale verso la figura paterna. Entrambe estrose nell’arte di saper costruire un qualcosa di bello con le mani; la pittura e la musica per Michiru, la tecnologia e gli ingranaggi per Haruka. Certo i drammi per l’ordine, la sciatteria cronica della bionda, il suo parlare colorito, sarebbero sempre andati a cozzare contro la ferrea impostazione nipponica, la compostezza e l’educazione dell’altra, ma nel vederle insieme camminare spalla a spalla per gli ambienti della reclusione, nessuno avrebbe potuto mentire sull’affinità di coppia che quelle due ragazze comunicavano.

Nessuna; neanche Mery, che di Michiru guardava con bramosia soprattutto il corpo e di Haruka gli spostamenti.

“Prima o poi riuscirò a beccarti da sola bellezza.” Soffiò la rossa mentre appoggiata al muro con un paio di compagne, guardava la scena di una Kaioh sorridente andare ad accovacciarsi davanti ad una Tenoh con le difese stranamente basse.

“Guardate quanto sono diventate pappa e ciccia quelle due. Sembrano una coppia di sposine.” Disse la donna al fianco di Mery mentre la terza sogghignava.

“Le sposine scopano. Dubito che quelle due abbiano mai combinato qualcosa.”

“Tenoh si fa fottere solo dalle novelline in divisa.” Replicò l’altra azzittita dalla rossa.

“Invece di sparare boiate, perché una delle due non mi fa un grande favore togliendomi Haruka dalle palle per un po’?”

“Cosa intendi dire?” Chiese la prima mentre Mery iniziava a sussurrarle all’orecchio un’idea appena saltatale in mente.

 

 

L’Angelo custode del piccolo Turul

 

Poco dopo l’ora di cena, Michiru e Haruka si prepararono attendendo pazienti davanti alla porta della loro cella che un secondino le scortasse fino al locale dei bagni. Kaioh non si era ancora abituata a vivere sotto i ritmi imposti dalla prigione e quella della divisione degli spazi per l’igiene personale era il momento della giornata che in assoluto odiava di più. Nata e cresciuta avendo la propria intimità, si era abbastanza abituata a dormire con un’altra persona, con quel cigolare continuo dannatamente fastidioso che Haruka riusciva a far fare alle molle del letto ad ogni santo respiro, ma i turni per il bagno erano una cosa che continuava a stressarle il corpo. E la bionda, subdola canaglia priva di qual si voglia pudore, non perdeva occasione di rinfacciarglielo ridendoci anche su. Come quel giorno.

“Se fossi cresciuta con una sorella ingombrante come la mia ed un padre alto più di due metri, in un ambiente lavorativo dove gli spogliatoi femminili erano sempre occupati e in mensa poteva anche capitarti di trovare dei pezzi di cibo nel reggiseno, vivresti questa situazione molto più serenamente Kōtei.”

“Scusa tanto se ho sempre avuto la fortuna di avere un bagno ed una stanza tutti per me! Non mi sento in colpa per questo.” Sbuffò vedendo finalmente la porta aprirsi.

“Non ti sto dicendo queste cose perché tu ti ci senta, ma perché si vede che provi ancora del disagio. Tutto qui.”

“Avanti ragazze, andiamo.” Un cenno di saluto alla guardia e s’incamminarono lungo il ballatoio.

“Ti ringrazio Haruka, ma l’essere umano è adattabile e prima o poi lo diventero' anch’io.” Rassicurò stizzita puntando improvvisamente i piedi.

“Kōtei che c’è?”

“Accidenti agente… lo spazzolino. Che testa. Posso andarlo a prendere?”

“Vai pure, ma fa presto. Tenoh tu intanto vai, altrimenti rischiamo di fare un tappo con i turni.”

“Ricevuto.” Disse la bionda e strizzando un occhio ad entrambe si diresse a passo svelto verso le scale.

In effetti il bagno a quell’ora era pieno di gente e si sa che le donne in certe situazioni sono piuttosto lente. Così mettendosi l’anima in pace, Haruka prese posto nella fila fuori dalla porta attendendo il suo turno. Arrivata più o meno all’altezza dello stipite, vide Horvàth ferma a mani conserte dalla parte opposta dei box doccia e Mery entrarvi facendo la cretina. Sbuffando guardò verso la fine del corridoio, ma di Michiru ancora nessuna traccia.

Meglio così, si disse stringendo l’asciugamani che teneva tra le braccia scambiando un rapido sguardo d’intesa con il secondino. Le sorrise proprio un attimo prima che qualcosa andasse a colpirle il crociato posteriore facendole cedere improvvisamente la gamba destra. Ritrovandosi in ginocchio avvertì una pedata in piena schiena ed abbandonando le cose che stava tenendo tra le braccia, riuscì a bloccare la caduta con un palmo prima di franare completamente in terra. Serrando la mascella al dolore, riconobbe la risata di una delle amichette di Mery provenire dalle sue spalle.

“Ei Tenoh, troppo stanca per reggerti in piedi?” E giù altri grugniti divertiti.

“Bastarda.” Massaggiandosi la mano che aveva urtato il pavimento, la bionda riuscì ad alzarsi fronteggiandola a brutto muso.

Più alta, più forte e più intelligente, la fulminò con gli occhi senza però toccarla, sapendo sin troppo bene che avrebbe rischiato la sua libertà se invischiata in una rissa.

“Che c’è? Vuoi picchiarmi?!” Canzonò il tappetto idiota.

“Levati dalle palle.”Consigliò venendo però spinta.

“Perché se no che fai?” Urlò fomentata dalle altre.

“Non provocarmi. Non ti convien…” L’ennesimo spintone e Haruka reagì.

D’impulso le mollò un gancio alla guancia mandandola al tappeto. La guardò girare gli occhi all’indietro e andare lentamente giù come un sacco di patate proprio mentre il capo squadra Shiry e altre due guardie seguite a breve distanza da Michiru, sopraggiungevano trafelate. Facendosi largo tra il capannello venutosi a creare tutto intorno alla due, la graduata guardò la scena ritrovandosi a dover decidere in fretta.

“Che cazzo è successo qui?!” Un omertoso silenzio scese improvviso ammutolendo i brusii costringendo così l’agente a rifare la domanda.

“Allora?! Tenoh?”

“Mi ha provocata lei!” Si difese mentre Horvàth emergeva dalla porta.

Shiry guardò allora la collega alzando il mento. “Hai visto chi ha iniziato per prima?”

La bionda smise di agitarsi. Soddisfatta stirò le labbra gonfiando il petto fiduciosa. Pur se cosa irritante aveva sempre avuto un’alleata in quella guardia.

“Allora?” Incalzò il superiore e senza indugiare la novellina rispose freddamente.

“Tenoh!”

“Cosa? - Dilatando le iridi a dismisura, Haruka si sentì stringere le spalle da un altro secondino. - Non diciamo cazzate! Tutte hanno visto che non sono stata io!”

Ed era vero, ma la bionda non aveva messo in conto che le donne presenti nella fila al momento dell’alterco, facevano parte dello schieramento di Tesla la slava, inclusa quella ancora sanguinante a terra.

Andando accanto ad Horvàth il capo squadra le chiese se fosse matematicamente sicura di ciò che aveva visto. “Guarda che così Tenoh si gioca la buona condotta. Sei certa che sia stata lei?” Sussurrò e nel silenzio l’altra scandì un si che mise fine ad ogni discussione.

“Che notiziona! La novellina e la bionda hanno litigato!” Se ne uscì Mery ridendo con ancora l’asciugamano fasciato addosso.

Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato tanto facile sbarazzarsi della bionda e che avrebbe trovato un’alleata in una porca guardia. Ma alla fine della fiera non le fregava, perché l’importante era avere Haruka fuori gioco e Michiru con le costole libere dal suo personalissimo mastino.

“Va bene, ora basta. Tenoh, questa bravata ti costerà una settimana d’isolamento!”

“No! - Iniziando a divincolarsi Haruka guardò Horvàth furente. - Sei una grandissima carogna! Perché!? Perché non dici la verità?!”

“Finiscila ragazzina! Ti avevo già avvertita qualche giorno fa. Portatela via! - Ordinò Shiry continuando poi verso la collega. - Voglio una relazione sull’accaduto da dare alla Direttrice Meioh. Intesi?!”

Annuendo l’altra sospiro' piano sentendosi tutti gli occhi puntati contro.

 

 

Immersa nella penombra dell’unica fonte di luce proveniente dal corridoio, seduta con le gambe al petto in un angolo di quel buco di cella, digrignò i denti ancora una volta. Non sapeva da quante ore l’avessero rinchiusa li, ne da quanto si ostinasse a starsene in terra invece che usufruire dell’unico conforto di quella brandina arrugginita che ora le stava davanti, ma sta di fatto che Haruka era ancora incredula. Avvertiva un senso di nausea costante premuto al di sotto dei polmoni e aveva un gran freddo e nonostante tutto, razionalmente, sapeva che quella condizione non dipendeva dall’umidità presente in quel posto, ma da lei stessa. Dal suo essere. Si sentiva tradita. Offesa. Aveva sempre creduto in quella donna, sempre e ora, dopo quella pugnalata infertale a brucia pelo, davanti a tutte, provava male al cuore. Un male profondissimo e lacerante. Un male che non avrebbe mai creduto di dover provare.

E gli occhi di Michiru erano stati l’ultima mazzata. Un’espressione contrariata, un misto tra incredulità e delusione. Già, delusione, perché sia lei che le altre guardie avevano creduto a quella Giuda di Horvàth e non a lei. Come se potesse essere tanto stupida da giocarsi la buona condotta per una provocazione infantile al limite del dispetto. Come se non sapesse che iniziando una rissa sarebbe andata incontro alla pena piena, a quattordici mesi in quello schifo.

“Non sono un’idiota! - Masticò giù amaro appoggiando la fronte alle ginocchia. - Voglio uscire di qui! Devo uscire da qui. Apa, che cosa devo fare?”

Si tormentava Haruka, ogni notte, prima di chiudere gli occhi pensava a lui, a suo padre, a com’era la vita prima che quel viscido inganno mettesse fine a tutto, a quanto era felice, serena nella consapevolezza degli affetti più cari, nell’orgoglio di quel che era e di quello che avrebbe ancora potuto diventare. Sognatrice come ogni ragazza. Con lo sguardo perso al cielo e agli infiniti traguardi che le avrebbe regalato.

Sospirando si sentì improvvisamente stanca. Svuotata di tutto. Come avrebbe fatto a resistere ancora più di un anno dentro quell’inferno di ignoranza e lerciume umano? Prima o poi anche Michiru avrebbe riacquistato la libertà e lei si sarebbe ritrovata sola.

Nel silenzio del corridoio privo di finestre e sbocchi d'aria, passi noti le fecero sollevare un poco la testa. Conosceva più che bene quella cadenzata sicurezza nell’avanzare. Scattando in piedi come rianimata dalla forza del livore, attese guardando le sbarre metalliche. Alcuni istanti, la sua ombra e poi la vide. Con la sua bella uniforme blu. I bottoni argentati. La camicia bianca. La cravatta scura. La cinta di cuoio nero con l’immancabile mano serrata all’impugnatura del manganello. Sapeva che andava fiera di quella corazza, anche se non le piaceva, anche se non erano gli abiti che aveva scelto per la sua vita. Ma lo aveva fatto per essere il suo angelo custode e quando l’aveva scoperto, Haruka l’aveva amata ancora più di prima. Per questo ora ci stava tanto male. Per questo e per cento altri motivi ancora.

“Come stai?” Iniziò il secondino riuscendo a sostenerne lo sguardo astioso.

“Che domanda idiota. Come vuoi che stia… Horvàth!?”

“Fa freddo qui. Ti ho portato una coperta in più. E questa.” Passando la mano tra le sbarre le porse una mela sorridendo bonaria.

Avvicinandosi non staccando però il contatto visivo, l’altra la prese soppesandola. “Mi sarei aspettata di più. Troppe mele dovrai portarmi in questa settimana per … - Lanciando il frutto contro la parete scrostata alle sue spalle lo guardò ammaccarsi malamente. - ... scusarti della pugnalata che mi hai dato!” Concluse incollerita.

“Haruka, io…”

“Vaffanculo! - Serrando le mani alle sbarre gonfiò i bicipiti sporgendosi il più possibile. - Come ti sei permessa!? Ora sarò costretta a scontare tutta la pena e lo sai che devo uscire! Tu lo sai, dannazione!”

“Certo che lo so.” Ammise abbassando la testa.

“E allora perché!?”

“Perché uccidere quell’uomo non riporterà indietro il tempo, Haruka! Anzi, ti rovinerà per sempre. E io non posso permetterlo.”

Al sentire quelle parole, la rabbia della bionda montò ancora di più. “Non puoi decidere per me!” Le urlò contro mollando un calcio al ferro.

“Non credere che sia stato facile prendere questa decisione, ma non posso vederti buttare via il tuo futuro. Lo capisci?”

“No! Non lo voglio capire!”

Lui non avrebbe voluto. Si è sempre battuto per evitare che un giorno tu potessi prendere decisioni del genere. Non dimenticarlo Haruka.” E questa volta anche lei urlò.

“Non osare metterlo in mezzo” Hai capito?! Non te lo permetto, cazzo!”

Abbassando nuovamente il timbro della voce, l’altra la guardò un’ultima volta prima di lasciare la coperta accanto ai ferri e tornare a percorrere a ritroso i passi spesi per arrivare fin li.

“Ne parleremo un’altra volta. Quando sarai più disposta al dialogo. Ora sono troppo stanca per combatterti. Ma sappi che ti staro' sempre accanto. Anche contro la tua volontà.” Disse incurvando un poco le spalle.

“Non potrai continuare a proteggermi per sempre. - Si sgolò premendo con forza la fronte al ferro freddo. - Hai capito?! Non potrai continuare a farlo… Johanna!”

 

 

 

NOTE: Zan, zan, zan! Ve lo aspettavate? Vi aspettavate che la piccola e fastidiosa sentinella blu, in realtà fosse Johanna? Da quando Haruka è stata arrestata, ho costruito l’immagine di questo personaggio “secondario” spingendo sul gioco degli equivoci, su frasi volutamente a doppio senso, per far credere che magari potesse esserci qualcosa tra loro. Il mancato voi nei loro dialoghi (fin troppo famigliari), il loro cercarsi, potevano passare come una passione momentanea. Cosa che pensano tutte le altre donne della prigione. Magari anche la stessa Michiru e da qui la sua latente e ancora non manifesta gelosia.

Poi c’è Setsuna, che ho voluto inserire nella vita della famiglia Tenoh e che da una spiegazione di come Johanna abbia potuto avere quel tipo di lavoro con velocità e senza averne le basi. Già dal capitolo precedente Set chiama Haruka “piccolo Turul” come se conoscesse il soprannome che in genere la bionda usa in famiglia.

Infine c’è Michiru che adesso non avrà più la bionda a stretto giro. Chi sa se capirà finalmente qual cosina su se stessa.

A prestissimo. Ciauu

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Urban BlackWolf