Capitolo 6 – In mancanza
d’aria
Lettera
39
Ma
guarda! E così nostro padre è stato laconico,
avaro di
notizie riguardo il nostro ultimo incontro. Curioso, perché
è durato quasi
tutto il pomeriggio e non saprei davvero da dove cominciare. Bugia, lo
so
perfettamente. Non eravamo soli, ovviamente. Non lo siamo stati mai.
C’erano
altri membri del Consiglio, c’era il padre di Sigyn, persino.
Un uomo modesto –
di lei ha gli occhi – che si è spaventato,
vedendomi. L’ho trovato ironico,
sai? Un tempo, non molti anni fa, mi avrebbe guardato in modo diverso:
ieri
temeva che potessi far del male alla figlia adorata, allora si sarebbe
raccomandato verso le Norne che io mi avvicinassi a lei con le peggiori
intenzioni.
Quante
ancelle di nostra madre ci hanno presentato le loro
ragazze con un filo di emozione nella voce, gettandocele praticamente
tra le
braccia? A quante è stato detto di sbattere le ciglia e
sfoggiare un abito
particolarmente scollato affinché i nostri sguardi si
posassero sulla pelle scoperta?
Anche quest’uomo avrà fatto un ragionamento
simile, forse lo fa persino adesso.
Se solo non fossi il figlio disgraziato e reietto, che immensa fortuna
sarebbe,
che abbia deciso di nascondere il foulard della sua preziosa Sigyn
nella mia
umida cella! Ieri, invece, mi ha guardato con terrore e io non lo
biasimo per
questo. Mi hanno lasciato i ceppi alle caviglie e ai polsi e io, da
parte mia,
non ho avvertito la necessità di sfoggiare un abbigliamento
elegante. Una
tunica chiara piuttosto ampia, i soliti pantaloni, stivali comodi.
Dignitoso,
ma con quel pizzico di trasandatezza che gli ha fatto ricordare la mia
posizione, il ruolo che ricopro. Avresti dovuto vedere nostro padre:
era a
disagio, e sarebbe stato evidente persino a un cieco come temesse di
parlarmi.
Forse nemmeno verso questo atteggiamento sarebbe giusto che mostrassi
biasimo.
I nostri ultimi dialoghi sono stati una serie di accuse crudeli gettate
l’una
in faccia all’altro, affilate lame retoriche che non hanno
nessuno scopo
apparente se non quello di rendere più profondo il baratro
che ci separa. La
sua giustizia per me non è tale, il mio tradimento per lui
è la mossa
inaccettabile di un ingrato che ha perso il senno. Ma ieri no, non
eravamo ai
ferri corti, o meglio, non potevamo permetterci di esserlo. Troppi
occhi ci
spiavano, in attesa di un passo falso, e nostro padre, come me,
è troppo
accorto per regalare gratuitamente uno spettacolo tanto volgare. Ma
assistere
all’interrogatorio del figlio imprigionato, lasciare che
anche quando ti è
seduto davanti lo stringano pesanti catene, non è in fondo
lo stesso?
Il
suo occhio rapace mi scrutava, avido di notizie che non
poteva chiedermi, ma che certo non gli sono nuove:
l’affezione che causa il mio
pallore, l’aria sovreccitata e folle che anima il mio volto,
erano per lui
fonte di preoccupazione, era evidente, come è palese che tu
non sei affatto in
grado di mantenere un segreto. Non ho la forza di infuriarmi per
questo,
adesso. Fregare Padre Tutto non è uno scherzo, lo so bene,
l’ho imparato a mie
spese e tu con me, non è forse vero?
Il
padre di Sigyn era lì in veste di parte doppiamente lesa:
ha perso sua figlia e teme per l’altra. È andato
da Odino supplicandolo di
allontanarla da me, che metto a repentaglio la sua integrità
fisica, mentale,
morale persino. Questo non me lo ha detto in faccia, ma l’ho
letto nei suoi
occhi. Odino non mi ha messo alle strette per farmi confessare qualcosa
che non
posso aver commesso; stavolta è stato decisamente
più morbido e ragionevole e
mi ha proposto una sorta di accordo.
Una serie di benefici in più di cui potrei godere
all’interno della mia bella
cella se mi impegnerò in maniera costante e, soprattutto,
proficua, nella caccia al cacciatore. Buffo, vero?
Metterà a mia disposizione guardie, libri,
documenti, referti. Quasi tutto ciò che voglio.
Gli
ho fatto presente che indagare in pochi metri quadrati
di spazio non è solamente avvilente, ma anche scomodo e che
non mi fido di
nessuno. Un’affermazione ragionevole, l’ha
definita, soprattutto considerando
che il Cacciatore – continuiamo a chiamarlo così,
fa colore – agisce
indisturbato con sommo scoramento del nostro caro Heimdall.
“Allora,” ha deciso
Odino, “scegli tu un collaboratore; non mi importa chi,
purché tu riesca a
risolvere il problema.”
Non
è andata così, ovviamente. Ho infarcito il
racconto di
qualche menzogna. Siamo stati soli prima che entrassero gli altri
gentili
ospiti. Lui era già seduto, in attesa, ma davvero
il suo occhio rapace mi fissava in cerca delle risposte alle domande
che non mi
avrebbe mai fatto. I secondini, a disagio, mi hanno chiesto di
accomodarmi e
hanno iniziato ad assicurare le manette alla sedia. Mentre
armeggiavano, nostro
padre si è stizzito. “È capacissimo di
liberarsi anche così,” ha tuonato,
“assicuratele al tavolo e basta, senza perdere altro
tempo!”
Che
lusingante riconoscimento delle mie abilità, eh? Ci
siamo scambiati quattro frasi in croce sul Cacciatore, poi ha lasciato
che
entrassero i membri del Consiglio, il padre di Sigyn. Un uomo
sinceramente
distrutto, preoccupato, ansioso. Il suo sguardo vagava da un punto
all’altro
della stanza, domandandosi muto se davvero avremmo dato una risposta a
perché
il Cacciatore si fosse accanito così sulla figlia maggiore.
L’inconsolabile
dolore si sommava ovviamente a quello per la testarda Sigyn.
C’era, in lui, una
mancanza di fede che mi ha stupito: non crede, nel profondo del suo
cuore, che
il pazzo maniaco venga prima o poi acciuffato, anche se il suo stesso
sovrano
ha deciso di occuparsene non dico personalmente, ma quasi. E allora,
fratello,
nostro padre ha sfoggiato una volta di più la sua grande
abilità retorica e gli
ha fatto un lungo discorso su quanto impegno metta ogni soldato di
Asgard in
questa caccia: e qui, Thor, è scattato il suo brillante
piano. Se lo avessi
ideato io, mi avrebbe guardato con aperto biasimo e certamente non si
sarebbe
lasciato scappare la possibilità di criticare la mia
durezza, ma l’ha partorito
la sua mente e allora era perfetto. Usa due pesi e due misure, come
sempre. Ma
andiamo avanti: la penna oggi è pesante da tenere in mano.
Quest’uomo
di cui ora mi sfugge il nome, come ben sai,
appartiene alla classe media: rovesci e disgrazie economiche lo stanno
riportando nel buco da cui è emersa la sua stirpe nelle
ultime generazioni: per
questo la più carina delle sue figlie doveva sposare
quell’ubriacone di
Theoric: la classe dei cavalieri cui appartiene – a
proposito, lo ricordi per
qualche gesta in particolare, tu? Per quanto mi sforzi, io ho il vuoto,
davvero
– dicevo, l’ordine equestre garantirebbe a tutta la
famiglia una posizione di
invidiabile rispetto anche economico che non è per nulla da
sottovalutare. Ti
vedo, fratello. O meglio, immagino esattamente la faccia schifata che
hai
adesso. Il figlio di Odino non deve preoccuparsi di una cosa volgare
come la
sopravvivenza, dico bene? Che cosa poco aristocratica che è,
fare i conti in
tasca a un mercante che si è comprato la toga e che presto
dovrà tornare a
zappare la terra! (1) Ma la gente, caro il mio futuro re, vive con tali
pensieri. Per la famiglia di Sigyn questi sono i problemi veri, reali,
presenti. A loro non interessa di meno delle miniere dei Nani o della
salute
degli Elfi; Midgard è un punto lontano nel cielo che non
saprebbero
riconoscere, Svartlfheim un posto dove ambientare le fiabe da
raccontare ai
bambini, la sera. Ha senso l’oggi e quante monete sonanti
tintinnano nel loro
portafoglio di pelle. Sigyn non è la sola, oltretutto. Ha
fratelli e sorelle
più piccole che dovranno trovare una sistemazione in questo
mondo. Ma perché ti
parlo di questo? Non essere impaziente, adesso ci arrivo, promesso: i
racconti
hanno bisogno del loro tempo, devono cuocere come un piatto gustoso.
Nostro
Padre ha rassicurato i membri del Consiglio: Asgard
non brancola nel buio preda di un mostro. Ha un asso nella manica, una
mente
acuta che vigila già da qualche tempo sulla terribile
minaccia: me.
“Cosa
mi darà Asgard se l’aiuterò a liberarla
dall’incubo?”
Glielo avevo domandato quando eravamo ancora soli, cercando di non
tossire,
augurandomi di non lasciare segni. Nostro padre mi aveva guardato con
attenzione scegliendo con cura ogni parola.
“Dipende.
Cosa chiedi? Quanto tempo pensi di impiegarci?”
Abbiamo trattato prima che orecchie indiscrete ci ascoltassero, lo
confesso.
“Un
pezzo di cielo,” gli ho risposto. “Più
libri. La libertà
è troppo, non me la daresti né io
l’accetterei, forse. La possibilità di
illudermi di vivere secondo il mio rango. Un’aiutante scelto
da me. Altri, non
ne voglio, non mi fiderei.”
Ha
concesso tutto senza particolare enfasi, ovviamente. Teme
quello che succederà – anzi, temeva quello che
sarebbe potuto succedere se, per
liberarsi da un mostro, ne avesse chiamato uno ben peggiore. Da re
molto
attento al consenso e all’immagine qual è, non ha
potuto che decantare con
parole gonfie di ammirazione i passi da gigante fatti in questi
concitati mesi
da me con l’aiuto della ragazza. Ha sottolineato come,
nonostante fossimo privi
di aiuti esterni, io e Sigyn avessimo già notato dettagli
che i guaritori
avevano trascurato, come la terra sotto le unghie, le asportazioni
quasi
chirurgiche, la coincidenza degli omicidi con eventi politici. Nostro
Padre ha
volutamente evitato di dire come il mio aiuto sia stato concesso non ad
Asgard,
ma a Sigyn, e solo in virtù di uno scambio non troppo
nobile. Non era
importante.
Mi
hanno fatto molte domande e io ho risposto in maniera
precisa, ma secca. Via ogni orpello retorico, bandite spiegazioni
inutili: i
membri del Consiglio, preoccupati e incuriositi, hanno potuto
beneficiare
soltanto di una manciata di frasi laconiche.
Al
padre di Sigyn che chiedeva giustizia e protezione,
nostro padre ha offerto sicurezza e tranquillità. Avresti
dovuto vederlo,
fratello! Quell’uomo era lì in rappresentanza di
tutte le famiglie delle
vittime ed è stato comprato, raggirato, irretito dal suo re
in una maniera
totale e inevitabile. Gliel’ho detto, sai? Non ho potuto
resistere, a costo di
dovermi beccare un’occhiata malevola del nostro augusto
genitore. Il discorso
del mercante è stato onesto, accorato. Per Astrid non
c’era più niente da fare,
ormai: le Norne avevano tagliato il suo filo in maniera atroce, ma
Sigyn, la
secondogenita, era una ragazza che ancora poteva essere felice e
superare
quest’incubo.
Odino
gli ha parlato di responsabilità, di destino e di
forze già in moto: come avrei potuto spiegare, gli ha detto,
a un’altra persona
il modo in cui indagavo? Quanto tempo avremmo perso se Sigyn, a
metà
dell’opera, avesse lasciato il suo lavoro da aiutante che lei
stessa aveva
caldeggiato? Povera ragazza: in verità
l’investigatrice è lei e io mi limito ad
essere nient’altro che un consulente, ma questo è
un dettaglio che sembra non
importare a nessuno. Avrei
potuto
difendere i suoi molti meriti, ma sarei incappato nel rischio di far
sembrare
le mie parole più gentili di quanto non dovrebbero. Ad ogni
modo ha concluso
con classe, nostro padre, veramente: gli ha fatto l’elemosina
risolvendo con
uno schiocco di dita tutti i suoi problemi economici. Aveva proprio
bisogno di
un uomo fidato per certi suoi affari, gli ha detto, e così
gli ha
infiocchettato un’elargizione di beni e proventi che
altrimenti sarebbe
sembrata offensiva. Il brav’uomo non capiva e ringraziava il
suo re
genuflettendosi e io, maledicendo la mia tosse selvaggia e inopportuna,
mi sono
tolto la soddisfazione di portare un po’ di verità
in quella stanza. Come
potevo esimermi? Quello diceva: “e mia figlia,
Maestà, la mia povera bambina
deve comunque continuare a vedere questi orrori?”
Capisci?
Cercava di convincerlo, fratello, e allora non ho
potuto trattenere le risate e gli ho spiegato cosa stesse succedendo.
“Ci
sta comprando,” gli ho detto. Mi sono sporto verso di
lui, oltre il tavolo. “Compra te, compra me e compra
Sigyn.”
L’attacco
di tosse improvviso non mi ha impedito di
spiegare. Nostro padre era illividito, il mercante ha aperto la bocca
senza
riuscire ad articolare una sola frase, per la paura, forse, di sentirsi
apostrofato dal dio degli inganni in persona: uno di cui non ci si
può fidare,
che gioca e mente e, da troppo tempo, è rinchiuso dentro una
prigione. Ha
scosso la testa confuso e allora io ho insistito – che altro
potevo fare?
“A
te ha promesso la sicurezza che deriva da un impiego
stabile e redditizio, a me una serie di benefici tra cui la presenza di
Sigyn.
Lei l’ha presa per me,” ho spiegato. Di fronte al
suo smarrimento – o orrore? –
mi sono sentito in dovere di puntualizzare una verità ovvia.
“Ma non possiamo
dirgli di no, dico bene? Ci compra e compra per noi ciò che
vogliamo; non ci
resta da fare altro che dire sì e rispondere grazie
tante.”
Ha
annuito, il buon padre di famiglia, non perché non ami
Sigyn né perché desideri lasciarmela, ma per il
buonsenso di mercante che certo
non gli manca. Non gli ho reso il compito facile. Non ho
l’aspetto che avevo un
tempo, quando ero libero e fiero e camminavo per la mia Asgard come se
mi
spettasse di diritto: i ceppi mi stringono i polsi e le caviglie, i
capelli
sono spettinati e il mio viso è pallido e segnato dalla
stanchezza. Ho un’aria
selvaggia che mi appartiene naturalmente e che ho sempre cercato di
mascherare
con l’ordine: ma io, in fondo, non sono che il signore del
caos e forse dovrei
accettare che la mia immagine manifesti la mia natura. Il caos non
è trasandatezza,
se è questo che ti stai chiedendo, ma è qualcosa
che il padre di Sigyn ha
riconosciuto e di cui ha avuto paura: mi ha fissato come un tempo le
guardie
del palazzo spiavano il lupo di nostro padre quando, esasperato e
furente,
ficcava il naso oltre le grate e annusava il loro odore, la loro paura,
e
cercava di liberarsi dalla sua prigionia per fare l’unica
cosa per cui era nato
e che dava un senso alla sua esistenza: cacciare.
Ma
torniamo a noi: nostro padre ha rimediato in fretta alla
mia scomoda verità, promettendo quello che non
può garantire, confermando cose
che mi pareva avesse negato.
“Loki
è sempre un membro della mia famiglia,” ha
spiegato al
padre di Sigyn, “e si comporterà con onore con tua
figlia, come ha sempre fatto
con qualsiasi donna. Vuole lei e gliel’ho
concessa,” ha ammesso, “perché di lei
sola si fida.”
“Sono
solo parole, non ci crede,” ho riso. (2) Padre Tutto
mi ha afferrato per una spalla; ho sentito la sua stretta calda e mi
sono domandato
quanto tempo fosse passato, dal nostro ultimo contatto. Ci prendeva in
braccio
da bambini, ci rimboccava le coperte quando c’era brutto
tempo, ci faceva
sedere sulle sue ginocchia durante i banchetti e ci consolava in quello
stesso
identico modo quando eravamo ragazzi, con quella stretta potente ed
energica,
eppure l’avevo dimenticato. Non mi si è
risvegliato dentro alcun amore filiale,
non credere. Il mio è lo stupore di chi ricordi
all’improvviso qualcosa, punto.
“Non
sono solo parole,” ha detto. “Tu non farai niente
che
possa nuocerle.”
Che
ho annuito e accettato, questo forse te lo dirà. Che
mentre lo facevo non ho potuto controllare la tosse, anche.
L’attacco è stato
violento e il fatto di aver cercato di trattenere gli spasmi, unito
all’improvviso cambio di aria, deve avermi messo al tappeto.
Annuivo e
soffocavo. Al primo fiotto di sangue, ho cercato di coprirmi la bocca
con le
mani, ma invano: erano legate al tavolo. Ho perso i sensi, alla fine:
l’unica
cosa che ricordo è la voce di nostro padre che chiamava un
guaritore.
Dicono
che ho un piede nella fossa, o nella pira, a seconda
dei punti di vista. Sono stato in bilico tra la vita e la morte, e non
posso
negarti di aver accarezzato l’idea di abbandonarmi a lei, a
un certo punto.
Credo che qualcuno mi abbia vegliato: forse nostra madre, o tu o Sigyn,
o
almeno così mi è sembrato. Non ha importanza. Ho
i polmoni molto più malati di
quanto non sospettava il tuo ciarlatano elfico. Un’affezione
grave,
potenzialmente letale. Per sopravvivere mi servono aria, riposo, sole.
Tutte
cose incompatibili sia con la mia attuale prigione, sia col pezzo di
cielo che
ho appena estorto. Mi serve qualcosa di più.
Nostro
padre si è palesato poche ore fa. Mi è sembrato
stanco. Dice che ci sono notizie del Cacciatore, ma che me le
darà quando sarò
in grado di pisciare da solo e non dentro a una sacca. Mi ha fatto
ridere,
sembrava preoccupato. Ha detto di aver dato ordine di sistemare per me
la
vecchia stanza dei bambini dove stava con i suoi fratelli, Vili e Ve
(3). Il
motivo è che ha un solo accesso, un ponte stretto che
connette la zona nuova
del palazzo reale con quella vecchia. Gli ho risposto che sapevo
esattamente
dov’era e che si trattava di una topaia. Ha replicato che
nostra madre la sta
rendendo vivibile e che ha una vista magnifica e un grande terrazzo. Ho
domandato perché non avesse fatto costruire una gabbia
più grande per il suo
magnifico e fiero lupo. Non ha capito, né ricordato: gli ho
dovuto raccontare
di nuovo tutta la storia fin dove la ricordo, e quando finalmente
è riuscito a
ricollegare le mie frasi, ha scosso la testa. “Il lupo voleva
morire,” ha
detto. “Se anche gli avessi dedicato un bosco intero, non
avrebbe mangiato né
corso.”
Credo
che dopo siamo rimasti in silenzio per ore, giorni,
secoli persino, finché ha parlato di nuovo. Devo proprio
dirtela, fratello, la
sua frase è stata irripetibile e non ammetterà
mai di averla pronunciata, ma
invece l’ha pronunciata e tu devi sapere. “Non
è a causa mia che morirai. Io ti
ho condannato e imprigionato, ma sei tu che hai fatto il
resto.”
Fanne
quello che vuoi. Giudicala tu, rigiratela in gola come
ho fatto io, ancora immobilizzato in questo letto e guardato a vista.
La penna
è diventata mortalmente pesante e ora devo riposare.
Lettera
40
Sai
che non amo gli incipit melensi, Sigyn. Se mi fossi cara
non avrei bisogno di scrivertelo su un pezzo di carta. Te lo direbbero
i miei
occhi e i miei gesti, non trovi? Il tuo ex fidanzato ti chiamava cara e
diceva
che eri la più bella del reame ogni volta che ti vedeva, ma
quando è morta tua
sorella si è slacciato i pantaloni e ti ha chiesto di
provvedere. Un
gentiluomo. Mi ha mandato un biglietto in cui farneticava che
chiederà a Odino
in persona di intervenire e punire la mia intromissione nel vostro
splendido
rapporto. Non aver paura: il mio augusto genitore adottivo stravede per
te e
ritiene che la tua presenza possa far bene alla mia salute, oltre che
alle
indagini. Continua a cercare. Abbiamo trovato un legame flebile tra due
delle
vittime, ma potrebbe essere un falso indizio messo appositamente in
giro dal
Cacciatore per depistarci. Con Heimdall parlerò direttamente
io o, se non vorrà
farlo, spedirò mio fratello con un elenco puntato e una
serie di domande già
scritte. Ti raccomando solo tre cose: non deprimerti venendo qui
un’altra
notte, non ne ho bisogno, fai molta attenzione e non parlare con
nessuno e,
soprattutto, dai fuoco a tutta la nostra corrispondenza. Io lo faccio.
Lettera
41
Sei un idiota senza speranza fratello, e Balder con te. Non so da dove cominciare e scrivo anche in una posizione fottutamente scomoda: in un letto, con una guaritrice con i baffi che fa l’uncinetto e mi guarda malissimo. Sigyn è appena andata via. Quando si è presentata contro i miei desideri, ieri, mi ha risposto soave che la mia opinione per lei contava moltissimo, ma che aveva chiesto il permesso di visitarmi a Odino in persona. Lui le ha dato il suo benestare e indovina? Eccola qui. Non può avvicinarsi al mio letto e con tutta questa gente intorno a noi dobbiamo necessariamente parlare in codice. Solo che non possiamo inventarci un linguaggio segreto di fronte a due guaritrici baffute e tre secondini mezzo addormentati, e io sono ancora troppo debole per elaborare. Così cerchiamo di essere neutrali e laconici. So benissimo che effetto le fa vedermi così. Si sente in colpa per non aver indovinato il mio male ed è in ansia per il Cacciatore.
È a disagio, ovviamente. Senza il vetro a proteggerla, si sente vulnerabile, esposta, in pericolo. Un conto è chiedere aiuto a un prigioniero rinchiuso che non potrà mai sfiorarti, tutt’altra cosa è sedersi a pochi centimetri dal suo letto. Protetto da una serie di rune in grado di attivarsi se solo metto un piede fuori posto, ma c’è tutto il resto, Thor. L’odore. La possibilità di toccarsi. La paura, persino. Non ha mai avuto il coraggio di farsi avanti, quando ero libero. Le ancelle di nostra madre ci presentavano le loro figlie brave a civettare, ammiccanti e seduttive e lei si nascondeva dietro una colonna, in mezzo alla folla. Avremo attraversato lo stesso corridoio mille volte nello stesso momento: se solo avesse alzato gli occhi per guardarmi, se avesse avuto il coraggio di rallentare il passo e lanciarmi un sorriso, forse le avrei risposto. Invece è facile confessare il proprio amore a qualcuno che non può rispondere se non evocando il tempo passato in maniera nostalgica e rabbiosa, pensando a ciò che si è perso, abbandonandosi a un rimpianto che non per forza deve essere una storia d’amore. Dicono che la mia vita sia appesa a un filo; io sostengo, a differenza, che nei sotterranei ero morto, per questo lì Sigyn aveva il coraggio di guardarmi.
Tutto
il contrario di quando indaga per mio conto, non ti
pare? Lì la ritrosia scompare, la timidezza diventa
spavalderia. Sono colpito
dall’insistenza con cui conduce le ricerche, davvero. Si
diverte a raccontarmi
l’aria spaventata e inquieta che assumono le persone quando,
senza nascondere
una punta di soddisfazione, dice che agisce in mia vece. Godo ancora di
una
certa autorità tra la mia gente, interessante. Forse
è proprio questa grande
considerazione ad aver scatenato questo piccolo terremoto, ti pare?
Sono in
attesa del risultato, dovrà arrivare tra qualche giorno, e
allora sapremo
meglio che strategia adottare.
Intanto,
pensiamo al buon vecchio Heimdall. Il nostro
guardone preferito è nei guai, ma per quanto non possa
negare una certa
soddisfazione nel vederlo nei casini, sono assolutamente certo sia
della sua
buona fede che della sua onestà. Questo non significa,
però, che tu non lo
debba interrogare: non nutro sospetti su di lui, ma voglio capire
perché stanno
cercando di tirarlo in mezzo. Solamente io avrei saputo fare di meglio
– o
peggio, a seconda dei punti di vista –, quindi obbedisci alla
mia richiesta e
fagli quelle cazzo di domande. Tutte, anche la 19.
Lettera
42
Sono
le medicine, deficiente. Dopo aver sigillato la mia
ultima lettera ho scoperto di stare di nuovo male e ho passato la notte
a
delirare. La domanda 19 non era volta a insultare quel ficcanaso
permaloso, ma
a capire perché la vittima numero 5 è stata
ritrovata proprio a casa sua.
Scusa, ma è una coincidenza brutta. Sigyn non è
la mia balia e non passa tutti
i pomeriggi qui. Viene quando ha qualcosa da dirmi o da portarmi. Non
ritengo
che, date le circostanze, la nostra conoscenza debba varcare
determinati
confini.
L’angolo
di Shilyss
Cari
Lettori,
Eccoci
finalmente a uno dei capitoli più importanti della
fic, dove qualche velo ha iniziato finalmente a sollevarsi. Ero
così impaziente
di farvi leggere questo capitolo, non ne avete idea! Cosa
sarà successo al
nostro Loki? Pare proprio che la sua malattia fosse vera, ma di cosa si
tratterà? Come sempre, vi ringrazio per gli apprezzamenti
che state dimostrando
verso questa storia. Ringrazio infinitamente coloro che stanno
recensendo
regalando alla Fatina
dell’Ispirazione
momenti di giubilo e dandomi una misura del loro apprezzamento. In
particolare
grazie a Myrose, Makochan,
Avareil, Sildoryl,
Lightning, MaxT.
Quella
ghiottona della Fatina spera ovviamente che qualche
altro silente si manifesti, ma ad ogni modo grazie
per essere semplicemente qui.
Per
il nostro consueto appuntamento, ci si vede domenica!
1
Nobiltà di spada e di toga sono due modi distinti per
definire la nobiltà. Banalizzando tantissimo, quella di
spada è più antica e
“nobile”,
quella di toga è appannaggio di gente ricca che acquista la
nobiltà pagandola.
2
Una citazione dal primo Avengers.
3
Effettivamente nell’Edda Odino ha altri due fratelli che
hanno, appunto, questi nomi.
Shilyss