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Autore: 50shadesofLOTS_Always    16/07/2018    4 recensioni
Dal terzo film della saga: “Si comincia con qualcosa di puro, di eccitante. Poi arrivano gli errori, i compromessi. Noi creiamo i nostri demoni.”
I demoni - e non solo - incombono su Tony Stark, che ha appena dichiarato al mondo di essere Iron Man...
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[probabile OOC di Tony/dosi massicce di Pepperony con una spolverata di zucchero a velo/perché amo Ironman]
Genere: Azione, Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tony Stark
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note pre-capitolo: Salve salvino! Fra gli avvertimenti di questa mia ff, ho selezionato la voce “tematiche delicate”, ma ho comunque trovato opportuno fare un piccolo appunto: in un dialogo sottostante, troverete una descrizione un po’ cruda della realtà del conflitto (ho preso spunto da altri film e – purtroppo – da fatti di cronaca). Spero di non aver esagerato.
Se così fosse, fatemelo sapere e modificherò seduta stante.
Buona lettura!

FROM YOUR EYES

“I know you, you’re a special one. Some see crazy where I see love.
You fall so low but shoot so high, big dreamers shoot for open sky.
So much life in those open eyes. So much depth, you look for the light.
But when your wounds open, you will cry.”
- Rainbow, Sia
 
“Maybe it’s 6:45, maybe I’m barely alive.
Maybe you’ve taken my shit for the last time…
Maybe I know that I’m drunk, maybe I know you’re the one.
Maybe you’re thinking it’s better if you drive.”
- Girls like you, Maroon 5 

Non aveva memoria di patate così dure da schiacciare. Sua madre si era arresa alle sue continue lamentele di sentirsi messa in disparte nella preparazione della cena, a tal punto da consentirle di preparare il purè. Tuttavia, sentendo il braccio formicolare, cominciò a pentirsi di aver tanto insistito e quasi recriminava il non essersi inserita nel dibattito del momento: stabilire quante probabilità avesse il futuro matrimonio di Caroline, nipote di sua zia Diane, e di Jimmy. Per quello che ne sapeva Virginia, i due si erano lasciati e ripresi più volte nel corso di soli tre anni e dopo un altro, avevano deciso di convolare a nozze. La notizia non era stata presa bene, non da tutti in famiglia e soprattutto avevano fatto in modo che nessuno degli sposi fosse a conoscenza del diffuso disaccordo.
‘Ovviamente’, pensò mentre si fermava per rianimare la mano.
« So che ieri è andata a scegliere il vestito » mormorò Avery mentre spolverava di zucchero a velo le mince pies, che avrebbero decretato più tardi la fine del cenone.
« A che le serve? Non dureranno » dichiarò Amelia mentre sistemava due ciotoline della salsa cranberry agli estremi del tavolo, che Daisy ed Elinor – vedova del patriarca Potts – stavano apparecchiando con cura.
« Perché dici una cosa simile?! » scattò Avery suscettibile e per poco non imbiancò Emma, che stava controllando il tacchino nel forno.
« Lui è un imbecille e lei è troppo giovane » replicò la madre.
« Non esiste un’età per l’amore » la riprese la figlia dandosi delle arie da donna vissuta.
« No, ma esiste per il matrimonio. A venti anni bisognerebbe divertirsi » si associò Diane.
« Noi non potevamo permettercelo » replicò Elinor quasi sovrappensiero.
« Ben detto! Due secoli per ottenere l’indipendenza di genere e poi si corre in chiesa quando ancora si porta il pannolino » borbottò nuovamente Amelia e Virginia dovette impedirsi di ridere a crepapelle per il paragone. ‘Sono proprio sorelle’, si disse, lanciando un’occhiata alla madre.
« Ognuno ha le proprie lancette biologiche » convenne Avery infine – giusto per non darsi per vinta – innervosita.
« E poi come hanno intenzione di sopravvivere? – aggiunse Diane, agitando in aria il piccolo mestolo di legno che stava utilizzando come se avesse la sposa davanti – Non si è neanche creata una carriera per stare dietro a un uomo »
« Il lavoro non è l’unica cosa che conta. Costruirsi una famiglia è ugualmente importante » intervenne Emma con tono solenne.
« Io sarei contenta di avere una figlia intraprendente come lei – rispose l’altra, riferendosi all’unica donna che ancora non aveva aperto bocca – Tu che ne pensi, Ginny? » chiese, rivolgendoglisi direttamente.
Virginia, che stava ancora lottando con la ciotola per il purè, sollevò gli occhi sulla cugina Avery che intanto aspettava un sostegno.
« Beh… Se sono sicuri di volersi bene, non vedo perché non debbano sposarsi. Certo, è piuttosto giovane – specificò e sia Amelia che Diane si guardarono con complicità – Personalmente sono soddisfatta della mia vita eppure ho trentasei anni e non sono sposata » concluse, poggiando la ciotola sul tavolo.
« Lavori ancora per Stark, vero? » chiese Amelia e Virginia rispose con un muggito d’assenso mentre cercava di riavere indietro il paiolo di legno, che sembrava essersi incollato alla purea.
« Cosa?! » strillò Daisy che non era stata informata.
« Pensavo fosse morto in un incidente » si espresse Elinor.
« Ti confondi col padre Howard » la corresse Emma senza staccare gli occhi dalla cottura dell’arrosto.
« Tu lavori per Anthony Edward Stark? » domandò ancora la ragazzina, accantonando il proprio compito e avvicinandosi alla zia come se fosse un miraggio.
« Sì » rispose Virginia, lanciandole un’occhiata.
« Intendi quel miliardario, superfigo con un’armatura rosso e oro? – annuì di nuovo e vide gli occhi della nipote trasformarsi in due palle da biliardo luccicanti – Com’è? »
« Ehm… Beh… »
« L’ho visto sul giornale – intervenne Diane – Ha preso tutto il fascino dal padre »
« Vuoi dire i soldi » sibilò Amelia a braccia conserte.
Virginia intanto stava cercando di accontentare sua nipote.
C’erano tanti piccoli aspetti che facevano di Tony un individuo estremamente intelligente e gradevole. Al di là del puntiglioso sarcasmo, dell’irritante arroganza e del latente infantilismo, era in grado di affascinarla senza aprire bocca. Nonostante non sapesse nulla né di meccanica né di ingegneria, lo ammirava. Non solo per la laurea summa cum laude.
« E’… Un po’ eccentrico » ammise, mettendo da parte il purè e l’ennesima postilla acida di sua zia Amelia.
« Tipico »
« E alle volte può essere antipatico. Ma è… – guardò il soffitto per poi sorridere, affabile – E’ gentile e generoso con chi vuole esserlo ».
« Posso incontrarlo? » perseverò Daisy, battendo le mani per poi giungerle in preghiera.
« Daisy! » la riprese Emma.
« E’ un uomo impegnato e potrebbe… ».
Virginia intervenne, interrompendo sua zia Diane mentre Elinor studiava la nipote.
« Vedrò che posso fare, ma non ti prometto niente »
« Neanche un autografo? »
« Per quello non sarà un problema » assentì in ultima istanza e Daisy cominciò a saltellare da una parte all’altra della cucina.
« Evvai! A scuola farò un figurone. Zia Ginny, sei la migliore » decretò, strizzandola in un abbraccio per poi trotterellare verso il giardino, dove Morgan si era piazzato per a giocare a solitario.
Virginia rise, osservandola poi si girò verso le altre donne, prospettandosi un possibile incontro tra Tony e sua nipote.
« Che c’è? » domandò innocentemente, senza riuscire a far cambiare piega alle proprie labbra.
« Mmhniente… » negarono Diane ed Amelia e lei tornò seria, scrutandole con aria inquisitoria.
Puntò sua madre, che vedendo la perplessità stampata a caratteri cubitali sulla sua faccia, scosse le spalle.
« Pensano che tu e il Signor Stark »
« …abbiamo solo un rapporto professionale » terminò, appoggiandosi sul tavolo con un braccio.
« Vorresti dirmi che non hai mai fatto un pensierino sul tuo capo? » chiese Amelia mentre le levava la ciotola con le patate.
« Ma per chi mi avete presa? » sbottò, fissando alternativamente le zie.
« Per una bella » esordì Diane.
« …donna in carriera » seguitò l’altra.
« …che deve cominciare a pensare di sistemarsi »
« Ma se avete appena sostenuto il contrario?! » disse Virginia, sollevando entrambe le braccia.
« E perché non con un bel miliardario? »
« Non è per i soldi che… Uff! Mi avvalgo della facoltà di non rispondere » ritrattò, alzando entrambe le palme.
« Bambina, qui quella regola vale meno di un penny » le ricordò Elinor, compassionevole.
Virginia la guardò, buttò fuori il fiato che aveva trattenuto – per non dare in escandescenze – e rilassò la schiena. ‘Le accontenterò, così poi mi lasceranno in pace’.
« Va bene. Ammetto che è un uomo… Attraente – Diane e Amelia scoppiarono a ridere – Ma non è sicuramente il mio tipo… Mamma! » proruppe quando con la coda dell’occhio si accorse che sua madre la stava tradendo.
« Suvvia, Ginny! A noi puoi dirlo » la lusingò Diane un po’ meno canzonatoria.
« Io e Tony. Siamo. Solo. Colleghi » scandì Virginia, incrociando le braccia sotto il seno.
« Adesso l’ha chiamato Tony » sussurrò Amelia alle sue spalle come un diavoletto.
« Perché è il suo nome! »
« Se siete solo colleghi perché quando è stato rapito, sei corsa qui in lacrime? » s’intromise Emma e Virginia si volse per guardarla, ferita da quel secondo atto d’infedeltà.
Aveva faticato a confidarsi e adesso stava mettendo alla berlina le sue emozioni.
Elinor si fece scura in volto quando le nuore sghignazzavano.
« Ero sconvolta! Cosa dovevo fare, secondo voi?! » si difese, deglutendo quando si accorse con orrore che la propria voce si era incrinata.
« Raffreddate i bollenti spiriti! – si frappose Elinor, lasciando intendere la propria disapprovazione per quell’attacco – Lasciatela stare ».
Diane guardò Amelia e abbassò il capo. Emma distolse gli occhi da quelli umidi di Virginia, che aggirò il tavolo e ringraziò Elinor con un bacio sulla guancia.
« Grazie, nonna » disse per poi allontanarsi da quella stanza.
 
Neanche un’ora dopo le donne rimaste in cucina fecero il nome di Daisy, che corse al piano di sopra per lavarsi le mani. Elinor camminò verso il giardino dove il maggiore dei suoi figli aveva accolto sua nipote in una muta partita a carte.  
« Morgan, alza le chiappe e va’ a tavola – ordinò e lui obbedì, lasciando la postazione e accennando ad una carezza sulla spalla della giovane – Virginia, vieni anche tu ».
« Mi è passato l’appetito » bofonchiò lei, raccogliendo il mazzo e mescolando per iniziare il solitario.
Sapeva che il proprio atteggiamento fosse infantile, ma proprio non voleva andarle giù il comportamento di sua madre ed Elinor, che aveva compreso perfettamente, si mosse per accomodarsi al posto di Morgan.
« Stesso carattere di tuo padre – sospirò, ripensando al suo secondo figlio – Quando lo si pungeva su un nervo scoperto, teneva il muso per giorni ».
« E’ solo che non capisco perché debbano insinuare… »
« Quando hai parlato di lui a Daisy, ti si sono illuminati gli occhi – Virginia si zittì, abbandonando le carte – E hai sorriso come tuo padre quando vedeva tua madre ».
« Scusami solo un momento – disse e afferrò il cellulare che teneva in una tasca dell’abitino – Oh, no…»
« Che succede? » domandò Elinor e lei sollevò un dito.
« Happy? » rispose con l’apparecchio vicino al lobo auricolare.
Lo chaffeur, nascosto per il bene della propria incolumità, sporse appena il telefono oltre il muro dietro si era schiacciato.
Virginia socchiuse gli occhi e anelò quando sentì chiaramente il fracasso di vetri che s’infrangevano in mille pezzi e gli infissi che cadevano sul pavimento.
« Sto arrivando ».

*


Happy le aveva aperto il cancello della proprietà per poi dileguarsi senza dire una parola.
Espirò, stringendo ancora una volta le dita attorno al volante e scese dalla vettura. Digrignò i denti quando si ricordò delle tortine e dell’arrosto che sua madre le aveva confezionato – in segno di pace – con la scusa di fare assaggiare tutto al Signor Stark. Impilò le scodelle incartate su un braccio e prese la borsa con la mano libera. Chiusa la macchina si avvicinò all’ingresso, ma cambiò strada quando si ricordò che la porta era già stata sigillata dal sistema. Avanzò, preceduta dall’accensione di un sentiero che si spegneva alle sue spalle, per poter osservare il cielo stellato. La luna venne momentaneamente oscurata da un banco di nuvole quando imboccò una biforcazione, percorribile solo a piedi, che attraversava il prato. Venne condotta a un terrazzamento affacciato sul Pacifico, piatto come una tavola, dove una piscina era illuminata sul fondo da alcuni faretti azzurri. Uno dei bordi dava l’idea di gettarsi dalla scogliera, grazie ad uno spesso vetro infrangibile.
Scese alcune scalette che collegavano il terrazzo ad un altro piccolo balcone e la prima cosa che vide fu il finestrone del salotto ormai inesistente. Il tavolino giaceva inerte sul piastrellato e non sarebbe stato possibile se la finestra non fosse stata sfondata, ridotta ad una lastra con un cratere nel mezzo dell’altezza.
Attraverso le porte a vetro scorrevoli – le poche ancora integre – intravide la figura di Tony. Entrò, spingendo di lato la finestra socchiusa e vide il salotto e la cucina openspace ridotte a un disastro. Le ante dei mobili in cucina erano incrinate come se ci fosse stato spinto un elefante, i piedi del tavolo a penisola erano cosparsi di piccoli pezzi vitrei e il divano era stato ribaltato. Facendo capolino oltre un pilastro, individuò il miliardario seduto al pianoforte. Lo strumento era posto su una sorta di predella, sollevata dal pavimento del salotto da tre bassi gradini e posta davanti ad una parete trasparente, che forniva una vista panoramica sull’oceano. Intravide una bottiglia di vodka sulla parte piana dello strumento, vicino al leggio.
« Sono contento che sia tornata prima » esordì lui e ci mancò un pelo che Virginia non facesse cadere in terra tutto quanto.
Quella pacatezza contrastava con le urla che aveva sentito al cellulare e nel vederlo così vulnerabile, non riuscì ad immaginarselo come l’autore di quello sfacelo a cui solo l’abete illuminato sembrava aver resistito.
« Se si annoiava così tanto perché non ha chiamato James? » chiese retorica, non potendo trattenere l’irritazione mentre lasciava le pietanze sul tavolo.
L’impresa le costò quasi una gamba quando i tacchi scricchiolarono sui frammenti vitrei.
« Così che potesse lasciarmi solo, come ha fatto lei…? Come fanno tutti… ».
Virginia posò la borsa su una poltrona, prima di raggiungerlo. Era talmente ebbro da non essere consapevole neanche di ciò che stesse dicendo. E probabilmente corrispondeva alla verità.
« Perché non mi ha fermata allora? » rispose, aggiungendo di proposito un tono di rimprovero bonario.
« Non sarebbe rimasta »
« Ne è sicuro? » lo incalzò e per una manciata di secondi, Tony non rispose.
« Non volevo rovinarle il Natale » masticò e lei riuscì a vedere quanto fosse davvero dispiaciuto.
‘Non più di quanto non sia stato fatto’, ribatté mentalmente.
Tony la fissò ammaliato per un minuto abbondante. I suoi occhi scuri e torbidi si persero sulla figura di Virginia che, sotto la pallida luce lunare che fendeva la notte, appariva eterea. Quasi una visione celeste, frutto di un’allucinazione o una proiezione onirica.
« Sa suonarlo? » gli chiese, indicando il pianoforte così da traslare l’argomento su un soggetto che non fosse lei medesima.
« Mia madre mi ha insegnato. Era suo – disse, carezzando i tasti – Non ho più suonato da quando è morta » rivelò di getto, senza pensarci.
Virginia lo fissò un po’ stranita. Le loro conversazioni erano sostanzialmente una partita a pingpong tra grida isteriche e frasi ambigue, su argomenti piuttosto frivoli come firmare dei documenti. Non parlavano mai in modo così aperto, di cose serie come la famiglia. Quando era stata assunta, l’unica cosa che aveva notato a pelle era che Tony evitava la questione come si evita la lebbra.
« Posso? » domandò, facendo riferimento al posto accanto a lui.
Tony acconsentì ancora imbambolato e le fece spazio. Lei raccolse la gonna, drizzò la schiena e posizionò la punta di un piede sul pedale. Intonò una vecchia canzone che aveva sentito da bambina, ma ebbe appena il tempo di cominciare. Le prime note di Try To Remember stavano riecheggiando nell’aria quando una mano dell’uomo, le afferrò bruscamente un polso.
« No – strinse appena la presa – Tutte, ma non questa ».
Quando lo guardò, qualcosa di simile al dolore storse i bei lineamenti dell’uomo. Lo rassicurò con un cenno del capo e lui la lasciò andare. Sentiva il cuore a mille, ma non si era spaventata per la sua reazione. Quanto per ciò che aveva scorto nei suoi occhi.
Sorrise mesta, poi cominciò a suonare uno dei primi brani che aveva memorizzato: Claire de Lune.
« Non c’era nel curriculum – la vide improvvisamente più allegra – Dove ha imparato? »
« Mio padre »
« Perché non l’ho mai sentita? »
« Suonare mi ricorda che non c’è più – Tony stava per suggerirle di smettere, ma lei proseguì – Sosteneva che la musica avesse il potere di guarire le persone… e per un po’ ho continuato, sperando che guarisse mia madre dalla sua perdita »
« E ha funzionato? »
« No. Ho smesso quando ho capito che le facevo del male… – rispose, senza smettere di suonare – Le cose dolorose non si possono ignorare a lungo »
« Forse le si ignorano perché si preferisce dimenticare ».
Virginia terminò il brano di Debussy e mentre l’accordo andò a perdersi nell’eco della Villa, i suoi occhi azzurri si posarono su Tony. Si chiese cosa volesse dimenticare – La morte dei suoi? Il tradimento di Stane? – e inevitabilmente il suo sguardo cadde sul reattore, che splendeva al centro del suo torace. La curiosità divenne incontenibile come la sera in cui lo soccorse da un incubo.
« Che cosa è successo in Afghanistan? » esordì a bassa voce e lui seguì un filo logico molto simile al suo.
Lo sopportava trecentosessantacinque giorni l’anno e per di più, non le aveva ancora fornito una spiegazione. Poteva permetterle una domanda inopportuna.
« Sono salito su una jeep dopo la conclusione dell’affare per il Jerico… con tre marines, una donna e due uomini. Stavamo scherzando quando il veicolo davanti a noi è balzato in aria. Hanno cominciato a sparare e sono uscito per chiamare rinforzi. Poi una granata è piombata vicino a me… Una di quelle che progettai nel 2002, ricorda? – lei annuì – E’ esplosa e alcune schegge sono rimaste qui… » disse, indicandosi il torso.
Virginia prese a torturarsi le mani in grembo mentre aspettava che Tony riprendesse a parlare.
Non voleva costringerlo e dopo aver sentito quelle prime frasi, non era più così disposta a voler ascoltare il resto. Fino a quel momento non credeva che potesse farle male sentire la sua voce incespicante, debilitata da quel tremendo episodio come la sua mente.
« Ho un vuoto. Quello che ricordo prima del mio risveglio è solo dolore… Quando sono tornato, Yinsen si stava facendo la barba. E’ stato lui a impiantarmi il primo magnete – abbozzò un sorriso quando lei gli rivolse un’occhiataccia – Mi ha salvato. All’inizio funzionava con una batteria per auto, generando un campo magnetico che respingeva e bloccava i barbigli lontani dagli organi vitali » si spiegò e la fronte della donna si corrugò.
« Poi che è successo? ».
Tony si sentiva stanco, incerto. E rievocare l’accaduto faceva pulsare il suo cuore così rapidamente che poteva sentirlo riverberare nel cilindro metallico dove s’incastrava il reattore. Tra l’altro l’argomento palladio non era neanche stata minimamente accennato con Pepper e nonostante, Tony non fosse propriamente sobrio, sapeva che quello non era in momento più sensato in cui farlo.
In contemporanea voleva – e doveva – che qualcuno capisse il turbamento che si dimenava nel suo animo, rendendolo insonne.
« Mi hanno ordinato di costruire il Jerico, ma mi sono rifiutato – aggiunse anche se con un po’ di fatica – Ho resistito due mesi alle torture. Quando non mi usavano come una pentolaccia o una bambola voodoo, mi infilavano la testa in una botte piena d’acqua… Hanno dovuto smettere, altrimenti avrei rischiato l’affogamento secondario. Così sono passati alla psicologia… »
Un brivido gelido la percosse quando le sovvennero le cicatrici sulla schiena dell'uomo che aveva intravisto a Monaco, all'ospedale.
« Che intende? »
« Hanno occupato un villaggio, catturando tre bambine e due bambini. Erano così terrorizzati che non riuscivano neanche a tremare – un soffio di vento occupò quel breve istante di quiete – La più piccola aveva due o tre anni. Uno dei carcerieri le ha sparato »
« Oh mio Dio… » sussurrò Virginia con le dita di una mano sul labbro inferiore che aveva preso a tremare insieme alle ginocchia.
« No, Dio non c’entra niente… – le disse Tony, affranto – Hanno puntato i fucili sui due bambini e mi hanno assicurato che se non avessi collaborato, li avrebbero fatti fuori e si sarebbero preoccupati di farmi assistere alla “cura” delle bambine »
« Come… »
« …hanno fatto? – concluse, stringendo le mani a pugno – Con le mie armi ».
Seguì una pausa in cui lei dovette cercare di stoppare demoni che non le appartenevano, ma che era riuscita comunque a concepire mentre lui seppelliva la rabbia contro sé stesso per evitare di smantellare il resto dell’abitazione.
« Com’è scappato? »
« Ho detto loro che gli avrei dato quello che volevano: un’arma. Ma non specificai chi avrebbe dovuto usarla – fece spallucce, un po’ più libero da un grosso peso che si portava incatenato ad un piede – Coi materiali che avevo, creai la Mark I ».
Virginia si riscosse quando sentì la vibrazione del cellulare. Lo recuperò e lesse l’sms di sua madre in cui si scusava e chiedeva il motivo per cui se ne fosse andata così di fretta, se fosse tutto a posto. Spense il display e rintascò l’arnese.
« Non risponde? »
« Non è importante » liquidò senza convincere Tony che, pur non volendo interrompere quel loro nuovo contatto, fu obbligato a porle una domanda vitale.
« Potrebbe aiutarmi a raggiungere la toilette? ».
Trattenendo la voglia di prenderlo a schiaffi, Virginia gli passò un braccio sotto le spalle e lo aiutò a tirarsi in piedi. Non seppe come, ma riuscì a portarlo nel bagno. La stanza patronale si era rivelata irraggiungibile, così per evitare incidenti, aveva deviato verso la propria camera.
« Grazie, Pepper »
« Dev’essere davvero molto ubriaco per ringraziarmi » disse e subito dopo, la risposta del miliardario fu un conato di vomito.
‘Non ha neanche avuto la decenza di mangiare…’, ragionò rassegnata.
I successivi cinque minuti Tony e il water strinsero una profonda amicizia, letteralmente.
Virginia, che lo aveva abbandonato per i primi due – giusto per evitare un abbraccio di gruppo – si affacciò di nuovo nel bagno, che pareva quasi più grande della camera. Si accostò all’armadietto, prese un paio di fazzoletti in spugna e li bagnò con acqua, che JARVIS predispose a -3 gradi. Scalciò i tacchi sulla moquette, poi procedette a piedi nudi sulle piastrelle e s’inginocchiò accanto a lui.
Con un vago sentore di rabbia e con una mano dietro la nuca, gli sistemò un panno sulla fronte. Poteva comprendere la spazzatura, ma bere fino a dimenticarsi il nome e poi rimettere tutto per ritrovarsi con una cinghia di metallo attorno alla testa…
No, non riusciva proprio a trovarne il legame. Logico o meno che fosse.
« Mi spiega perché si riduce così? » sussurrò, più rivolta a sé stessa.
Tony allungò le dita fino allo sciacquone, abbassò debolmente la tavoletta e vi si spiaccicò con la faccia, cercando di riacquistare un respiro normale. Gli sembrava di dover vomitare ancora, ma lo stomaco era vuoto. Probabilmente si trattava di qualcosa di diverso dal proprio metabolismo che implorava pietà.
Virginia gli posò nuovamente il panno fresco sulla fronte.
« Tony, io non posso aiutarla se lei non me lo permette » sospirò e per un attimo Tony si aspettò una smorfia di pietà.
Invece ciò che vide sul viso della donna fu solo determinazione e – sperò – amore?
‘No, non può amarmi. Sarebbe sbagliato…’, pensò amareggiato prima che le parole di James facessero capolino da un angolino buio della propria psiche.
Abbassò lo sguardo, non riuscendo a sopportare la purezza di quello di Virginia che, dall’alto della sua femminilità, colse appieno quella richiesta d’aiuto che sapeva destinata al silenzio sempiterno.
« Ce la fa a seguirmi in cucina? »
« Non è più facile se va a prendere lei il coltello? » rispose Tony e lei non seppe se dovesse sentirsi più rinfrancata nel constatare che la sua disinvoltura non fosse finita nel cesso insieme a tutto il resto.
« Per quanto io sia tentata, non voglio ucciderla. Voglio solo prepararle una tazza di camomilla »
« Avvelenata? » domandò lui a metà tra un’esplicita richiesta e una macabra proposta.
Virginia ignorò entrambe le cose e come in precedenza, lo rimise in piedi. Dopo aver raggiunto il salotto, lo lasciò quando fu certa che potesse reggersi da solo e si allontanò verso la cucina, mandando un veloce messaggio al Colonnello, che non tardò a risponderle.
Per quanto mi riguarda, può fottersi. Lui e le sue paranoie.
 
'A quanto pare saremo io e lui contro il mondo’, determinò truce per poi spegnere direttamente il dispositivo. Lo abbandonò sul tavolo e mise il bollitore sul fornello.
Per quella sera la gente poteva credere a quello che desiderava: se credevano a Babbo Natale, potevano credere anche ad una storia tra loro.
Tony intanto dondolò verso il Blüthner a mezza coda, passandosi la mano sana tra i capelli quando Virginia gli si avvicinò con alcune stecche e delle garze – con cui sembrò intimarlo a non obiettare – per medicargli la mano. In tutto quel tempo sperava che non se ne fosse accorta, ma era pressoché impossibile visto che le nocche stavano diventando violacee e i segni irregolari lasciavano intendere che ciò a cui aveva mirato era in realtà fatto di carne.
« Ho sentito James – esordì, esaminandogli la mano prima di applicarvi una pomata – E mi ha elegantemente suggerito di mandarla al diavolo »
« Però è qui »
« Perché è Natale » concluse lei, tralasciando per un attimo il proprio compito.
Sollevò lo sguardo limpido verso quello torbido dell’uomo che la fissava come in trance. Avvicinò la mano libera al suo volto e con un dito, portò via una scia salata che Tony non aveva avuto il coraggio di asciugare per timore di esporsi. Senza parole, osservò Virginia steccargli le dita che apparivano più gonfie a causa di qualche microfrattura.
« Posso chiederle un favore? – bisbigliò mentre fermava le bende con un nodo – Suonerebbe qualcosa per me? Lo so che… Insomma, suo padre… E io n-non… »
« Tony »
« Ha la mia comprensione, se non vuole »
« Si accomodi » lo esortò.
Tony obbedì e circa un minuto dopo, Virginia fu di ritorno con una tazza di camomilla. Prese posto al fianco del miliardario mentre si raccomandava di non bruciarsi.
« Ha qualche preferenza in particolare? – lui negò col capo, poi soffiò sulla bevanda – Okay… Mi faccia pensare… ».
Tony osservò le dita della donna sfiorare l’avorio, come se dovesse prendervi confidenza.
« C’era una canzone… Mia madre… sa, è melodrammatica… la cantò quando lei e mio padre bisticciarono la prima volta – sorrise ripensando a sua nonna che le raccontava l’accaduto mentre strimpellava le prime note – Bells will be ringing the sad, sad news… Oh, what a Christmas to have the blues… My baby’s gone, I have no friends to… » tossicchiò imbarazzata mentre Tony poneva la tazza ormai mezza vuota sulla parte piana dello strumento.
« Continui »
« Choirs will be singin’ “Silent Night”, Christmas carols by candlelight… Please come home for Christmas, please come home for Christmas… If not for Christmas, by New Year’s night… Mmmh… But this is Christmas. Yes, Christmas my dear… It’s the time of year to be with the one you love… ».
Virginia si lasciò trasportare dalla musica, di cui non ricordava altre parole mentre i suoi pensieri ed emozioni si catalizzarono sull’uomo, che aveva appoggiato la tempia sulla sua spalla.
« Lei è l’unica donna a cui non interessano i miei soldi » disse come una semplice constatazione e lei non fu in grado di carpire qualunque messaggio potesse esservi celato. O comunque non poteva esserne certa.
Le parole di Tony le erano arrivate fievoli, prive di sarcasmo o scherno.
Virginia ripensò al significato di quella festività –  < Ancor più di San Valentino, Natale è il giorno dell’amore > le aveva detto suo padre dopo aver rotto col suo fidanzatino del liceo – e, sebbene una vocina continuasse a dirle che ciò che stava per fare fosse totalmente scorretto, si mise più vicina a Tony e gli avvolse un braccio attorno alle spalle curve.
Lui rimase rigido per qualche secondo in cui non seppe come interpretare quel gesto. Poi deliberò che fosse troppo ubriaco per poter riflettere a una simile ora della notte e si rilassò, poggiando la testa nell’incavo della spalla della donna. Poco gli importava se si stesse mostrando debole o se lo avrebbe considerato come un’azione dettata dall’atmosfera. Voleva solo lasciarsi stringere da Virginia, sentirsi protetto e felice come ogni volta che era con lei. Al diavolo se le accuse di Rhodey erano fondate.
Inspirò contro il suo collo, gonfiando i polmoni e l’anima di quel profumo che avrebbe riconosciuto tra mille. Esotico nel suo essere ordinario.
Chiuse gli occhi, ascoltando il battito cardiaco di Virginia che lasciò che il suo sguardo perdersi nel  paesaggio. Dopo quella che parve un’eternità, abbassò il volto verso l’uomo che si era appisolato come un neonato. Era pallido, ma l’espressione che aveva, era di pura serenità.
Girò la testa di scatto verso il divano e vide Happy che lo riportava alla sua posizione originale. Quando vide il proprio boss sciolto fra le braccia della donna, il suo primo impulso fu quello di scappare. Ma ebbe un ripensamento quando Virginia gli rivolse un’espressione implorante.
« Sta’ dormendo? »
« Happy… Dov’eri finito, amico? » biascicò Tony, pensando tristemente che si sarebbe dovuto alzare e lasciare quel posto paradisiaco che era l’abbraccio di Pepper.
Lo chaffeur si arrogò il diritto di poter tacere e si caricò il miliardario su una spalla.
« Perché lo fate? »
« Cosa? »
« Aiutarmi »
« Perché ne ha bisogno, mi pare ovvio » rispose Happy, seguendo Virginia verso la camera degli ospiti.
Tony fu scaricato a peso morto sul giaciglio e i due si soffermarono a guardarlo.
« Vuole che resti? » chiese Happy, conoscendo già la risposta della donna.
In fondo non era la prima volta che li trovava a dormire nello stesso letto e cominciò a credere che il boss si fosse ubriacato di proposito pur di ripetere l’esperienza.
« No, Happy. Va’ a casa e goditi il Natale »
« Sicura? »
« Sì – assentì lei con un sorriso – Prenda qualcosa dalle scodelle in cucina » aggiunse lei, ritenendo che fosse il minimo per ripagarlo di quel penoso Natale.
Mentre Happy se la filava con qualche pezzo di carne e una tortina alla marmellata di more, Virginia recuperò un bicchiere d’acqua e una pastiglia di analgesico. Rientrò nella stanza e si accostò al letto, posando tutto sul comodino prima di sedersi piano piano sul materasso.
« Il suo letto è molto più comodo del mio » cominciò Tony, carezzando la trapunta.
« Ah davvero? » rispose lei, fingendosi sorpresa.
« Sì… E poi profuma di… – si girò su un fianco e seppellì il viso fra i cuscini – Ftorfta di mele »
« Torta di mele? – replicò Virginia, indecisa se ridere o piangere – Su, avanti… Deve riposare »
« Mi piacerebbe dormire qui tutte le notti… »
« Questa è casa sua » gli ricordò, tirando le lenzuola per poi gettargliele addosso.
« …con te, Peps » bisbigliò Tony, guardandola da sotto il braccio con cui si era coperto la fronte e sogghignò quando lei cambiò colore.
Virginia, per preservare la propria sanità mentale, finse spudoratamente di non averlo sentito. Afferrò la coperta in flanella ai piedi del giaciglio e si distese nella parte libera, sopra il piumone che gli aveva rimboccato attorno. Adagiò la testa su un guanciale e si preparò a dormire.
« Pepper…? » sussurrò Tony.
« Sono qui » rispose lei di pari tono, strofinando una guancia sulla superficie morbida e pulita.
« Da qualche parte… Uhm… Nei miei pantaloni, c’è una cosa ».
Aprì entrambi gli occhi e se non fosse stato brillo, lo avrebbe ucciso.
« Lei è un maniaco » lo accusò, facendo fischiare le parole tra i denti.
« Potts, non la facevo così perversa… Intendevo che c’è un medaglione… » specificò Tony, tentando di allentare un poco l’involtino in cui era stato bloccato per raggiungere le tasche dei pantaloni.
« E cosa dovrei farne? » chiese Virginia con un cipiglio inquieto quando l’uomo le appioppò un ciondolo antico in una mano.
« Lo prenda e lo custodisca per me » sentenziò, infossandosi nuovamente nel giaciglio.
« Tony, i-io… non posso… »
« Mi fido solo di te… Ti prego ».
Virginia nel frattempo aveva aperto lo sportellino e alternava lo sguardo tra la miniatura degli Stark e il loro discendente.
« Ma qui ci sono »
« …i miei genitori, lo so ».
Si lasciò sfuggire un lamento, poi richiuse il medaglione e infilò la catenella.
« Va bene, ma adesso dormi ».
Si coprì, poi lentamente si addormentò fin quando un movimento al proprio fianco la ridestò un paio di ore dopo. Sollevò le palpebre e incontrò i tratti di Tony a pochi centimetri, contratti in un’espressione sofferente. Allungò una mano e titubante, la posò sulla sua guancia.
Tony si agitò un’ultima volta prima di tornare a dormire davvero mentre Virginia lasciò che le proprie dita s’impigliassero fra i suoi capelli, che seguissero il filo ispido della sua mascella fino al pizzetto.
« Sei a casa, Tony… ».
 
Arricciò il naso, tirò su e aprì le palpebre. Aggrottò la fronte quando si accorse che il letto era diverso e soprattutto era occupato da qualcun altro oltre a lui. Mise a fuoco e quando il suo cervello si collegò, riuscì a ricomporre il quadro totale della notte appena trascorsa. Rhodey era arrivato con un incarico del governo quando lui era già partito per la tangente e aveva preso la pessima scelta di chiamare una delle ballerine per la expo – ‘Da licenziare’ – per fregargli la Mark II. Poi non sapeva come aveva trovato le forze per ribaltare il piano terra della Villa e questo aveva attirato Pepper, l’edenica creatura che adesso gli dormiva ad un soffio di distanza.
Non ricordava molto della loro chiacchierata – sicuramente le aveva fatto un resoconto sul soggiorno in Medio Oriente – se non le sue dita che pigiavano con delicatezza i tasti eburnei del pianoforte, accompagnate dalla sua voce. Prima di allora credeva che nessuno, neanche lui, avrebbe restituito la vita allo strumento.
La osservò meglio e si accorse delle perle d’acqua rimaste incastrate fra le sue ciglia. Quando vide che si era liberata del lenzuolo, capì che non doveva esser stato un sonno tranquillo. Fu in quell’istante che gli sovvenne la festa a casa di sua madre. Che fosse finita male?
Un altro dettaglio di quella stramba Vigilia gli si palesò: in una mano, stringeva il medaglione – la cui catenella passava dietro il suo collo, bloccandole i capelli – di sua madre.
Non poteva sapere dell’esistenza di quel ciondolo. Inoltre, non l’avrebbe mai preso a sua insaputa perciò doveva per forza averglielo dato lui.
‘Merda. Dovevo essere davvero ubriaco…’.
Dato che il danno era stato fatto, non si crucciò e anzi sorrise. Se c’era un luogo sicuro in cui far riposare il ricordo di sua madre era proprio Pepper.
Si guardò intorno e si sporse per poter vedere l’ora sulla sveglia, posizionata proprio sul comodino alle spalle di lei. Le sette meno un quarto.
Un gemito appena spirato e quando tornò a distendersi, la mano libera della donna trovò la sua maglietta. Le si portò vicino, quasi a volerle suscitare una reazione e Virginia gli si accoccolò, attirata dal suo calore. Trattenendo il ciondolo dorato contro i seni, si raggomitolò su sé stessa e appoggiò la fronte al reattore arc.
Aiutandosi con una gamba, Tony agguantò un lembo del piumino – frenando un’imprecazione quando le dita steccate crocchiarono in modo doloroso – e lo tirò fino a coprire entrambi. Ignorando tutto ciò che era stato detto, le cinse i fianchi con un braccio e tornò a dormire.
 
Angolo Autrice:  Ad un orario improponibile, vi presento il nuovo capitolo (in realtà lo avevo pronto da settimane, ma non ho resistito per l’attesa di pubblicarlo eheh^^  e il motivo è di facile intuizione ;))!
Una nota rossa iniziale per riprendere i toni precedenti, poi via col fluff/angst, una mistura per cui vado matta… Sì perché come voi, anch’io smanio per il momento clue ma fidatevi, ne avrete per ancora un bel po’ *ops*   
Volevo ringraziare 
T612cate25 stark16 che hanno recensito precedentemente <3 ma anche tutti coloro giunti fin qua! :*

Se avete dubbi, domande anche su capitoli precedenti… non fatevi scrupoli e contattatemi :D
Al prossimo capitolo,
50shadesOfLOTS_Always

   
 
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