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Autore: saramermaid    09/06/2018    1 recensioni
Saphael | Omegaverse!AU
Simon se ne stava rannicchiato nell’angolo più remoto di quella stanza, le ginocchia strette al petto e il volto nascosto contro di esse. La sua mente era avvolta da una densa foschia grigiastra, simile a nebbia fitta, che gli impediva di pensare lucidamente. C’erano solo sprazzi confusi, momenti fugaci che riusciva a mettere a fuoco solo per alcuni istanti prima che scomparissero di nuovo nell’oblio.
[Partecipa alla "26 Prompts Challenge" indetta dal gruppo Facebook Hurt/Comfort Italia]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Raphael Santiago, Simon Lewis
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note: Questa storia partecipa alla 26 Prompts Challenge indetta dal gruppo Facebook ‘Hurt/Comfort Italia’. Il prompt di questa settimana è Respirare.
Il resto delle note si trova a pié pagina. (Prompt 6/26)
Coppia: Saphael (Simon x Raphael)
Tipo di storia: Omegaverse!AU





Respirare






Gli era difficile respirare.
Ogni boccata d’aria sembrava comprimergli il petto in maniera quasi dolorosa.
E si ritrovò ad annaspare, tra rantolii sommessi e sigulti incontrollati.

Le pareti bianche erano tutto ciò che riusciva a vedere; le iridi color nocciola ne scorgevano la pittura per poi spostarsi lungo l’incontro della muratura agli angoli e più a destra verso la porta che sapeva fosse chiusa ermeticamente dall’esterno.

Non aveva vie di fuga.
I suoi abiti erano laceri, sporchi, di un colore non più ben definito.
I capelli castani erano un groviglio intricato di tracce di sangue rappreso, terra e sudore.
La pelle delle braccia e delle gambe era piena di graffi, alcuni dei quali sanguinavano ancora.

Simon se ne stava rannicchiato nell’angolo più remoto di quella stanza, le ginocchia strette al petto e il volto nascosto contro di esse. La sua mente era avvolta da una densa foschia grigiastra, simile a nebbia fitta, che gli impediva di pensare lucidamente. C’erano solo sprazzi confusi, momenti fugaci che riusciva a mettere a fuoco solo per alcuni istanti prima che scomparissero di nuovo nell’oblio.

Non sapeva perché lo tenevano rinchiuso lì dentro.
Non sapeva cosa volessero da lui né quanti giorni fossero trascorsi.
Il biancore accecante della stanza gli provocava una sensazione di stordimento, mista a paura, che gli stringeva la bocca dello stomaco.



«Mi chiamo Simon Lewis. Sono un omega. Mi tengono prigioniero. Non ho fatto nulla di male. Non voglio stare qui. Per favore, lasciatemi andare.»



Sussurrava tra sé e sé come una litania ogni volta che il terrore l’assaliva e gli faceva annebbiare la vista, costringendolo a respirare a fatica, mentre calde lacrime gli inumidivano le guance scavate dalla fame.

Tutto quello che rimembrava era il momento in cui l’avevano prelevato con la forza. Simon non voleva essere un omega e odiava la sua natura di lupo che lo obbligava a legarsi ad un compagno. Odiava il fatto che ogni omega, uomo o donna che fosse, dovesse necessariamente sottomettersi agli ordini del proprio Alpha.

Aveva ormai l’età giusta per poter essere venduto al mercato nero della città, dove gli alpha pagavano cifre assurde per poter comprare un omega. Era uguale alla schiavitù, all’essere trattati come merce e oggetti da coloro che in teoria avrebbero dovuto proteggerli. Simon aveva visto spesso di omega che venivano maltrattati e abusati, usati come piacere personale degli alpha ma anche per mantenere intatta la procreazione.

Aveva deciso di scappare il giorno stesso che avrebbe dovuto fare il debutto in società.
Viveva da solo, la sua famiglia l’aveva abbandonato e lui non ricordava nemmeno che aspetto avessero i suoi genitori o se avesse fratelli e sorelle. Ricordava di aver raggiunto le recinzioni spinate ma due uomini vestiti di nero l’avevano trascinato a forza all’interno di un furgone e portato in quella stanza mentre lui si dimenava e scalciava. Quel comportamento gli era costato una botta in testa e i graffi che ora spiccavano sulla pelle sporca.

Era terrorizzato.

La paura lo avvolgeva completamente, stritolandolo nelle sue spirali come un serpente con la propria preda. Le unghie gli si conficcarono dolorosamente nei palmi delle mani, ferendoli a causa della presenza degli artigli allungati, mentre i suoi polmoni si comprimevano ripiegandosi su sé stessi. Li poteva sentire accartocciarsi, sfregare contro la gabbia toracica e chiudersi, lasciandolo ad annaspare di nuovo.

Gli occhi gli bruciavano, mille puntini bianchi gli danzavano attorno e sapeva che stava per perdere conoscenza a causa di un attacco di panico. Il pulsare del sangue gli rimbombava nelle orecchie impedendogli di sentire i suoni, il sudore freddo gli ricopriva il corpo e tremava in maniera incontrollata.

Non si accorse nemmeno del fatto che la porta fosse stata aperta con un boato né che una figura si fosse inginocchiata accanto a lui, mormorando frasi che Simon non riusciva a sentire. Due braccia forti si ancorarono attorno ai suoi fianchi e passarono al di sotto delle sue gambe prima di sollevarlo e portato fuori di lì.

La sua testa scivolò sulla spalla del suo salvatore e Simon ne inspirò l’odore quasi inconsciamente. Un connubio di muschio, miele e lavanda gli colpì le narici, portandolo a farsi sfuggire un basso e debole piagnucolio. Era l’odore di un alpha.

«¿Me sientes? Todo estarà bien, lo prometo. Estàs a salvo ahora.»

Fu tutto quello che riuscì a captare prima di lasciarsi trascinare nell’oblio dell’incoscienza.







Raphael ricordava perfettamente la sensazione di panico e impotenza.
Ricordava come ci si sentisse a dover respirare anche quando risultava impossibile farlo.

Aveva avuto la fortuna di nascere alpha, di poter contare almeno teoricamente su una protezione maggiore rispetto ai tanti omega e beta che conosceva. Eppure, per qualche assurda ironia del destino, non era bastato.

Per anni era stato costretto a sottostare ai soprusi e ai capricci di Camille Belcourt.
L’aveva salvato durante una battaglia tra branchi alpha per reclamare piccole porzioni di territorio a Guadalajara in Messico. Era nato e cresciuto lì, supportato dall’amore della sua famiglia, finché le guerre tra i branchi non avevano iniziato a distruggere il buono che c’era in quel posto.

Poteva ancora sentire le urla dei suoi familiari intrappolati dall’incendio appiccato durante una delle incursioni, avvertiva ancora l’odore pungente del fumo e quello ferroso del sangue, le sue urla che risuonavano in mezzo al frastuono fino a ferirsi le corde vocali.

Era in quel momento che Camille era apparsa, bellissima e seducente nella sua aura di alpha.

All’inizio si era dimostrata gentile, comprensiva.
Si era presa cura di Raphael, l’aveva aiutato in ogni modo possibile offrendogli una grande casa, dei pasti caldi e un lavoro. Erano bastati solo pochi mesi, il tempo necessario affinché lui iniziasse a fidarsi di lei, prima che la vera natura malvagia e perversa di Camille si manifestasse a pieno.

Aveva scoperto del mercato nero, del traffico illegale di tanti omega e beta che Camille imprigionava nei sotterranei finché qualche ricco alpha non pagasse per comprarli. Aveva spesso sentito, nel buio della notte e col cuore che gli rimbombava in gola, urla e lamenti provenire dal seminterrato seguiti dalla risatina crudele di Camille mentre abusava di loro.

All’epoca non era stato abbastanza forte e furbo per poterli aiutare contrastando la loro aguzzina. Ci aveva però provato, nonostante tutto, e per giorni interi aveva dovuto osservare allo specchio i lunghi, dolorosi e profondi graffi sanguinanti che gli artigli della donna gli avevano lasciato sul petto come punizione.

Raphael si era ripromesso che l’avrebbe distrutta e annientata, vendicandosi anche da parte di tutti coloro a cui Camille aveva fatto del male.

Il momento giusto si era presentato giorni prima, quando i suoi occhi scuri avevano assistito all’arrivo del nuovo omega catturato dai bodyguard della donna.
Era rimasto nell’ombra, nascosto con la complicità della notte e della poca luce, mentre quegli uomini trascinavano un ragazzo in una delle celle. L’aveva visto dimenarsi e lottare con tutte le sue forze, urlare insulti e scalciare, ferendosi nel tentativo di liberarsi e venendo messo a tacere solo con una botta in testa.

Uno strano istinto si era impossessato di Raphael a quel gesto.
La mascella si era serrata, i canini si erano allungati così come gli artigli, un basso ringhio gli si era impigliato in gola ed era stato investito dall’aroma più dolce che avesse mai sentito.

Zucchero, caffè ed erba tagliata.

Era stato talmente forte da lasciarlo stordito e paralizzato per alcuni secondi. Non era uno stupido. Sapeva cosa significasse, cosa comportasse, ma non aveva potuto impedire al panico di prendere il sopravvento. Era corso nella sua stanza e ci si era chiuso dentro fino a riprendere il controllo di sé.

Mate. Compagno.

Definivano in quel modo la relazione tra un alpha e un omega.
Raphael ne aveva sentito parlare, aveva persino letto alcuni libri a riguardo e alla fine aveva dedotto che fosse un legame raro. Erano pochi gli alpha che riuscivano a trovare il proprio compagno, a legarsi per sempre a qualcuno. La maggior parte di loro preferiva compiere abusi e violenze, forzando gli omega a rapporti non voluti che erano dei veri e propri stupri.

A lui quel comportamento aveva sempre provocato ribrezzo e orrore.
Il suo disgusto era stato talmente forte da fargli provare spesso rabbia cieca.
Avrebbe voluto porre fine a quello scempio, creare una società migliore di quella attuale.
Era stato l’impulso che l’aveva fatto agire, incurante delle conseguenze.
Ne aveva approfittato quando Camille si era allontanata per alcuni giorni, adducendo la scusa di dover sbrigare alcuni affari fuori città. Raphael aveva recitato la sua parte alla perfezione per tutto il tempo, mostrandosi fedele e docile, finché non era stato sicuro di essere solo.

A quel punto aveva preparato in fretta le valigie recuperando vestiti, coperte, libri, medicinali, cibo e qualsiasi cosa che potesse risultare utile. Quando aveva fatto saltare la serratura di quella cella il cuore aveva preso a battergli furiosamente nel petto. I vestiti laceri, le ferite ancora fresche, la malnutrizione e i tremori che scuotevano il corpo di quell’omega gli avevano fatto contorcere lo stomaco a causa della preoccupazione.

L’aroma invitante, se possibile, in quel frangente era stato ancora più intenso e pungente.

Raphael aveva forzatamente ignorato quel profumo, smettendo quasi di respirare, prima di sollevare di peso quel ragazzo dagli occhi nocciola e il viso a forma di cuore portandolo fuori da quell’inferno. Si era accorto dopo, quando ormai entrambi erano in macchina e lontano chilometri dalla città, che l’omega era svenuto a causa di un attacco di panico unito alla stanchezza.

«Te protegeré. Estamos a salvo ahora, un viejo amigo nos ayudarà.»

Sussurrò Raphael nel silenzio dell’abitacolo, osservandolo con apprensione e avvolgendolo meglio all’interno di una calda coperta di lana prima di riprendere a guidare.







La città di New Orleans brulicava di locali notturni e movida.
Gli angoli delle strade, a quell’ora tarda, erano pieni di gente mezza ubriaca dall’andatura barcollante e di senzatetto che si rifugiavano all’interno di vicoli maleodoranti per poter trascorrere la notte.

Raphael aveva guidato senza sosta per quasi ventiquattr’ore, fermandosi soltanto per delle brevi pause e per controllare lo stato di salute dell’omega che aveva salvato. Sembrava ancora incosciente, esausto e indebolito a causa della prigionia. Poteva quasi immaginare tutte le notti insonni che quel ragazzo aveva trascorso all’interno della cella dalle pareti bianche.

Per il momento non poteva fare molto, dovevano raggiungere il rifugio il più in fretta possibile prima che la loro scia potesse essere rintracciata da Camille. Aveva abbandonato poco prima del confine di Città del Messico l’auto scura su cui erano scappati, affittando una più sobria jeep dal colore bianco sporco fino a raggiungere New Orleans.

Le ultime ore erano state un continuo tormento, intervallato dalle chiamate che aveva fatto a Magnus per chiedergli aiuto. Raphael aveva avuto un tono disperato, la sua voce aveva tremato solo per alcuni secondi che erano stati sufficienti affinché l’uomo dall’altro lato della cornetta acconsentisse senza battere ciglio.

Conosceva Magnus Bane da una vita intera.
L’uomo era stato una sorta di fratello maggiore per tutta la durata della sua adolescenza e, quando Raphael aveva perso tutto, si era offerto di diventare il suo tutore effettivo. Tuttavia la sua natura di beta secondo la legge non era idonea per occuparsi di un alpha minorenne e Raphael era rimasto con Camille.

Il solo pensiero che la donna potesse ritrovarlo lo faceva rabbrividire dal terrore.

L’attico che li avrebbe ospitati apparteneva a Magnus ed era un luogo abbastanza sicuro. Nessuno sapeva dei possedimenti ereditati dall’uomo alla morte del padre Asmodeus e inoltre Bane non era il suo vero cognome, lo aveva cambiato non appena era andato via da Città del Messico.

Era più che certo che Camille non avrebbe mai potuto collegare i nomi e le località. Per il momento poteva bastare, poi avrebbero dovuto cercare una sistemazione migliore.

Non era sicuro che l’omega sarebbe voluto rimanere con lui una volta ripresosi ma Raphael ci sperava. Non poteva più ignorare l’attrazione che avvertiva né l’istinto del lupo che lo spingeva a legarsi irrimediabilmente al suo compagno. Erano destinati a stare insieme ma non avrebbe mai obbligato l’altro a restare con lui. Non avrebbe mai imposto la sua presenza o usato i suoi feromoni alpha per sottometterlo.

Fu solo quando si ritrovò finalmente a destinazione che si concesse di tornare a respirare lentamente, lasciando fluire a poco a poco l’aria nei polmoni.

L’attico di Magnus era enorme e arredato con cura, ogni mobilio e stanza era un misto di modernità e oggetti antichi. La camera dalle pareti violetto e blu notte era quella più spaziosa, aveva un letto matrimoniale pieno di cuscini colorati e lenzuola di morbida seta. Raphael non perse tempo a disfare i bagagli, si occupò di distendere l’omega sulle coperte lilla e controllare il lento battito del cuore.

Rimase a vegliarlo per un tempo che parve indefinito finché, finalmente, il ragazzo non riprese i sensi. Le iridi nocciola corsero frenetiche ad osservare ogni porzione di stanza, ogni oggetto e decorazione per poi accorgersi della sua presenza.

Raphael lo vide sgranare gli occhi terrorizzato, indietreggiare fino alla testata del letto e tremare in maniera incontrollata. Poteva avvertire l’odore della paura, captarne la fragranza acre, e in un gesto automatico sollevò i palmi delle mani nel tentativo di tranquillizzarlo.

«Non voglio farti del male, mi chiamo Raphael e qui sei al sicuro.»

Mormorò lentamente, scandendo bene le parole e restando fermo e immobile contro la libreria dall’altro lato della stanza. Cercò con tutte le sue forze di non lasciare che anche la sua paura prendesse il sopravvento. La loro natura gli permetteva di sentire le emozioni sottoforma di fragranze e doveva lasciare che la calma lo avvolgesse in modo tale che i feromoni sprigionati arrivassero all’omega e lo aiutassero a capire che non era in pericolo.

«C-cosa...» Pigolò il ragazzo con voce strozzata e occhi lucidi, strofinando le unghie contro le braccia e procurandosi nuovi graffi sanguinanti. «C-cosa vuoi d-da me? S-stammi l-lontano.»

«Sei al sicuro e voglio solo aiutarti. Non sono qui per farti del male o tenerti prigioniero, te lo giuro. Por favor, déjame ayudarte.»

Gli rispose con espressione sincera e tono di voce supplichevole.
Non avrebbe potuto proteggerlo se l’altro non riusciva a fidarsi di lui.
Raphael non sapeva nemmeno il nome dell’omega, l’aveva sentito parlare tra sé a bassa voce durante la prigionia e dovette sforzarsi per ricordare le parole che aveva sentito.
Simon. Si chiamava Simon.

«Spagnolo… spagnolo… parole in spagnolo...», iniziò a sussurrare l’omega quasi come un mantra, «l’ho sentito…e poi un buon profumo...»

Simon iniziò inconsciamente a dondolarsi sui talloni, rannicchiandosi contro i cuscini e fissando il vuoto. Raphael si chiese se lo shock subito non l’avesse fatto impazzire, poi pian piano le parole iniziarono ad acquistare un senso logico. Il corpo dell’altro si era rilassato tra le sue braccia, i loro corpi fin troppo vicini, mentre lo portava fuori da quella cella.
Un buon profumo, aveva detto.

«Simon…», lo richiamò usando un timbro di voce pacato e dolce, «Simon… respira il mio odore.»

Per alcuni istanti ci fu solo silenzio, scandito dal ticchettio dell’orologio a pendolo e dal rumore dei loro respiri, poi lo sguardo di Simon tornò a fissarlo in un miscuglio di confusione e stordimento. Raphael lo osservò prendere un respiro profondo, allargare le narici e sondare il terreno quasi aspettandosi che le sue parole nascondessero una trappola.

Lasciò che i suoi occhi scuri si incastrassero in quelli nocciola dell’altro, rilassò le spalle e abbassò le braccia lungo i propri fianchi, concentrandosi per rilasciare più feromoni impregnati del suo odore.

Il corpo di Simon smise immediatamente di tremare nell’esatto momento in cui l’omega riuscì a intercettare la fragranza, le unghie arrestarono il loro movimento sulle braccia martoriate. Raphael poteva ancora avvertire residui di paura e diffidenza ma l’odore era meno pungente di prima.

«Un buon profumo...», ripeté Simon a bassa voce inclinando la testa di lato ed esponendo una porzione di collo, «Alpha? Alpha buono...mi ha salvato...»

Le labbra di Raphael si incurvarono in un sorriso a quelle parole. Quell’omega, il suo omega, era davvero adorabile.

«. Sono l’alpha che ti ha salvato da… gente cattiva. Il mio nome è Raphael.»

«Ra-pha-el...»

Scandì Simon, lasciando scivolare le lettere sulla punta della lingua come a soppesarne l’importanza e la sonorità. La fronte gli si corrucciò appena e i denti presero a mordicchiare il labbro inferiore. Raphael si perse ad osservare quell’espressione con malcelato stupore e sbalordimento, poteva sentire il lupo dentro di lui fare quasi le fusa al suono del suo nome pronunciato dalla voce dell’altro.

«Simon… devo avvicinarmi per poter controllare le tue ferite e ripulirle. Posso?»

Gli chiese, muovendo cautamente qualche passo in direzione del letto e tenendo sollevati sempre ben in vista i palmi delle mani. Continuò a concentrarsi sui propri feromoni, a rilasciare ondate di calma e tranquillità, fino a sedersi sul bordo del materasso.
L’omega si irrigidì appena a quella vicinanza, incurvando le spalle come a farsi scudo da eventuali attacchi, ma non si mosse.

Raphael allungò le braccia fino a toccare il tessuto strappato e lacero all’altezza delle maniche, scostandone lentamente i lembi e sfiorando delicatamente con i polpastrelli la pelle nuda. Simon sussultò per via del contatto, iniziando a respirare in modo più regolare e costante, mentre le dita dell’altro gli accarezzavano i graffi ripulendoli con un panno bagnato.

«Devi nutrirti... questi guarirebbero in pochi minuti se tu fossi nel pieno delle tue forze.» Constatò Raphael, arricciando la fronte e scrutando le ferite con attenzione e premura. «Ti preparo qualcosa da mangiare se vuoi.»

La mano tremante dell’omega gli sfiorò il braccio, stringendo tra le dita il tessuto della camicia blu. Un basso piagnucolio risuonò nella gola di Simon e Raphael sollevò le iridi scure per fissare il viso pallido dell’altro.

«Ti ho involontariamente fatto male con i graffi? Scusami, pequeño...»

Simon scosse la testa, stringendo più saldamente il tessuto e guardandolo con l’espressione di un cucciolo abbandonato. Raphael lo vide schiudere le labbra e boccheggiare, emettendo un verso strozzato, prima di gonfiare il petto prendendo un respiro profondo.

«N-no... Non a-andare...»

Sussurrò spaventato dalla prospettiva di restare da solo.
Il profumo di Raphael riusciva a calmarlo, a farlo sentire al sicuro e protetto.
Le dita dell’alpha si chiusero attorno alle sue, accarezzando le nocche con affetto e dolcezza.

«Estoy aquì. Non vado da nessuna parte.»

Gli rispose guardandolo con affetto e aiutandolo a distendersi.
Le dita dell’altra mano corsero tra i capelli dell’omega, districando delicatamente i nodi e massaggiando la cute. Gli occhi di Simon si chiusero a quel gesto, un sospiro gli fuoriuscì dalle labbra schiuse e in poco tempo la stanchezza prese di nuovo il sopravvento.

«Gracias Raphael...»

Risuonò nel silenzio della stanza.
Erano al sicuro. E per il momento Raphael se lo faceva bastare.
Per il momento poteva ritornare a respirare.












A/N
Sara’s Corner


E’ la prima volta che aderisco a concorsi del genere quindi non sono sicura di aver propriamente rispettato il prompt al 100%. Ho cercato di inserirlo in ogni scena, sia letteralmente alludendo all’atto della respirazione (attacchi di panico, prendere un respiro, respirare aria) sia in modo velato (il senso dell’olfatto, respirare gli odori, i feromoni, il profumo naturale tipico di ogni alpha/beta/omega come individui). Era da sempre che volevo scrivere un Omegaverse!AU all’interno del fandom Saphael e ho colto questa occasione per farlo. Ho sempre pensato a Raphael come un alpha perché ha la stoffa del leader e di colui che protegge il suo branco esponendosi in prima persona, Simon ce lo vedo di più nei panni di un omega e per me Magnus è perfetto nel suo ruolo di beta dato che i beta sono una categoria più neutrale. Se volete, fatemi sapere cosa ne pensate (:
Come sempre vi lascio con il vocabolario spagnolo a piè pagina in caso di bisogno!

Piccola precisazione: La vicenda ha luogo inizialmente a Città del Messico, da lì Raphael si sposta in auto verso New Orleans dopo aver chiesto aiuto a Magnus. Pertanto sia Raphael che Simon sono bilingue, parlano sia spagnolo che inglese (anche se la mia storia è in italiano ma dettagli xD).


Vocabolario spagnolo:

- ¿Me sientes? Todo estarà bien, lo prometo. Estàs a salvo ahora.
(Mi senti? Andrà tutto bene, lo prometto. Sei al sicuro adesso.)
-Te protegeré. Estamos a salvo ahora, un viejo amigo nos ayudarà.
(Ti proteggerò. Siamo al sicuro adesso, un vecchio amico ci aiuterà.)
- Por favor, déjame ayudarte.
(Per favore, permettimi di aiutarti.)
- Pequeño.
(Piccolo.)
- Estoy aquì.
(Sono qui.)
- Gracias Raphael.
(Grazie Raphael.)
  
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