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Autore: WhiteLight Girl    16/07/2018    2 recensioni
Adrien aspetta Marinette per pranzare, ma quando lei non si presenta in orario al loro appuntamento alla pasticceria ci mette un po' a rendersi conto che Ladybug è in televisione. Un nuovo nemico è comparso a Parigi, ma quando Chat Noir raggiunge il posto è solo con un'immensa distesa di ragnatele. Prima di riuscire a trovare Ladybug e gli altri eroi, il ragazzo viene colpito alla nuca e perde i sensi. Si risveglia in ospedale, dove gli viene detto che Marinette è rimasta uccisa nel fuoco incrociato, ma lui si rifiuta di crederci.
***
La ripresa aerea non le rendeva giustizia, ma c’era ben poco da ammirare quando la sua comparsa significava guai seri in città e la presenza di Rena Rouge al suo fianco non faceva altro che avvalorare la tesi.
«A pensarci, forse dovrei telefonarle.» mormorò Adrien. Ad una prima occhiata, Plagg sembrava stupito dal suo repentino cambio di idea, ma Sabine si limitò a fargli l’occhiolino.
«Anzi, forse dovrei andarle incontro, assicurarmi che non si perda.»
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Alya, Chloè, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’INCANTEVOLE STREGA

Marinette avrebbe tanto desiderato essere certa che Nino fosse reale, allargare le braccia e tenerlo stretto per rassicurare entrambi, ma la diffidenza che provava e che vedeva riflessa nei suoi occhi glielo impediva. Chi avrebbe potuto assicurarle che lui non volesse portarla fuori strada? Come avrebbe potuto sapere per certo che il modo in cui lui esprimeva la sua preoccupazione nei confronti degli altri non fosse una semplice messa in scena?
Si trovò a pensare alla Alya con cui aveva avuto a che fare, al modo incredibile in cui somigliava a quella reale, tanto che aveva pensato che lo fosse e che l’allucinazione riguardasse tutto il resto, ma non lei. Col senno di poi, si rese conto che era stupido, che probabilmente per abbandonare un’allucinazione collettiva avrebbero dovuto lavorare insieme, o che se davvero quello fosse stato il sogno di tutti loro l’assenza di Adrien sarebbe stata un pessimo segno. Scosse il capo per non pensarci.
«Non voglio dovermi guardare le spalle anche da te.» le disse Nino con voce flebile.
Per un attimo Marinette pensò di averlo immaginato, poi accennò un sorriso; non c’era alcun motivo per ferirlo, nel caso fosse stato davvero lui.
Attraverso le finestre di luce poteva vedere Adrien, Chloe, Alya e Nino, ma se il Nino reale fosse stato proprio quello e non il ragazzo che aveva davanti? Non riusciva a togliersi dalla testa quel dubbio, poi sentì l’amico sbuffare.
«Maledizione!»
Lo vide passarsi una mano tra i capelli e stringere la mascella, il fastidio della scena che gli si era palesata davanti, dove l’altro Nino stava spogliando Alya, era evidente.
«Non riesco a farmi sentire.» le spiegò. «Ho provato anche a chiamarli, ma niente.»
Non gli rispose, incerta su cosa avrebbe potuto dirgli per rassicurarlo, ma a lui non sembrava comunque importare.
Un suono acuto infranse il silenzio appena formatosi tra loro, riecheggiò diverse volte come se provenisse contemporaneamente da più direzioni, ma guardarsi attorno non servì a capire chi o cosa l’avesse provocato.
Marinette non si accorse dell’improvvisa vicinanza con Nino fino a quando le sue dita non le sfiorarono il polso, allora ebbe un sussulto e si morse il labbro. Spalla contro spalla, si assicurarono di coprirsi a vicenda nonostante tutto.
«Cos’era?» chiese Nino.
Marinette arretrò per sentire il suo calore rassicurante. «Non lo so, un uccello?»
Il suono si ripeté un’altra volta ed ancora riecheggiò tutto attorno, lei e Nino fecero un mezzo giro per poter scrutare l’uno nella direzione in cui poco prima aveva guardato l’altro. Stare vicino agli scenari in cui erano intrappolati i loro amici gli dava un’irragionevole sensazione di sicurezza, Marinette sapeva che non avrebbe dovuto permettere che questo la rassicurasse; che avrebbe potuto essere una distrazione.
«Sto per farmela sotto.» rivelò Nino.
In qualche modo, l’affermazione riuscì a sciogliere un po’ dell’ansia di Marinette, ma durò poco. Ricordare ogni dubbio che aveva nei suoi confronti fu facile, specialmente quando il verso riecheggiò una terza volta, poi una quarta ed una quinta. Ogni volta sembrava più vicino, ogni volta a Marinette sembrava di essere un po’ più esposta. Non c’erano posti in cui nascondersi, non c’era nulla con cui difendersi, non c’era Tikki ad indicarle cosa fare.
«Dov’è Wayzz?» domandò.
«Non ne ho idea.» rispose Nino. «Non l’ho visto, quando mi sono ritrovato qui.»
Marinette portò le dita ai lobi delle orecchie e scoprì che non aveva più gli orecchini, chiuse gli occhi per non lasciare che il panico la cogliesse, per calmare il battito del suo cuore che infuriava. Il verso dell’uccello risuonò tanto vicino da ferirle le orecchie, pensò che probabilmente l’aveva già sentito in qualche film o documentario, anche se non riusciva a ricordare bene che aspetto avesse. Il frullare di un paio d’ali le diede conferma di ciò che stava pensando, ma nel cercarne la provenienza ritrovò la figura che aveva visto parlare con Nino solo pochi minuti prima.
«La carovana sta arrivando,» disse la donna. «È stato il falco a condurla fin qui.»
Marinette la osservò bene, la pelle pallida mentre camminava piano verso di loro, c’era qualcosa che si muoveva sotto la sua ampia gonna, provocando un movimento delle pieghe totalmente innaturale. Avrebbe voluto chiederle cosa volesse da loro, ma lei non gliene lasciò il tempo.
«Abbiamo solo una richiesta e quando avremo ottenuto ciò che vogliamo ce ne andremo e sarà come se non fossimo mai stati qui.»
«Non mi sembra che siate così pacifici.» ribatté Nino.
«Non mi sembra che abbiamo fatto del male a nessuno di voi.» ribatté la donna.
Ogni suo passo ticchettava, la gonna era rigonfia nella parte posteriore, tanto che a Marinette parve che indossasse una crinolina; di certo non sarebbe stata la cosa più bizzarra.
«Non abbiamo nulla che possa interessarvi.» le disse Marinette.
Intrappolarli in delle allucinazioni, separarli e poi dire loro una cosa simile, la ragazza non riusciva a capire come avrebbero potuto pretendere che si fidassero.
«Possiamo restituirveli illesi, per questo io sono qui; per dimostrarvi che potete fidarvi, che non deve esserci per forza uno scontro.»
Qualcosa nella donna provocava un tremito particolare in Marinette; risvegliava in lei una sorta di paura ancestrale che non riusciva a definire bene. «Uno strano modo per dimostrarlo.» disse.
«Ho creato questi mondi per tenervi al sicuro, ma anche per farvi vedere cosa accadrebbe se dovesse accadere qualcosa a qualcuno di voi, se le vostre più grandi paure dovessero prendere vita. Non sarete in grado di liberarvene, non se non sarò io a permettervelo.»
Gli occhi neri scintillarono, Marinette afferrò la mano di Nino e lui la strinse.
«Ma noi siamo riusciti ad uscirne.» le fece notare il ragazzo.
La donna rise. «Ne siete fuori quanto lo eravate prima, anche questo posto è una mia creazione.» Seppure con un moto di delusione, Marinette fu felice che ciò significasse che forse c’era ancora una speranza che non l’avessero separata da Tikki, che in qualche modo avrebbe avuto ancora il modo di combattere, se fosse riuscita ad uscire da lì.
«Se davvero non vuoi combattere allora dimostra di essere in buona fede, lascia che ci svegliamo, lasciaci controllare con i nostri occhi che i nostri amici stanno bene.» propose Marinette.
«Mi sembra giusto, ma non è ancora il momento. La carovana è quasi qui.» le disse la donna, che li raggiunse. Il braccio era teso ad indicare le finestre sulle illusioni, il sorriso sul volto altrimenti inespressivo. Quando le passò accanto, Marinette riuscì a scorgere le piccole punte delle zampe da ragno emergere dalla gonna ad ogni passo. Il falco stridé ancora, sempre più vicino. «Nell’attesa vorrei invitarvi a vivere uno degli incubi dei vostri amici.»
Marinette aprì la bocca per domandarle cosa intendesse, ma l’improvvisa assenza del terreno sotto i suoi piedi glielo impedì e lei si ritrovò a precipitare, incapace di fermarsi ed aggrapparsi a qualunque cosa. Un nuovo mondo roteò attorno a lei, costruendo pezzo per pezzo le forme di una stanza a partire da un vortice confuso di oggetti deformati. Adrien era al centro della camera, legato al lettino.
«Adrien!» esclamò, incapace di trattenersi. Corse verso di lui e si chinò a scostargli la frangia dagli occhi, sperando in una sua reazione, ma lui rimase fermo a fissare ostinatamente il soffitto. Ladybug allentò la cinghia che gli bloccava la mano e tentò di rassicurarlo: «Ti porto fuori di qui.» gli disse. Sganciò la cinghia che gli premeva sul petto e gli girò attorno liberandogli anche ginocchia e piedi, poi liberò anche la mano rimanente e si soffermò ad osservare la cannula che lui aveva infilata nell’incavo del gomito, sfiorandola con la mano guantata. Non vi era attaccata alcuna flebo, ma Marinette dovette comunque sforzarsi di ricordare che quello che avevano fatto ad Adrien non era reale, prima di trovare il coraggio di afferrarla.
Fu allora che Adrien si sollevò e le afferrò il polso. «Smettila.» le disse. «Smetti di giocare con la mia testa, chiunque tu sia, qualunque cosa tu sia.»
«Di cosa stai parlando?» gli domandò. «Sono venuta a portarti via, mi dispiace averci messo tanto, ma ora sono qui.»
Cercò di avvicinarsi a lui, ma Adrien la spinse via.
«Tu sei morta! Tu sei morta!» ripeté.
Lei scosse il capo. «No! Sono viva, sono qui!»
«Vattene.» le disse.
All’improvviso, Marinette comprese che anche se tutto ciò che il ragazzo aveva vissuto non era reale, avrebbe rischiato di lasciargli ferite profonde nell’animo.
Tese un braccio per raggiungerlo, per fargli sentire il suo calore, qualunque cosa che potesse fargli capire che era davvero lei. «Non senza di te.»
Piuttosto che lasciarsi toccare, Adrien afferrò il tubo della flebo e le strinse la spalla, spingendola a voltarsi. Spiazzata, Ladybug non riuscì ad impedirgli di avvolgerle il tubo attorno al collo ed iniziare a stringere la presa per soffocarla.
«Lasciami stare! Tu non esisti! Non sei reale! Sei solo nella mia testa!» disse Adrien.
Ladybug s’irrigidì, si aggrappò al tubo, piegò le ginocchia per sfuggire al ragazzo, agitò le spalle sperando che questo gli facesse perdere la presa, mentre il bisogno di prendere fiato si faceva sempre più impellente. Mugolò e tremò, gli strinse i polsi usando la forza che le restava, cercò un appiglio per costringerlo a lasciarla andare finché la necessità di respirare fu tutto ciò che restava, prima che macchie scure iniziassero a danzare davanti ai suoi occhi e non ebbe più la forza di continuare. Nemmeno allora lui la lasciò andare, le braccia le scivolarono molli contro i fianchi mentre perdeva i sensi, provando una fin troppo realistica sensazione di morire.
   
 
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