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Autore: Lila May    01/07/2018    1 recensioni
|VictorianAge!| |RosalyaxLeigh, LysanderxRosalya, LysanderxDolcetta, CastielxDebrah|
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Regno Unito, 1881.
Durante gli ultimi respiri della Victorian Age, il giovane Lysander Ainsworth, orfano e fratello minore di un ricco produttore di tessuti, sente il bisogno di liberarsi per sempre dall'oppressione di una società che non sembra averlo mai voluto accettare. Il suo sogno è quello di andare in America, dove la realtà sui giornali appare molto più diversa dalla miseria e le ingiustizie con cui convive da quando è nato. Tuttavia, un incidente invertirà la rotta del suo destino, incatenandolo ad una condizione che dovrà accettare per il bene comune; sarà solamente l'incontro con una ragazza, Alice, una come lui, a decidere quale sorte gli toccherà subire, per porre fine al grande supplizio che non smette di torturarlo da anni.

Storia terminata.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Leigh, Lysandro, Rosalya
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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iii.
 
 
L'atmosfera era elettrica, intorno agli enormi cancelli della "Ainsworth's fabrics". La grande azienda industriale si trovava poco distante dal centro di Liverpool, ed era facilmente accessibile grazie al fatto che una delle arterie più trafficate della città le passasse esattamente ai lati. Taxi e auto vomitavano i loro fumi sull'asfalto rovente, nonostante la pioggia di ieri lo avesse rinfrescato e ripulito, e acqua piovana sporca di lerciume scorreva monotona lungo gli acquedotti aperti che costeggiavano la via, da cui si levava un lieve tanfo di urina.
Insomma, un trafficato via vai di carrozze e auto, con un pizzico di profumo naturale. Un inferno.
Lysander posò lo stivale destro proprio nel cuore più profondo di una pozzanghera, ma non si curò più di tanto del tremendo alone nero che gocce d'acqua gli lasciarono sulla punta di pelle appena lucidata. Pagò il cocchiere, si sistemò il frac aderente e si lisciò i capelli sotto il cilindro nero. Poi si preparò per entrare nella fabbrica di suo fratello.
Nella sua di fabbrica, anzi.
Nella sua nuova vita.
Attraversò senza guardare, correndo veloce per evitare di finire preso sotto come capitava spesso con cani randagi e altri animali più scheletro che pelo. Arrivato alla sponda opposta della strada, guardò l'orologio da tasca che segnava l'ora decima del mattino, aprendolo con uno scatto automatico del polso guantato di bianco. Se l'era presa comoda, quel giorno. Sarebbe dovuto essere lì molto prima, ma Leigh gli aveva concesso l'onore di presentarsi entro l'arco della mattinata, visto che non era ancora l'effettivo capo della grande industria tessile. Sollevò il capo, e un refolo di vento giocherellò col ciuffo che portava spettinato sulla fronte, scoprendo gli occhi eterocromatici abbagliati dal sole terso di ottobre. Era enorme. Non l'aveva mai vista, nonostante portasse il suo cognome, e ritrovarsi faccia faccia con i suoi muri di mattone grigio lo lasciò instabile sulle gambe lunghe. Percorse i quattro grossi camini, la zona recintata, le poche finestre a ghigliottina che facevano passare dentro appena un filo d'aria. Non sapeva se voleva davvero entrare. Se voleva davvero diventare il capo di quella cosa. Ma poi pensò alle condizioni di Leigh, al sorriso di Rosa e ai suoi nipoti.
E si convinse a darsi una sbrigata, il cuore nascosto tra la gola e la ascot tie smeraldina che gli cingeva il collo in un'elegante morsa di buon gusto.
Si aggrappò alla maniglia, la aprì, e una zaffata di calore gli cavò il respiro. Quando glielo restituì, insieme alla capacità di adattare la vista al buio afoso della fabbrica, un'armata di schiene curve su macchine da cucire si allargò ovunque tentasse anche solo di posare lo sguardo.
Erano donne, osservò sbigottito, contro il muro.
Concentrate e frettolose, passavano sotto l'ago tessuti di grandi e piccole dimensioni, attente a non perderci le dita e inondare tutto il ripiano del loro sangue. Un altro reparto si occupava invece della tintura, dedusse, laddove dalla porta semichiusa sbucavano ragazze con tra le braccia chiazzate di colore grandi secchi bianchi; non vi era la minima presenza di uomini, se non per lui e alcune guardie che stavano a sorvegliare l'operato con le braccia incrociate al petto. Chiese ad una di loro dove si trovasse Leigh, e questi lo scrutò come se fosse uscito da una fiaba per bambini. Lysander si lasciò osservare apatico. Era abituato a quel genere di cose. Degli sguardi indiscreti ne aveva fatto la sua arma vincente. Seguì le indicazioni, e dopo una fila di scale di ferro riuscì a trovare l'ufficio del corvino. Si gettò al suo interno, con tanta voglia di vederlo.
Il rumore delle macchine sparì, scemando silenzioso dietro la porta di legno spesso. C'era un ordine maniacale in quella stanza. Tutto molto differente da ciò che si trovava al di fuori.
Leigh sollevò il capo da alcune pratiche illeggibili, lieto di essere appena stato salvato da quello che sembrava essere aramaico antico. -Oh. Sempre con comodo.- disse, e sorrise raggiante.
Lysander si portò le mani al volto, per placare gli improvvisi ansimi che avevano cominciato a sollevargli il petto inamidato in una splendida camicia di lino bianca. Gli pareva di aver appena corso sette chilometri senza mai fermarsi, e invece aveva semplicemente attraversato un corridoio. Un corridoio pieno di donne dalle mani sporche e il volto tirato di stanchezza.
-Allora?- la voce di Leigh lo riportò alla realtà. Non che fosse così bella da volerci ritornare, chiaro. Ma Lysander aveva vissuto troppo tempo nel mondo dei sogni, e sbattere il muso in quel modo era servito a fargli brutalmente capire di aver, ahimé, sprecato solo ventidue anni di vita. -Non si respira qui dentro- si tolse il cilindro e lo rigirò tra le mani quando Leigh scoppiò a ridere. Era imbarazzato. Non sapeva che dire. Non era quello il mondo a cui aveva aspirato, e non pensava di avere le palle così grosse per poter prendere le redini al posto del fratello.
Non sarebbe mai stato alla sua altezza. Nemmeno voleva esserlo. Voleva solo vederlo vivo. Morire al posto suo, se fosse stato possibile.
-Come sta Rosa?
-Bene, l'ho lasciata che raccontava una storia a Emma.
Emma era la loro figlia più grande. Aveva otto anni e lunghi capelli neri, e la cosa più splendida del fatto che fosse donna, era che Leigh era riuscito, sborsando una quantità industriale di sterline, a farle avere persino un'istruzione privata, di modo che potesse imparare a leggere, scrivere e contare proprio come una vera Upper Middle Class woman. Non c'era niente di più bello che saperla già avviata. Era un padre ammirevole.
Lysander avrebbe sofferto da morire la sua mancanza. Non sarebbe mai riuscito a ripristinare l'assenza del suo essere semplicemente Leigh. Mai.
Il corvino si alzò dalla sedia e lo raggiunse a passo lento, incrociando le gambe snelle infilate in comodi pantaloni blu. -Perfetto.
-E tu come stai?
-Non lo so. Non lo so più, non so nemmeno quando accadrà.
-Leigh...
-Lysander, non ti preoccupare adesso. Ricordati quello che ti ho detto ieri. Il tuo compito è un altro, impostati su quello. Non riuscirai mai a crescere, se ti lasci andare ai sentimentalismi in questo modo.
-Leigh, io... io non...
-Portare l'azienda, così come stai facendo, sarà difficilissimo se non impari ad atteggiarti da leader. Inizia da ora, Lys. Non devi perdere tempo a pensare a me. Intesi?
Come se fosse facile, pensò Lysander, distrutto dalle parole bestiali e maledettamente vere del fratello. Sapeva che se non cambiava modo di fare sarebbe saltato tutto in aria. Sapeva, che quando sarebbe arrivato il momento, le sue spalle sarebbero dovute rimanere in piedi per permettere a tutta la famiglia di aggrapparvisi. Ma concentrarsi su altro consapevole di perdere il fratello, era impossibile.
Si guardarono, incerti sul domani, e il minore colse un tenue guizzo di paura negli occhi mandorlati dell'altro. Prima che potesse scoppiare in lacrime, però, questi ritornarono della loro tetra pece, e tutto si bloccò in quel nero destinato a spegnersi per sempre. Si era trattato di un momento solo. Eppure, era stato peggio di una visione spettrale nel pieno della notte.
-Ti mostro la fabbrica.- fece Leigh, e spalancò la porta. Il baccano s'impossessò di nuovo delle orecchie di Lysander, che si portò le mani sulle orecchie e strizzò irritato l'occhio verde, per cercare di ridurre l'atroce cacofonia.
Una lacrima si staccò dalle sue ciglia, ma ne ignorò il tremolante andamento irto di dolore, portandosela via con la manica abbottonata del frac. Non era quello che voleva Leigh.
Sarebbe diventato il leader che voleva, e avrebbe cominciato da oggi.
-Seguimi.

 

La schiena bolliva sotto le pieghe del vestito, le mani erano gonfie, callose, ma niente sembrava volersi arrestare nel suo meccanico modo di fare. Il cuore batteva veloce, la mente fresca rimaneva concentrata sul tessuto, sulla sua morbidezza e la sua elastica estensione. Alice lo tastò attenta, carezzandolo con tocchi decisi, e quando fu sicura che non presentasse nessun tipo di imperfezione lo imbevette per intero all'interno di una grande vasca verde. Lo mescolò con un bastone di legno, per far si che il colore aderisse in ogni fibra, e infine lo ripescò dall'acqua facendo leva con la schiena. Salì su uno sgabello traballante, lo gettò su un filo che attraversava la stanza da una parete all'altra, lo fissò con delle mollette e scese. Poi, la gola secca e le braccia doloranti, si perse ad osservare le gocce colorate pendere dai bordi appena cuciti e imbrattare i cartoni al di sotto. Era la ventesima tela che emergeva.
Ne rimanevano ancora centosette. Aveva una sete atroce, e le tempie bruciavano, ma non si sarebbe fermata solo per un futile mal di testa. Era grata di poter lavorare. Di poterlo fare lì, soprattutto, dove nonostante le ore interminabili e il discutibile salario, non subiva alcun tipo di abuso. Il capo era buono. Si chiamava Leigh Ainsworth, la trattava con rispetto ed era puntuale nei pagamenti mensili. Non avrebbe mai potuto chiedere di meglio, da una società che non conosceva il senso del rispetto, quantomeno del limite. Per quello si impegnava, in tutto, anche in piccolezze da principianti, che fosse pulire i bagni o portare un nuovo gomitolo ad una collega; non voleva rischiare il posto, dopo che aveva subito di tutto per meritarselo. Aveva bisogno di soldi.
Aveva bisogno di soldi, per realizzare un sogno importante. Segreto. Vitale.
L'America. Lì voleva andare, lì voleva fuggire. Dove i diritti erano uguali per tutti, e ogni voce veniva ascoltata, senza distinzione di sesso, di razza. Nessuno poteva toglierle quella piccola fetta di libertà. Il cammino era ancora lungo, ma dentro il barattolo le sterline aumentavano. E con loro, la sua voglia di partire per sempre verso il nuovo occidente.
Si voltò per raggiungere la seconda tela bianca, motivata dal suo incalzante desiderio di avventura e stabilità, ma a catturarle l'attenzione fu la presenza di una compagna proprio a pochi metri di distanza da lei. Alice non si fermò fino a quando questa non le venne talmente vicino da innescarle un moto di irrefrenabile curiosità dentro al petto. Perché era lì? Sembrava piuttosto nervosa, come se avesse incrociato il cammino con qualcosa di altamente disturbante. -ti serve qualcosa, Peggy?- chiese, ma la ragazza la zittì con un sibilio della lingua. La solita stronza. Pretende di essere notata, poi ti manda a cagare. -Non lo sai? Il fratello di Leigh è qui in giro.
Leigh aveva un fratello? La notizia lasciò stupita Alice, che intanto si era spostata per intingere la tela in una vasca di colore rosso. -Oh. E quindi?
-Come sarebbe a dire "e quindi"?! Alice, per dio!
Alice fece spallucce, un po' confusa. Anche lei aveva tre sorelle, e non era mica da farne un caso capitale. Al contrario, era raro essere figli unici; serviva forza lavoro, servivano i soldi, per poter condurre una vita quantomeno decente mentre si riponeva fiducia nel progresso. Non c'era tempo di pensare al dolore di un parto, o a tutti i problemi – e le rotture – che ne susseguivano. -Peggy, non ho tutto il giorno- immerse il bastone e iniziò a girare, paziente. -Arriva al dunque.
-Davvero non sai cosa si dice sul fratello del capo?
-No, non lo so.- fermò il movimento, solo per guardare l'amica con irritato scetticismo. -ti sembro una che lo sa?
-No, ma tu non sai mai un piffero, figurati.
-Ah. Allora informami, visto che ci tieni tanto.
Peggy la raggiunse, prese una tela dalla pila e la immerse di cattiveria in una vasca viola, sollevando schizzi colorati ovunque. Alice batté le ciglia, interdetta. Beh, quando voleva sapeva persino essere altruista. -Si dice che sia un tipo strano.- iniziò l'altra, e si armò di un bastone per affogare il tessuto in fondo alla vasca.
-Chi te lo ha detto?
-Fammi finire col racconto, almeno.
Alice stese la seconda tela e decise che se non le avrebbe prestato attenzione anche subito, Peggy l'avrebbe annegata nel colore di lì a pochi istanti. -Quel tipo, quel... coso, è strano. Ha due occhi di colore diverso. Ha i capelli bianchi, ma non è vecchio. E' giovanissimo. Ed è... inquietante. Alcune mie amiche lo hanno visto passare e sono venute a riferirmi cosa si racconta su di lui. Vuoi saperlo?
-No.
-Lo sapevo che eri interessata. Mettiti pure comoda.- Peggy lanciò – letteralmente – la tela sul filo, quasi spezzandolo, e una scia viola porpora finì sulle lentiggini nasali di Alice, che tuttavia non si mosse di un millimetro quando fu travolta dall'ondata di colore. Non si sforzò nemmeno di pulirsi con la manica, il nasino arricciato e l'espressione in preda ad un'atroce crisi di nervi.
Era sempre così. Peggy arrivava, prendeva e distruggeva tutto. Chi ci finiva in mezzo? Ma lei, ovvio che sì.
-Ha un occhio verde, e uno giallo.-
Si indicò. -anche io ho gli occhi gialli, che vuol dire?
-Senti qua. Quello verde, serve per controllare quello giallo.
-Cioè- chiese, tornando svogliata al suo lavoro.
-Cioè, che quello verde tiene a bada la sua doppia personalità- la voce di Peggy si ridusse ad un flebile sussurro mentre si entrava nel fitto della narrazione. -una personalità violenta, rude, manesca.-
A quelle parole, Alice si voltò lentamente. Mossa dalla paura.
-Spesso mi chiedo cosa ci accadrebbe se la fabbrica finisse sotto le sue mani.
-Non accadrà mai.
-E' quello che circola ora sulle bocche delle compagne.
-Mai.- sbottò, e quando si accorse di avere la gola in preda ai tremiti si promise di non parlare più di quell'argomento. Non sapeva perché, ma la cosa aveva cominciato a metterle una sorta di lieve suggestione. La sola idea di cambiare capo la terrorizzava. Sapeva che il destino di una donna all'interno di un'industria non serviva solo per velocizzare il lavoro. Aveva sentito di ragazze che finivano violentate sia dal capo che dalle guardie, e più di una volta la cosa terminava nel peggiore dei modi. Incinta. E quindi addio lavoro, addio prospettive migliori di vita. Addio ad una dignità sudata e conquistata con fatica, solo per finire arrotolata sotto un ponte. Non era bello, non conosceva la sensazione.
E non ci teneva assolutamente a provarla. Per questo adorava Leigh. Era severo, ma giusto, e rispettoso. Poteva, per colpa delle leggi. Eppure, non faceva. -Intendi dire che questo tipo è...- non volle finire la frase. Si rifiutò di farlo, mentre la sua mente riproduceva l'immagine del misterioso fratello.
-Così dicono. Se ti guarda col suo occhio giallo, meglio che ti uccidi.- Peggy si strinse nelle spalle. -E' maledetto. Tutto il contrario di Leigh. E'... è pazzo. Tipo, ho saputo che da piccolo si divertiva a prendere i conigli della fattoria della madre e sgozzarli.
Alice si portò le mani al collo, trasportata dall'incalzante racconto che pendeva dalle labbra dell'amica come oro colato.
-Ci trovava gusto. Gli piaceva, e non ha perso il vizio. Ha un feticismo estremo per i corpi morti, poi. Pensa, potrebbe ucciderti e violentarti, piuttosto che fare il contrario. Non so cosa sia peggio. Non... non ci voglio nemmeno pensare.
Impallidì dinanzi a tanta schiettezza, e ogni fibra del suo corpo smise di lavorare. Sperava davvero che le voci fossero false. Eppure, secondo il reportage di Peggy, pareva il pensiero comune di molte lavoratrici. Si accorse di avere paura, e si strinse un polso con energia per mantenere il controllo di sé stessa. Non credeva nelle favole.
Ma ai pazzi ci credeva, eccome. Li vedeva tutti i giorni. Per la strada, attaccati alla bottiglia, a barcollare per le taverne gridando frasi di Shakespear mentre la notte calava su di loro quasi a volerne nascondere la vergognosa presenza.
-La cosa che mi spaventa di più, Alice, è che si trova qui.
Decisero che sarebbero rimaste vicine fino a quando il temuto ragazzo dagli occhi diversi non se ne sarebbe tornato da dove era venuto; in quella stanza avevano tutti gli strumenti per difendersi. Bastoni, vasche piene d'acqua. L'avrebbero colpito, poi affogato insieme qual'ora fosse scattato l'allarme di emergenza. Leigh le avrebbe capite. Leigh, le avrebbe difese. Si misero d'accordo sul lavorare a testa bassa, così se il tipo fosse passato, non le avrebbe notate. Né col suo occhio verde, né col suo occhio giallo.
Il caso volle che dopo un quarto d'ora il tipo passò, ma affiancato da Leigh.
-Questo è il reparto di tintoria-
Alla voce del capo, Alice e Peggy si scambiarono un'occhiata impanicata, mentre un senso di angoscia scendeva fin nelle viscere sconquassate d'ansia; erano al sicuro. Forse. Non lo sapevano, e nel dubbio si persero in mezzo al potere ipnotico dei colori.

 

Due ragazze immerse nella tintura di due lunghe tele si presentarono dinanzi agli occhi spenti di Lysander quando Leigh, con una mano abbronzata, gli indicò il reparto e si fermò per permettergli di ricordarsi la strada che avevano percorso l'uno accanto all'altro. -Dall'ufficio è più difficile da raggiungere, ma dall'ingresso è un attimo. Solo che il tuo tempo da capo lo dovrai passare quasi sempre col culo sulla sedia, a firmare scartoffie, e quindi è meglio che ti impari questa strada.
Lysander annuì distratto. Faceva schifo quell'industria. Era noiosa, monotona, torrida e dai muri impegnati di un discutibile lezzo di sudore mischiato a saliva. Più camminava tra i suoi dedali buii, più si rendeva conto di quanto la sua vita fosse finita a rotoli. Il giorno prima era tutto malinconicamente perfetto. Quello dopo, gli sembrava di essere scivolato nella tana di una talpa. Stava per perdere suo fratello, e per diventare l'uomo "schiavo della società" che aveva sempre cercato di evitare. Era allucinante, e si portò una mano tra i capelli, sbuffando di visibile dolore. Senza Leigh, non era affatto pronto ad andare avanti. -D'accordo.- disse tuttavia, mantenendo a freno il profondo senso di dolore. -Lo farò.
Ovvio che lo avrebbe fatto. Era suo fratello, la sua famiglia. Avrebbe dato la vita per loro, pur di rinunciare alla sua.
Solo, faceva male.
Così, all'improvviso. Buttato in una scomoda realtà fatta di conti e catene. Non ci era abituato. Affatto. Non era abituato a niente, senza Leigh.
-So che ti fa schifo. So che non sei il tipo da queste cose, ma...- il corvino abbozzò un sorriso dispiaciuto, e Lysander sentì lo struggente bisogno di abbracciarlo. Un'ultima volta, e tenerlo per sempre con lui. Senza mai farlo andare via. Perché Leigh non poteva andare via. Non dopo che anche mamma e papà lo avevano fatto, costringendoli a trasferirsi in città e cercare fortuna con tutto il poco che avevano. -pensa, potrai scrivere le tue poesie mentre passerai il tuo tempo ad annoiarti. No?
-Lo farò.- sussurrò piano, abbassando le spalle. E poi i suoi occhi si addolcirono come una zolletta di zucchero immersa nel thé nero quando pensò a Rosa, ai bambini. E a quanto sarebbe stato bello poterli coinvolgere nei suoi piccoli testi d'amore, una volta che sarebbe diventato il nuovo "Leigh". Gli venne una fitta al cuore, ma cercò di mostrarsi forte come ieri a tavola. -Le farò leggere a tutti.- represse un moto di lacrime. Non poteva diventare vittima del dolore, non ancora. O non sarebbe mai riuscito a donare a quella famiglia un futuro felice. -Parleranno di te.
-Lysander...
-Mostrami il resto, Leigh. Insegnami tutto.
Gli occhi di Leigh brillarono, e i suoi piedi ripresero a camminare in mezzo a macchine che ormai aveva imparato a conoscere a menadito. Lysander si apprestò a seguirlo, quando il suo occhio dorato si accorse di una piccola figura fissa a guardarlo.
Lo mosse in sua direzione, e la ragazza in questione reagì con uno scatto nevrotico delle spalle, incapace di interrompere il contatto visivo. Era paralizzata, se dal terrore o dallo stupore di vederlo, questo il canuto non seppe dirselo. La osservò, le osservò i lunghi capelli castano cenere raccolti in una crocchia disordinata, per poi soffermarlesi un attimo sul viso. Guardò stranito le buffe lentiggini da bambina, la gigante chiazza viola che si estendeva dal naso alle labbra, passando per gli occhi gialli e colorandole un po' di vestito. Si chiese perchè non si fosse data una sciacquata. Che avesse da guardare, poi si ricordò di essere lui quello strano, tra loro.
Di non essere Leigh.
E allora capì, che doveva davvero fare paura.

 

Alice si era ripromessa di non guardarlo. Di non darci la benché minima, microscopica attenzione, ma poi il fratello del capo si fermò dinanzi a lei e Peggy, e si mise a parlare con lui in fitto inglese britannico. E allora sollevò le iridi gialle, attirata dalla sua figura slanciata e nera di cui tanto si andava sparlando. Era proprio come lo aveva descritto l'amica. Aveva davvero i capelli bianchi, bianchi come quelli di un vecchio, così lunghi da finire nascosti dentro il colletto ordinato della camicia di seta. E aveva davvero gli occhi di colore diverso. Dio, erano veri pure quelli. Solo che, dalla posizione in cui si era messo, riusciva solo ad intravedere quello verde, seminascosto da un lungo ciuffo di capelli che si estendeva sinuoso fino alla mandibola tesa come la corda di un'arpa. Alice era terrorizzata da quella caratteristica. Non la poteva vedere. Ma la poteva sentire.
Il ragazzo si voltò all'improvviso, perfettamente conscio di essere osservato, e il suo giallo diabolico fece breccia negli occhi della giovane, con la precisione di una lama affilata.
Alice rimase immobile, le mani immerse nel colore. Ma non pensò alla maledizione. Non pensò al fatto che, con molta probabilità, quel tipo avrebbe potuto pure violentarla in un vicolo cieco. Anzi, prima uccisa, poi violentata.
Pensò solo che era bellissimo. E che lei stava facendo davvero una pessima figura, con tutto quel colore sul naso.
Sembrava una piccola stella. Aveva un portamento, un eleganza atroci. Era alto, vestiva bene e pareva che niente potesse rovinarne l'aspetto pulito e astratto da dandy ribelle. La pelle morbida brillava sotto le luci a gas dell'industria, la frangia lunga gli carezzava il naso a punta e la fronte pallida. Aveva l'espressione cordiale, gentile. Sembrava distrutto da qualcosa, ma era ammirevole la forza nel continuare lo stesso a camminare a testa alta.
Si guardarono, e poi lui decise che ne aveva a sufficienza di farsi ammirare. Tornò da Leigh, muovendosi svelto sugli stivali alti.
Alice lo fissò fino a quando le sue spalle larghe non sparirono dietro la porta, e tutto il suo mondo tornò ai colori, al lavoro, alla leggenda del necrofilo.
Il suo cuore perse qualche battito quando le mani riemersero dalla vasca. Non sapeva che provare.
Avrebbe voluto osservarlo ancora un po'.
Peggy, d'altro canto, era incazzata nera. -ALICE, sei cretina o cosa?!
-Peggy...
-Ti avevo detto di non guardarlo!
-Ma c'era  il signor Leigh e...
-E cosa?! Ti ho vista, sembravi imbambolata! Di, ragazzina, te le cerchi!
Alice non rispose. Era rimasta all'occhio verde, o forse a quello giallo. Non lo sapeva. Sapeva solo che era la prima volta che vedeva un difetto genetico tanto evidente.
E la cosa buffa, era che le era persino piaciuto.
 


 
Quella sera, Lysander decise di aiutare Rosalya a cucinare. Leigh non aveva fame, e si era chiuso nella camera matrimoniale per dormire, lontano dagli schiamazzi dei quattro figli che giocavano a rincorrersi tra le sedie e i mobili intasati di foto, in attesa della cena. Il suo religioso silenzio aveva lasciato interdetta la moglie, alla cui vista era solito reagire afferrandola per il viso e baciandola in ogni dove. E, ovviamente, Rosa si era incazzata quando Leigh, al posto di riempirla di effusioni, l'aveva scostata di mezzo ed era sparito oltre le gradinate a spirale, mandando a puttane il loro rito amoroso. Non era tipico del suo uomo saltare la cena con la sua famiglia. Non salutarla. Fregarsene dei bambini, ritirarsi a letto e serrare le tende fino all'indomani. La cosa l'aveva freddata e lasciata immobile dinanzi alla porta aperta, a chiedersi se per caso non avesse combinato un qualche strano pasticcio di cui non era al corrente.
Il muso era durato fino a quando Lysander, che aveva assistito in silenzio alla scena, non le aveva posato le mani sulle spalle, invitandola a cucinare insieme a lui. Allora la rabbia muta di Rosa era scivolata via, e con lei la cupa atmosfera che da un paio di giorni si respirava nella villa.
-Com'è andata in fabbrica?- chiese, tirando fuori le pentole mentre la voce petulante della balia strillava i nomi dei bambini uno ad uno, ordinando loro di darsi una calmata. Emma, Leigh Junior, Victor e Henry, come da copione, se ne fregarono di lei, e continuarono con i loro disastrosi inseguimenti. Rosa li guardò con un sorriso disperato, poi tornò a rivolgere le attenzioni a Lys. La risposta non arrivò. Così lo colpì al braccio, cercando di riscuoterlo. -Lysa, non ignorarmi pure tu!
Lysander si strinse il naso tra il pollice e l'indice, gli occhi chiusi e stanchi. -Scusami, ero immerso nei miei pensieri.
-Com'è andata in fabbrica? Non mi racconti niente?
Fece spallucce, e afferrò le posate per apparecchiare. Mise un piatto anche per Leigh, affettuoso quando lo posò con cura sulla tovaglia; sapeva che aveva fame. Cercava semplicemente di assicurarsi la salute, almeno nei momenti con la famiglia. Per farlo, doveva essere solo. Rosalya questo ancora lo ignorava. -E' grande, ha un sacco di reparti. Non mi stupisco che sia la migliore di tutta Liverpool. E le ragazze lavorano bene. Avrebbe solo... solo bisogno di più finestre, per illuminare e arieggiare. Ma mi rendo conto che, per essere una fabbrica, è già molto più all'avanguardia di altre.
Rosalya era molto soddisfatta della risposta, e come contraddirla. Era l'industria tessile del suo uomo. Non poteva che esserne orgogliosa. -Ti piacerà lavorare lì, vedrai. Così potrai mettere da parte dei soldi per andare in America, come mi dicevi tempo fa! Certo, avremmo potuto darteli noi, ma almeno così li guadagni di tuo sudore. E' più gratificante, non trovi, Lysander mio?
Lysander sentì le ginocchia cedere, nell'udire quella frase pronunciata con tanta contentezza. America. Quale America? Il suo destino era lì, con lei e quei quattro scalmanati in sala. Non c'era proprio nessuna America. Non più. C'era che Leigh stava morendo, cazzo, e Lys gli sarebbe stato vicino fino alla fine del mondo. I soldi che avrebbe guadagnato in qualità di capo, li avrebbe spesi unicamente per il bene della famiglia.
Fine. Non voleva sentire di progetti come quelli. Lui aveva giù bruciato tutto.
-Lysander?
-S-sì, davvero gratificante.
Rosalya aggrottò le sopracciglia perplessa. -Vuoi ancora andare in America, vero?
-Certo.
-Ah, ok. Sarà meglio per te caro.- poi i suoi occhi gialli si spostarono allegri dal volto del canuto, al piatto in più che sorgeva a capotavola. Divenne rossa di rabbia, e si aggrappò al ripiano della cucina, indignata. -Leigh non mangia!- lo urlò così forte che i bambini si voltarono, arrestando la loro corsa pazza uno dietro l'altro. -Togli quel piatto!
-Leigh mangia. O meglio, mangerà. Quando gli verrà fame. Lo lascio qui, così nessuno si dovrà scomodare dopo.- replicò Lysander asciutto, e si mise in difesa del piatto come avrebbe potuto difendere un povero indifeso.
Rosa lo guardò male, anzi, malissimo, poi gli diede di spalle e sfogò tutte le sue frustrazioni nel pesce che aveva messo a friggere sulla pentola incrostata di nero. Quando si degnò di nuovo di guardarlo, stava schiumando di rabbia. -Che hai pure tu?!- strillò, sbattendo la pentola contro i fornelli in fiamme. -Vi state tutti comportando in modo strano in questa casa..!
Lysander comprese che Rosa si era accorta di qualcosa. Che non riusciva ancora a definirlo nella sua testolina viziata, e che quel blocco fatto di punti di domanda la stava mandando in bestia completa. La affiancò e le posò una mano sulla spalla, per rincuorarla. Lei la smosse, ma Lysander aumentò la forza della presa. Non voleva vederla così, dio, gli faceva un male cane. -Non ho niente, io. Nessuno si sta comportando in modo strano. Leigh non ha fame, adesso, e sicuramente è stressato per il lavoro. Non farne di tutta l'erba un fascio, Rosa. Sei sempre la solita esagerata.
-Siete voi che mi prendete per cretina.- mugugnò l'altra, guardando la mano del canuto premerle sulla spalla. -Non siete tanto diversi dagli uomini che girano in questo paese.
-Non dire così, non è assolutamente vero.
-E allora perché mi nascondete le cose?!
-Rosa, io non so niente!- mentì Lysander, e gli venne da sbattere la testa contro il muro da quanto si faceva schifo. -La fai finita?
-Ieri Leigh ha sputato sangue sulla tavola. C'eri anche tu. Hai visto.
Lysander avrebbe voluto dirle ogni cosa, pur di non vederla soccombere in quel modo, torturata dai dubbi e dai perché. Che Leigh stava morendo, e che sarebbero dovuti finire insieme per forza. Per mantenere tutto compatto, senza perdere pezzi da nessuna parte. Ma non spettava a lui buttarsi nel vuoto in quel modo. E, ne era convinto, una volta che anche lei sarebbe venuta a conoscenza della verità, tutto sarebbe stato più semplice. -Rosa, tranquilla. Non serve arrabbiarti così.
-Non voglio più perdere nessuno.
-Non accadrà. Hai la mia parola.
Lei lo guardò, e Lysander arrossì di stupore, travolto dall'intensità dei suoi occhi da donna. -Scusami.- mormorò Rosalya, calmandosi all'improvviso. Poi lo accarezzò con affetto tra i capelli, giocando con i ciuffi bianchi e incolti che gli sfioravano con grazia il collo ampio. -non so perché ti metto in mezzo ai miei problemi. Perdonami.
-Rosa, sono sempre qui per aiutarti, lo sai.
-Lo so... ma sono cose da adulti, tra me e Leigh. Ogni volta ti coinvolgo in una qualche mio disastro e...
Lysander le prese il polso e le sorrise, muovendo piano il pollice sull'intricata cortina di vene che sfoggiavano vistose il loro pallido verde.
Non faceva differenza.
Presto sarebbe diventato adulto pure lui.

 
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nda
eccomi qui dolcette
Scusate se ci ho messo un po' con gli aggiornamenti, il fatto è che essendo, la storia, ambientata in un contesto storico, prima di pubblicare preferisco sempre controllare e ricontrollare che ciò che ho scritto abbia almeno un margine di senso. E spesso manca la voglia, ew.
Allora, che ne pensate di questo nuovo capitolo? La scelta di far dirigere a Leigh una tessitoria/tintoria non è casuale, penso ve ne siate accorti anche voi: si ispira semplicemente al lavoro che fa anche nel gioco, ovvero quello di sarto, creatore di abiti e "ancora di salvataggio per tutte noi dolcette quando abbiamo tanti soldi e vogliamo finirli tutti tra scarpe maglie e parrucche fike (ifeelyou :'D)". Insomma, gli si addiceva. Inoltre, tutta la famiglia Ainsworth – Rosalya inclusa – appartiene alla UPPER Middle Class, ovvero quella fetta di società "benestante" (lo metto tra virgolette perché nemmeno i ricchi se la spassavano) che può permettersi una vita un attimo più normale, anche per quanto riguarda la scuola, la cultura, il cibo, le condizioni di salute e tutto ciò che ne consegue. Ma parliamo un attimo di Alice, ovvero il secondo protagonista della long. Allora, il design non l'ho inventato. Per crearla mi sono ispirata a fanart di diverse dolcette con gli occhi giallo dorati e i capelli castani, al punto da modificare persino la mia e riproporla in questa versione un po' "vampiretta gotica" che io sinceramente apprezzo molto. Il resto è tutto inventato da me, sia carattere che nome che tutto il resto. Che ne pensate di lei? Magari vi farete un'idea più ampia nei prossimi capitoli. Quello di cui volevo parlare con voi, è dei concetti che lei stessa tocca a mano a mano che si prosegue con la lettura del capitolo. Prima di tutto,
➤ la condizione delle donne in epoca vittoriana. E' abbastanza risaputo che la società a quei tempi era piuttosto maschilista, quindi la visione della "donna" si limitava strettamente ad una persona chiusa tra le mura di casa, possibilmente maritata, che si occupava dei bambini, puliva, cucinava e sottostava all'autorità del suo compagno, buono o cattivo che fosse. Per quanto riguarda le lavoratrici, iniziavano fin da piccolissime nelle fabbriche, perché le loro mani, più delicate rispetto a quelle di un uomo, riuscivano a compiere lavori che un maschio non sarebbe stato in grado di fare con la stessa minuziosa cura e precisione di una femmina. Alice fa parte di questa categoria, se così possiamo definirla. Inoltre, prima dell'avvento dell'epoca vittoriana, esisteva una legge che permetteva al datore di lavoro di abusare delle lavoratrici, come se fosse una cosa "normale". Credo fermamente che poi la cosa si sia ripetuta anche in epoca vittoriana, ma non so se la legge sia stata abolita in quegli anni, poco prima o dopo. Sta di fatto che lo facevano comunque. E non solo nelle fabbriche. Anyway, questo non è il caso di Alice, perché Leigh, raga, Leigh è un uomo buono, così come Lysander, non posso trasformarli in bruti (?). Hanno entrambi questa caratteristica di distinguersi dalla massa, se ai giorni nostri per i vestiti, nella mia long per la mentalità più aperta rispetto al resto della società.
Un'altro tema che volevo approfondire con voi è quello del
➤ pregiudizio. So che le parole di Peggy possono far quasi ridere, lette così, perché tutte noi sappiamo che Lysander coccola coniglietti e caga arcobaleni stilosi (?), ma capite che, con la testa ottusa del tempo, ritrovarsi davanti ad un eterocromatico con i capelli bianchi era piuttosto sconcertante. Anzi, lo sarebbe anche adesso. Cioé, adesso basta essere diverso per finire vittima di una diceria. 
Figurarsi allora.
Un'altra cosa e poi giuro che chiudo. Non ho assolutamente idea di come diavolo funzionasse una tintoria in epoca vittoriana, ho inventato -apprezzate la fantasia-, perché ve lo giuro, ho cercato ovunque, ma non ho trovato un emerito piffero a riguardo. Se qualcuno lo sa, sarei felice di sapere qualcosa di più.
Grazie per aver letto! Se volete lasciate una recensione, mi farebbe molto piacere!
Al prossimo aggiornamento!

Lila
   
 
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