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Autore: AThousandSuns    05/06/2018    0 recensioni
Raccolta di flashfic su Steve/Sharon, perché questa coppia merita di essere apprezzata un po' di più. Basate su prompt lasciati sul gruppo Facebook We are out for prompt. Il rating non supera l'arancione.
Genere: Azione, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sharon Carter, Steve Rogers
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: Bucky/Sharon/Steve: 3+1 con tre volte in cui Steve, Bucky e Sharon hanno avuto dei dubbi, e una volta in cui sono finalmente riusciti a capirsi.
 
 
Steve e Bucky condividevano un passato di cui lei non faceva parte: erano cresciuti insieme e avevano combattuto una guerra l’uno al fianco dell’altro; si erano amati, in segreto, per anni: come avrebbe potuto reggere il confronto?
 
La parte peggiore era che nessuno dei due aveva colpe: entrambi si adoperavano perché lei si sentisse parte integrante di quel rapporto e non un’intrusa, eppure Sharon li osservava di quando in quando e non poteva fare a meno di chiedersi cosa ci facesse tra loro.
 
Ai suoi occhi, Steve e Bucky si completavano: c’era un’intimità tra loro, una spontaneità nei loro gesti così intensa da mozzarle il fiato. Come poteva eguagliare un rapporto costruito in decenni di amicizia?
 
Avrebbe voluto dar voce a quei dubbi, ma temeva di rovinare ciò che condividevano… No. Temeva che Steve e Bucky avrebbero fatto a meno di lei, e quel pensiero la atterriva. Così, quando Steve prendeva la mano del compagno o Bucky menzionava un aneddoto della loro gioventù a Brooklyn, lei distoglieva lo sguardo e ignorava il dolore attanagliato nel proprio petto.
 
*
 
Certe notti, Bucky si svegliava di soprassalto in preda ai soliti incubi; a volte invece era Steve a scuoterlo mentre Sharon se ne stava in disparte – con la sua forza avrebbe potuto ferirla seriamente, pur non volendolo. Il Wakanda gli aveva fatto bene, ma Bucky non era guarito. Non del tutto, almeno.
 
La verità era che una parte di lui sarebbe sempre stata spezzata e nulla – nessuno - lo avrebbe aggiustato: l’Hydra era penetrata troppo a fondo, come un’erbaccia velenosa che non può essere estirpata.
 
Steve lo aveva amato prima della Guerra, ma Bucky era sorpreso che il proprio compagno avesse continuato a farlo per tutti quegli anni - perfino in quel momento, a dispetto di come il Soldato d’inverno aleggiasse su di loro, un’ombra muta ma non per questo meno pericolosa.
 
Il fatto che anche Sharon avesse trovato un modo tutto suo di amarlo era ancor più sorprendente. A differenza della maggior parte delle persone, non sembrava temerlo; oppure era brava a nasconderlo, dopotutto era una spia.
 
A volte Bucky si ritrovava ad osservarli e quasi s’illudeva che anche per qualcuno come lui potesse esserci un lieto fine a questo mondo; poi si ricordava di come la vita continuasse a ingannarlo per poi portargli via ogni briciolo di felicità, ancora e ancora. Così chiudeva gli occhi e si stringeva nelle spalle, arrendendosi alle proprie paure.
 
*
 
Steve non si riteneva un codardo, ma questo non significava che non nutrisse delle paure. Sentiva più che mai il peso delle sue responsabilità nei confronti dei Secret Avengers, in modo particolare Bucky e Sharon: nessuna relazione era facile. Se poi si trattava di una triade di ricercati la situazione non poteva che complicarsi.
 
Steve continuava a chiedersi se lui facesse abbastanza per loro, se fosse abbastanza per loro – a volte gli pareva di no.
 
Si sforzava di trovare un equilibrio e di esserci per entrambi, ma spesso le missioni li tenevano separati per settimane; altre volte la squadra aveva bisogno di Capitan America – o meglio, Nomad, come si faceva chiamare ora - e Steve non poteva ignorare le proprie responsabilità. Ma sacrificare ciò che stava tentando di costruire con Sharon e Bucky gli sembrava ingiusto: non aveva forse diritto di essere felice come tutti gli altri?
 
Forse era solo stanco di essere un soldato, ma la sua coscienza gli impediva di ritirarsi: il mondo aveva ancora bisogno di eroi, e gli eroi erano costretti a fare dei sacrifici, no?
 
*
 
«Bucky!»
 
Steve non era ancora rientrato: Sharon si fece coraggio e strattonò Bucky nel tentativo di svegliarlo. Sentì la mano metallica dell’uomo afferrarle il polso in una stretta dolorosa, ma lei si morse la lingua e non fiatò: l’ultima cosa di cui l’uomo aveva bisogno in quel momento era il senso di colpa.
 
Nella penombra della stanza Sharon udì il respiro di Bucky rallentare; le lasciò il polso di scatto e lei accese la luce.
 
Non riusciva a guardarla negli occhi e si teneva la testa tra le mani. «Avrei potuto ferirti seriamente.»
 
«Ma non l’hai fatto» sottolineò lei.
 
Bucky scosse la testa e gli parve così vulnerabile: dopo un attimo di esitazione tornò sul letto, accanto a lui. Cauta, gli passò una mano sulle spalle e cominciò a disegnare piccoli cerchi sulla sua schiena nella speranza di confortarlo.
 
«Sono ancora qui» sussurrò la donna e suonava come una promessa. «So che vorresti ci fosse Steve, ma temo dovrai accontentarti.»
 
L’asprezza del suo tono spinse Bucky a fissarla perplesso. «È questo che pensi? Di non essere abbastanza
 
«Devi ammettere che è difficile competere con voi due, con il vostro passato.»
 
Bucky, più tranquillo, sbuffò. «Non difficile quanto competere con Mister e Miss perfezione. Voglio dire, guardami: non so perché vi ostiniate a starmi accanto.»
 
Sharon trasalì. «Non avevo idea che ti sentissi così.»
 
«Già. Facciamo pena in queste cose, uh?»
 
Lei gli prese la mano. «Bucky…»
 
Fu interrotta dalla porta che si apriva piano; apparve il volto di Steve, esausto. La stanchezza però si sostituì presto alla sorpresa. «Non credevo di trovarvi ancora in piedi.»
 
«Bucky ha avuto un incubo…»
 
«Traditrice.»
 
Sharon ignorò quel commento. «Stavamo avendo una specie di… momento?»
 
Steve si tolse le scarpe e sedette sul materasso aggrottando la fronte, confuso. «Momento?»
 
«Qualcosa da confessare, Rogers?»
 
Bucky riuscì a strapparle un sorriso, ma poi Steve abbassò lo sguardo sulle proprie mani con aria colpevole.
 
«Essere Nomad mi sta portando via tutte le energie: vorrei davvero passare più tempo con voi, ma poi succede sempre qualcosa e quando sono in missione mi sento in colpa perché so che meritate di meglio e io…» Steve sospirò lasciando la frase in sospeso.
 
«Steve…» Sharon gli passò una mano tra i capelli sfiorandogli il mento per costringerlo a guardarla in volto.
 
«Siamo proprio un casino» ammise Bucky.
 
La donna strinse le labbra pensierosa. «Che ne dite di un appuntamento, domani?»
 
Steve la osservò perplesso mentre Bucky annuiva curioso.
 
Lei proseguì: «Prendiamoci una giornata per noi: cinema, cena. Ieri ho notato un parco divertimenti non molto lontano da qui.»
 
«Dovremmo evitare di attirare l’attenzione» osservò Steve, ma Bucky gli diede una piccola spinta con la mano.
 
«Possiamo camuffarci; dopotutto dubito che qualcuno si aspetti di vedere Capitan America sulla ruota panoramica.»
 
Sharon ridacchiò a quel commento e anche la tensione evidente nelle spalle di Steve si alleggerì.
 
«Immagino valga la pena provare» disse lui quando capì di essere in minoranza.
 
Bucky diede il cinque a Sharon e Steve alzò gli occhi al cielo ma non riuscì a trattenere un sorriso. Ancora con l’uniforme indosso, si avvicinò alla donna nel tentativo di posarle un bacio sulle labbra, ma Sharon lo fermò con una mano sulla sua spalla.
 
«Non entri in questo letto se prima non fai una doccia, Rogers.»
 
«Concordo» mormorò Bucky.
 
Con un sospiro Steve si diresse in bagno. «Vi coalizzate sempre contro di me.»
 
Gli altri due ridacchiarono mentre l’uomo spariva nella stanza accanto.
   
 
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