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Autore: Tigre Rossa    19/06/2018    4 recensioni
“Oggi è esattamente un anno da quel giorno. Il giorno in cui ci siamo incontrati per la prima volta.”.
Sdentato, preso alla sprovvista, si voltò per guardarlo negli occhi. Ma Hiccup non guardava lui; i suoi occhi verdi, stranamente malinconici, erano fissi in quell’esatto punto dove l’aveva trovato quasi per caso, quando nemmeno ci credeva più.
“I-io . . . ci stavo pensando ieri, e mi sono reso conto . . .” la voce del ragazzo cedette appena ed egli dovette lottare per continuare, mentre la sua mano tremava leggermente contro le sue squame “Mi sono reso conto di non averti mai chiesto scusa per quello che ti ho fatto.”.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Sdentato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Apologize

 

 

 

 


“Bello, fermiamoci qui un momento.”

A quella richiesta un po’ strana Sdentato rispose con un suono confuso, ma la esaudì comunque.

Atterrò esattamente dove il vichingo gli aveva chiesto, accanto ad un albero spezzato che stava iniziando a ricoprirsi di edera.

Hiccup scivolò giù dal suo dorso con leggerezza; ormai era diventato un gesto abituale e naturale anche con quella gamba di ferro che a volte gli dava ancora dei problemi. Fece un passo in avanti e, di fronte allo sguardo in attesa di spiegazioni del drago, sorrise appena e gli posò una mano sul muso in una tenera carezza, prima di chiedere a bassa voce “Riconosci questo posto?”.

La Furia Buia sbruffò e un pennacchio di fumo gli sfuggì dalle narici. Come avrebbe potuto non farlo? Era addosso a quell’albero che mesi prima, ferito dalla sua trappola, si era schiantato per poi finire poco più in là, tra le rocce, certo che sarebbe rimasto lì a morire. Si ricordava quella notte come se fosse ieri, e sinceramente l’idea di essere in quel posto ancora una volta non gli andava molto a genio.

Il vichingo si rese conto del suo fastidio e, come in un gesto imbarazzato, gli accarezzò ancora il muso, prima di indicare con il mento proprio il punto in cui era caduto e continuare lentamente “Laggiù è stato dove ti ho visto per la prima volta. Enorme, nero ed imponente, anche se eri completamente immobilizzato e sembravi quasi morto. Ma anche in quel momento, mi hai lasciato senza fiato.”. Si fermò per un attimo, prima di aggiungere “Oggi è esattamente un anno da quel giorno. Il giorno in cui ci siamo incontrati per la prima volta.”.

Sdentato, preso alla sprovvista, si voltò per guardarlo negli occhi. Ma Hiccup non guardava lui; i suoi occhi verdi, stranamente malinconici, erano fissi in quell’esatto punto dove l’aveva trovato quasi per caso, quando nemmeno ci credeva più.

“I-io . . . ci stavo pensando ieri, e mi sono reso conto . . .” la voce del ragazzo cedette appena ed egli dovette lottare per continuare, mentre la sua mano tremava leggermente contro le sue squame “Mi sono reso conto di non averti mai chiesto scusa per quello che ti ho fatto.”.

A quelle parole, il drago inclinò appena la testa, senza riuscire davvero a capire il perché di quell’incertezza e di quelle parole. Il vichingo però non lo notò e continuò, senza mai guardarlo e allontanando la mano dal suo muso, stringendola così forte a pugno da conficcarsi le unghie nel palmo della mano “Non ti ho mai chiesto scusa per averti sparato, né per aver tentato di ucciderti e soprattutto per averti ridotto così.”.

Sdentato fece un piccolo suono di protesta, come se tutto ciò non gli interessasse. E in effetti, non gli interessava davvero. Gli aveva fatto tutto questo, era vero e nessuno poteva negarlo, ma le sue scuse non avevano senso. Aveva già rimediato in tutti i modi possibili. Lo aveva lasciato libero, era tornato indietro per lui e gli aveva dato una possibilità di volare di nuovo. Era diventato suo amico e aveva fatto di tutto per proteggerlo. Gli aveva dato una famiglia. E questo aveva un valore maggiore di qualsiasi scusa.

Hic chiuse gli occhi, ora stringendo con forza entrambi i pugni. “Io . . . mi dispiace tanto, Sdentato.” mormorò, il rimorso che trapelava da ogni singola parola “Lo so che sono un po’ in ritardo, ma mi dispiace davvero tanto. Se potessi tornare indietro, non userei mai quella macchina. Non farei niente di quello che ho fatto. Niente.”.

A quelle parole, la Furia Buia ringhiò e decise che ne aveva avuto abbastanza.

In un gesto improvviso e fulmineo infilò la testa tra le gambe del ragazzo e se lo fece scivolare indietro fino alla sella e, ignorando le sue grida sorprese e di protesta si mise a correre e a volacchiare a bassa quota, percorrendo un percorso che aveva impresso a fuoco nella memoria.

“Sdentato, fermati! Ma cosa ti è preso? Dove stiamo andando?” urlò il ragazzo tentando di fermarlo, ma lui non gli diede peso fino a quando non raggiunse la sua metà.

Allora, planando lentamente, si infilò nuovamente in quella gola che per tante settimane era stata allo stesso tempo la sua prigione e la sua casa, quella stessa gola in cui lui e Hiccup avevano imparato a conoscersi.

Solo a quel punto, il drago si fermò e diede modo al compagno di scendere, il quale si guardò per qualche istante attorno, confuso, prima di voltarsi e chiedere, senza riuscire a capire “Perché mi hai portato qui? Credevo odiassi questo posto.”.

Sdentato scosse appena la testa in segno di diniego e si guardò attorno quasi con affetto. In quella gola si era sentito perduto, era vero, ma lì aveva anche trovato qualcosa che mai avrebbe pensato di potersi meritare. In quella gola era iniziata la loro amicizia proibita. Come poteva odiarla?

Si voltò di nuovo verso di lui, regalandogli lo stesso sorriso sdentato che gli aveva concesso per la prima volta proprio lì. Poi, con un suono affettuoso, abbassò la testa per raggiungere la sua mano abbassata e gliela sollevò in modo che lo toccasse esattamente nello stesso punto dove l’aveva accarezzato per la prima volta mesi e mesi prima.

Hiccup rimase senza fiato e si sentì stringere il cuore, rendendosi conto di ciò che il suo drago tentava di dirgli attraverso quei gesti.

Non mi interessa il motivo o il modo in cui ci siamo incontrati. Mi interessa quello che siamo diventato e quello che siamo ora, insieme. Tutto il resto non conta.

Sapeva che Sdentato gli voleva bene e che ormai da tempo gli aveva perdonato quello che aveva fatto. Ma la sua colpa l’aveva lì, di fronte ai suoi occhi, tutti i giorni. A causa sua, Sdentato non poteva più volare senza di lui. Lo aveva legato a sé per sempre, togliendogli le cose più importanti per un drago, il cielo e la libertà. E come poteva sopportare un simile peso?

“Anche io ti voglio bene, Sdentato, e lo sai.” sussurrò, accarezzandogli dolcemente la testa “Ma questo non cancella quello che ho fatto, anzi, lo rende ancora peggiore. È qualcosa che non potrò mai perdonarmi, non importa che tu l’abbia già fatto. Io non posso farlo, e non riuscirò mai a dimenticare.”.

La Furia Buia gemette appena a quelle parole e, con un gesto triste, si abbassò e gli sfiorò quasi con esitazione la gamba di ferro, come se volesse ricordargli che lui non era stato l’unico ad essere stato ferito dall’altro.

Hic si affrettò a scuotere la testa ed ad inginocchiarsi, in modo da poter guardare l’amico negli occhi. Gli prese il muso tra le mani e lo accarezzò delicatamente.

“No, piccolo, non è la stessa cosa.” lo rassicurò, riconoscendo il suo stesso senso di colpa negli enormi occhi verdi “Tu hai provato a salvarmi. Senza di te sarei morto tra le fiamme, quel giorno. Se non mi avessi preso per la gamba, ora non sarei qui con te.”.

Sdentato gemette di nuovo, ripensando per un attimo a quel momento terribile in cui l’aveva visto precipitare tra le fiamme e si era reso conto di essere troppo lontano per riuscire a salvarlo.

Aveva lottato disperatamente e, prima che il fuoco potesse lambirlo, l’aveva afferrato d’istinto per l’arto sinistro e l’aveva tirato verso di sé, senza rendersi conto di aver estratto i denti e senza pensare ai danni che quel gesto improvviso ed aggressivo gli avrebbe causato.

Aveva solo pensato a proteggerlo, quel giorno. Ma non c’era riuscito, non del tutto almeno. E quella gamba di ferro era sempre lì a ricordargli di aver permesso che ciò che era successo a lui accadesse anche a Hiccup.

Il ragazzo indovinò i suoi pensieri e, con tutta la dolcezza che aveva, mormorò sorridendo e posando la fronte contro la sua “Non devi rimproverarti di nulla, bello. Sono vivo solo grazie a te e non smetterò mai di ringraziarti per questo.”.

Sdentato tentò di opporre resistenza, ma alla fine si lasciò consolare da quelle parole sincere e chiuse a sua volta gli occhi, riempiendosi il cuore di quel gesto colmo di affetto.

Poi, il sorriso di Hic si spense e lui si tirò indietro, spezzando quel contatto affettuoso.

“Io, invece, ti ho tolto tutto per nulla.” si maledisse, senza riuscire più a guardarlo negli occhi “Volevo diventare qualcuno agli occhi di tutti, sentirmi finalmente come tutti gli altri. Volevo che mio padre fosse fiero di me. Ma non mi è mai venuto in mente che col mio egoismo avrei ferito un altro essere vivente. Non ho pensato, semplicemente, e ho quasi preso la tua vita, oltre ad avertela rovinata per sempre. E per questo non meriterei nemmeno un po’ della tua amicizia.”.

A quel punto, Sdentato spalancò gli occhi e, furioso e con un piccolo ringhio, si lanciò sull’amico e lo fece cadere a terra, sovrastandolo con il proprio corpo come aveva fatto in quel giorno lontano di un anno prima.

Non gli ruggì in faccia, quella volta, ma si limitò a guardarlo per un lungo momento, in modo che finalmente capisse, come era successo allora.

Ma questa volta non c’erano furia selvaggia e diffidenza nei suoi occhi, ma semplice affetto e puro perdono.

Non ti do’ alcuna colpa. Mi hai tolto il cielo, ma me l’hai restituito mille volte più grande. E ora non potrei più immaginare né di volare né di vivere senza di te. Quindi basta con le scuse, perché non ne accetterò altre mai più.

E, per assicurarsi che capisse davvero, iniziò a leccargli tutto il viso con decisione, ricoprendolo interamente di saliva.

Hiccup si mise a protestare e a ridere insieme, cercando di allontanarlo dal suo viso senza però riuscirci minimamente.

“Ho capito, ho capito, la smetto con i rimpianti e le scuse, va bene!” esclamò, tentando di fermarlo “Ora però basta, lo sai che non va più via!”.

Sdentato fece quel suo suono gutturale che somigliava tanto ad una risata, ma per sicurezza gli diede altre tre leccate buone, prima di permettergli di alzarsi.

Il vichingo si tirò indietro, facendo smorfie e prendendo un po’ di acqua dal laghetto per pulirsi il viso, e quando ebbe finito si voltò verso il compagno e posò la fronte contro la sua, dolcemente.

Sapeva di non potersi perdonare, non fino in fondo. Ma Sdentato era riuscito a farlo, e se lo sarebbe fatto bastare.

“Che dici bello, vogliamo andare?” chiese, grattandolo appena sotto il mento.

La Furia Buia gli regalò uno dei suoi più sinceri sorrisi sdentati e si abbassò, in modo da permettergli di salirgli in groppa senza che la protesi gli desse alcun problema.

 

 

 

Quando, quattro anni dopo, Valka sollevò la coda artificiale di Sdentato, chiedendogli chi fosse stato tanto crudele da ridurlo così, Hiccup si sentì per un momento tornare indietro, a quella giornata nella gola ed a quelle scuse così tante volte ripetute e mai accettate.

Risentì improvvisamente, dopo tanto tempo, tutto il senso di colpa e il rimpianto che si era obbligato a mettere da parte, a nascondere in un angolino della sua mente.

Esitò nel rispondere, non perché non volesse ammettere la verità, ma perché rivelandola ad alta voce temeva di riaprire quella ferita ormai quasi del tutto cicatrizzata.

Sdentato, ovviamente, se ne rese conto. Si voltò verso di lui alla ricerca del suo sguardo, che l’altro però non osava incrociare.

“Ecco, la cosa strana è che . . .” la sua voce era esitante ed incerta, ma incapace di mentire.

Prima che potesse andare avanti, il drago si abbassò ed infilò la testa sotto il suo braccio, sollevandoglielo quasi come per ricordargli che lui era lì, che non gli interessava chi fosse stato a colpirlo e quindi non doveva interessava nemmeno a lui.

Hiccup lo accarezzò d’istinto e finalmente si girò a guardarlo. Fu solo in quel momento, quando i suoi occhi incontrarono quelli sinceri dell’amico e rividero in essi le stesse emozioni di quel giorno lontano, che trovò la forza di continuare.

“Sono stato io, in realtà, a colpirlo e a ridurlo così.”.

La Furia Buia rispose alle sue lievi carezze e al suo contatto visivo con un sorriso gigante, saltellando leggermente come un cucciolo, quasi non gli interessassero quelle parole e i ricordi che potavano con sé. Come se non gli interessasse che fosse stato quel piccolo umano che aveva imparato a chiamare amico a ferirlo, ma gli importasse solo di essere lì, con lui, e basta.

La donna rimase in silenzio, confusa da quella confessione e dai gesti di entrambi, ed aggrottò la fronte quando il figlio continuò con un nuovo entusiasmo, seppur tentennante, nella voce.

“Ehi, va . . . va tutto bene però!” disse, più per rassicurare se stesso e il compagno che la madre, sorridendo all’amico e accarezzandolo con entusiasmo ed affetto.

“Si è vendicato! Vero, bello?” chiese, abbassandosi in modo che i loro occhi fossero alla stessa altezza, senza mai smettere di coccolarlo.

“Non potevi salvarmi tutto, non è così?” scherzò con quella vecchia battuta che ormai era diventata storica tra loro due, nonostante portasse con sé un ricordo tutt’altro che piacevole.

Gli mise entrambe le mani in bocca, strapazzandolo con dolcezza mentre il drago scuoteva la testa divertito, ridacchiava nel suo solito modo e fingeva di volersi liberare dalla presa. Ebbe però la premura di ritrarre i denti appena sentì il suo tocco, e il ragazzo se ne rese subito conto. Era solo una piccola accortezza, ma aveva lo stesso peso e lo stesso significato della sua esitazione e della sua voce tremante.

Il vichingo sorrise di nuovo e lo lasciò andare, senza però smettere di guardarlo mentre faceva alcune delle sue solite smorfie. “Dovevamo essere pari, giusto?” continuò, per poi avvolgergli un braccio attorno al collo  a mo’ di sostegno e sollevare la gamba, indicando la protesi quasi con fierezza ed annunciando con pura spensieratezza, come se quel pezzo di metallo attaccato al suo corpo non lo turbasse minimamente “Quindi, gamba di ferro!”.

Sdentato lo guardò, come rassicurato dalla leggerezza con cui aveva raccontato di due degli avvenimenti che li avevano segnati per sempre, e quasi a mo’ di premio, lo sollevò in alto e se lo fece finire sulla schiena, lì dov’era il suo posto.

Hiccup scoppiò a ridere a quel gesto ed in tutta risposta iniziò ad accarezzarlo ad occhi chiusi sotto il mento, dimenticando per un breve momento tutto ciò che non fosse il suo drago.

Valka rimase a guardarli per qualche istante, senza riuscire a capire.

Come poteva un drago, una creatura tanto fiera ed indomabile, non solo perdonare un vichingo per avergli rubato il cielo, ma anche comportarsi come se niente di tutto ciò lo turbasse? Come potevano due figli di mondi completamente diversi che si erano fatti del male a vicenda, nonostante tutto, avere un legame talmente forte da scherzare su ferite del genere?

Ma la donna che aveva studiato i draghi per vent’anni non poteva sapere.

Non poteva sapere che, nonostante si fossero perdonati da anni a vicenda, nessuno dei due aveva mai davvero perdonato se stesso per il male che aveva fatto all’altro.

Non poteva sapere quanti notti Hiccup fosse rimasto alzato a lavorare per far sì che quella coda artificiale potesse davvero sostituire quella che lui gli aveva portato via, nel vano tentativo di rimediare all’errore enorme che aveva commesso.

Non poteva sapere quante volte Sdentato avesse sostenuto l’amico mentre imparava a camminare su quella gamba estranea, sentendosi come se ogni caduta fosse solo colpa sua.

Non poteva sapere quanto essi avessero imparato ad accettare e scherzare sulla propria menomazione, ma non fossero ancora davvero scesi a patti con quella del compagno.

Non poteva sapere che, ogni volta che il ragazzo vedeva il suo drago guardare gli altri volare liberi ed autonomi, gli si stringeva il cuore in una morsa.

Non poteva sapere che, ogni volta che il vichingo si lanciava nel vuoto, la Furia Buia non gli staccava mai gli occhi di dosso, per paura che quelle spaventosa caduta si ripetesse ancora.

Non poteva sapere che, nonostante tutto questo, nessuno dei due sentisse davvero il peso della propria menomazione.

Come avrebbero potuto, in fondo?

Gli mancava una parte di sé, questo era vero.

Ma erano entrambi spezzati ed incompleti già prima che si incontrassero. Mentre ora che erano insieme, nonostante quella coda mutilata e quella gamba assente, nessuno dei due si sentiva più come se gli mancasse qualcosa.

Quando volavano insieme in quel cielo che era solo loro, quando erano solo Hiccup e Sdentato, si sentivano finalmente completi, a dispetto di qualsiasi menomazione.

Avrebbero continuato silenziosamente in ogni loro gesto a chiedersi scusa l’un l’altro per il resto delle loro vite, questo sì, nonostante nessuno dei due avrebbe mai accettato quelle scuse.

Ma non c’era niente per cui chiedere perdono, quando si trattava di quel legame che li faceva sentire come una cosa sola.

 

 


“Il perdono è ‘memoria selettiva’ – una decisione consapevole di concentrarsi sull’amore e lasciare andare il resto.”
-Marianne Williamson-

 

 

 

 

 

 

 


 

  
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