Sotto
la superficie
Le
ossa di vecchio di Njord tremavano per il freddo e la
paura. Un vento impietoso e gelido aveva trasportato fin lì
nuvole scure
cariche di pioggia e si insinuava sotto gli abiti graffiando la pelle.
Era
passata almeno un’ora da quando il dio degli inganni aveva
oltrepassato svelto
e sicuro la pesante porta del Tempio; più i minuti
passavano, più le speranza
che uscisse con Sigyn si assottigliavano fino a diventare un filo
sottile e
impalpabile. Gli tornarono alla mente le immagini della nipote
quand’era una
bambina silenziosa e assorta, ripensò alla ragazzina serena
che era stata
quando lui credeva di essere quasi il padrone del mondo e persino il
figlio
reietto di Odino aveva scelto di inchinarsi suo cospetto.
Desiderò con
disperazione andare indietro nel tempo, a quei giorni lontani in cui
non
c’erano ombre sulla sua Casa e, per settimane, non
succedevano che piccole cose
di nessun conto – Loki che metteva sottosopra il palazzo per
cercare una penna,
ad esempio, ma questa è un’altra storia (1).
Un
tuono squarciò il cielo riscuotendo il sovrano dai suoi
rimpianti e, subito dopo, una pioggia di lampi illuminò
l’aria grigia e fredda,
la terra si coprì di strani simboli e il Bifrost si
aprì in tutta la sua
magnificenza. I nobili e i soldati riuniti tirarono un sospiro di
sollievo e
gridarono estasiati battendo le armi contro gli scudi,
perché Thor figlio di
Odino in persona era venuto a salvare il fratello insolente.
Che
i piani del tonante in realtà fossero leggermente
diversi da quanto presupposto, lo dovette suggerire la presenza della
piccola e
compita ospite che aveva accompagnato il prodigo eroe. Sonje reggeva
con un
braccio il fedele gatto di pezza e si guardava attorno curiosa,
osservando ogni
cosa con la stessa acutezza del padre. Quando vide Njord, sorrise
sventolando
la mano felice.
Il
vecchio re boccheggiò sgomento e fissò il tonante
disperato. “Perché l’hai portata qui?
Non è un luogo adatto a una bambina,
questo!”
“Scherzi?
Non c’è posto più adatto,”
sorrise Thor. Si chinò
verso la nipote e le indicò le torri austere del Tempio.
“La tua mamma e il tuo
papà sono lì e presto usciranno,”
spiegò sicuro. “E sarà uno spettacolo
divertentissimo.”
Sonje
saltellò dalla gioia. “Ci saranno i
fuochi?”
“Grandissimi.”
“E
poi si baceranno?”
Sonje
lo chiese con l’infantile cupidigia con cui attendeva
il finale di una fiaba, quando l’eroe sconfigge il drago e
libera la
principessa: dall’alto dei suoi quattro anni, si era convinta
che i suoi genitori
fossero i protagonisti dei racconti fantastici che le leggevano per
farla
addormentare e voleva che si comportassero come tali. L’idea
le era venuta
sentendo una domestica distratta che non si era accorta della sua
presenza e
aveva paragonato Loki non all’eroe, ma al drago. A detta
della donna, Sigyn era
e sarebbe rimasta per sempre prigioniera del dio degli inganni.
“Certo che si
baceranno,” promise il Re degli Asi accarezzandole con
dolcezza i ricci neri.
Njord non attese oltre per pararglisi davanti.
“Che
ti è saltato in testa?”
“Voglio
che veda suo padre uscire trionfante da quel
portone, mi pare ovvio. Tutti i bimbi Asi vengono portati ad assistere
alle
parate vittoriose e al rientro dei genitori dalle battaglie.”
“Questo
è il Tempio! Non ne avverti il potere nero, pesante,
insondabile? Non usciranno mai da quelle mura, forse saranno
già morti. Dovevi
arrivare prima, li avresti salvati.” (2)
Thor
prese in braccio la nipote, se la mise sulle spalle e
scrutò con attenzione il vecchio sovrano preoccupato.
“Per le Norne, tu sei
serio,” si rese conto mentre la coda del gatto di pezza gli
offuscava
parzialmente la vista. “Pensi davvero
che Loki non sappia uscire da un castello abitato da vecchie megere?
Lascia che
ti dica una cosa: se non ci riuscisse da solo, non berrei
più con lui.” (3)
“Tu
non hai idea di cosa sia il Tempio e quali insidie
nasconda: non esiste nemmeno una mappa precisa delle sue stanze. Dicono
che sia
un labirinto capace di mutare aspetto e orientamento per far impazzire
chi lo
attraversi e nessuno è mai riuscito a uscirne
vivo.” Njord era pallido in volto
e si pentì della frase appena pronunciata non appena
capì che Sonje aveva
ascoltato ogni parola. Quanto poteva aver compreso del lugubre
discorso? Dagli
Asi, Sonje aveva senz’altro ereditato la testardaggine e
l’insolenza, ma anche
l’intelligenza viva e acuta e l’indomita fierezza.
Lo guardò con attenzione,
strinse con maggior forza i capelli biondi dello zio ma rimase muta.
“Mio
fratello è diventato un maestro di magia quando nemmeno
si faceva la barba. Ha più vite di un gatto e una fibra
fottutamente robusta;
se pensi che non sappia uscire, beh, mi deludi Njord. Nessun Vanir
è mai uscito,
ma certamente nessun Asi è entrato,”
ribatté con una nota di risentito orgoglio.
“Vai
a salvarli,” supplicò nonostante tutto il re.
“Sonje è
così piccola.”
“Scordatelo,”
fu la convinta risposta. “Non rovinerò la
festa a mio fratello.”
Due
guardie davanti e due dietro più una per ogni lato. Loki
valutò con attenzione la corporatura robusta degli uomini e
le armature spesse
che li coprivano da capo a piedi. La Sublime avanzava come
un’ombra nera
davanti al piccolo drappello in un frusciare di seta nera. Il dio degli
inganni
accarezzò per l’ennesima volta l’idea di
fermarsi in mezzo al corridoio, liberarsi
una volta per tutte delle guardie e tagliare la gola a quella puttana,
ma
dovette frenare il desiderio. Prima era necessario trovare lei.
Giunsero
davanti a una porta blindata. La Sacerdotessa sfilò
dalla cintura un mazzo di pesanti chiavi e aprì la serratura
sotto lo sguardo
vigile dell’Ase. Nella stanza c’erano un numero
incredibile di telai e donne
smunte e dall’aria infelice che tessevano, controllate a
vista dalle adepte del
Tempio. Il dio degli inganni cercò Sigyn tra la folla di
disgraziate, ma non la
vide. Notò con orrore che alle donne erano stati tagliati i
capelli e pensò
alla magnifica chioma di sua moglie e a un torto antico che lui stesso
aveva
compiuto nei confronti di Sif, ma di cui non si era mai pentito. (4) La
Sublime
riconobbe immediatamente il suo ultimo acquisto e si diresse a passo
sicuro
verso un angolo dell’enorme sala. Uno dei telai si
fermò e, dal mare grigio di
donne chine, spuntò un’irriconoscibile Sigyn. Loki
avrebbe voluto stupirsi per
l’immagine della moglie, ma non ci riuscì; nella
sua vita aveva subito la
tortura e la prigionia e aveva perso il conto della battaglie che aveva
combattuto. Decine di volte i suoi stivali erano affondati nel fango e
nel
sangue, centinaia era sceso nei sotterranei di Asgard da trionfante
vincitore per
osservare i nemici sconfitti. Per questo non gli riuscì di
sorprendersi,
vedendo gli occhi spaventati di Sigyn, osservando l’aria
spaurita di bambina
che il taglio corto che le aveva regalato (5). Non la vedeva che da
pochi
giorni, eppure in quel lasso brevissimo di tempo il suo viso si era
trasfigurato. Riconoscendolo, lei si morse le labbra e non
riuscì a trattenere
un singhiozzo. Provò a corrergli incontro, ma fu bloccata
dalle guardie e Loki
non mosse un muscolo. Anche questo aveva imparato comandando per secoli
le
armate di Odino.
“Ora supplichi il
mio
aiuto? Potevi pensarci quando ti sei opposta ai miei
avvertimenti,” le disse
invece con sprezzo evidente. Sigyn sgranò gli occhi, colpita
da quella frase e
dalla rigidità dell’Ase. Era una messinscena,
ovviamente. La mascella
contratta, la smorfia sulle sue labbra, la compostezza della sua
postura non
erano che una maschera, una recita cui aveva assistito infinite volte. Solo che.
La
Sacerdotessa la sorpassò soddisfatta e lei fu presa per
le braccia e condotta in una lugubre stanza priva di finestre. Alle
pareti
erano appese fruste e catene.
“Puoi
interrogarla qui,” soffiò la Sublime congiungendo
le
mani serafica.
“Dove
cazzo è l’anello?” La porta non si era
nemmeno chiusa
che il dio dell’inganno aveva afferrato Sigyn per le spalle,
scuotendola con
forza. Di fronte al suo sbigottito silenzio, insistette.
“L’anello, la fede.
Non era un regalino d’amore per te, ma una nascondiglio per
qualcosa che ho
rubato,” disse tra i denti.
“Non
sei qui per salvarmi?” La sua voce era insolitamente
calma, piatta. Le tornò alla mente l’immagine che
le si era presentata davanti
solo poche settimane prima – Loki addormentato in camera di
Sonje, le lunghe
gambe stese sul tavolinetto basso dove la piccola organizzava i suoi
tè con le
bambole, un libro di fiabe tra le mani e l’indice a tenere il
segno delle
pagine. Lo aveva svegliato scuotendolo per una spalla e lui,
incredibilmente,
non era saltato in piedi come suo solito grazie ai sensi sempre
all’erta, ma
aveva bofonchiato un lamento leggero continuando a dormire.
La
porta dietro di loro venne chiusa a chiave e si accorse
che, in una mano, l’Ase stringeva qualcosa di cuoio: una
frusta. “Ti ci sei
ficcata tu in questa situazione, piccola stupida. Io te
l’avevo detto. Ho
sopportato abbastanza la presenza tua e di quel vecchio idiota di tuo
nonno.
Adesso che ho il campo libero, non mi servite
più.”
Aveva
usato un tono compiaciuto, cattivo come il sorriso che
gli tagliava le labbra, abbastanza alto perché fosse udito
al di là del muro. La
frusta schioccò con un colpo secco facendola gridare, ma non
si abbatté su di
lei. Fendette l’aria che si trovava nella direzione opposta e
la giovane donna
si ritrovò a fissare il marito appiattita contro la parete
umida. “Che farsa è
questa? Fammi uscire!”
“Nessuna
farsa, ti sbagli.” Le si avvicinò e Sigyn
poté
riconoscere l’odore di pelle e cuoio che le era
così familiare, in cui si
rifugiava quando lui era via e lei affondava il naso negli abiti
riposti nell’armadio.
Esplose in un pianto nervoso, disperato, convulso. Loki la
afferrò per la vita
e la strinse a sé.
“Ti
detesto davvero,
profondamente. Mi hai ingannato costringendomi a venire qui, hai
ignorato i
nostri accordi e non indossi l’anello. Contiene davvero
incantesimi e rune,”
sibilò caustico. “E ora, fammi il piacere: urla
come se ti stessi colpendo
davvero, avanti.”
“Portami
via, portami da Sonje.” Sigyn scosse la testa che
aveva adagiato sul suo petto, cercando le parole giuste per spiegare il
suo folle
gesto. Non fu certa di averle trovate, ma iniziò lo stesso
il discorso.
“Nessun’altra deve entrare qui dentro. Questo posto
è un abominio. Io dovevo
sapere e vedere per raccontare al mondo di fuori cosa succede qui. La
famiglia
di Theoric prima o poi dovrà adeguarsi alle decisioni degli
altri nobili o
verrà isolata, tagliata fuori.”
Il
nome dell’uomo fece irrigidire l’Ase.
“Questo è il
discorsetto che ti sei preparata per tuo nonno. Schioccò la
frusta e quella si
infranse contro la porta con un sibilo violento. Sigyn
cacciò un urlo sincero,
come le indicò il sopracciglio alzato del marito.
“La ragione vera è che ti sei
sostituita all’ultima derelitta che doveva finire qui dentro
perché ti ha fatto
pena e per espiare tu
stessa.” Il
potere delle parole di Loki stava nel dolore lancinante che sapevano
instillare.
Sigyn
guardò a terra. “Non perdere tempo con questa
recita,
fammi uscire.”
“Ti
sei sentita una piccola privilegiata e ti è
dispiaciuto.” Le diede un bacio rancoroso, disperato, che le
ricordò con vivida
precisione quelli che si scambiavano negli angoli nascosti del palazzo
di
Vanheim, quando giocavano a detestarsi; solo che non finì
lì. Sigyn soffocò un
grido artigliandogli i capelli. Loki delimitava il territorio usurpato.
Che
altro aspettarsi, dal figlio di pirati e guerrieri, dal gigante di
ghiaccio
cresciuto dai feroci Asi? Le stava chiedendo perdono in maniera barbara
e
arrogante, dimostrandole inequivocabilmente, con le sue labbra
beffarde, quanto
Theoric non significasse niente e non esistesse alcuna macchia, su di
lei.
Poggiò
la nuca contro la parete. “La porta potrebbe
aprirsi,” supplicò.
Nemmeno
i baci del dio degli inganni potevano cancellare del
tutto ciò che aveva visto in due giorni di permanenza in
quel luogo, specie se
erano conditi di astio come quelli che le aveva appena scoccato. Era
stata
picchiata, spogliata dei suoi abiti, offesa. Aveva visto le sue lunghe
ciocche
bionde di cui era orgogliosa cadere sul pavimento, si era addormentata
su un
giaciglio di paglia stretta in una tunica ruvida. Tutte cose che non le
erano
capitate per caso, ma perché, di sua spontanea
volontà, aveva deciso di
prendere il posto di un’altra ragazza nel folle tentativo di
attirare lì Loki.
E poi?
“Che
succeda. Sono qui per radere al suolo questa cloaca.”
Sigyn
aveva chiuso gli occhi, ma poté intuire che
l’ingannatore sorrideva feroce, mentre lo diceva, ed ebbe
paura. Lo aveva
costretto a intervenire; qualsiasi cosa gli fosse capitata, sarebbe
stata colpa
sua.
“Prima
però, tu andrai via da qui. Prenderai il mio aspetto
e io il tuo e uscirai dalla porta principale,”
spiegò l’Ase spiccio.
“Con
la magia? Non posso!”
“Non
sei una guerriera, non posso combattere e pensare anche
a te!”
“Mi
hanno visitato! Sono incinta! Non puoi usare la magia!”
Sigyn lo disse tutto d’un fiato, con il cuore che le
galoppava nel petto. Una
mano scese istintivamente a proteggere il ventre piatto. Gli occhi
quasi
trasparenti di Loki seguirono il gesto. C’era una punta di
azzurro, nel suo
sguardo. A volte, il verde lasciava spazio a quell’esigua
traccia celeste che
lasciava intravedere qualcosa della sua anima inquieta, nervosa.
“Tu
hai un tempismo orrendo!” Era impallidito perché
il dio
del caos, per contrappasso, doveva avere ogni cosa sotto controllo,
sempre. Di
fronte al suo piano che si infrangeva, esplose. “Sarebbe
andato tutto perfettamente!
Perché lo devo sempre
venire a sapere quando rischiamo il collo?” (6)
Lo
vide deglutire, capì che stava ragionando sulla
possibilità di un simile evento e su come avrebbe potuto
gestire la notizia. Strana
cosa che era, il seiðr. Una forza letale e perfetta che traeva
la sua forza
dalle rune e che, alle volte, si ingarbugliava o falliva. Una donna
incinta,
nelle prime settimane, non avrebbe dovuto subire incantesimi; il feto
avrebbe
potuto soffrirne, ma Sigyn non avrebbe dovuto essere in quello stato
perché i
loro incontri erano protetti. Loki si passò una mano tra i
capelli per
scacciare la tensione. Incontri.
Che
brutta parola aveva usato. Così avrebbe dovuto chiamarci il
sesso consumato in
fretta e di nascosto con Sif quand’era ragazzo o la breve
relazione intessuta
per noia qualche ancella di Frigga. (7)
“E
adesso, che facciamo?” domandò Sigyn aggrappandosi
al suo
braccio.
Loki
Laufeyson emise un profondo sospiro. “I miei piani
variano di momento in momento. Purtroppo.” Lentamente la
porta della stanza
iniziò ad aprirsi.
“Zio
Thor, io mi annoio. Facciamo un gioco? Giochiamo al tè
delle signore? Io preparo il tè per te e Gatto Thoor e poi
chiacchieriamo.”
Sonje lo disse tirando il mantello del prode dio del tuono e fissandolo
con quei
suoi occhioni grigi. Il suo broncio afflitto era la copia identica e
sputata di
quello che suo fratello, da bambino, sfoggiava di fronte a Odino e a
Frigga
subito dopo aver compiuto qualche tremenda malefatta. Prima di prendere
dimestichezza con bugie e fottuti giochetti retorici, l’arma
di Loki era
rappresentata proprio dalla sua aria fintamente innocente e dalle
guance
paffute.
“Sonje,
non preferiresti qualcosa di più divertente? Che ne
so, potremmo giocare al tiro con l’arco o dei coltelli. Il
tuo papà mi ha detto
che sei molto brava.” L’attenzione della piccola
era stata catturata dalla
proposta bellica, ma il riferimento al genitore le provocò
un pianto improvviso
e straziante. La bambina iniziò a singhiozzare disperata di
punto in bianco,
perché non vedeva Loki da quattro giorni e si sentiva
abbandonata; come se non
bastasse, anche la sua mamma era sparita e questa consapevolezza la
dilaniava.
Il re degli Asi, che si guardava bene dall’accasarsi e
dall’avere figli propri,
non era abituato alle improvvise tempeste emotive dei bambini: si
chinò
cercando di calmarla e promettendole le cose più fantasiose
finché Freya non si
avvicinò scoccandogli uno sguardo infuocato.
“Vieni
qui pulcino, adesso zia ti dà un biscotto e gioca con
te al tè delle signore,” disse prendendo Sonje
dolcemente per mano. La bimba
annuì, ancora sconvolta dalle lacrime. La donna si rivolse a
Thor. “Non credi
che tuo fratello ci stia mettendo decisamente
troppo tempo?”
Il
dio del tuono lanciò un’occhiata critica agli
imponenti
torrioni del Tempio. “Se la caverà. Se la cava
sempre,” mormorò, ma dentro di
sé si diede una scadenza: se entro il tramonto quello
stupido idiota non fosse
uscito dal portone principale di quel fottuto Tempio, decise, avrebbe
spaccato
con Mjollnir ogni singolo muro della lugubre costruzione.
Sigyn
incinta. Loki non riusciva a capacitarsene. Quando era
successo, come? Una guardia armata gli si lanciò contro, ma
l’Ase scartò di
lato, riuscì a immobilizzarla e la tramortì con
l’elsa del pugnale che aveva dimenticato
di consegnare alla
Sacerdotessa. Erano riusciti a uscire dalla stanza in cui erano
rinchiusi
grazie a uno stratagemma semplice, ma d’effetto. Il vecchio
Odino soleva dire che
i piani lineari erano in assoluto quelli più efficaci:
pochi, rapidi passaggi
avevano molte maggiori possibilità di riuscita rispetto ad
arzigogolate quanto
inutili trappole. Loki, che pure del doppiogioco e
dell’inganno era il signore,
si era sempre trovato d’accordo con questo principio. Nessuna
illusione,
dunque, sarebbe stato troppo banale. La porta della stanza dove erano
rinchiusi
si era aperta, e la Sacerdotessa sospettosa si era trovata di fronte la
scena
di Loki che strattonava Sigyn e le chiedeva il punto preciso dove aveva
nascosto l’anello. La scena doveva esserle parsa davvero
realistica: la
principessa era pallida, spaventata e con gli occhi rossi di pianto, il
viso
dell’Ase era trasfigurato da un’ira incontenibile
che alterava i suoi
lineamenti affilati.
“Non
hai qualche strumento più sofisticato per farle sputare
la verità?”
La
Sublime piegò il capo da un lato. “Che
intendi?”
Non
si fidava del dio dell’inganno, era evidente, ma
l’urgenza
con cui chiedeva del gioiello, unitamente al fatto che non le avesse
tirato
alcuno scherzo, le aveva fatto supporre che davvero le sue intenzioni
fossero
quelle confessate. Leggermente titubante aveva voltato le spalle alla
coppia,
certa comunque che le guardie che li accompagnavano
l’avrebbero protetta. Loki aveva
scelto di attaccare alla fine del corridoio.
Aveva
sorpreso gli uomini armati in un momento in cui quelli
credevano che non avrebbe fatto più nulla. Sigyn si era
appiattita lesta contro
la parete, mentre Loki sfoderava da uno stivale il pugnale che aveva
tenuto con
sé. Sei a uno non è buon rapporto, nemmeno se si
è un Ase, soprattutto se si
deve proteggere anche la propria donna. Far fuori il primo fu un gioco
da ragazzi,
l’uomo nemmeno se ne accorse, ma con gli altri
l’ingannatore mise in atto una
vera e propria danza mortale. Era rapido, sfuggente, letale e per nulla
intimorito dal fatto che le guardie che difendevano la Sublime fossero
armate
con lance, spade e asce.
Vedere
Loki combattere era uno spettacolo magnifico,
terribile, spaventoso. Il corpo di uno degli avversari del marito cadde
vicino
ai piedi di Sigyn e la donna, rapida, gli tolse dalle mani la spada che
stringeva ancora tra le dita, ma nel farlo sentì qualcuno
che la afferrava per
i capelli biondi ormai corti e le puntava contro la schiena una lama:
era la
Sublime. La principessa dei Vanir avrebbe voluto graffiarla, colpirla
con la
spada o fuggire, ma se si fosse mossa la sacerdotessa
l’avrebbe trafitta senz’altro.
Sentì
la bocca della donna che si avvicinava al suo
orecchio. “Userò uno dei pugnali di tuo marito,
per uccidervi. Getta la
spada.”
Sigyn
deglutendo obbedì e il rumore dell’arma che cadeva
sul
pavimento catturò l’attenzione del dio degli
inganni, ma la brevissima
distrazione gli fu fatale. I due uomini superstiti gli si gettarono
contro, uno
lo colpì al fianco, l’altro riuscì a
disarmarlo. Loki indietreggiò barcollando,
cadde a terra mentre Sigyn gridava. Un calcio sferrato con violenza
sulla
schiena gli strappò un grido, ma ebbe anche
l’effetto di far sì che le sue dita
arrivassero a sfiorare l’impugnatura della spada che sua
moglie aveva buttato a
terra. Sorrise inghiottendo il dolore e, con un gesto repentino,
afferrò la
lama e la infilò nel corpo di uno dei suoi avversari, tra le
giunture dell’armatura.
“Fermo!”
La Sacerdotessa Sublime gridò con tutto il fiato
che aveva in gola. Ora che i suoi piani sembravano, se non andati
letteralmente
in fumo, almeno deviati, il suo viso all’apparenza senza
età e contratto dall’ira
iniziava a mostrare rughe evidenti. “È incinta di
tuo figlio. Sarà un maschio,”
predisse leccandosi le labbra.
Loki
rimase in silenzio. Era ancora a terra e la guardia superstite
gli puntava alla gola una lancia.
“Li
ucciderò se muoverai anche solo un muscolo. Con uno dei
pugnali che tu mi hai consegnato,” minacciò.
Il
dio degli inganni piegò le labbra in una smorfia
beffarda, alzò le mani in segno di resa. “Se tu li
avessi voluti uccidere, lo
avresti già fatto,” osservò.
“Invece ti servono vivi, entrambi. Come è evidente
hai bisogno della mia presenza. Cos’è, ti servono
per ricattare Njord? Oppure c’è
qualcosa, qui sotto, nelle fondamenta di questo posto osceno, che tiene
prigioniera anche te?”
La
Sacerdotessa strinse le labbra come se le parole di Loki
avessero davvero colpito nel segno svelando le sue intenzioni.
“Fai
attenzione, Sublime Stronza,” proseguì
l’Ase. “Non
credere di avermi messo con le spalle al muro.”
“Se
muoverai un solo un muscolo, se pronuncerai un solo
incantesimo,” lo minacciò la donna stringendo i
capelli di Sigyn e strappandole
un lamento soffocato, “sfregerò per sempre il viso
della tua bella sposa.”
Si
raccontavano molte cose, del dio dell’inganno. Strane voci
si rincorrevano, da sempre, sulle sue abilità e sulle molte
astuzie che aveva
architettato per rovesciare imperi, sottomettere popoli, recuperare
reliquie
che si credevano perdute. Le sue gesta venivano cantate ai banchetti da
anni;
alcune storie erano divertenti e scanzonate e parlavano delle avventure
che
aveva vissuto con Thor, l’alleato di una vita, il nemico
più amato, l’avversario
più temuto. Altre, più oscure, venivano
sussurrate di notte, davanti ai falò,
quando i bambini già dormivano. Parlavano del seiðr
e di certe imprese che non
venivano messe in versi dai poeti e su cui nessuno osava ridere. Alcune
di
quelle storie stavano scivolando nell’oblio perché
i Nove Regni, da tempo,
erano in pace e il crudele ingannatore sembrava avesse voltato pagina;
non si
dedicava più a missioni tetre e spaventose, ma aveva sposato
una principessa,
governava alla luce del sole e aveva messo al mondo una bambina. Solo
che il
presente non cancella il passato, mai. Lo nasconde, lo occulta, lo
dimentica,
non di più.
Un
risata crudele riempì il corridoio. “Li ho
già recitati. Ho
evocato rune da quando ci siamo visti,” spiegò
Loki Laufeyson.
Continua…
L’angolo
di Shilyss
Ebbene
sì, è domenica e ho aggiornato il Ponicorno:
suonate,
campane! Questa storia doveva essere una raccolta di shot: sta
diventando qualcos’altro
e, non appena avrò capito cosa, provvederò ad
aggiornare gli avvertimenti. Grazie
per essere arrivate/i fino a questo punto e avermi dedicato il vostro
tempo. Prometto
che non farò passare ere bibliche per il prossimo capitolo!
Come sempre voglio
ringraziare coloro che nello scorso capitolo hanno voluto recensire e
tutti i
silenti che seguendo, ricordando e preferendo mi hanno testimoniato la
loro
presenza. Grazie di cuore, davvero. Scrivo per voi.
La
Fatina dell’Ispirazione attende fiduciosa di conoscere la
vostra opinione e svolazza spargendo glitter sulla mia tastiera
già provata dal
continuo digitare. Non deludetela o mi toccherà tossire
pagliuzze colorate per
settimane!
Buona
domenica e a martedì/domenica prossima per le nostre
prossime, mirabolanti, storie!
Shilyss
La
Sublime Str… Sacerdotessa è chiaramente ispirata
alla
Septa Unella di Games of Thrones. Il “Solo
che” a fine frase è una citazione a me
stessa in Sposami, Sigyn, mia fic.
A proposito di altre mie fic, ho postato
recentemente un paio di shot. Le avete già lette?! I miei piani variano di momento in momento è
una battuta presa da
Thor: Ragnarok.
1
Trattasi di un’anticipazione dei prossimi capitoli.
2
“Kronk, non ne avverti il nero potere?” Ovviamente
è una
citazione da “Le follie dell’imperatore.”
3
Bere insieme, anche nella Lokasenna (dall’Edda Poetica il
testo fondante della mitologia norrena), è indice di
comunione per gli Asi.
4
Nel mito, Loki taglia a Sif i capelli dopo essere stato a
letto con lei. Successivamente, sarà obbligato a recarsi
nella terra dei Nani e
degli Elfi per farsi fare una parrucca d’oro.
5
Come quelli di Isabeau in LadyHawke.
6
Come nella mia fic Tutte
le tue bugie, che anticipa questa. Ma come, non
l’hai ancora letta e/o non
mi hai fatto sapere che ne pensi?
7
Le interazioni seiðr/gravidanza sono un’idea mia che
non
ha alcun appiglio altrove se non in Tutte
le tue bugie.