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Autore: revin    17/06/2018    0 recensioni
La vita senza Michael, Lincoln e la loro sfilza di problemi non è più la stessa per la complicata Gwen. Ma i problemi come sempre sono dietro l'angolo... come le prigioni.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Michael/Sara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aprii gli occhi svegliata da un fastidiosissimo bip a poca distanza dall’orecchio. Avevo ancora la testa sprofondata sul morbido cuscino, quando decisi di scostare il lenzuolo e allungare la mano verso il comodino alla ricerca della fonte di disturbo che mi aveva infastidita. Trovai la sveglia e l’avvicinai al viso per sbrigarmi a capire come si spegnesse quella diavoleria trillante.

Erano appena le 7,30 del mattino. A chi diavolo era venuta l’idea di puntare la sveglia ad un'ora del genere?
Ben presto mi resi conto che il maledetto bip non poteva provenire dalla sveglia, e solo allora il mio cervello riuscì finalmente a riconnettersi e ricordare che quel suono segnalava l’arrivo di una mail sul mio account di posta. Il portatile era rimasto acceso, dovevo aver dimenticato di spegnerlo mentre crollavo in catalessi intorno alle 4 del mattino.

Mi voltai sul fianco destro, verso il pc appoggiato sul letto, e lo richiusi. Non mi preoccupai minimamente di aprire la mail e di leggerla. Potevo immaginare chi me l’avesse inviata e perché, se mi concentravo bene potevo anche visualizzare il contenuto ripetitivo e supplichevole della mia instancabile, fiduciosa e ottimista ex sorellina Meredith. Era ancora convinta che si potesse tornare indietro, che si potesse rimettere tutto apposto con delle semplici scuse. Io non ero dello stesso avviso. Non avevo nessuna intenzione di tornare a Newark, non prima di aver tirato fuori di prigione Michael ed aver aiutato Lincoln a salvare Sara e L-J dalle grinfie della Compagnia.
Visto che ormai mi ero definitivamente svegliata, non mi restava che alzarmi dal letto.

Trovai Lincoln seduto nello stesso posto della sera prima e per un attimo pensai che non si fosse mosso da lì per tutta la notte, ma ovviamente sapevo che non era così. Aveva già fatto la doccia, aveva fatto colazione e senza alcun ombra di dubbio aveva un aspetto migliore del mio. Io non sarei riuscita ad avere un aspetto decente alle 8 del mattino neanche se fossi riuscita a riposare per 8 ore di fila. 
  • Buongiorno.  -  esordì, sollevando gli occhi dal quotidiano che stava leggendo.
Sbuffai.  -  Forse per te. Non sarà un buongiorno finché non avrò mandato giù almeno un litro di caffè, per quanto mi riguarda.  -  risposi, sprofondando nella sedia accanto alla sua.
 
L’uomo mi allungò un bicchiere di carta con dentro del caffè ancora fumante e una busta con dei cornetti dall’aspetto invitante.
  • Sei riuscita a chiudere occhio stanotte?
  • Se per stanotte intendi intorno alle 4 del mattino la risposta è si, e visto che adesso sono ancora le 8, questo significa che i miei muscoli si rifiuteranno di mettersi in moto per almeno le prossime due ore.
  • Beh, io invece sono sveglio già da tre ore e non ho intenzione di starmene a poltrire, mentre mio figlio è chissà dove a rischiare la vita.
Sbaglio o avevo avvertito una nota di malcelato rimprovero nella sua voce? Ero ancora un po’ addormentata per riuscire ad esserne certa.
 
Gli sorrisi languida.  -  Linc, ma per chi mi hai presa? Ho detto che i miei muscoli si rifiuteranno di mettersi in moto… non i tuoi. Ieri notte, visto che non riuscivo a prendere sonno e non avevo di meglio da fare, ho fatto una ricerca su internet per cercare di capire chi fosse il nostro uomo misterioso e ti dirò che sono rimasta molto sorpresa quando, neanche dieci minuti dopo, sono riuscita a risalire a lui.
Lincoln, rimasto di sasso, mi puntò subito gli occhi addosso, interessato.  -  Sei riuscita a scoprire qualcosa?
  • Si, James Whistler è una sorta di celebrità qui a Panama City e credo anche di aver capito perché Michael non è ancora riuscito a trovarlo.
  • Beh? Chi è?
Bevvi una lunga sorsata di caffè.  -  Sembra che questo tizio, durante una lite in un bar, abbia ucciso il figlio del sindaco di Panama City. E’ per questo che è finito a Sona. Qualche tempo dopo il sindaco per vendicare la morte del figlio ha fatto mettere una taglia su Whistler, facendo intendere che chiunque fosse riuscito ad ucciderlo, sarebbe stato processato in tribunale da un giudice pagato dal sindaco in persona. Molti hanno interpretato questa dichiarazione come una possibilità per tornare liberi, così da quel momento si è scatenata una caccia spietata al nostro uomo, ma nello stesso momento Whistler è scomparso da Sona. Alcuni detenuti credono che sia già morto o che sia riuscito a scappare. Io credo che sia lo stesso uomo nascosto nelle fogne del carcere che ha dato il bigliettino a Bellick.
  • Già. Adesso che sappiamo chi è, dobbiamo solo scoprire perché la Compagnia è tanto interessata a lui.
  • A questo potrai facilmente dare risposta recandoti in banca.
Lincoln aggrottò la fronte, confuso.  -  In banca?
  • Credo di essere riuscita a decifrare per sommi capi il bigliettino che mi hai dato ieri sera. Versailles. 1989. V. Madrid… Qui a Panama esiste una banca tra le più grandi del paese, meglio nota come Banco de Versailles. Il primo punto potrebbe riportare a questo. Immagino che 1989 possa riferirsi al numero dello sportello di deposito e V. Madrid possa essere una password o un’identità falsa collegata a quel deposito. In quella banca si possono depositare o custodire oggetti, oltre a somme di denaro. Forse il nostro caro Whistler ha depositato qualcosa di prezioso che la Compagnia vuole trovare.
Saltò giù dalla sedia con un movimento fluido e mise di lato il quotidiano.  -  Lo scoprirò andandoci. Tu vieni con me?
Gli sorrisi di nuovo.  -  Te l’ho detto, per altre due ore non sarò disponibile. Sai come funziona, io sono la mente e tu il braccio. Io il mio lavoro l’ho fatto, adesso tocca a te.  -  Lo vidi lanciarmi uno sguardo perplesso, cercando di capire se stessi scherzando.  -  Dico sul serio. Tu vai e cerca di scoprire il più possibile. Io per stamattina ho delle commissioni da fare.
 
Restammo di incontrarci nel giro di un paio d’ore nuovamente lì, nella nostra stanza d’albergo a Plaza del Sol per fare il punto della situazione.
Lincoln uscì meno di un minuto dopo per recarsi al Banco de Versailles, mentre io persi più di mezz’ora per prepararmi e finire di fare colazione.
Non avrei voluto mandare Lincoln da solo, tuttavia non avevo dimenticato di essere arrivata a Panama con un misero cambio di vestiti. Dovevo procurarmi qualcosa al più presto prima di ritrovarmi a chiedere al mio amico anche abiti e biancheria intima, e dovevo trovare immediatamente una farmacia o presto o tardi, l’evasione di Michael e il rapimento di L-J e Sara non sarebbero stati gli unici problemi all’ordine del giorno.

Quando tornai a Plaza del Sol erano già passate le undici. Ero sicura che Lincoln si sarebbe arrabbiato per quel ritardo. Da un certo punto di vista, Lincoln era molto simile a Keith, tendeva a preoccuparsi facilmente quando si trattava della mia incolumità.
Mentre salivo di corsa le scale per raggiungere al secondo piano la stanza 2555, me lo immaginavo appoggiato alla finestra, a braccia conserte, imbronciato e con gli occhi fissi sulla porta, in attesa di vedermi comparire. All’improvviso, dopo aver svoltato l’angolo del primo piano e corso verso la successiva rampa di scale, m’imbattei in una donna, finendole quasi addosso.
La giovane, vertiginosi tacchi a spillo ai piedi e costosi occhiali da sole calcati sul naso, riuscì a bloccarmi prontamente prima che la travolgessi, ma quando cercai di scusarmi lei si voltò sdegnosa dall’altra parte e se ne andò, lasciandomi di sasso sul pianerottolo. 
  • Sono tornata Linc, scusa il ritardo.  -  dissi, spalancando la porta della camera prima di entrare.
Come avevo immaginato, trovai il mio amico appoggiato alla finestra, braccia conserte ed espressione corrucciata. Pensai che stesse aspettando me, ma mi sbagliavo.
  • Non importa. Forse è un bene che tu abbia ritardato.  -  Il tono di voce era basso, preoccupato.
  • E’ successo qualcosa?
Scosse la testa.  -  Sono rientrato anch’io a momenti e… lei era qui. Susan.
  • E che cosa voleva?
Questa volta Lincoln mi puntò addosso uno sguardo mortificato.  -  Ha solo voluto precisare qualche punto precedentemente concordato. Ci tengono d’occhio Gwyneth e sanno di te, che mi stai aiutando.
  • Ah. Ok, piuttosto prevedibile che seguissero a distanza le nostre mosse.
  • E non sei preoccupata? Hai dimenticato quello che ha detto Kellerman? La Compagnia ti tiene d’occhio per qualche sconosciuta ragione. Io… io non ho pensato… quando ti ho chiesto aiuto io… E se provassero a rapire anche te?
Non capivo perché Lincoln avesse deciso di preoccuparsi della mia sicurezza proprio adesso. Ormai la Compagnia sapeva del mio coinvolgimento, che fossi stata con lui a Panama o nascosta in un bunquer che differenza poteva fare?
 
Si prese la testa tra le mani, l’espressione distorta dal dolore.  -  Non avrei dovuto trascinarti di nuovo in questa storia, è pericoloso e tu non c’entri niente.
  • C’entro eccome se c’è di mezzo Michael.  -  scattai.
  • Si, ma non a questo prezzo!  -  replicò risoluto.
L’entrata in scena di Susan evidentemente aveva fatto precipitare Lincoln al livello del disfattismo. 
  • Linc,  -  ripresi calma e comprensiva, avvicinandomi.  -  so che sei preoccupato per me e ti ringrazio, ma non ce n’è bisogno e poi abbiamo già tanto di cui doverci preoccupare. La Compagnia non ha alcun motivo per essere interessata a me e più ci penso, più mi convinco che quella volta Kellerman abbia un po’ esagerato. Sapeva chi ero e conosceva i miei trascorsi a Fox River. Secondo me ha solo voluto abbellire un po’ la storia per tenere te e Michael sulla corda. Se la Compagnia fosse davvero interessata a rapirmi, potrebbero farlo con la stessa facilità con cui hanno rapito Sara e L-J, e questo che io sia qui con te a Panama o nascosta sotto una coltre di ghiaccio in Alaska, ti pare?
Volevo suonare convincente per Lincoln ma in realtà, la prima a non credere alle mie stesse parole ero io. In qualche modo, ero sicura che in mezzo ai piani sconosciuti e subdoli della Compagnia, oltre a Michael e al misterioso Whistler, ci fossi anch’io ma il motivo continuava a sfuggirmi. 
  • Non lo so…  -  sbuffò l’uomo indeciso.  -  … è comunque molto pericoloso. E questa Susan non è un tipo da sottovalutare.
  • Hai detto che quella donna è stata qui poco fa. Beh, credo di averla incrociata per le scale e non mi ha neanche degnata di uno sguardo. E adesso piantala con queste stupidaggini e dimmi com’è andata al Banco de Versailles.
Se conoscevo bene Lincoln ci avrebbe impiegato qualche secondo a rispondere. Lui era fatto così, vagliava pro e contro, capiva che i contro erano molti più dei pro e finiva per arrendersi all’amara verità, vuotando il sacco.
  • Ho incontrato una donna.  -  rispose finalmente, confermando le mie aspettative.  -  Era la stessa che ricordavo di aver già visto fuori dalle mura di Sona quando sono andato a trovare Michael la prima volta, così l’ho seguita. Si è diretta ad uno degli sportelli della banca e ha chiesto di poter prelevare il contenuto di una delle cassette di sicurezza a nome di James Whistler, presentandosi come la sua fidanzata.  -  Da una delle tasche dei pantaloni, Lincoln tirò fuori un piccolo libricino e me lo passò.  -  Ecco qua. L’ho preso alla donna di Whistler non appena è uscita dalla banca. Lei ha detto che il suo fidanzato è un pescatore.
  • Oh, ma che fantasia!
Osservai attentamente il libretto, rigirandomelo tra le mani come se potesse svelare chissà quale mistero. Per me era un comunissimo manuale sugli uccelli tascabile. Non riuscivo proprio a capire a cosa potesse servire un libro del genere ad un uomo rinchiuso in carcere. 
  • Sai che cos’è?  -  chiesi.
  • E’ un manuale sugli uccelli.
Alzai gli occhi al cielo.  -  Questo lo vedo, intendo se hai scoperto qualcosa che lo riguardi. Perché Whistler è tanto interessato a questo libro?
Fece spallucce.  -  Non ne ho idea. Prima, mentre ti aspettavo, ho provato a sfogliarlo e ho notato che in alcune pagine ci sono scritte annotazioni e numeri, ma non so a cosa possano riferirsi. Prova a dargli un’occhiata, il tuo cervello funziona meglio del mio, magari riesci a capirci qualcosa.
  • Ho solo una buona memoria Linc, non faccio miracoli.
  • Si, questo lo so.  -  disse, accarezzandomi i capelli con fare paterno.  -  Ah, quasi dimenticavo… mentre eri via qualcuno ha infilato sotto la porta una busta con dentro queste.
Afferrò da sopra il tavolo una busta gialla e ne tirò fuori due piccole foto che mi passò. Si trattava di due istantanee di L-J e Sara, entrambi rivolti verso l’obiettivo con il giornale del giorno in mano. Evidentemente lo scopo era quello di rendere ben visibile la data sul quotidiano così da provare che gli ostaggi fossero ancora vivi. 
  • Dio… non hanno un bell’aspetto…  -  commentai preoccupata.
  • Guarda meglio. Non noti niente di strano nella foto di Sara?
  • Il suo colorito sembra quello di un malato terminale?
  • Guarda come tiene il giornale.
Osservai più attentamente la foto e finalmente capii a cosa si stesse riferendo il mio amico. Il particolare ad una prima occhiata non aveva catturato la mia attenzione, ma in effetti adesso che Lincoln me lo aveva fatto notare mi stupivo di non essermene accorta subito. Sara nella foto teneva il giornale in modo strano, premendo l’indice sulla parte sottostante, quasi volesse indicarci qualcosa.
  • Sta indicando l’articolo in basso a destra. Forse vuole dirci dove la tengono prigioniera.
E senza attendere conferma, corsi a recuperare il quotidiano che quella mattina avevo lasciato su una mensola accanto alla finestra. Lo presi per stirarlo sul tavolo alla ricerca del punto esatto indicato da Sara. 
  • Ecco, è questo. E’ una notizia che riguarda Santa Rita. Se non sbaglio esiste un piccolo paesino a 30 chilometri da qui con questo nome. Pensi che L-J e Sara siano tenuti prigionieri lì?
Lincoln sospirò frustrato.  -  Se anche fosse, come facciamo a sapere dove si trovano esattamente? Non possiamo certo sfondare ogni porta e controllare personalmente.
  • Hai ragione. Servirebbe qualche altro indizio.
  • Vado a parlare con Michael.  -  disse, afferrando giornale e chiavi per dirigersi nuovamente verso l’uscita.  -  Magari lui ha qualche idea in proposito. Nel frattempo, puoi farmi avere una mappa di Santa Rita?
  • Certo, ma non credi che…
Non mi stava più ascoltando.  -  Chiudi a chiave e non fidarti di nessuno.  -  concluse prima di sparire.
  • Si, come se questo potesse bastare.  -  mormorai alla stanza vuota, prima di recuperare il portatile e mettermi al lavoro. D'altronde avevo una mappa da stampare e un manuale sugli uccelli da decifrare.
Per ore non feci altro che restarmene davanti al computer, cercando di reperire il più banale dei collegamenti tra l’uomo misterioso che Michael doveva far evadere e quel libretto, anche se avevo la sensazione che fosse una colossale perdita di tempo. Quello era uno stupidissimo libro sugli uccelli e avrei potuto scommettere che Whistler non fosse affatto interessato al libro in sé, ma ai nomi, i numeri e le annotazioni riportate sopra, che personalmente non significavano nulla per me.
Più mi scervellavo su quel quesito, più mi convincevo che qualcosa di fondamentale mi stesse sfuggendo. Perché la Compagnia era tanto interessata ad un uomo accusato di omicidio e rinchiuso in un pericoloso carcere come Sona? Forse James Whistler era innocente. Forse anche lui era una povera vittima presa di mira dalla Compagnia come lo eravamo noi, oppure era un loro affiliato e il compito di Michael era quello di liberarlo per permettergli di tornare dai suoi “amici”. In ogni caso, dubitavo fortemente che l’uomo fosse un semplice pescatore, come lo aveva definito la sua fidanzata.
Quando ormai stavo per perdere la pazienza e spegnere il pc, stufa di cliccare a vuoto finestre e link dai percorsi sconosciuti, il mio cellulare prese a suonare. 
  • Lincoln…  -  risposi, riconoscendo il numero.
  • Sawyer, avevi ragione. Sara ha provato a dirci dove si trovano lei e L-J, ma non si tratta di S. Rita. Loro sono qui a Panama City.  -  Suonava affaticato.
  • Come lo sai?
  • Michael ha parlato con Sara. Susan ha accettato che si sentissero per telefono e Sara ha cercato di fargli capire in codice dove li tengono prigionieri. Ha detto che da dove si trovano riescono a vedere una statua di S. Rita. Si riferiva alla statua, non alla città. Adesso sto raggiungendo quella statua. Ho scoperto che qui a Panama esiste solo un posto con una di queste statue.
  • Ottimo. Se non altro è una pista. Posso fare qualcosa?
  • Beh… Sara ha detto una cosa al telefono che né io né Michael siamo riusciti a decifrare. Pensiamo volesse indicarci dove li tengono rinchiusi. Ha detto: “E’ come se ci trovassimo a mezzanotte e ci chiedessero di guardare alle 3 del mattino” … Gwen, che può significare? 
“Oh ma dai!” 
  • Ma che diavolo di similitudini vengono in mente a quella donna? Tanto valeva dire: continuate a brancolare nel buio che state andando alla grande!
  • Gwen, ti prego…
 Sbuffai rumorosamente, mentre lasciavo la sedia per cominciare a misurare la lunghezza della stanza a forza di andata e ritorno. 
  • Ok, vediamo… fammici pensare…
  • Fa pure con comodo, tanto non sono ad un passo dal collasso!  -  si lamentò impaziente.
  • Ehi, non mettermi fretta! Mi hai scambiata per una centralinista del servizio informazioni?  -  Odiavo quando mi si metteva fretta, non riuscivo a pensare bene.  -  Allora… abbiamo detto mezzanotte e 3 del mattino… mezzanotte… 12 e 3 del mattino…
 “Pensa Gwen, pensa… che avrà voluto dire?” 
  • Sono arrivato in piazza S. Rita, vedo la statua.
Ecco che tornava a mettermi fretta, lo odiavo quando faceva così. Poi finalmente il lampo di genio che aspettavo arrivò. 
  • Linc, dov’è posizionata la statua?
  • Direi… al centro della piazza. Forse Sara parlava di un edificio con un orologio, ma da qui io non vedo nessun orologio…
  • Perché cerchi la cosa sbagliata. E’ solo una metafora. Sara non si riferiva davvero ad un orologio. La statua di S. Rita si trova al centro della piazza, quindi segna mezzanotte su un ipotetico orologio, per questo lei riesce a vederla. Deve trattarsi di un edificio che dà sulla piazza.
  • Si, ma quale? Ce ne saranno almeno una decina che danno sulla piazza!
  • Guarda a destra!!!  -  urlai come se fossi lì e potessi agire al posto di Lincoln.  -  Le 3 del mattino segnano un angolo retto rispetto alla statua. Guarda a destra!!
  • Ok, ho capito.  -  disse trafelato, interrompendo la comunicazione.
 
Me ne stavo sdraiata sull’enorme letto a due piazze, fissando in silenzio il soffitto di quella deprimente e silenziosa camera d’albergo, quando sentii la porta aprirsi. Scattai in piedi con un balzo e corsi nella stanza attigua come un razzo, sicura che il mio amico Lincoln fosse di ritorno.
All’improvviso mi ritrovai a desiderare disperatamente che fosse andato tutto bene, che Lincoln fosse tornato insieme a Sara e L-J e che quell’assurda storia del rapimento fosse finita. Ero pronta ad accogliere tutti e tre con un sorriso e un abbraccio e, sì, avrei abbracciato anche Sara e mandato al diavolo le mie paranoie di fidanzata gelosa per una volta. Ma quando Lincoln spalancò la porta, caricato sulle sue spalle stava solo un uomo semincosciente, con le braccia e le gambe che ciondolavano pesanti e il capo reclinato all’indietro come un moribondo. Di L-J e Sara non c’era traccia.
  • Ma è… Sucre? Che cosa gli è successo?  -  chiesi, riconoscendo subito il malcapitato, nonostante il suo aspetto trasandato.
Lincoln avanzò affaticato dal peso del portoricano che aveva addosso, lo scaricò sul divano e mi passò una bottiglia di vodka quasi vuota alla quale mancava il tappo.
  • E’ soltanto sbronzo, non preoccuparti. L’ho trovato disteso fuori in corridoio.
Dovevo essermi persa qualche passaggio. Che cosa ci faceva l’ex compagno di cella di Michael nel corridoio di un albergo in quello stato comatoso? Avrei voluto chiederlo al mio amico, ma prima avevo domande ben più urgenti che mi frullavano per la testa.
  • Com’è andata la missione di salvataggio?
Lincoln sospirò stanco.  -  Non ci sono riuscito. Quando ho trovato l’edificio degli uomini stavano già caricando L-J e Sara su un furgone e non ho potuto fare niente.
  • Ma… stavano bene?
  • Si, erano vivi.
Peccato che fosse andata in quel modo. Lincoln aveva sfiorato la possibilità di salvare suo figlio, e potevo solo immaginare come si sentisse al pensiero di esserci andato così vicino ed aver fallito. Però tutto sommato c’era un aspetto positivo: adesso sapevamo che i due ostaggi erano vivi ed L-J e Sara avevano capito che eravamo lì per aiutarli e che avremmo fatto qualsiasi cosa per liberarli.
  • Che cosa facciamo adesso?  -  chiesi, puntando gli occhi sul povero Sucre accasciato sul divano.
  • Devo andare a parlare con Michael. Anche lui vorrà sapere com’è andata. Nel frattempo cerca di occuparti dell’ubriacone qui, rimettilo in sesto. Io faccio presto.
  • Certo, ci penso io.
  • Grazie.
Lo vidi sospirare di nuovo e dirigersi verso l’uscita con fare stanco e l’espressione avvilita.
  • Linc.  -  dissi, bloccandolo con la mano sul pomello della porta. Si voltò a guardarmi, distrutto.  -  Mi dispiace.
Annuì prima di richiudersi la porta alle spalle.
   
 
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