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Autore: mikimac    01/07/2018    4 recensioni
Potrebbe sembrare impossibile, ma due anime gemelle riescono sempre a stare insieme, perché l'Universo non permette che ciò che è stato creato per essere unito sia diviso e incompleto.
Soulmate.
Genere: Angst, Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sebastian Moran, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Sogno di una notte di mezza estate
La sera era calata su Londra. La neve stava scendendo sempre più fitta, ricoprendo le strade, i giardini e i tetti delle case. I suoni erano attenuati dallo strato candido. Sherlock era completamente indifferente allo spettacolo offerto dai bianchi fiocchi, che scendevano danzando dal cielo. Mentre il suo taxi stava dirigendosi verso il 221B di Baker Street, lui digitava freneticamente un messaggio sul proprio cellulare:

[21.38] Dobbiamo incontrarci. Subito. 221B Baker Street. Ottime notizie. SH

John lesse il messaggio e sorrise. Sherlock doveva avere trovato una soluzione al loro problema. Era stato veramente rapido. Attraverso il loro neonato legame, John aveva percepito la frustrazione e la delusione crescere in Sherlock. Lui stesso era avvilito a causa della situazione. Gli sembrava di essere rinchiuso in una gabbia dorata, da cui fosse impossibile fuggire. Ora la sua anima gemella era ottimista e piena di speranza. John non sapeva che cosa Sherlock avesse scoperto o a quale cavillo potessero appellarsi per impedire il matrimonio, ma anche lui era pervaso da un nuovo sentimento di fiducia nel futuro:

[21.40] Cercherò di arrivare il prima possibile. Il tempo di trovare un taxi che mi porti fino a te. JW

John si infilò il cappotto, mise il cellulare in tasca e uscì dalla stanza d’albergo, in cui viveva da quando era stato dimesso dall’ospedale, in attesa di sposare Sebastian Moran. Trovare un taxi non fu difficile, ma il tragitto fra l’hotel e Baker Street sembrò interminabile.


Sogno di una notte di mezzo inverno


Quando il taxi si fermò, davanti alla sua destinazione, John scese e si fermò un attimo sul marciapiede per studiare l’edificio in cui viveva Sherlock Holmes. La palazzina aveva due piani e un aspetto curato. La zona sembrava tranquilla. In quel momento non c’era molta gente in giro, ma poteva essere a causa della neve.
“Ti piacerà vivere qui,” l’allegra voce di Sherlock esplose nella mente di John, che abbassò lo sguardo sulla porta. Sherlock era sull’uscio e aspettava che John entrasse, con un sorriso soddisfatto sulle labbra rosse.
“Mi hai aspettato dietro la porta per tutto questo tempo?” Domandò John, fra il sorpreso e il divertito.
“Non proprio,” rispose Sherlock, vago.
L’uscio del 221A si aprì. La signora Hudson indossava un cappotto e scarponcini adatti alla neve. Fissò i due giovani stupita: “Oh. Scusate. Non ho sentito suonare il campanello.”
“Saluti la signora Turner per me,” ribatté Sherlock sbrigativo, infilandosi per le scale.
John sorrise alla donna, imbarazzato: “John Rowling. Sono… un amico di Sherlock,” si presentò, allungando una mano.
La signora Hudson strinse la mano e rivolse al giovane uomo biondo un sorriso radioso: “Martha Hudson. Sono la padrona di casa. Come sono contenta di conoscerla! Non ha idea di quanto quel ragazzo abbia bisogno di un amico. Può sembrare un po’ scorbutico, maleducato, insensibile e pieno di sé, ma, in fondo in fondo, ha un cuore d’oro. Lo scoprirà anche lei, se avrà la pazienza di vedere oltre la sua maschera,” sussurrò la donna, in tono complice.
“Io la penso già come lei.”
“Bene! Allora ci rivedremo e le preparerò un po’ di tea e biscotti. Ora vado. La signora Turner, la mia vicina, mi aspetta per giocare a carte. Buona serata, caro.”
“JOHN!” L’urlo arrivò dal piano superiore, impaziente.
“Buona serata, signora Hudson,” ricambiò John e salì rapidamente le scale. Si trovò su un pianerottolo. La porta dell’appartamento era spalancata. John entrò e si trovò davanti il caos. Percepì l’imbarazzo di Sherlock, che si affrettò a spostare alcune carte dal divano al ripiano della scrivania, come se questo potesse far apparire la stanza più ordinata.
“Scommetto che tu sai perfettamente dove sia ogni cosa che ti serva,” ridacchiò John.
“Infatti,” sospirò Sherlock, sollevato dal sentire che John non fosse deluso dal modo in cui teneva l’appartamento: “Quando verrai ad abitare qui, farò in modo che ci sia più ordine,” promise.
John entrò e chiuse la porta. Davanti al camino c’erano due poltrone. Su una c’era un cuscino, la cui stoffa riproduceva la bandiera inglese. John si andò a sedere su quella, come se fosse stato richiamato dalla bandiera, che aveva servito per anni.
“Allora? Che cosa hai scoperto?” Domandò, curioso.
Sherlock si lasciò cadere sulla poltrona di fronte, appoggiando i gomiti alle ginocchia e congiungendo le mani davanti a sé: “John Watson,” rispose semplicemente.
John lo fissò, attendendo che Sherlock continuasse a parlare. Passarono un paio di minuti, prima che John capisse che Sherlock non avrebbe aggiunto altro: “John Watson? Dovrei conoscerlo?”
“Davvero non ti dice nulla? Prova a pensarci,” Sherlock era deluso, ma tentò di incoraggiare John.
L’uomo biondo cercò di frugare nella propria memoria, ma era tutto come sempre: nebuloso, inafferrabile. Ogni tanto aveva l’impressione che la nebbia sul suo passato stesse per aprirsi e mostrare la luce, ma era sempre un’illusione. Quando tentava di afferrare un ricordo, questo gli sfuggiva, come sabbia fra le dita di una mano. Sherlock percepì la frustrazione di John e gli si strinse il cuore. Non poteva nemmeno immaginare che cosa volesse dire non ricordare nulla. Anche se c’erano avvenimenti, cose e persone (sì persino persone) di cui avrebbe voluto perdere ogni memoria, non sapere nulla del proprio passato sarebbe stato devastante.
“Ciò che siamo lo dobbiamo alle esperienze vissute nella nostra vita. Come possiamo vivere, se non sappiamo chi siamo?” Domandò John, con un sospiro.
“Il Capitano John H. Watson era un ufficiale medico. Ha svolto il proprio servizio in Afghanistan, fino a quando è stato rimpatriato e congedato con onore, a seguito di una grave ferita riportata a una spalla,” spiegò Sherlock, nel tono più neutro possibile.
John portò la mano destra alla spalla sinistra e la massaggiò, quasi sovrappensiero: “Anche io ho una cicatrice alla spalla sinistra. Devo essermela fatta in guerra, visto che la rimarginazione della ferita è troppo avanzata per essere stata causata dall’incidente ferroviario.”
“Davvero? – domandò Sherlock con entusiasmo – Quindi abbiamo un’altra prova!”
“Un’altra prova di che cosa?” Ribatté John, sorpreso.
“Ora ascoltami attentamente e fammi parlare senza interrompere. Due persone viaggiano su un treno, dirette a Londra. John Rowling e John Watson. I due uomini si assomigliano tanto da sembrare gemelli. Si conoscono perché entrambi hanno prestato servizio nell’esercito. John Rowling è un artificiere ed è fidanzato con Sebastian Moran. John Watson è un dottore e sta venendo a Londra perché ha trovato lavoro in una clinica medica. Non è fidanzato. Entrambi sono sulla carrozza che deraglia. Uno muore, l’altro sopravvive, ma perde la memoria. Chi è morto? Chi è sopravvissuto?”
Sherlock si fermò. Aveva parlato a voce bassa e in modo velocissimo. John lo fissò perplesso, avendo compreso che cosa implicasse la domanda di Sherlock: “Io non posso essere John Watson. Portavo al dito l’anello di Moran. Inoltre, mia madre e il mio patrigno mi hanno riconosciuto. Perché dovrebbero mentire sulla mia identità, quando potrebbero essere facilmente smascherati?”
“Posso rispondere parzialmente alle tue obiezioni. Ho trovato una testimone, una donna che viaggiava con suo figlio nella vostra stessa carrozza, che ha visto un anello di fidanzamento al dito del dottor John Watson. La donna è sicurissima che fosse lui, perché ha medicato il figlio, che si era fatto male. Non so dirti perché Watson portasse l’anello di fidanzamento di Rowling. Eppure lo aveva lui, appena prima dell’incidente. Il dottore non ha fatto in tempo a restituirlo all’amico. Tu portavi l’anello, quando sei stato estratto dalle lamiere del vagone. John Watson aveva l’anello al dito pochi secondi prima del deragliamento. Tu devi per forza essere John Watson! È un ragionamento logico,” concluse Sherlock, scrollando le spalle.
“Questo posso concedertelo, ma come spieghi la menzogna dei Davemport? Che senso ha mentire, quando possono essere facilmente smascherati? Basterebbe che mi tornasse la memoria. I medici non hanno mai escluso che non possa accadere.”
“Soldi. Hai letto il contratto. Se John Rowling non sposasse Sebastian Moran, la famiglia Davemport si troverebbe sul lastrico. Tutto ciò che hanno appartiene a Moran. Senza il matrimonio perderebbero la casa e il lavoro. Loro hanno tutti gli interessi a tenere in vita John Rowling. Forse pensano che, se ti tornasse la memoria, tu accetteresti di aiutarli. Probabilmente ti lascerebbero una parte dei loro beni.”
John rifletté per qualche minuto, in silenzio, fissando il fuoco che saltellava nel caminetto. Se lui fosse stato veramente un’altra persona, poteva mandare a monte il matrimonio senza alcun rimorso. Non era compito suo prendersi cura della famiglia Davemport. Non potevano pretendere che lui rinunciasse a vivere con la propria anima gemella per qualcuno che per lui non era niente. Era troppo bello per essere vero: “La tua teoria non sarà sufficiente a fare annullare il matrimonio. Non credo proprio che Sebastian si farebbe convincere da un ragionamento che è logico certo, ma che non è suffragato da prove materiali.”
“Ovviamente. Esiste, però, il test del DNA. Potrei domandare a mio fratello Mycroft di usare la propria influenza per ottenere i risultati il prima possibile. Forse riusciremmo ad avere un esito anche prima delle nozze, ma sarebbe meglio se Moran accettasse di rinviare il matrimonio, anche solo di una settimana. In questo modo, avremmo il tempo di effettuare con calma un esame e scoprire chi tu sia veramente.”
“Chiederesti davvero a tuo fratello di aiutarci? Lo stesso fratello di cui hai detto che non possiamo fidarci?”
“Suo marito asserisce che Mycroft tenga a me. Chissà. Se Greg avesse ragione… e poi è Natale. Questo potrebbe persino influenzare il cuore di ghiaccio di mio fratello,” sogghignò Sherlock, con un sorriso sfrontato.
John emise una risata strozzata, ma tornò subito serio: “Domani mattina parlerò con Sebastian e farò di tutto per cercare di convincerlo a rinviare le nozze. Ora, sarà meglio che io torni in hotel,” terminò John, alzandosi dalla poltrona. Era riluttante a salutare Sherlock, ma avevano un piano e John aveva deciso di essere ottimista. Tutto sarebbe andato bene.
“Tutto andrà bene,” sussurrò Sherlock, in tono basso e suadente.
John stava per ribattere, quando la porta di aprì e apparve la signora Hudson, completamente coperta di neve: “Oh, caro. Per fortuna è ancora qui. Non so dove lei abiti, ma temo che le sarà difficile andare da qualsiasi parte. Erano anni che non si vedeva una nevicata come questa a Londra. Le auto non riescono a circolare e la metropolitana è stata costretta a sospendere il servizio, perché molte zone della città sono rimaste senza luce. Le conviene trascorrere la notte qui. Sono sicura che domani mattina tutti i problemi saranno risolti e potrà tornare a casa in sicurezza.”
“Oh… io non…”
“Il divano è molto comodo e ho delle coperte,” Sherlock si affrettò a offrire una soluzione.
John passò lo sguardo dalla signora Hudson a Sherlock. I loro visi erano sorridenti. Invitanti. John scrollò le spalle: “Che divano sia. Sarà sempre più comodo delle panchine gelide della metropolitana.”
“GraziesignoraHudsonpuòandarepensoatuttoio!” esalò Sherlock in un unico fiato.
“Buonanotte, ragazzi,” sorrise la donna, sorniona, lasciando soli i due uomini.
“Coperta e cuscino,” elencò Sherlock, precipitandosi verso la propria stanza e tornando velocemente. John si era tolto le scarpe e si sdraiò sul divano. Sherlock lo fissò per qualche secondo, come se volesse dire qualcosa, ma non ne avesse il coraggio.
“Tu non vai a letto? È tardi. Devi essere stanco anche tu,” domandò John.
Sherlock non rispose subito, ma si prese il labbro inferiore fra i denti. John percepiva il desiderio di Sherlock e sentiva la domanda che l’altro non osava porre né a voce alta né tramite il legame. John gli fece un cenno, invitante: “Sei così magro, che staremo comodi anche in due, su questo divano,” sogghignò.
Sherlock si sdraiò accanto a John e coprì entrambi con la coperta.
“Buonanotte, Sherlock.”
“Buonanotte, John.”
Rimasero in silenzio. Solo il fuoco nel caminetto crepitava pigramente. La neve continuava a cadere su Londra, avvolgendola in un candito abbraccio, mentre John e Sherlock si addormentavano con il sorriso sulle labbra.



Angolo dell’autrice

Non fatevi influenzare dall’ottimismo di Sherlock. Anche nelle fiabe migliori, gli innamorati devono lottare e soffrire un po’, prima di arrivare al lieto fine.

Grazie a chi stia leggendo. Grazie a chi abbia segnato la storia in una categoria qualsiasi.
Grazie a 1234ok e a CreepyDoll per i commenti al capitolo di ieri.

Come sapete, le recensioni sono sempre gradite.

A domani.

Ciao!
   
 
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