Ez-Ha-Ir non è una donna.
Non lo sarà, non lo è mai stato.
Stringe i pugni dalla rabbia, e l'ossidiana che stava lavorando si spacca un schegge precise che riflettono il suo irato volto aguzzo.
Si slega furioso i capelli di un rosso assai tenue – fiamme chiare ordinate in dreadlock – e li riallaccia con simile foga nel tentativo di calmarsi. Digrigna i denti a nessuno, lancia uno sguardo frustrato alla gemma che cercava di modellare; i suoi stessi occhi gialli rispondono, astiosi.
Sa cosa sia una donna. Sua madre lo è, la matriarca lo è. Le sue amiche lo sono, a dispetto del petto che ad alcune non è in grado di crescere. Lui non lo è.
Lui è preda di un'ingiustizia più grande di sé, quella di avere un corpo scuro che non è il suo, che non gli permette di essere niente, né un re né sé stesso.
Lo odia, lo odia, lo odia. Vorrebbe strapparselo ed essere come la sua Dea, un'impressione, un'entità senza forma.
Invece singhiozza, divorato dalla frustrazione, mordendosi il labbro fino a sanguinare. Perché non può dirlo.
Ez-Ha-Ir è un uomo. Punto e basta.