DENTRO L’OSCURITÀ
Quando Marinette aprì gli occhi e non vide nulla, pensò per un secondo di essersi sbagliata e che la caduta dalla torre Eiffel l’avesse uccisa. Aveva sempre pensato che dopo la morte non si provasse dolore, invece avvertiva un’intensa pressione pulsante dietro la nuca; era come se qualcuno l’avesse colpita con una mazza. Infilò una mano tra i capelli e si osservò le dita per controllare se fossero sporche di sangue, ma quelle erano pallide e pulite davanti ai suoi occhi. Si guardò attorno, c’era solo lei, allora sperò davvero di non essere morta, perché non voleva passare il resto dell’eternità da sola in un posto simile. Sbirciò alle sue spalle, ma non trovò nulla.
«Tikki?» domandò. E non ricevette alcuna risposta.
Aguzzando l’orecchio poteva sentire qualcuno urlare in lontananza, non riusciva a comprendere le parole, ma il fatto che qualcuno fosse lì con lei riuscì a rincuorarla. Fece un salto in avanti, nella direzione da cui pensava che la voce provenisse; qualcuno stava ponendo delle domande, ma Marinette non riusciva a udire più che qualche confusa parola senza senso. Corse, i pugni stretti e le labbra serrate, il dolore alla testa dimenticato. Riconobbe la voce di Nino poco prima di riuscire a distinguere le due figure distanti solo poche decine di metri; le luci che spiccavano nel buio la separavano da loro, impedendole di mettere a fuoco e riconoscere chi aveva davanti, ma arrivata più vicina capì immediatamente che la persona con cui il ragazzo stava parlando era una perfetta estranea.
«La carovana sta arrivando.» la sentì dire, poi la donna le lanciò un’occhiata di sbieco prima di indietreggiare e sparire, accompagnata da un ticchettio che provocò a Marinette un brivido.
«Nino!» gridò Marinette.
Lui si voltò a guardarla e si illuminò, le sorrise ed allargò le braccia.
Marinette gli si gettò addosso e lo abbracciò.
«Diamine! Non puoi immaginare che cosa ho vissuto.» le disse lui.
«Tu non puoi immaginare cosa ho vissuto io.» ribatté lei.
Lo lasciò andare e gli sorrise, ma l’entusiasmo di non essere più sola scemò in fretta. Gli diede una spinta per allontanarlo, lo squadrò dall’alto in basso, lo osservò ad occhi tanto sgranati da sentirli dolere e deglutì.
«Come so che sei reale?» gli chiese.
Lui sbatté gli occhi. «Potrei farti la stessa domanda.»
Rimasero a fissarsi per qualche istante, Marinette non voleva esporsi per prima e sembrava che lui pensasse la stessa cosa, perché si era improvvisamente allontanato ed ora era rigido davanti a lei, le braccia premute contro i fianchi ed il viso sollevato come se fosse sull’attenti. Nessuno dei due parlò per alcuni secondi, si scrutarono a vicenda come alla ricerca della conferma delle loro identità, ma non c’era modo per averne.
Marinette studiò il naso prominente dell’amico, le sue cuffie familiari premute contro il collo, gli occhiali scuri sul viso e tutto il resto cercando un segno, un difetto che avrebbe potuto rivelarle se fidarsi o no, ma non sembrava che ci fosse nulla di rilevante a cui aggrapparsi. Le finestre di luce si riflettevano sulle sue guance, fu l’unica cosa che la spinse a voltarsi verso di loro.
Prima non ci aveva guardato dentro, ma appena notò gli scenari in cui erano immersi gli amici non riuscì più a distogliere lo sguardo; Alya sul letto avvinghiata ad un’altra versione di Nino, Chloe che nel panico totale svuotava ogni cassetto e rivoltava ogni cuscino della sua camera, Adrien chino in avanti e stretto nella camicia di forza.
«Non sono riuscito a tirarli fuori.» disse Nino. «Credevo di poterlo fare, credevo di essere riuscito a raggiungerli, ma... io non lo so cos’è successo... ero lì, ci ero quasi, poi... poi ero di nuovo qui.»
Il suo volto pallido esprimeva disagio, evitava il suo sguardo, premendo i palmi uno contro l’altro. «Non era reale.» concluse per lui Marinette.
Lui annuì. «Non era reale.»
Marinette si morse il labbro, la vista di Adrien che dondolava avanti e indietro a capo chino le faceva mancare il fiato, ma il fatto che fosse vivo bastava a farla tornare a respirare ancora, con le lacrime intrappolate agli angoli degli occhi ed il bisogno di fare qualcosa che la corrodeva.
«Se provassimo a raggiungerli potremmo dare inizio ad un’altra illusione.» disse Nino. Scrollò le spalle e sospirò.
«Chi era quella?» chiese Marinette. Indicò con un ceno la direzione in qui la donna era sparita, ora c’era solo oscurità, ma lei avrebbe potuto essere comunque abbastanza vicina da sentirli e questo la spaventava. Loro erano ciechi, ma nessuno poteva assicurarle che anche lei lo fosse. Strizzò gli occhi, ma non servì.
«Non lo so.» disse Nino con una scrollata di spalle.
Allora Marinette si tiro indietro la frangia. «Deve essere stata lei a trascinarci qui.»
«Ma cosa vuole da noi?»
Marinette aprì la bocca per rispondere, ma non riuscì a trovare una risposta da dargli e rimase a fissarlo con la bocca aperta. Se la donna avesse voluto i loro Miraculous avrebbe potuto prenderli in ogni momento, una volta dato inizio alle allucinazioni. Se avesse voluto ucciderli li avrebbe potuti cogliere di sorpresa già da un bel pezzo, ma non l’aveva fatto e, anzi, non sembrava averne intenzione. «Penso che voglia farci diventare pazzi.»
Nino sollevò le sopracciglia, forse vagliando l’ipotesi.
Se il suo scopo era quello, Marinette era certa che fosse vicina a riuscirci; farli diventare matti, confonderli fino a rendergli impossibile distinguere la realtà dall’incubo, avrebbe potuto portarli a diffidare l’uno dell’altro con un uno schiocco di dita ed allora sarebbero stati isolati, incapaci di difendersi a vicenda e spalleggiarsi come erano soliti fare da sempre.
Guardando l’amico ancora una volta, si rese dolorosamente conto che non era ancora certa che lui fosse reale.
«Tikki?» domandò. E non ricevette alcuna risposta.
Aguzzando l’orecchio poteva sentire qualcuno urlare in lontananza, non riusciva a comprendere le parole, ma il fatto che qualcuno fosse lì con lei riuscì a rincuorarla. Fece un salto in avanti, nella direzione da cui pensava che la voce provenisse; qualcuno stava ponendo delle domande, ma Marinette non riusciva a udire più che qualche confusa parola senza senso. Corse, i pugni stretti e le labbra serrate, il dolore alla testa dimenticato. Riconobbe la voce di Nino poco prima di riuscire a distinguere le due figure distanti solo poche decine di metri; le luci che spiccavano nel buio la separavano da loro, impedendole di mettere a fuoco e riconoscere chi aveva davanti, ma arrivata più vicina capì immediatamente che la persona con cui il ragazzo stava parlando era una perfetta estranea.
«La carovana sta arrivando.» la sentì dire, poi la donna le lanciò un’occhiata di sbieco prima di indietreggiare e sparire, accompagnata da un ticchettio che provocò a Marinette un brivido.
«Nino!» gridò Marinette.
Lui si voltò a guardarla e si illuminò, le sorrise ed allargò le braccia.
Marinette gli si gettò addosso e lo abbracciò.
«Diamine! Non puoi immaginare che cosa ho vissuto.» le disse lui.
«Tu non puoi immaginare cosa ho vissuto io.» ribatté lei.
Lo lasciò andare e gli sorrise, ma l’entusiasmo di non essere più sola scemò in fretta. Gli diede una spinta per allontanarlo, lo squadrò dall’alto in basso, lo osservò ad occhi tanto sgranati da sentirli dolere e deglutì.
«Come so che sei reale?» gli chiese.
Lui sbatté gli occhi. «Potrei farti la stessa domanda.»
Rimasero a fissarsi per qualche istante, Marinette non voleva esporsi per prima e sembrava che lui pensasse la stessa cosa, perché si era improvvisamente allontanato ed ora era rigido davanti a lei, le braccia premute contro i fianchi ed il viso sollevato come se fosse sull’attenti. Nessuno dei due parlò per alcuni secondi, si scrutarono a vicenda come alla ricerca della conferma delle loro identità, ma non c’era modo per averne.
Marinette studiò il naso prominente dell’amico, le sue cuffie familiari premute contro il collo, gli occhiali scuri sul viso e tutto il resto cercando un segno, un difetto che avrebbe potuto rivelarle se fidarsi o no, ma non sembrava che ci fosse nulla di rilevante a cui aggrapparsi. Le finestre di luce si riflettevano sulle sue guance, fu l’unica cosa che la spinse a voltarsi verso di loro.
Prima non ci aveva guardato dentro, ma appena notò gli scenari in cui erano immersi gli amici non riuscì più a distogliere lo sguardo; Alya sul letto avvinghiata ad un’altra versione di Nino, Chloe che nel panico totale svuotava ogni cassetto e rivoltava ogni cuscino della sua camera, Adrien chino in avanti e stretto nella camicia di forza.
«Non sono riuscito a tirarli fuori.» disse Nino. «Credevo di poterlo fare, credevo di essere riuscito a raggiungerli, ma... io non lo so cos’è successo... ero lì, ci ero quasi, poi... poi ero di nuovo qui.»
Il suo volto pallido esprimeva disagio, evitava il suo sguardo, premendo i palmi uno contro l’altro. «Non era reale.» concluse per lui Marinette.
Lui annuì. «Non era reale.»
Marinette si morse il labbro, la vista di Adrien che dondolava avanti e indietro a capo chino le faceva mancare il fiato, ma il fatto che fosse vivo bastava a farla tornare a respirare ancora, con le lacrime intrappolate agli angoli degli occhi ed il bisogno di fare qualcosa che la corrodeva.
«Se provassimo a raggiungerli potremmo dare inizio ad un’altra illusione.» disse Nino. Scrollò le spalle e sospirò.
«Chi era quella?» chiese Marinette. Indicò con un ceno la direzione in qui la donna era sparita, ora c’era solo oscurità, ma lei avrebbe potuto essere comunque abbastanza vicina da sentirli e questo la spaventava. Loro erano ciechi, ma nessuno poteva assicurarle che anche lei lo fosse. Strizzò gli occhi, ma non servì.
«Non lo so.» disse Nino con una scrollata di spalle.
Allora Marinette si tiro indietro la frangia. «Deve essere stata lei a trascinarci qui.»
«Ma cosa vuole da noi?»
Marinette aprì la bocca per rispondere, ma non riuscì a trovare una risposta da dargli e rimase a fissarlo con la bocca aperta. Se la donna avesse voluto i loro Miraculous avrebbe potuto prenderli in ogni momento, una volta dato inizio alle allucinazioni. Se avesse voluto ucciderli li avrebbe potuti cogliere di sorpresa già da un bel pezzo, ma non l’aveva fatto e, anzi, non sembrava averne intenzione. «Penso che voglia farci diventare pazzi.»
Nino sollevò le sopracciglia, forse vagliando l’ipotesi.
Se il suo scopo era quello, Marinette era certa che fosse vicina a riuscirci; farli diventare matti, confonderli fino a rendergli impossibile distinguere la realtà dall’incubo, avrebbe potuto portarli a diffidare l’uno dell’altro con un uno schiocco di dita ed allora sarebbero stati isolati, incapaci di difendersi a vicenda e spalleggiarsi come erano soliti fare da sempre.
Guardando l’amico ancora una volta, si rese dolorosamente conto che non era ancora certa che lui fosse reale.
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