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Autore: 50shadesofLOTS_Always    12/07/2018    5 recensioni
Dal terzo film della saga: “Si comincia con qualcosa di puro, di eccitante. Poi arrivano gli errori, i compromessi. Noi creiamo i nostri demoni.”
I demoni - e non solo - incombono su Tony Stark, che ha appena dichiarato al mondo di essere Iron Man...
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[probabile OOC di Tony/dosi massicce di Pepperony con una spolverata di zucchero a velo/perché amo Ironman]
Genere: Azione, Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tony Stark
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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WORDLESS

 
“And in this world of loneliness, I see your face.
Yet everyone around me thinks that I’m going crazy, maybe… Maybe.
But I don’t care what they say, I’m in love with you.
They try to pull me away, but they don’t know the truth. ”
- Bleeding Love, Leona Lewis
 
“You gave me the world, so I feel owed you.
I been lookin’ through the mirror and that’s the old you.
Imma get it right now, don’t know how
But I promise that we’re gonna make it somehow.”
- Start Again, One Republic 

< Dove sei finito?! >
< Sto riparando ai tuoi casini, di cui tra l’altro non mi avevi avvertito >
< Perché non pensavo che avessimo il governo alle costole >
< Guardarsi alle spalle dovrà diventare una consuetudine >
< Non fare lo stronzo con me. Mi avevi promesso un successo >
< E lo sarà. Porta pazienza e prima ancora che tu te ne renda conto, di Stark resterà solo una lapide >. 

*

Era quasi l’alba quando il fruscio del battente che veniva aperto, fu il segnale per Phil – in pieno ritmo di lavoro – che una delle api più operose dell’alveare dello SHIELD era appena tornata con un grosso carico di miele.
« Agente Romanoff » esordì, sollevando la fronte alta dalle carte che gli erano state affidate per conto del Direttore. Scialba e barbosa burocrazia.
Natasha – che aveva l’aspetto tutt’altro che felice – fece il proprio ingresso con abiti civili che non si addicevano affatto alla propria fama di assassina, ma allo stesso tempo non la sminuivano né la imbruttivano. Gli smeraldi che aveva al posto degli occhi si strinsero sull’ufficio – tenuto a un livello d’assetto così maniacale, che le parve di trovarsi alle Enterprises con la Potts – e poi sul suo supervisore.
« Mi avete reclutato perché Stark ha un debole per le rosse » ringhiò, spingendo la porta alle spalle con un gesto nervoso.
Se c’era una cosa che non tollerava, era che potessero sottovalutarla. Specialmente se era un uomo a farlo.
Phil, che aveva colto in pieno lo stato d’animo della siberiana, deglutì a vuoto e poggiò le mani sulla scrivania, illudendosi che fosse un ostacolo abbastanza resistente.
« Primo: il tuo reclutamento è stata una scelta di Fury. Secondo: io avevo suggerito l’Agente Simmons – rispose a quella che, almeno inizialmente, doveva esser stata una domanda mentre invitava la donna a sedersi con un cenno – Comunque sia, Crossbow si aspetta un rapporto completo ».
La spia russa lo valutò come se avesse di fronte un testimone chiave da porre sotto torchio, poi lanciò un plico di documenti sul piano già ingombro.
« Ecco gli scheletri » presentò, ma senza accettare la seduta.
Phil aprì la cartelletta e cominciò a sfogliarla, soffermandosi su alcune foto. Le tolse dal resto e le scorse.
« Lo sconosciuto del garage » borbottò quando capì che si trattavano di frame direttamente ottenuti dai filmati di videosorveglianza della Villa.
« Sono ancora dell’idea che qualcuno stia cercando vendetta »
« Ma per cosa? » chiese e Natasha si appoggiò con entrambe le mani allo schienale della sedia.
« Avevo pensato ad un coinvolgimento in una relazione extraconiugale, ma… – fece spallucce e si drizzò, incrociando le braccia sotto il seno – La Corte Suprema lo ha chiamato dopo settimane, a Washington per l’incidente alle Industries » aggiunse mentre tornavano a guardarsi.
« Non per l’incidente, per l’armatura » specificò Phil, gesticolando.
« Appunto. Qual è il nesso? »
« Che è un pericolo pubblico? – suggerì e la donna tirò fuori un altro documento dal dossier, ponendoglielo in mano al posto delle dia positive – Cos’è? »
« 1995. Il Senato deve comprare armi per l’esercito e il Signor Hammer propone un affare a Stark, che però rifiuta » espose la donna come se stesse parlando dell’ovvio.
« Justin Hammer – rifletté l’agente – Era presente al processo. Credi che sia coinvolto? »
« Ha avviato delle attività illegali in Texas. Credo che non sia un caso che lui e Stern siano amichetti del cuore »
« Spionaggio industriale e corruzione – mormorò, arcuando un sopracciglio – Sono accuse pesanti »
« Io so solo che Hammer ha preso del thè e biscotti con Stern e, poi si è presentato al processo col proprio avvocato »
« Avvocato? »
« Thomas Reed – annuì e gli porse un secondo documento – La Potts ci è uscita un paio di volte e Stark ha dato i numeri ».
Phil lanciò un’occhiata alla foto e poi a Natasha che ricambiava dall’alto.
« E questo cosa c’entra? » domandò, cominciando a sospettare che la spia si stesse affezionando un po’ troppo meramente al lato sentimentale della causa.
« Stark non è un pericolo pubblico. E’ solo un donnaiolo che si è preso una sbandata per l’unica intelligente che non è riuscito a portarsi a letto e che cerca di proteggere »
« Dichiarandosi al mondo come Ironman? » replicò scettico e Natasha roteò gli occhi.
« E’ un uomo quindi è stupido per natura, ma ci tiene veramente. Ci sono filmati che lo provano e lei è cotta, ma non cede per via della professionalità. Per questo ha dato le dimissioni » spiegò, piegando le dita come le virgolette quando pronunciò l’ultima parola.
Phil distolse per un attimo lo sguardo da quello indagatore della donna per meglio meditare.
« Altro oltre a questo? » chiese infine, richiudendo la cartellina.
« Alcuni progetti criptati nel server. Inaccessibili, ma tutti nominati Mark »
« E a che punto è? »
« Morto. Da settimane scende in laboratorio, ma non lavora »
« Magari gli manca l’ispirazione » avanzò con un cipiglio ironico mentre apriva il cassetto, riponendo la cartella insieme alle altre sotto il nominativo “Stark”.
« O magari ha paura di morire – sbottò lei – Ho visto alcuni dati sul suo avvelenamento: ha avuto dei picchi del cinquanta percento »
« Sintomi visibili? »
« Mal di testa, febbre e vomito – elencò, inclinando leggermente la testa con fare allusivo – Sta peggiorando. Cosa aspettiamo? »
« Ha preso il siero? »
« No, ma lo tiene come una reliquia – sibilò Natasha, sporgendosi verso Phil – Forse è ora che il Signor »
« …Crossbow ritiene che Stark sia la soluzione al suo stesso problema »
« Stark è emotivamente a terra, non riesce a salvarsi. Dobbiamo intervenire »
« Ha dei sospetti riguardo Monaco? »
« Ha fatto riportare il kart a Malibu e a quanto ho capito, i freni sono stati manomessi » rispose, spostandosi i boccoli dal viso.
« Tu continuerai a sgobbare per la Potts e ti assicurerai che né lei né Stark sospettino di noi che invece, ci occuperemo di Hammer e del suo avvocato. Vediamo se nascondono qualcosa » decretò, facendo scorrere il cassetto fino alla sua chiusura.
 

***

I giorni si susseguirono veloci, come se avessero fretta. Tuttavia Virginia fu talmente immersa nel lavoro in azienda che quasi non se ne rese conto che il Natale fosse praticamente arrivato. Nel giorno della Vigilia furono le lucine colorate di una vetrina sotto casa sua a risvegliare la bambina che era in lei.
Stava aspettando Happy quando il suo sguardo si catalizzò su una finestra che dava su un quel piccolo cafè di Los Angeles. Ciò che la estraniò dal presente, fu una bambina con un paio di codine e un apparecchio odontoiatrico, seduta a un tavolino assieme a quello che doveva essere il padre. Uno di fronte all’altra con un paio di milkshakes e dei bagels appena sfornati.
« Signorina Potts? ».
La voce dello chaffeur la richiamò alla realtà, ricordandole che doveva andare a lavoro.
« Ow… Ciao Happy »
« La macchina è pronta – annuì e tornò a guardare i due comuni soggetti – Qualcosa non va? »
« Stavo solo pensando a… Vecchi ricordi » rispose, scuotendo un poco la testa come a voler distendere le acque che avevano preso ad agitarsi nel proprio inconscio.
« Happy, a te piace il Natale? » chiese  e lo chaffeur la fissò come se le fossero spuntate delle orecchie da coniglio.
« A chi non piace il Natale? » domandò in risposta e Virginia ridacchiò.
« Hai ragione. Andiamo ».
Nel pomeriggio si fece poi accompagnare a Villa Stark dove non metteva piede da qualche settimana a causa di continue riunioni e impegni amministrativi. Inoltre l’abitazione si era fatta fin troppo affollata a causa delle continue prove del gruppo di ballerine per l’apertura della expo, ancora tutta da organizzare viste i continui cambi di esigenze dell’ideatore. Tony l’aveva chiamata al telefono per infastidirla, d’altronde era stata costretta ad ammettere che la sua vita lavorativa era diventata drasticamente noiosa senza un geniale miliardario da rincorrere a destra e a manca. Non era abituata a tutta quella quiete e all’assenza del suo sorriso obliquo, dei suoi occhioni da cucciolo.
Scese dalla vettura e si avviò dentro la Villa. L’AI la salutò con garbo e l’avvertì che il proprietario si trovava in visita alla White Dove.
 
Tony infatti stava valutando il regalo che aveva scelto per sua zia.
Quel mattino si era svegliato – già di pessimo umore per via degli incubi che riguardavano incidenti automobilistici – con l’idea di non presentarsi a mani vuote, ma non potendo far affidamento sui soliti fiori di campo, si era deciso a trovare qualcosa che potesse sostituirli. Aveva aperto lo Stanzino – quello in cui aveva accatastato tutte le cose che suo padre aveva lasciato alle Industries – convinto di avervi visto, circa diciotto anni addietro, una foto con Steve Rogers. Più di una volta sua zia gli aveva raccontato del periodo della guerra e pur non dicendoglielo apertamente, non gli era sfuggito il tono con cui si riferiva al soldato. Quando poi le aveva chiesto ulteriori chiarimenti, si era limitata ad un sorriso triste come quello di un’amante che non ha potuto assaporare la primavera.
Ora che aveva tra le mani la cornice – dopo averla ripulita dallo strato di polvere e vecchiume – impacchettata e con bigliettino annesso, si chiese se fosse il caso giusto per una donna che soffriva d’alzheimer.
« Entra, caro » esordì Peggy, riscuotendolo.
Tony si affacciò oltre lo spigolo della porta, dietro cui si era nascosto a rimuginare e la vide seduta sulla poltrona vicino al finestrone, che dava sul parco. Socchiuse il battente dietro di sé e si avvicinò, tenendo il pacchetto dietro la schiena.
Si chinò per schioccarle un bacio sulla guancia e lei sorrise, lasciandogli una carezza sul volto.
« Come stai? » le chiese, osservandola con attenzione.
Nonostante le rughe e i capelli bianchi, lo scorrere del tempo non aveva cancellato la sua bellezza.
« Come una vecchia malata » rispose lei con un pizzico di autoironia, che fece scintillare i suoi occhi castani.
« Non ti si può consolare » borbottò lui, sedendosi di fronte a Peggy che lo seguì con lo sguardo.
Era teso, riusciva a percepirlo.
« E tu? »
« Io? – mormorò, spostandosi più vicino a lei con la sedia – Sto » aggiunse, facendo spallucce.
Peggy, che di anni ne aveva a sufficienza per capire le cose al volo, sospirò dolente.
« Diciassette anni… Sei andato a far loro visita? – lui negò, fissandosi le scarpe – Prima o poi dovrai farlo, Tony » lo rimbrottò, carezzando i braccioli.
Aveva aspettato che la raggiungesse e di certo, non si era fatta illusioni nel giorno dell’anniversario.
« Preferisco il poi » rispose Tony, rilassandosi sullo schienale della sedia imbottita.
Guardò il prato, poi girò la testa verso Peggy.
« Perché non ti fai accompagnare da lei? – riuscì a vedere comunque il vago rossore sotto il pizzetto – Ammetto che il cimitero non sia il luogo ideale per un primo appuntamento, ma… » ridacchiò con una smorfia e finalmente, vide l’ombra di un sorriso sul volto di colui che ormai si avvicinava ad un figlio.
Tony si passò una mano sul mento, ma non se la prese. Quello fra lui e Peggy era un rapporto peculiare che non aveva alcun riscontro. Parlarono un po’, alternando momenti di silenzio – che valevano molto di più – a vere e proprie discussioni su politica, economia e divagazioni di vario genere.
« Mi piacerebbe incontrarla » disse Peggy ad un tratto.
Tony sorrise. Non era la prima volta che gli faceva quella richiesta e non era la prima volta che ci faceva un pensierino. Per certi versi, le due donne si somigliavano in modo psicanaliticamente raccapricciante.
« Non ricordo neanche la tua prima cotta né se l’hai avuta – mormorò lei, guardando fuori – Avevi uno stuolo di ragazzine che scalpitavano per te al liceo, ma nessuna ha mai attirato la tua attenzione »
« Forse perché non era per me che scalpitavano, ma per il conto in banca » commentò quasi più a sé stesso.
« Anche lei? »
« No. Lei è diversa… – sbuffò – Se le faccio un complimento, arrossisce »
« Credevo si fossero estinte donne così – rispose Peggy e Tony la analizzò – Soddisfa la curiosità di una vecchia romantica » specificò, quasi pregandolo.
« Ha i capelli rossi, gli occhi azzurri e la pelle chiara. Di media statura… »
« Non ti ho chiesto la carta d’identità, Tony » evidenziò lei, consapevole che lo stava irritando.
Era un gioco che le permetteva di esercitare solo in quanto madrina.
« E’ intelligente, brillante… Ha il senso dell’umorismo » rispose dopo qualche attimo in cui parve incepparsi.
« Ti mancano le parole » notò la donna con un accenno d’ilarità.
« Non ci sono parole » parlottò Tony quasi disturbato nel vedere abbassarsi le proprie difese, erette con tanta pazienza.
Peggy concordò, pensando che bastasse guardarlo negli occhi.
« E’ per questo che hai esitato prima? »
Tony fece segno di no e tornò con la schiena ritta.
« Stamattina ho dato un’occhiata alle cose di Howard – lei si schiarì la gola in modo significativo – …di papà… e ho pensato di portarti questo » si corresse, porgendole il pacchetto.
Peggy lo afferrò sorpresa e lo scartò. Allontanò i lembi strappati e inclinò la testa, sorridendo.
« Oh, Tony… – bisbigliò con gli occhi lucidi – Grazie »
« Buon Natale » mormorò lui mentre posava la cornice in piedi sul tavolo.
La ammirò per qualche istante poi lo fissò come se le fosse venuto in mente qualcosa che aveva accantonato e rovistò nella tasca del trench che teneva appeso allo schienale della poltrona.
« Anch’io ho una cosa per te. L’ho trovato nel vecchio baule, che mi sono fatta portare dall’Inghilterra. Non era mai il momento adatto, ma ora sento che lo è » disse, riferendosi all’oggetto che posò al centro del suo palmo. Quando tolse la propria mano, la fronte di Tony si distese e gli occhi si spalancarono un poco mentre la mente tornava indietro a un passato lontano, nel tempo e nello spazio, ai limiti della memoria.
Con un pollice sfiorò la superficie dorata del medaglione che sua madre soleva portare e che rigirava tra le dita dopo aver litigato col marito.
« C’è un piccolo sportello all’interno, dove puoi aggiungerci un’altra foto » propose Peggy quando si decise ad aprirlo. La bocca del suo stomaco si attorcigliò quando le sue pupille riconobbero un foto-ritratto illeso, in bianco e nero, dei suoi genitori quando erano giovani e spensierati.
Tirò sul col naso e guardò sua zia, che lo studiava con gravezza.
« Sono solo un po’ stanco » si giustificò quando la propria vista si appannò.
« Tony… – lo riprese lei, dolcemente – Essere un uomo, significa non avere paura di piangere ».
Chiuse il pugno, stringendo il medaglione prima di cedere. Appoggiò le braccia incrociate sulle ginocchia di sua zia, immergendovi la faccia quando l’amarezza lo travolse come in fiume in piena, che aveva rotto gli argini. Non pianse perché negli anni la tristezza era finita per diluirsi in bicchierini di superalcolico, ma non riusciva a stare seduto composto.
Peggy si asciugò una lacrima solitaria e prese a far scorrere le dita fra i capelli dell’uomo, infondendogli fiducia. L’inclinazione dei raggi solari si spostò di qualche grado quando Tony fu di nuovo capace di compiere un respiro profondo, con cui raccolse tutti i cocci di sé. Nel raddrizzarsi Peggy lo fermò, incorniciandogli il viso con entrambe le mani.
« Il mio piccolo Eddy… – con l’indice gli schiacciò affettuosamente la punta del naso e lo lasciò andare – Scommetto che anche quest’anno non hai fatto l’albero ».
« Beccato » ammise Tony, per niente imbarazzato da quelle effusioni.
Anche se il nomignolo gli era costato un giro del reattore.
« Voglio che quando esci di qui, tu vada subito a comprare un abete. Poi chiamerai quella donna e insieme, appenderete le decorazioni. Puoi farlo? »
« Okay »
« Dovete solo decorare l’albero – lo redarguì con tono malandrino – Oh, non fare così! Sono stata giovane anch’io, sai? » gli rammentò quando lo vide passare a tutti i colori dell’arcobaleno.

*

Virginia, che si era rintanata nelle pratiche, verso sera uscì dall’ufficio del proprio capo – perché ancora, in una clausola di contratto da sette punti tipografici, lo era a tutti gli effetti – con le mani per la prima volta in quei mesi non occupate da documenti, ma con un piombino sul petto. Lo stesso che aveva provato quel mattino davanti al bar.
Era da molti anni che non viveva un Natale normale. Di solito partecipava a qualche festa organizzata dai dipendenti delle Starks oppure veniva invitata da qualche sua amica di vecchia data, se sua madre non si sentiva in vena. Dopo la dipartita di suo padre, quell’occasione aveva perso molta della sua magia e dei suoi colori per entrambe. Intrecciò le dita davanti al grembo e raggiunse il salotto, dove trovò Tony intento a frugare in degli scatoloni. In parte appoggiati sul divano e sul tavolino, in parte sparsi sul pavimento. Si chiese da quanto fosse lì e fu in quel frangente, che si accorse di non averlo sentito rientrare.
Lui si drizzò, volgendosi verso la sua direzione e qualcosa fece aggravare quel peso sul petto quando i loro sguardi s’incontrarono.
« Io avrei finito » annunciò e Tony annuì, tornando a cercare qualcosa in uno scatolone.
Aveva pensato di fare come gli aveva detto sua zia, ma dopo aver posizionato l’abete, uno strano senso di repulsione gli aveva impedito di bussare alla porta e chiamarla fuori.
« Va’ da sua madre? » tentennò.
« Sì. Quest’anno ci sarà anche mia nipote »
« Nipote…? » scherzò e Virginia non seppe dire il perché, ma si sentì meglio.
« La figlia di mia sorella »
« Si diverta » rispose, lanciandole un’occhiata e un lieve sorriso. Quasi di circostanza.
« Le direi lo stesso se non sapessi che farà ben più che divertirsi » rispose di contro, ma lui aumentò solamente la curva delle labbra. Era come se volesse dirle qualcosa, ma non riuscisse a farlo. Come se qualcuno gli stesse puntando una pistola per farlo tacere.
Tony quasi sobbalzò quando si trovò Virginia a pochi centimetri di distanza.
« Cosa sono? » domandò curiosa, affacciandosi per poter vedere meglio dentro lo scatolone.
Si scansò per farle spazio con una piccola casetta di legno, che doveva avere più di trent’anni, tra le dita ansiose. L’aveva costruita da bambino, con una piccola lampadina per dare l’impressione che la miniatura fosse realmente abitata.
Virginia esaminò il contenuto di quella scatola e sorpresa, constatò che era piena di bellissimi festoni, palline e varie decorazioni per la casa. Di qualsiasi forma e colore.
« Vuole… Vuole mettere le decorazioni? » chiese, tornando a guardarlo.
In tutti quegli anni non aveva mai visto Villa Stark addobbata. Era come se quel particolare incantesimo dicembrino giungesse in tutte le parti del globo, tranne sulla scogliera di Malibu Point. Non avrebbe mai dimenticato il suo primo anno come assistente quando, da poco abituata ai ritmi dell’eccentrico ereditiere, grazie al loro strano rapporto si era sentita quasi in dovere di trasmettergli quel genere di positività. Ma la vicenda non era finita per il verso sperato e Tony si era infuriato come una belva quando aveva visto un abete all’ingresso, dichiarando che non credeva affatto in quelle < storielle per poppanti >.
Virginia aveva intuito fin da subito che c’era qualcosa di molto sofferto e negli anni seguenti, aveva trovato un’ulteriore conferma non circoscritta al giorno di Natale. Già a fine novembre, Tony si trasformava in un fantasma e cominciava a comportarsi come se vivesse in un mondo isolato, rispondendo a monosillabi senza alcuna traccia del suo solito umorismo. Il tutto passava dopo un paio di settimane.
Non aveva capito finché, cercando in rete, non aveva trovato l’articolo che trattava la morte dei coniugi Stark. Un terribile incidente in auto, proprio all’approssimarsi della Vigilia.
Quando gli sovvenne il da poco trascorso diciassettesimo anniversario, si pentì immediatamente dell’insensibilità usata. Lo vide giocherellare con una casetta, evidentemente frutto dell’ingegno infantile. Perché, nonostante fosse di un livello intellettuale avanzato per via della lampadina che l’uomo aveva acceso grazie ad un pulsante, le pareti erano state colorate coi pennarelli e sul tettuccio era stata incollata dell’ovatta, cosparsa di brillantini. Quando Tony alzò il viso, sorrise comprensiva.
« Vuole che le dia una mano? » propose senza neanche aspettare una risposta.

Appena un’ora dopo, venne il momento dell’albero che era già stato sistemato accanto al pianoforte, riportato da poco dopo una lunga e severa riparazione che Tony aveva seguito, temendo delle persecuzioni da parte del fantasma di sua madre. Comprarne uno nuovo non era un’opzione da prendere in considerazione.
Dopo aver scelto i colori, blu e bianco, istituirono una sorta di catena di montaggio: lui – che ne approfittò per guadarla da vicino – le passava le decorazioni e Virginia si premurava di metterle nel modo e nel posto giusto. Si allungò per raggiungere i rami più alti dove fissò il boa argentato per poi scendere, ruotando attorno all’albero. Ammirò l’opera con le mani sui fianchi, senza accorgersi che il miliardario la stava sostanzialmente anatomizzando finché non sentì un anelito appena accennato. Si volse, beccandolo sul misfatto – le sembrò anche che fosse divenuto più rosso – con la casetta tra le mani. Gli andò vicino e senza distogliere gli occhi dai suoi, gli fece cenno di appenderla.
Tony, con una palla di pelo incastrata nelle corde vocali, la accontentò mentre lei fingeva di recuperare il tocco finale da uno scatolone. Di sottecchi notò la sua esitazione e sorrise quando finalmente, si decise ad apporre la propria decorazione.
« E ora la stella » annunciò, issandosi sulla scala.
Dovette sporgersi per riuscire a piazzare il grosso puntale, ma nel ripercorrere all’inverso i pioli, un piede nel vuoto le costò un volo fra le braccia di Tony che, con riflessi che non credeva di possedere, pose le braccia prima che fosse tardi.
« …cadente ».
Virginia che aveva strizzato le palpebre per non dover assistere alla propria fine, quando le riaprì desiderò essersi spiaccicata sulle mattonelle.
« Davvero spiritoso. Ora mi metta giù » ordinò, cercando di mantenere la sua solita dignità.
Tony la fissò impertinente, troppo ingordo dell’opportunità – decisamente fortuita – di tenerla stretta.
« Questo è il ringraziamento per averle salvato la vita? » fece sbalordito.
« Oh, suvvia! Sono solo cinquanta centimetri, mi metta giù » sminuì lei a metà tra la stizza e la vergogna.
« Come vuole » disse, allentando improvvisamente la presa sul busto e sotto le gambe.
« TONY » strillò Virginia, accollandosi a lui un attimo prima di sfracellarsi a terra.
« Mi ha detto di metterla giù » si difese il miliardario, continuando a reggerla a mo’ di sposa.
« Sì, ma non di lasciarmi cadere! »
« Si decida, santo Cielo! »
« La smetta, Tony o giuro che le lancio qualcosa in testa ».
Alla fine per evitare che mettesse davvero in pratica quella minaccia, Tony la riportò sul pavimento e Virginia potè ricordarsi com’è che si respira.
« Tutto bene? »
« S-sì, grazie. E si tolga quello stupido sorriso dalla faccia » aggiunse, agitandogli un dito dinanzi.
« Mi perdoni, ma se continua ad arrossire così finiranno per scambiarla per Mamma Natale » rispose lui nel primo evidente tentativo di non ridere, che cadde nell’inutile quando le labbra di Virginia si incresparono.
Tony sollevò le braccia per difendersi dalla pioggia di pugni, che scemarono mentre la donna fuggiva verso la propria camera con la scusa di doversi cambiare.
 
Si trovava sul divano quando sentì i suoi passi, non molti minuti dopo.
Virginia si girò, accostando la porta e lo adocchiò con un’espressione che la fece avvampare. Abbassò il capo, fingendo di sistemarsi la frangia.
Tony la raggiunse e con una mano a coppa sotto il mento, la esortò a guardarlo. Sedotto da lei e dal suo vestito panna, indossato elegantemente assieme a un paio di collant e degli stivaletti abbinati, con le maniche a tre quarti e la gonna svasata che le faceva la vita sottile. Il tessuto simile ad una trapunta era costellato attorno alla scollatura ampia da delle perle, riprese dall’elastico che teneva i capelli fulvi stretti in una coda di cavallo.
« E’ un incanto » sospirò.
« Come al solito non le mancano le parole »
« Mi creda, con lei il mio repertorio subisce una riduzione drastica » rispose con un sorrisetto a fior di labbra. Virginia sbatté le ciglia, come destandosi da un sogno.
« Devo andare, adesso »
« Faccia buon viaggio e vada piano – lei gli scoccò un’occhiata in tralice – Beh, non vorrei essere costretto a trovarmi un’altra CEO »
« Babysitter » ribatté.
« CEO. E sarebbe molto difficile »
« Addirittura?! » chiese interessata, portandosi le mani sui fianchi.
« Sì, perché lei è insostituibile – mormorò Tony, rettificando poi a sproposito quando la donna gli rivolse un sorriso genuino –  Insomma lo ha detto lei stessa che non sono in grado di allacciarmi le scarpe » tartagliò, gesticolando con frenesia mentre tornava vicino a lui.
« Buon Natale, Tony » sussurrò Virginia, allungandosi appena per schioccargli un bacio su una guancia.
« Buon Natale, Pep » disse con un sorrisetto quando gli sovvennero le parole di Peggy.
Poi la osservò recuperare borsa e cappotto, fermarsi nell’atrio e scrollare in alto le dita per salutarlo. Ricambiò per poi sollevare lo sguardo verso l’abete, infilando le mani nelle tasche anteriori dei pantaloni. In quella destra, raccolse il medaglione senza tirarlo fuori.
« Jay, le luci – ordinò e i led si spensero, cedendosi alle lampadine multicolori dell’albero – A mamma piacerebbe tanto… »
« Che cosa, Signore? »
« L’albero. Parlavo dell’albero ».
Non era così, ma JARVIS lo sapeva da un pezzo.

*

La maggior parte delle persone a Los Angeles erano alla ricerca del regalo dell’ultimo minuto, operai appena usciti dal turno e che come lei, si apprestavano a raggiungere la festa. Il tragitto verso casa di sua madre fu un po’ più lungo del previsto visto il traffico natalizio. Fermandosi ai semafori rossi ebbe modo di vedere anche individui che, al contrario, sembravano indifferenti. Passeggiavano per le vie della città con il cellulare in mano, ferme agli angoli delle strade con una sigaretta in bocca oppure con le cuffie nelle orecchie. L’unica costante era lo sguardo spento, come se qualcosa avesse risucchiato via la loro capacità di gioire. E la sua mente volò inevitabilmente a Tony.
Sul divano davanti alla tv nella sua grande villa, aggettante sul Pacifico, con un bicchiere di scotch come unica compagnia.
Nell’addobbare l’albero insieme, Virginia aveva avvertito il tepore di un’emozione che aveva creduto dimenticata e sepolta con la bara di suo padre. Era la stessa che aveva provato nell’infanzia, quella serenità che si prova nel constatare di essere nel posto giusto. Con le persone giuste.
Continuò a ripetersi che non aveva insistito perché restasse eppure un’altra vocina dentro di lei, che albergava non distante dal cuore, le ricordò quanto Tony fosse bravo ad occultare i propri pensieri.
Immersa in quello stato inquieto, quasi non si accorse di aver raggiunto casa di sua madre – una normalissima villetta a schiera di modeste dimensioni – a Pasadena. Mise la freccia e parcheggiò nel vialetto che portava al garage. Prese la borsa e mentre apriva lo sportello qualcuno parve annunciarla come un araldo di corte, arrivandole alle orecchie carico di eccitazione.
 « E’ arrivata! Zia Ginny, è arrivata! ».
Virginia fu travolta dall’uragano Daisy: una quindicenne coi capelli dorati come il grano e una coppia di zaffiri nelle orbite. Un marchio di fabbrica, firmato Potts.
« Oh, wow! Che accoglienza » ridacchiò quando due esili braccia le cinsero la vita.
« Mi sei mancata »
« Anche tu mi sei mancata, Daisy » mormorò con la voce incrinata.
Non la vedeva dall’età di otto anni quando la secondogenita di Richard Potts aveva deciso di rompere ogni sorta di legame con le proprie radici.
I rapporti fra Virginia e Georgiana – tra cui correvano cinque anni di differenza – erano sempre stati conflittuali, a causa dell’invidia che la sorella minore provava per lei e l’armonia familiare si era incrinata ulteriormente quando a sedici anni era rimasta incinta di Daisy. Il fidanzatino dell’epoca, un poco di buono a detta di tutti, era scomparso nel nulla appena appresa la notizia.
Virginia, dopo un primo momento di delusione condivisa coi genitori, si era mostrata accogliente e disponibile con Georgiana che però, aveva ripagato tutti col disprezzo. Poi era sparita, facendosi viva di sfuggita alla veglia funebre del padre. Fortunatamente la bambina era rimasta intatta da quel ciclo di dissapori e Virginia aveva trovato in lei una nuova sorellina.
Al benvenuto si unirono anche sua cugina Avery, figlia unica di Amelia  – sorella di Emma e vedova – e di Henry Potts. Il fratello di mezzo tra Morgan e Richard, uno dei membri più onorevoli dell’esercito caduto in Vietnam.
 « Finalmente! » esultò la giovane donna, con cui Virginia condivideva il colore dei capelli ereditato dal nonno Andrew, scomparso nei gloriosi anni sessanta.
« Ciao, Avery »
« Non mi avevano detto che eri così cresciuta » sopraggiunse l’altra donna con una chioma castana e riccioluta disciplinata in uno chignon dietro la nuca.
« Zia Amelia ».
Infine arrivò anche sua madre, tornata ufficiosamente nubile come Emma Williams. Si tolse il grembiule da cucina e lo lanciò verso la sorella mentre abbracciava Virginia.
« Fate largo! »
« Mamma »
« Fatti guardare… – disse, prendendola per le spalle e allontanandola da sé – Questo vestito è un amore, ma tu staresti bene anche con uno straccio. Come ti senti? » domandò quando le altre donne erano rientrate in casa per lasciar loro un po’ d’intimità.
« Bene »
« Sei sicura? » la interrogò, stringendo le palpebre e Virginia sorrise.
« Sì, certo »
« Di’ la verità: vorresti essere sommersa dal lavoro » la accusò la madre.
« In realtà non ci tengo così tanto a quelle cartacce » disse, arcuando un sopracciglio.
« Alla cartacce no… – assentì cospiratoria – A proposito come sta il Signor Stark? ».
Eccolo lì, di nuovo. Proprio a sinistra, sul petto.
« Sta bene… »
« Potevamo invitarlo ».
Virginia assunse un’espressione che manifestava tutto il suo dubbio per una tale utopia.
« Qui? Intendi qui, a casa tua? »
« Sì, che c’è di male? »
« Mamma, siamo cinque donne più una ragazzina » rispose, riferendosi a sua zia Diane.
Moglie di Morgan con cui aveva dato vita al famoso cugino Harry, esperto di computer.
« Sei, tua nonna è dentro e sai che l’inverno le grava sulle ossa. E poi si sarebbe fatto forza con tuo zio Morgan » la corresse.
« Due uomini contro sei donne e un’adolescente? » borbottò lei, immaginandosi suo zio eclissato da qualche parte per starsene il più distante possibile da loro.
Emma le sottrasse la borsa, poi la prese per un gomito e la trascinò in casa.
« Sei sempre così musona! Forza, andiamo ».

« Entro stasera, Colonnello. O io e lei domattina saremo spostati in un ufficio di reclutamento » sbraitò il Maggiore e James riagganciò.
In quello stesso momento, qualcuno decise di mettergli una ghigliottina tra capo e collo.
Ciò che stava per fare lo faceva sentire un traditore, ma d’altro canto quale altra scelta aveva? Aveva cercato di salvare il salvabile, ma per quanto potesse sforzarsi non avrebbe mai vinto contro l’orgoglio dell’amico.
Smontò dal taxi, lasciando il resto all’autista e si avvicinò al cancello per la scansione retinica. Mentre procedeva lungo il vialetto, il cellulare squillò nuovamente per avvisarlo di sms.
 
Ciao. Lo so che non dovrei chiedertelo,
ma farò affidamento sul tuo onore militare e sul tuo buon carattere.
Se ti capita di passare da lui, sii paziente. Non è un bel periodo.

Ps: Buon Natale da tutte le donne Potts.

Sorrise nel leggere l’ultima riga e riprese a camminare mentre digitava una breve risposta.

Farò del mio meglio. Buon Natale anche a voi, Signore.

« Buonasera, Colonnello » esordì il maggiordomo quando raggiunse l’ingresso.
« Ciao JARVIS » rispose, guardandosi attorno con perplessità.
In tutta la sua vita, da quando aveva conosciuto Tony, non aveva mai visto la sua Villa decorata in vista del Natale. Era la prima volta che vedeva un abete scintillante troneggiare sul salotto accanto al pianoforte.
« Il Signor Stark è in laboratorio » lo riscosse l’AI.
James si abbottonò la giacca e scese le scale senza fretta, ripassando mentalmente il discorso. Digitò il codice di accesso ed entrò nel locale, dove trovò il miliardario seduto al tavolo di lavoro intrattenuto da una bottiglia di alcolico – superalcolico – e una ragazza semisvestita con un cappellino da folletto, che ridacchiava sulle sue ginocchia. Non ebbe il bisogno di chiederle chi fosse, convinto che si trattasse una delle tante “amichette” che il miliardario invitava con regolarità quando si sentiva particolarmente festaiolo o pateticamente depresso.
‘Alla faccia del periodo difficile…’, e un pensiero andò a Pepper, che doveva assistere a scene simili – se non – quasi tutti i giorni.
Il Colonnello tossì e Tony si presentò oltre la spalla della corteggiatrice con un sorriso smagliante.
« Rhodey! Vuoi unirti a noi? »
« Potrebbe lasciarci soli? » mormorò rivolto direttamente alla ragazza, che afferrò la maglietta – che ben poco la copriva – e si dileguò.
Tony sghignazzò, apparentemente senza motivo, prima di scolarsi un bel sorso di scotch direttamente dalla bottiglia.
« Devo parlarti di una cosa seria, ci riesci? » esordì l’amico, appoggiandosi con le spalle al muro.
« Okay » disse, lasciandosi cadere sulla poltrona.
« Ci sono dei problemi »
« Mmh… Cosa ho fatto? » mugolò per poi mandare giù un sorso.
« Diciamo che la bravata di Monaco ha impensierito tutti » rispose James, abbassando per un attimo lo sguardo mentre quello di Tony si trasformò in aperta ostilità.
« Continua… »
« Ho ricevuto l’ordine di sequestrarti l’armatura. I miei superiori sono preoccupati »
« Già, perché non lavoro per loro » osservò acidamente.
Era ovvio che venissero a cercarlo, se già non lo aveva fatto Monocolo Fury.
« Tony, non si tratta di me. E’ già tanto che io sia qui al posto dei carri armati »
« Che vengano pure… » biascicò, scacciandolo con un gesto molle della mano mentre si alzava.
« Ma non capisci?! Se non collabori adesso, butteranno giù la tua porta di casa e io non potrò fare niente per difenderti » rispose l’altro sempre più frustrato.
Non solo perché rischiava la carriera, ma anche perché c’era in gioco la vita di un amico.
« Come a Washington? » sibilò Tony velenoso mentre James incrociava le braccia sul petto, calcolando quanto fosse lucido.
« Mi ha scritto Pepper » rispose, cambiando drasticamente i toni della conversazione.
« Perché? » sbottò il miliardario accigliato.
In un’altra occasione avrebbe sorriso di quella manifestazione di gelosia.
« E’ preoccupata e lo sono anch’io – aggiunse grave – Ma se non parli con noi, non possiamo aiutarti ».
Tony lo guardò, spostando il peso da una gamba all’altra. Era instabile, ma riusciva a capire cosa gli stesse dicendo il Colonnello. La sua coscienza tentò di riemergere dall’ebbrezza come un marinaio trascinato da un tifone, ma finì per affogare nel flusso continuo e scombinato che erano immagini, suoni e azioni.
« Nessuno può aiutarmi » dichiarò, dandogli la schiena.
« Vuoi morire? » chiese James senza mezzi termini.
Tony si bloccò sia perché se avesse fatto un passo in più sarebbe con tutta probabilità svenuto, sia perché doveva rifletterci. Cercò di stilare un elenco di pro e contro della propria morte, ma la sua mente era ridotta ad un groviglio confuso di ricordi e sogni, di persone e fantasmi.
« Tu non hai bisogno di un reattore per vivere, perciò non parlarmi come se fosse tutta una questione di volontà »
« E’ una questione di volontà » rispose l’altro, agitando le braccia.
« Ci sto provando, okay?! »
« Ubriacandoti?! ».
Tony si volse a guardarlo e con la medesima mano con cui reggeva il collo della bottiglia, lo indicò mentre avanzava in linea retta. Cosa che meravigliò anche James.
« Quando ti ho proposto di entrare nel progetto Ironman, non mi hai neanche ascoltato »
« Eri appena tornato dall’Afghanistan »
« Oh e dimmi… Tu lo sai com’è stare pigiati in un buco sottoterra dimenticato da Dio? » sussurrò a pochi centimetri dalla faccia di James, che rimase impassibile come una statua di sale.
« Forse ne avrei una vaga idea, se ne parlassi con me »
« Con te? O con le tue medaglie? » sogghignò malignamente per poi indietreggiare e ingollare altri sorsi di scotch.
« Sono tanti anni che te lo voglio chiedere… come fai ad essere così stronzo? » mormorò il Colonnello.
« Forse perché ho il peggiore amico sulla faccia della Terra » rispose il miliardario, alzando un palmo verso l’alto come un bambino che cerca di provare la propria innocenza.
« Beh, neanche tu sei così fantastico. Mi sono esposto in prima linea a quel processo e sapevi benissimo, di essere in torto! » sciorinò una serie di articoli costituzionali, norme e leggi militari, tanto che perfino faticò a seguirsi.
« Ti sei offeso perché non ti ho detto ‘grazie’? »
« Io e Pepper abbiamo lavorato a quella causa perché non ti sbattessero in prigione. Ed è quello che sarebbe successo se- »
« Smettila di metterla in mezzo! » gridò Tony, muovendo un braccio e desiderando di poter spazzar via tutto. Il palladio, lo SHIELD, Stane e il ricordo dell’obitorio.
« Tu le hai affidato le Enterprises, sottoponendola ad uno stress maggiore di quanto già non avesse facendoti da tata. L’hai esposta alla stampa, al mondo dopo esserti disegnato un bersaglio dritto in fronte – rispose James di pari tono – La metto in mezzo perché sei stato tu il primo a farlo »
« Non è vero » bofonchiò, trattenendo l’aria che risaliva dallo stomaco che pareva bruciargli le viscere e a padronanza di tutte le sue facoltà. O almeno quelle razionali.
« Ogni volta che ti rendi conto di averne fatta una delle tue, ti nascondi dietro le sue gambe perché sai che ripulirà sempre. E quel che è peggio, è che te ne approfitti » dimostrò James, fermo a un braccio da lui.
« Ora ho capito qual è il tuo problema: sei geloso »
« Sì. Sono geloso del fatto che qualcuno ti ami così tanto da oltrepassare il tuo carattere di merda e aspettarti. Al posto suo avrei consegnato le dimissioni dieci anni fa »
« Che ne sai tu… »
« Lo so, razza di idiota! Perfino JARVIS lo sa… »
« Vuoi l’armatura? Prenditela e vattene! – sbraitò e gli ci vollero tutte le forze rimastogli per pronunciare quell’accozzaglia di sillabe – Non sei mio padre »
« Probabilmente riuscirebbe a farti capire quanto tu sia stupido! » scoppiò James che non ebbe neanche il tempo di realizzare, figuriamoci fermare, il gancio che gli arrivò sul viso.
La botta, che quasi gli spezzò il naso, lo fece vacillare. Trattenne il fiato nei polmoni, la rabbia nelle mani a coprirsi il setto da cui colava sangue.
I suoi occhi si sbarrarono in quelli bui di Tony, con la cognizione che avrebbe potuto usare la bottiglia. Avrebbe voluto dirgli quanto fosse facile scappare, difficile combattere perché non si ottengono le cose solo perché le si desiderano. Ma era talmente attonito che non riusciva neanche a metabolizzare l’accaduto. Fu l’amico a farlo per lui con un’unica frase.
« Chiudi bene la porta quando te ne vai ».
 
Angolo Autrice: Voilà! Finalmente sono tornata in pista :D
La maturità è finita con risultati perfino migliori delle previsioni e adesso, sono libera di rompervi le scatole. O almeno fino ad ottobre perché poi riprenderò gli studi.
Ma state tranquilli, il mio lavoro non finirà certo in questo fandom, eheheh
Anche perché abbiamo ancora moooolto da affrontare e soprattutto Tony dovrà subire altre grosse batoste (sono sadica? certamente u.u) prima di trovare una giusta e meritata ricompensa ;)
Che altro dire? I toni di questo capitolo si sono fatti rossi e non solo perché siamo a Natale *ops* e spero che sia riuscita ad alleviare la calura di questi giorni (non so voi, ma a me manca la neve... e il gelo...) oltre che sessioni estive come quelle di 
_Lightning_, che ringrazio ancora tantissimissimo per le recensioni a cui spero di rispondere quanto prima e soprattutto in modo adeguato (le ho lette con gioia, come sempre e sì, hanno alleggerito molto la tensione degli esami <3 GRAZIE, spero di aver ricambiato il favore :* ).

Ringrazio in ultima istanza ancora tutti voi - visitatori silenziosi, inclusi - e dato che per il momento è tutto, linea allo studio!
Al prossimo capitolo,
50shadesOfLOTS_Always
 
PS: BUONE VACANZE A TUTTI!!

   
 
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