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Autore: wolfymozart    29/06/2018    1 recensioni
La storia tra Anna e Antonio sarà messa a dura prova da scottanti questioni sociali e drammatiche vicende private che si intrecceranno in un inestricabile garbuglio nel quale ritrovare il "filo rosso del destino" non sarà affatto facile.
Per questo sequel è stato necessario forzare un po’ i tempi dell’ambientazione per motivi di ordine storico, viceversa non sarebbe stato possibile far incontrare la Storia con la storia. Lo slittamento temporale consiste in un lasso di una decina d’anni. Mi auguro che chi leggerà mi vorrà perdonare.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Avvocato, scusate se interrompo il vostro lavoro, mai mi sarei permesso, ma, sapete…- esordì titubante il domestico, affacciandosi guardingo alla porta dello studio dell’avvocato, o forse meglio dire deputato, LeBlanc. Jerome se ne stava comodamente seduto sul suo scranno dall’imbottitura color senape, ordinato apposta per ornare il suo studio da quando era stato eletto nella Costituente: gli era parso opportuno rimarcare la sua nuova posizione sociale con una poltrona degna della sua carica, vistosa ed elegante al tempo stesso. Rigirava fra le dita con aria assorta una penna d’oca, fissando la parete di fronte illuminata dal sole mattutino. Si riscosse all’improvviso all’ingresso del domestico, scattò sulla sedia e assunse una posizione composta, come imponeva il suo ruolo.
- Che c’è, Edmond? Non vedi quante cose ho da sbrigare? Sto lavorando per la Francia! – rispose di rimando, cercando di darsi un contegno. Il domestico balbettò qualcosa, mortificato. Non avendo ottenuto una risposta esauriente, Jerome posò la penna nel calamaio, si alzò in piedi e, lisciandosi distrattamente i capelli biondi, si avvicinò alla porta, davanti alla quale Edmond si torceva nervosamente le mani.
- Si può sapere che cosa c’è di così urgente, quando avevo detto che non volevo essere disturbato fino a questa sera?! – domandò con un tono di rimprovero tuttavia bonario, leggermente paternalistico. Non era sua abitudine maltrattare la servitù, usava piuttosto toni melliflui, sottilmente recriminatori, senza mai scadere in poco eleganti sceneggiate.
Edmond, vedendosi gli occhi indagatori del padrone puntati nei suoi, trovò il coraggio per trarsi d’impaccio e spiegare il motivo di quell’interruzione. 
-Ecco, ci sarebbe una signora…- esordì cauto aspettando una reazione del deputato LeBlanc.
- Una signora? – chiese Jerome sinceramente sorpreso. Passò in rassegna le varie dame dell’alta società che aveva sedotto e abbandonato in quelle settimane, facendo leva sul suo irresistibile fascino di rivoluzionario, al quale le aristocratiche parigine non riuscivano a resistere, allettate dal gusto del proibito. Ma non gli sovveniva in quel momento nessuna a cui avesse dato adito all’idea di un secondo incontro. Aggrottò le sopracciglia perplesso e domandò:
- Come si è presentata? – sperando in tal modo di dare un volto a questa inaspettata visitatrice. Non era sicuro però di riuscire a ricordare il nome di tutte le sue recenti conquiste.
- All’inizio non me l’ha voluto dire, ma poi ho insistito…si è presentata come la marchesa Anna Ristori Radicati di Rivombrosa, signore, ospite a Parigi delle duchesse Farnese. – rispose Edmond, soddisfatto della sua efficienza nell’estorcere il nome a quella misteriosa dama italiana.
- Delle duchesse Farnese?! Che diamine! – esclamò stupefatto Jerome. Anna Ristori? Se n’era quasi dimenticato. Di lei, di Antonio, di tutta quell’assurda vicenda in cui lui aveva ricoperto un ruolo certamente non secondario. Eppure gli avvenimenti recenti, l’impegno politico e tutto il resto, avevano fatto sì che dei giorni trascorsi a Rivombrosa rimanesse solo un vago ricordo. Che diavolo voleva da lui? Perché riapparire proprio ora? Che non riuscisse a resistere al suo fascino nemmeno lei? Suppose senza alcuna modestia, accennando un sorrisetto compiaciuto. Del resto di quella notte aveva un ottimo ricordo, perché non concedersi una replica?
- Devo mandarla via, signore? – s’informò il domestico notando la reazione del padrone.
- Che vuole? – domandò di rimando Jerome.
-Non ne ho idea, signore. Ha solo detto che deve parlarvi con urgenza. Sembra molto agitata. Che debbo fare?- disse tutto d’un fiato.
- Falla entrare. – concesse, infine, LeBlanc, accompagnando le parole con un cenno di assenso.
Lo studio era invaso dalla luce novembrina, una luce obliqua ma ancora tiepida che stampava le ombre lunghe dei soprammobili sulle pareti. Quando il domestico le aprì la porta, fu proprio questa luce ambigua a colpirla prima di ogni altra cosa. Notò poi l’arredamento austero ed elegante con cui era arredata la stanza, quasi ad incutere timore reverenziale in chi vi mettesse piede. I verdi tendaggi pesanti erano discosti e arrotolati ai lati delle finestre che davano sulla strada rumorosa. Jerome stava seduto a braccia conserte, in atteggiamento dominante, sulla nuova poltrona, oggetto di cui andava particolarmente fiero.
-Prego, madame. – pronunciò deferente Edmond cedendole il passo. Anna fece il suo ingresso ad occhi bassi, composta e seriosa, avvolta in un vestito di pesante seta blu scuro. Tutta quella luce la stordiva. Aveva passato una notte insonne. La sera precedente, ad un ricevimento, era riuscita finalmente ad estorcere l’indirizzo del deputato LeBlanc con la scusa di alcuni affari che suo fratello aveva in sospeso con l’esercito francese in cui aveva per anni militato. Non era sicura che il gentiluomo, deputato anch’egli del Terzo Stato, avesse creduto alle sue parole, ma non le importava affatto. Ritornata a palazzo Farnese, non aveva chiuso occhio e, di prima mattina, si era fatta preparare una carrozza per dirigersi all’abitazione del famoso avvocato, del cui parere legale aveva tanto bisogno. E ora tutta quella luce…
- Signore, la marchesa Radicati. – annunciò il domestico.
- Entrate pure, marchesa. – fece Jerome con un ampio sorriso, alzandosi dalla scrivania e avvicinandosi con disinvoltura per accogliere degnamente l’ospite con un baciamano.
- Non sono forse demodé queste usanze aristocratiche? – domandò sarcastica Anna, sollevando il viso, negli occhi un bagliore sprezzante di sfida.
- Mai nei confronti di una bella donna come voi! – rispose Jerome incrociando i suoi brillanti occhi verdi con quelli di Anna. Non aveva perso l’abitudine di prodigarsi in galanterie, cosa che lo divertiva parecchio. Anna restò interdetta di fronte a quella risposta spiazzante, era quasi impossibile far perdere le staffe all’enigmatico Jerome, il suo savoir faire era ineccepibile.
- Edmond, per favore, lasciaci soli. – intimò al domestico e invitò Anna a sedersi sulla poltrona dall’altro lato della scrivania; poi si sistemò al suo posto, richiuse il faldone su cui stava lavorando e, intrecciate le mani sotto il mento, chiese:
- Mai mi sarei aspettato di vedervi qui, a Parigi. A che cosa devo l’onore della vostra visita, marchesa? -  domandò scrutando gli occhi sfuggenti della sua interlocutrice. Era sinceramente sorpreso e non sapeva davvero quale risposta aspettarsi.
Anna, sulle spine, si tormentava le mani, volgeva lo sguardo per la stanza, evitando accuratamente di posarlo sul viso di Jerome: il ricordo di quella notte la imbarazzava notevolmente. Non disse nulla per qualche minuto. Jerome attese paziente, sempre più incuriosito, giocherellando con i fogli sparsi sul tavolo. Poi, finalmente, tratto un profondo sospiro, Anna si decise a parlare. Aveva lo sguardo stanco, un’aria angustiata, le labbra secche e tremanti.
-Potete benissimo immaginare il motivo che mi spinge a parlare con voi. Si tratta di Antonio. –
Calò il silenzio. Sì, Jerome se l’era immaginato fin dal primo momento che fosse il suo vecchio amico il motivo di quella visita, eppure il suo orgoglio di seduttore rimase leggermente ferito.
- Ah, il nostro Antonio…Dunque vi ha perdonato?[CF1] [CF2] - insinuò Jerome, ignaro di quali fossero i loro rapporti.
- No. E nemmeno io riesco a farlo. Ma devo trovarlo. Solo voi potete aiutarmi. Dov’è? – domandò a bruciapelo, gli occhi ardenti di inquietudine e speranza insieme, le mani ansiose aggrappate alla scrivania. Fu Jerome allora a far attendere la sua risposta, volendo godersi lo spettacolo di quella donna così ingenuamente innamorata, così in pena, così angosciata. E così bella, con i boccoli castani che ricadevano sulla pelle candida del collo, quegli occhi grandi e luminosi.
- Siete seriamente venuta fin da me per chiedermi questo?  - chiese, infine, con un’espressione divertita che innervosì oltremodo la marchesa. Si stava prendendo gioco di lei quell’impostore? Già una volta era riuscito nell’intento lo scaltro avvocato LeBlanc: non gli avrebbe concesso una seconda opportunità. Con un cenno del capo gli rispose di sì, senza mai distogliere gli occhi dai suoi. Se avesse mentito, non le sarebbe sfuggito.
- Ed io che credevo che foste venuta per me…Del resto son sicuro che quella notte non sia dispiaciuta nemmeno a voi. O mi sbaglio? – insinuò sempre più insolente, sfoggiando un largo e sfavillante sorriso per mettere in mostra i suoi denti perfetti.
- Vi sbagliate. Me ne sono immediatamente pentita. Ma siete stato voi ad ingannarmi! –
- A proposito, vedo che siete troppo nervosa, volete favorire qualche goccia di laudano? Sapete, fa miracoli per l’ansia…- scherzò Jerome fingendo di cercare la boccetta in un cassetto.
- Risparmiatevi queste sceneggiate! – esclamò spazientita – E rispondete alla mia domanda. Dov’è Antonio? –
- Cara Anna, vi state scaldando troppo. E mi chiedete cose che non so. – le rispose lui allargando le braccia in segno di innocenza.
- Voi lo sapete benissimo. Antonio collabora con voi. È per seguire voi che è venuto a Parigi. – ormai aveva perso ogni nozione di buone maniere, la rabbia e l’agitazione avevano preso il sopravvento sul bon ton, si ritrovò ad alzare la voce, a gesticolare in modo convulso, levando gesti minacciosi contro Jerome.
- O piuttosto per fuggire da voi?- ribatté Jerome, serio. Il gioco non lo divertiva più, anzi quella reazione smodata lo infastidiva.
- Smettetela! Vi state prendendo gioco di me, avvocato? Non vi basta la sofferenza che avete causato a me, ma soprattutto ad Antonio, che considerate vostro amico? –
- Avvocato? Deputato, ormai, mia cara Anna! Avreste dovuto aggiornarvi sugli ultimi avvenimenti. Avreste così saputo che non collaboro più con certa gente. I club estremisti si sono staccati, fanno parte a sé. E non vi dovreste stupire se il nostro Antonio ha preso quella deriva. Lo conoscete meglio di me, non è uno che ama scendere a compromessi, anche quando sarebbero necessari…- rispose finalmente Jerome.
- Che cosa state dicendo? Antonio non è più con voi? – il tono era stranito e insieme spaventato. L’unica certezza che aveva, ovvero il fatto che Antonio fosse in qualche modo legato a Jerome, si stava sgretolando alle parole dell’avvocato.
- No. Sono mesi ormai che non lo vedo. Frequenta popolani, sovversivi di bassa lega. Fauborug saint Antoine, mi pare. Fareste bene a farvi accompagnare, non è bene che una nobildonna come voi si aggiri da sola per quei quartieri.-
Jerome si sentì di essere stato troppo indulgente, troppo accondiscendente con quella donna: dopotutto non era altro che una marchesa annoiata e, per giunta, a differenza delle nobildonne parigine, dava segno di non gradire nemmeno le sue avances. Per cui aggiunse per una sorta di vendetta che doveva al suo orgoglio:
- Dicono che viva con una serva, una donna che ha raccolto per strada o qualcosa di simile. A quanto pare non ha perso il vizio…-
- Non capisco che cosa vogliate insinuare. – domandò lei arrossendo violentemente, la voce rotta dal pianto, che ormai a stento tratteneva.
- Non sto insinuando niente, signora. Sto solo riportando quello che mi è stato riferito. Vive con una serva che ha raccolto dalla strada. E questo è tutto quello che so. Da mesi non mi ha più rivolto la parola. Ora, se volete scusarmi, devo riprendere il mio lavoro al servizio della Francia. – controbatté secco, quasi indignato dal fatto che lei avesse messo in dubbio le sue affermazioni.
Anna non si mosse. Abbassò il capo e iniziò sommessamente a singhiozzare. Il pudore le impediva di sollevare il viso, salutare e andarsene. Non avrebbe retto all’umiliazione di piangere davanti a lui. Faceva ogni sforzo per calmarsi, per riprendere il controllo di sé. Ma non ci riusciva.
Jerome se ne accorse. Sul suo viso l’espressione piccata di poco prima lasciò il posto ad una sbigottita, sorpresa. Si sporse in avanti per accertarsi che il suo fosse davvero un pianto e non una delle tante sceneggiate a cui le donne lo avevano abituato. No, erano lacrime sincere, vere, che scaturivano da un dolore altrettanto genuino. Forse per la prima volta Jerome capì che cosa significasse davvero amare qualcuno: non era l’ipocrisia femminile che aveva conosciuto, non era un capriccio, un vezzo quello che la portava a singhiozzare indifesa davanti ad un uomo che aveva fatto di tutto per metterla in difficoltà. Si trattava di qualcosa di diverso, di profondo, di sincero che lui non aveva mai provato in tutta la sua vita. Nella sua boria di deputato e avvocato affermato si sentì tutt’un tratto mancante, avvertì la sua inferiorità nei confronti della donna che gli stava davanti. Preso da una premura a lui sconosciuta, si alzò, estrasse dalla tasca il suo fazzoletto di batista e, senza dire una parola, glielo porse con una delicatezza che lei di certo non si aspettava. Ci vollero alcuni minuti prima che lei si ricomponesse; Jerome attese paziente, guardando distrattamente la strada fuori dalla finestra.
-Scusatemi, avvocato, non so che cosa mi sia preso. Tolgo il disturbo. – si alzò ritrovando il solito contegno e si avvicinò più velocemente possibile alla porta: il suo orgoglio non avrebbe tollerato di restare davanti a quell’uomo un istante di più.
- Aspettate, marchesa. – la richiamò Jerome.
Anna si voltò di scatto, gli occhi ancora arrossati, un’espressione supplichevole negli occhi. Perché le prolungava quel supplizio?
Jerome le si avvicinò fino a fissare i suoi occhi in quelli di lei. Forse, si disse, l’avrebbe potuta amare. Forse sarebbe stata l’unica donna che avrebbe potuto amare di un amore sincero. Ma la certezza di non essere corrisposto spense sul nascere ogni possibile fantasticheria. Tuttavia si sentì in dovere di aiutarla, di proteggerla, quasi.
-Vostra figlia si trova ancora al collegio del Sacro Cuore? –
Anna fece cenno di sì col capo: ogni parola le sarebbe costata uno sforzo sovraumano. Aveva giurato a se stessa di non lasciarsi sfuggire più nemmeno una lacrima davanti a lui.
- Per far sì che non venga meno la fiducia del popolo nello Stato, stiamo lavorando allo smantellamento dei beni ecclesiastici per risanare il nostro disastrato debito pubblico. Situazione davvero pesante, vi confesso. Perciò immobili e rendite dovranno essere messe a disposizione della Nazione, pronti ad essere messi in vendita. Vi assicuro che non sarà un’operazione facile. Il popolo ce l’ha a morte con preti, monache e tutto il resto. Non escludo che, in caso di resistenza da parte del clero, si possa arrivare all’espropriazione armata o qualcosa di simile. Non vi garantisco che saremo in grado di trattenere il popolo da gesti anche efferati, dopo secoli di soprusi. Il consiglio che vi do è quello di riportare al più presto vostra figlia a Rivombrosa, il suo collegio sarà uno dei primi ad essere requisito. –
- Vi ringrazio. – rispose con una certa fierezza, dissimulando abilmente l’angoscia che questa nuova notizia le causava.
Jerome si limitò a sorriderle, un sorriso per una volta non ironico o sbeffeggiante, un sorriso benevolo e quasi rassicurante. Anna stava avviandosi verso la porta, senza voltarsi, quando si sentì nuovamente chiamare:
-Anna! – le si rivolse con un tono strano, quasi dolce, inusuale per lui. - Fate presto. Le trattative sono già in corso da alcuni giorni senza risultati, fra poco saremo costretti ad usare la forza. -
Lei annuì e, con un lieve inchino, si congedò, sparendo dietro la porta che lui continuava a fissare pensieroso.
-Il mio amico Antonio è un uomo fortunato. – mormorò fra sé, rimettendosi al lavoro.

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